lunedì 19 maggio 2014

"Presidente, restituisca lo scudo crociato alla Dc"

La vicenda della Democrazia cristiana e dello scudo crociato si arricchisce di un'ulteriore puntata e - c'è da giurarci - non sarà affatto l'ultima. Sul tavolo del Presidente della Repubblica è arrivata (o sta arrivando) una nota a firma Leo Pellegrino, già sindaco di Caltabellotta dal 1992 al 1994, iscritto alla Dc dal 1975 e - lui ci tiene a rimarcarlo - mai iscritto ad alcun altro partito in seguito (dotato o privo di scudo).
Questa lettera chiede in sostanza di restituire il simbolo - attualmente usato dall'Udc all'interno del contrassegno composito con il Nuovo centrodestra di Alfano - al partito che lo ha sempre utilizzato, ossia la Democrazia cristiana fondata in piena Seconda guerra mondiale e protagonista della vita politica italiana del secondo dopoguerra. Lo stesso partito che, secondo la Corte d'appello di Roma (con conferma della Cassazione nel 2010), non si sarebbe mai sciolto e che - secondo Pellegrino e varie altre persone - sarebbe sopravvissuto alla nascita di tanti altri partiti che rivendicano una continuità almeno parziale con la formazione di De Gasperi. 
Stando così le cose, quei partiti "nuovi" dovrebbero restituire alla Dc (rappresentata al momento dai soli iscritti che non hanno aderito a nuove formazioni) tutti i beni che negli anni hanno gestito o si sono intestati. A partire dallo scudo crociato, le cui vicissitudini sono note.     
Personalmente sostengo una tesi piuttosto diversa rispetto a quella di Pellegrino, come ho già ribadito più volte su queste pagine, ma è comunque giusto che io pubblichi questo testo, perché ognuno sappia che la battaglia sul partito e sul simbolo che hanno di fatto governato l'Italia per quasi cinquant'anni è ben lontana dall'essere conclusa.

Roma, 16 maggio 2014
Signor Presidente,

sono un cittadino impegnato da sempre in politica.

Il mio impegno è iniziato nella Democrazia Cristiana, per la quale ho ricoperto diversi incarichi di partito ed amministrativi (...).

Il 10 ed 11 Novembre del 2012 presso il Salone della Tecnica a Roma via Tupini 65 si è tenuto il XIX Congresso della Democrazia Cristiana, per consentire la ripresa dell’attività politica, interrotta nel 1993 dall’allora segretario politico Mino Martinazzoli, a seguito della sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 25999 del 23.12.2010, che ha definitivamente sancito che la Democrazia Cristiana non è mai stata sciolta,  né mai si è trasformata in altri partiti (...).

