venerdì 23 novembre 2012

"Diritti e libertà", la versione di Donadi

«Saremo un partito che non avrà segretari né presidenti, che non chiede e non chiederà mai finanziamenti pubblici». Non sarebbe nemmeno poi così male come presentazione, per Diritti e libertà, il nuovo soggetto politico fondato da Massimo Donadi e Aniello Formisano, dopo la loro uscita dall'Italia dei valori. Con loro, anche un ex fedelissimo Idv come Stefano Pedica, che pure era entrato nel partito dopo essere transitato dalla Dc al Ccd di Mastella all'Udr cossighiana, salvo fondare alla sua dissoluzione i Cristiano democratici europei con l'ex Fi-Udr Alessandro Meluzzi; nel 2005 il movimento fece nascere la Democrazia cristiana di Rotondi, ma Pedica l'anno dopo lo fece aderire all'Italia dei valori.
Già persi? Stiamo all'attualità allora: oggi Donadi, Formisano e compagni hanno presentato alla stampa Diritti e libertà, una denominazione che sembra uscita direttamente da un manuale di diritti pubblico o costituzionale, e invece contraddistingue l'ennesimo movimento battezzato in questa XVI legislatura. «Libertà» ovviamente qui non ha nulla di berlusconiano, sembra piuttosto declinata al plurale al pari dei «Diritti», lasciando intendere che l'oggetto di tutela e azione del partito sia proprio questo. La sigla, Dl, a dire il vero, è già un po' rubacchiata: a ben guardare, era l'acronimo con cui si indicavano dal 2001 al 2008 gli esponenti della Margherita, il cui nome integrale era «Democrazia è libertà - La Margherita», col nome del fiore che inizialmente non era nemmeno messo per iscritto nel contrassegno. Volendo, tuttavia, Donadi si può anche assolvere: anche Rutelli e compagni, infatti, non erano stati poi così originali, visto che Democrazia e libertà era lo slogan che campeggiava, tra le bandiere d'Italia ed Europa e una bilancia, sul simbolo del «Centro di cultura e di iniziativa politica "Leonardo da Vinci"» (così stava scritto sulla bacheca del Viminale) già presentato nel 1996: il Centro aveva sede ad Avellino e non a caso servì a Ciriaco De Mita per la sua elezione a deputato.
Il simbolo, invece, è tutto diverso, niente fiorellini o bilancine: giusto un cerchio arancione, con il nome del partito scritto in bianco all'interno poco più che a semicerchio; nella parte superiore c'è l'immancabile tricolore a campire un settore dai lati ricurvi e un po' staccati dal resto del cerchio, con ombrette blu distribuite qua e là. Cosa sia quello spazio bianco nel mezzo, è lasciato alla fantasia di ognuno: può diventare, a seconda delle letture, una V di vittoria benaugurante (e anche un po' "grillina", se si vuole), un segno di "spunta" (il tick inglese) come elemento positivo, un paio d'ali stilizzate come emblema di libertà e chissà cos'altro. «Abbiamo buttato il cuore oltre l’ostacolo, ci siamo messi in gioco per dimostrare che un’altra politica è possibile, senza certezze e senza paracaduti» ha detto ancora Donadi: in effetti, un paio d'ali farebbe proprio comodo.

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