giovedì 20 settembre 2012

Alle radici di Bunga Bunga: il Partito della Gnocca

Non se l’immaginavano nemmeno, nei corridoi austeri del Ministero dell’interno, che un giorno qualcuno avrebbe coniato il «Partito du pilu» proponendo in giro per le strade una finta campagna elettorale e, soprattutto, che qualche buontempone avrebbe colto l’occasione per scodellare una «Lista Bunga Bunga – Più pilo per tutti», senza peraltro osare proporla al di là del Piemonte (almeno fino alle prossime elezioni politiche: ci sarà di che divertirsi…).
Eppure non dev’essere stata meno interessante l’espressione assunta dai funzionari del Viminale che il 31 marzo 2001, nell’ultimo giorno di fila per il deposito dei contrassegni per le elezioni politiche che avrebbero riportato Berlusconi a Palazzo Chigi, si sono visti consegnare l’incartamento del «Partito della gnocca». Certamente serissimo doveva essere il latore del fascicolo, tale Federico Staunovo Polacco, nel farsi protocollare il suo emblema con il numero 149, tra il «Movimento denominato Unità democratica federale – Associazione del Pollino» e l’«Unione Nord Est», formazioni che difficilmente hanno provato il brivido di superare l’1%, almeno a livello nazionale.
Quasi certamente era la prima volta che una parola un po’ sopra le righe (popolare per alcuni, volgare per altri) metteva le tende al Viminale, anche se ci sarebbe rimasta poco: i funzionari delegati, infatti, passarono rapidamente al setaccio il contrassegno, per vagliarne l’ammissibilità. Nessuna traccia nell’emblema del nome del partito, soltanto uno gnocco di patate (almeno, così sembra) in bella vista sopra lo stellone della Repubblica. O meglio, la sua taroccatura: sul nastro rosso che lega i rami di ulivo e quercia, dove normalmente sta scritto in maiuscolo «Repubblica italiana», una mano birbante aveva inserito la frase definitiva e inesorabile «Quando Ti Tocca Vota La Gnocca» (con tutte le maiuscole ben marcate); il tutto su una riproduzione sbiadita e sgranata dell’emblema.

venerdì 7 settembre 2012

Udc, Casini cancella il suo nome dal simbolo



Al momento, a coprire il nuovo emblema c’è solo un drappetto bianco, peraltro troppo corto per celare tutto il contrassegno: nessuno sconvolgimento, ma qualche segno importante si intravede già. A settembre, puntuale, torna l’appuntamento dell’Udc al parco Fucoli di Chianciano Terme. Già nel 2010 doveva essere un appuntamento caldo: doveva essere l’anno del Partito della nazione, che avrebbe abbandonato lo scudo crociato, così come aveva ipotizzato Pierferdinando Casini: non se ne fece nulla, come è noto, ma quest’anno qualcosa succederà.
Oggi pomeriggio s’inaugura la kermesse «Le primarie delle idee per la rinascita dell’Italia», con mezza sfilata del governo (da Riccardi a Ornaghi, da Martone a Clini, da Catania a Patroni Griffi, fino a Corrado Passera), sfoggio di esponenti sindacali e sociali e, naturalmente, la parata dei dirigenti dell’Udc (e non solo: ci sarà anche Fini, per dire): apre il segretario Lorenzo Cesa, chiude Casini. Nel mezzo, però, tra domani e dopodomani, sarà presentato il nuovo simbolo del partito.
I tradizionalisti, democristiani dentro – a dispetto della “riattivazione” della Dc di alcuni mesi fa – sono tranquilli: il lenzuolo di carta – o il cencio, visto che siamo nel senese – non copre l’estremità appuntita dello scudo crociato e, in trasparenza, sembra di leggere ancora «Libertas» sul braccio della croce: nessun abbandono dell’insegna classica, insomma, e nessuno strappo con la storia da De Gasperi in poi. Il drappo, tuttavia, oltre a essere corto non è nemmeno così opaco da coprire la vera novità dell’emblema: nel segmento circolare rosso che sormonta lo scudo, non c’è più il nome del leader Udc. Casini, dopo averlo fatto inserire nel 2006 – quando si era votato per la prima volta con il Porcellum e si voleva marcare il territorio, per pretendere qualcosa nel caso Forza Italia avesse preso pochi voti – ora lo fa togliere: al suo posto, campeggia chiaramente la parola «Italia», maiuscola e imponente.
Può essere il tentativo di mettere un’ipoteca importante su quel termine (oltre che di far piacere a Italia futura, presente in massa a Chianciano), o magari è il segno di qualche cambiamento della legge elettorale (senza la necessità di marcare il capo della coalizione) o, ancora, di qualche tentativo concreto di avvicinare altre forze come il Pd, preparandosi a non indicare più Casini come candidato ideale. Un po’ di pazienza (giorni, settimane o mesi) e qualcuno ce lo farà sapere, si spera.

mercoledì 5 settembre 2012

Se la scheda fa Bunga Bunga...

La Lista Bunga Bunga, prima e dopo la ricusazione
Nel 2011, già alla prima settimana di produzione, aveva sbancato il botteghino: assieme a Che bella giornata, cucito addosso a Checco Zalone e uscito nelle sale poco prima, Qualunquemente con Antonio Albanese è stato sicuramente uno dei “casi” del mercato cinematografico di quell’anno, con un successo del tutto imprevedibile per molti. C’è ancora chi ricorda il lancio, assolutamente geniale, del film, con una serie di affissioni e di banchetti per la raccolta firme, primarie del "Partito du Pilu" con un unico candidato, Laqualunque Concetto detto Cetto, tutto sotto l’egida nient’affatto sommersa dello slogan della campagna elettorale: «’cchiu pilu pe’ tutti».
Era stato efficace l’art director Federico Mauro, nell’immaginare quella campagna promozionale, ma non immaginava che una manciata di settimane dopo, qualcuno lo avrebbe preso in parola. A metà maggio del 2011 si vota per le comunali a Torino e, giusto un mese prima, un signore scodella 4-liste-4 ai funzionari della commissione elettorale: lui si chiama Marco Di Nunzio e, accanto al «Comitato Popolo Latinoamericano – Co.po.la.» (guarda caso quando i candidati del centrodestra e della «Lista del grillo – No Euro» di Renzo Rabellino facevano entrambi Coppola di cognome), a «Forza Juve» e a «No immigrazione – No nucleare», c’era anche lei, «Lista Bunga Bunga – Più pilo per tutti». Fine tentativo di ironizzare sulle più recenti tristezze politiche o mera operazione di sfruttamento condita da grasse risate? Come che sia, tempo tre giorni e non se ne fa più niente: per i funzionari ci sono gravi irregolarità nelle firme, quindi il simbolo sulle schede non ci arriva proprio.
Invece che stracciarlo, Di Nunzio conserva per bene il suo emblema e aspetta la nuova occasione propizia, le elezioni amministrative del 2012: appena si aprono i termini per la presentazione delle liste, lui e i suoi sodali si presentano in vari uffici elettorali e sfoderano nuovamente il simbolo (uno solo stavolta, si tratta pur sempre di comuni piccoli). Sulle firme, questa volta, nulla da dire, ma in commissione stavolta guardano anche il contrassegno e decidono che è del tutto impresentabile, perché viola il buon costume: un canone che nella legge elettorale manca del tutto, ma applica direttamente l’articolo 21 della Costituzione, per cui sono vietate tutte le manifestazioni del pensiero contrarie al buon costume.