domenica 18 maggio 2014

Il Bunga Bunga che nessuno vuole

A quanto pare non è stata solo la Juventus a lagnarsi (e molto) dell'accostamento dei suoi elementi visivi caratterizzanti (il nome e i colori) all'espressione "Bunga Bunga" nel simbolo depositato da Marco Di Nunzio presso il Viminale, sostituito anche per eliminare ogni riferimento alla società calcistica. All'indomani della riammissione dell'emblema, infatti, aveva protestato con veemenza anche il presidente dell'Unione sudamericana emigrati italiani, Eugenio Sangregorio. L'idea che il leone dell'Usei fosse piazzato in quel contrassegno elettorale proprio non gli era andata giù e aveva subito reagito.
“Noi non abbiamo autorizzato nessuno ad usare il simbolo del nostro partito, - aveva dichiarato alla testata online ItaliaChiamaItalia - non sappiamo chi siano i responsabili di questa truffa, ma certo è che stanno utilizzando il logo dell’Usei illegalmente. Nessuno mi ha contattato, non so chi siano i responsabili della lista Bunga Bunga. Nessuno di loro mi ha mai proposto alcuna alleanza elettorale in vista delle Europee. E comunque – sottolinea – non ho alcun interesse a candidarmi alle elezioni né è prevista la partecipazione dell’Usei. Questo è opera di qualche demente, oppure qualcuno che forse vuole ricattarci in qualche modo. O semplicemente, si tratta di uno scherzo di cattivo gusto".
Alle parole aveva fatto seguito l'azione: al Viminale e a tutti gli uffici elettorali circoscrizionali è stata depositata una diffida da Vincenzo Carrozzino, segretario dell'Usei. In base a quell'atto, i documenti presentati da Di Nunzio per avallare l'uso del simbolo con il leone - compresi quelli aggiunti e che hanno portato alla riammissione - sarebbero falsi, in assenza di ogni autorizzazione o mandato; in più (è sempre ItaliaChiamaItalia la fonte) il contrassegno "illegittimo, volgare e diffamatorio" avrebbe "gettato discredito in tutta la comunità italiana all'estero". 
Sulla base di quella diffida, gli uffici circoscrizionali hanno provveduto a bocciare le liste presentate da Di Nunzio: cadendo il simbolo dell'Usei, è venuta meno anche l'esenzione dalla raccolta delle firme, legata all'elezione della deputata Renata Bueno. Il rappresentante di Bunga Bunga ha impugnato i provvedimenti di esclusione, sostenendo di avere presentato tutti i documenti richiesti, ritenendo invece che la dichiarazione dell'Usei fosse tardiva; l'ufficio elettorale centrale nazionale però gli ha dato torto, escludendo definitivamente le liste il 20 aprile (e non era andata meglio in Piemonte alle elezioni regionali).
La vicenda sembrava chiusa, ma oggi spunta una pagina nuova. E' lo stesso Marco Di Nunzio a comunicare che "in queste ore viene formulata regolare denuncia querela per truffa ed estorsione nei confronti dei responsabili del Usei e contro eventuale coinvolgimento del sig. Sangregorio"; allo stesso tempo, il gruppo avrebbe presentato anche un'istanza "alla Corte di giustizia europea per violazione dei diritti del uomo chiedendo l'annullamento delle elezioni europee e regionali del Piemonte".
Al di là di questioni giuridiche, che spetterà alle Corti competenti valutare, per Di Nunzio il problema è innanzitutto politico: "E' chiaramente evidente che Usei appare solo nel momento delle elezioni politiche per prendere voti e poi scompare senza essere presente nel territorio sudamericano nel sostenere le fasce deboli, mentre i capi del Movimento Bunga Bunga si trovano in questo momento in Venezuela contro l'opposizione chavista, sostenendo e aiutando sul territorio gli eroici camerati studenti uccisi e torturati dal governo venezuelano".
Chissà se, a questo punto, la storia finirà qui o, come in ogni telenovela sudamericana che si rispetti, ci si deve aspettare un'altra puntata, e poi un'altra, e poi un'altra...

sabato 17 maggio 2014

Vercelli, l'ultrasimbolo rovinato dal sorteggio

Bisogna ammetterlo: l'avevano pensata proprio bene in quel di Vercelli. Perché a sinistra, due liste erano riuscite a guardare oltre il loro simbolo. E non lo si dice per dire. Sono due i raggruppamenti che sostengono la candidatura a sindaco di Remo Bassini, scrittore e giornalista (pubblica sul Fatto quotidiano e per anni ha diretto La Sesia, testata storica di Vercelli).
Uno, Voce libera, aveva già corso nel 2009 candidando a sindaco Mariapia Massa, che stavolta figura come capolista. Allora il simbolo era quasi bucolico, con due rondinelle volanti in un curioso cielo bianco sopra i colli verdi; questa volta invece è rimasto solo il verde di base, con l'arancione nel fondo alto. 
A dividere e unire i colori, una fascia bianca piegata a forma di V. V come Voce, ovviamente, seguendo anche un po' la curva della pipa che Bassini frequenta spesso e volentieri. Niente segni figurativi espliciti, insomma, ma il tentativo di richiamare un'idea coi soli colori.
L'altra lista, sempre di sinistra ed espressione di Sel – almeno a dar retta alle notizie circolate sui media – ha fatto una scelta simile, rinunciando a ogni simbolo tradizionale o riconoscibile. E, già che c'era, il grafico (verosimilmente lo stesso per i due emblemi, a giudicare dall'idea e dalla font utilizzata per il nome del candidato sindaco) ha lanciato una sfida spaziale, pur se del tutto innocua. Perché, preso in sé, non stupisce nemmeno tanto il contrassegno della Sinistra per Bassini, con una mezza freccia che divide il campo arancione da quello rosso (due colori senz'altro di sinistra, almeno in Italia) e che punta naturalmente a gauche.
A mettere in fila i due simboli, però, il trucco diventa improvvisamente chiaro. Perché a giocare con le spilline, improvvisamente la freccia si dipana da un emblema all'altro e corre veloce da destra a sinistra, dopo aver fatto il gomito in basso, lasciando l'arancione in alto e alternando verde e rosso in basso. Come un tricolore ribaltato, come una radice quadrata allo specchio. Praticamente un ultrasimbolo, il primo in assoluto, un contrassegno cui stanno stretti i dieci centimetri di diametro del manifesto e chiede solo di poter proseguire nel tondo vicino, per trovare compimento.
Tutto geniale, tutto perfetto. Ma il grafico ha fatto i conti senza l'oste. O meglio, senza i bigliettini che si usano per il sorteggio dell'ordine delle liste sul manifesto. Perché poteva anche andar bene finire ultimi nel foglione delle candidature (e pazienza se voleva dire stare tutti a destra), ma una mano birichina ha estratto prima la V come Voce libera e poi la freccia della Sinistra. Morale, il giochino ben apparecchiato si è rotto proprio alla fine, quando la freccia poteva campeggiare in bella vista sui muri e sulle plance elettorali di Vercelli. Il sorteggio, insomma, ha rovinato tutto. E prendersela con Pannella, che più di chiunque altro ha voluto mandare in pensione le vecchie file davanti agli uffici elettorali, è perfettamente inutile.

giovedì 1 maggio 2014

Fratelli d'Italia, la fiamma resta dov'è. Almeno per ora

Giorgia Meloni e gli alti Fratelli d'Italia possono dormire sonni tranquilli, per lo meno fino a settembre. Fino ad allora, infatti, non si dovrebbe riparlare della querelle con alcuni aderenti alla Fondazione Alleanza nazionale che avevano impugnato la delibera con cui, il 14 dicembre scorso, l'assemblea della fondazione stessa aveva concesso per il 2014 a Fdi l'uso del vecchio simbolo di An all'interno del proprio contrassegno. 
Il giudice chiamato a esprimersi in via cautelare sulla richiesta di sospendere l'efficacia di quella decisione ha rigettato il ricorso che Roberto Ruocco, avvocato di Cerignola nonché consigliere regionale in Puglia (gruppo Pdl - Forza Italia), aveva presentato insieme ad altri aderenti e partecipanti pugliesi alla stessa Fondazione An. Il gruppo di Meloni, La Russa e Crosetto, dunque, parteciperà alle elezioni europee e amministrative con il simbolo "matrioska" (come lo ha causticamente chiamato Francesco Storace), senza particolari scossoni.
Già il percorso verso la Fondazione An non era stato rapido e lineare, con alcune puntate movimentate tra giudici civili e amministrativi scatenate da chi non aveva condiviso la destinazione del patrimonio al nuovo ente, con il sospetto di irregolarità nel percorso. Il voto favorevole sulla mozione presentata da Meloni, La Russa, Alemanno e altri per scongelare il simbolo di An a favore di Fratelli d'Italia, tuttavia, aveva fatto traboccare il vaso, tanto per gli ex compagni di fiamma che solo poche settimane prima avevano cercato di far partire il Movimento per An con Storace, Adriana Poli Bortone e altri, quanto per gli ex An poi passati a Forza Italia come Maurizio Gasparri, cui la scelta dell'assemblea non era andata giù.
Nel ricorso di Ruocco si legfevano critiche precise. Se lo statuto della Fondazione An indica all'art. 2 come finalità "la conservazione, tutela e promozione del patrimonio politico e di cultura storica e sociale" della destra italiana e in particolare di An, per i ricorrenti la delibera che ha concesso temporaneamente il simbolo (e non il nome, sottolinea il ricorso, anche se era un ingrediente chiave del logo) viola quegli scopi: se un altro soggetto politico che si richiama ad An volesse usare l'emblema in futuro, non avrebbe più lo stesso valore, perché ormai rimanderebbe a Fdi. Fratelli d'Italia, in più, sarebbe individuato come una sorta di "unico erede legittimo" del partito "nato" a Fiuggi, cosa che la fondazione non potrebbe fare (e, di più, il partito della Meloni non potrebbe qualificarsi erede, essendo sorto dall'apporto di soggetti che stavano in partiti diversi e avendo raccolto assai meno voti di An). 
Di più, nel ricorso erano uscite le censure già rese note dall'inizio, cioè il mancato inserimento esplicito della mozione nell'ordine del giorno e la presenza di soli 292 votanti a fronte di 1206 aventi diritto; la stessa delibera del cda della fondazione sarebbe viziata, perché la fase istruttoria per verificare l'effettiva innovatività del progetto Fratelli d'Italia - Officina per l'Italia sarebbe stata del tutto insufficiente (21 ex dirigenti di An ascoltati, a fronte di decine di migliaia di iscritti del partito all'atto della confluenza nel Pdl) e svolta da un organo non competente.
Il giudice cautelare, invece che sospendere la delibera (in vista dell'annullamento), ha  rigettato il ricorso, cui avevano aderito Antonio Buonfiglio ed Enzo Raisi, già promotori di azioni precedenti. Per il giudicante, il problema è innanzitutto formale: essendo quella in discussione una fondazione, gli attori non sarebbero legittimati a impugnarne le deliberazioni (il controllo spetterebbe all'autorità governativa). Anche accantonando questo problema, non sarebbe vietato presentare mozioni durante l'assemblea. Soprattutto, verrebbe meno l'argomento numerico, perché - da statuto - il numero legale dei partecipanti non dev'essere calcolato su tutti gli aderenti (i 1206 citati prima), ma solo su coloro che abbiano assolto gli obblighi di contribuzione previsti, abbassando il numero a 693: dalla documentazione prodotta, i presenti risultano 306, ben più del terzo degli aventi diritto richiesto dall'art. 12 dello statuto.
Quanto alla coerenza degli scopi perseguiti dalla mozione con quelli previsti dallo statuto della fondazione, il giudice ritiene solo di poter valutare che la scelta di concedere il simbolo effettivamente rientra nelle finalità di conservazione del patrimonio storico-politico di An, non potendo invece esprimersi sull'idoneità di Fdi a essere l'erede politico del partito di Fiuggi (non si tratta di una novità, del resto proprio nelle ordinanze seguite alla svolta del 1995 il tribunale aveva sostenuto la stessa cosa, come già aveva fatto quattro anni prima, nello storico caso della futura Rifondazione comunista contro il Pds). Da ultimo, la delibera del cda non sarebbe impugnabile da parte di chi non è componente dell'organo o non ne sia direttamente leso (e non lederebbe lo statuto l'aver affidato la fase istruttoria all'ufficio di presidenza e non al consiglio di amministrazione, istruttoria che non può essere censurata dal tribunale).
Il primo round, dunque, gli ex An non legati a Fratelli d'Italia l'hanno perso, ma non hanno certo intenzione di gettare la spugna. Non è affatto scontato che il giudizio di merito possa essere diverso rispetto a quello reso in sede cautelare, ma Ruocco e gli altri non cambiano idea. A cinque anni dal suo momentaneo accantonamento, il simbolo di Alleanza nazionale si prepara a una nuova contesa a colpi di fiamma. O di ciò che ne resta.