mercoledì 31 dicembre 2014

L'anno finisce, la gratitudine no!

L'anno 2014 si sta chiudendo e, con l'avvento del 2015, questo blog compie due anni e mezzo: il primo post, infatti, è datato 2 luglio 2012. Il sito è nato come "figlio" del volume giuridico che avevo appena pubblicato (e, non a caso, ne ha assunto dall'inizio il nome) e, circa due anni dopo, è diventato "padre" del mio secondo libro, Per un pugno di simboli, trasmettendogli il taglio pop che avevo cercato di dare a questo spazio articolo dopo articolo. 
Di questi due anni e mezzo, qualche periodo è stato un po' vuoto e dominato dalle assenze (a causa dei miei impegni e mai per cattiva volontà), altri sono stati ricchi, per i tanti fatti "simbolici" che si sono susseguiti. 
Di certo, però, queste pagine sarebbero molto più povere senza l'aiuto di un nutrito gruppo di persone: penso a chi è stato intervistato o interpellato da me per ottenere informazioni, ma anche - e soprattutto - a chi, senza che io lo chiedessi, ha scelto di aiutarmi, avvertendomi ogni volta che si è imbattuto in notizie che potevano finire in questo angolo di Rete e, a volte, proponendomi anche qualche scritto suo, perché finisse qui. Si tratta di persone molto diverse (tra di loro e, spesso, anche da me) per età, lavoro ed estrazione politica, ma tutte hanno permesso - chi più, chi meno - che la versione web dei Simboli della discordia diventasse quello che è ora. 
Riconoscere i debiti forse non è di moda, ma è cosa ottima e giustissima. Non posso quindi chiudere l'anno senza avere ringraziato pubblicamente chi ha contribuito (a volte senza saperlo) a rendere questo spazio un po' meno assente e un po' più completo. Di seguito tento un elenco, che rischia di essere incompleto, ma è ugualmente dovuto verso chi ci ha messo del suo per darmi una mano: a loro e a tutti i lettori, saltuari o assidui (compresi quei "drogati di politica" [© Livio Ricciardelli] che hanno fatto una visitina qui persino il giorno di Natale), l'augurio sincero di un 2015 all'altezza dei desideri di ognuno. 
Gabriele Maestri

Un ringraziamento particolare a Ignazio Abrignani, Guglielmo Agolino, Antonio Angeli, Luca Bagatin, Laura Banti, Paolo Barbi, Enzo Barnabà, Niccolò Bertorelle, Mauro Biuzzi, Mauro Bondì, Massimo Bosso, Carlo Branzaglia, Stefano Camatarri, Francesco Cardinali, Nicola Carnovale, Roberto Casciotta, Pierluigi Castagnetti, FIlippo Ceccarelli, Mirella Cece, Giancarlo Chiapello, Emanuele Chieppa, Beppe Chironi, Valerio Cignetti, Giuseppe Cirillo, Roman Henry Clarke, Emanuele Colazzo, Francesco Condorelli Caff, Pietro Conti, Francesco Corradini, Antonio Corvasce, Emilio Cugliari, Johnathan Curci, Francesco D'Agostino, Nicola D'Amelio, Roberto D'Angeli, Stefano De Luca, Roberto De Santis, Mauro Del Bue, Maurizio Dell'Unto, Dario Di Francesco, Roberto Di Giovan Paolo, Alfio Di Marco, Marco Di Nunzio, Antonino Di Trapani, Alessandro Duce, Filippo Duretto, Daniele Errera, Filippo Facci, Leonardo Facco, Arturo Famiglietti, Giovanni Favia, Paolo Ferrara, Emilia Ferrò, Antonio Folchetti, Gianni Fontana, Massimo Galdi, Vincenzo Galizia, Vincino Gallo, Luciano Garatti, Marcello Gelardini, Alessandro Genovesi, Alessandro Gigliotti, Michele Giovine, Carlo Gustavo Giuliana, Vincenzo Iacovissi, Matteo Iotti, Luca Josi, Piero Lanera, Calogero Laneri, Lisa Lanzone, Pellegrino Leo, Raffaele Lisi, Max Loda, Maurizio Lupi (il Verde Verde), Mimmo Magistro, Francesco Maltoni, Gian Paolo Mara, Marco Marsili, Antonio Massoni, Federico Mauro, Raffaello Morelli, Mara Morini, Alessandro Murtas, Antonio Murzio, Paolo Naccarato, Gianluca Noccetti, Matteo Olivieri, Fabrizio Orano, Andrea Paganella, Roberto Pagano, Enea Paladino, Lanfranco Palazzolo, Enzo Palumbo, Max Panarari, Max Panero, Federico Paolone, Ottavio Pasqualucci, Oreste Pastorelli, Francesco Pilieci, Elisa Pizzi, Marina Placidi, Vladimiro Poggi, Giuseppe Potenza, Cesare Priori, Giulio Prosperetti, Renzo Rabellino, Andrea Rauch, Livio Ricciardelli, Francesco Rizzati, Lamberto Roberti, Donato Robilotta, Luca Romagnoli, Gianfranco Rotondi, Roberto Ruocco, Stefano Salmè, Angelo Sandri, Maurizio Sansone, Ugo Sarao, Jan Sawicki, Gian Franco Schietroma, Gianni Sinni, Valdo Spini, Ugo Sposetti, Francesco Storace, Tiziano Tanari, Mario Tassone, Luigi Torriani, Ciro Trotta, Andrea Turco, Massimo Turella, Sauro Turroni, Max Vassura, Ettore Vitale, Mirella Zoppi, Roberto Zuffellato. 

martedì 30 dicembre 2014

Il mistero della Lega nazionale

Inutile negarlo: il concetto di Lega tira e attira, almeno a ondate periodiche. Se n'era già accorto Umberto Bossi, nel 1992, all'esordio alle elezioni politiche della Lega Nord, quando aveva avuto il sentore che in tanti avrebbero provato a sfruttare la potenza di quella parola: cercò di porre un freno alla moltiplicazione delle Leghe facendo presentare a sua volta un treno di simboli con la parola "Lega" proposta in una miriade di combinazioni, ma se le vide bocciare tutte (a differenza delle altre Leghe, tutte sopravvissute, a volte con buoni risultati).
Ora si ha la stessa impressione, soprattutto da quando del Carroccio è arrivato Matteo Salvini, che ha restituito al partito impulso e potenziale espansivo a un progetto non più limitato al Nord (mostrato con il varo di "Noi con Salvini"). Da alcune settimane - la creazione in rete risale al 15 novembre - risulta attivo il sito www.leganazionale.org, che - secondo la pagina Facebook da poco aperta, è lo spazio della "Lega per la rinascita del Popolo Italiano". 
La prima pagina del sito sembra rimandare a uno statuto, quando invece ci si trova di fronte a un modello di atto costitutivo, privo di nomi, che però riporta come data di costituzione il 22 dicembre (e data di sottoscrizione, inspiegabilmente, il 5 dicembre). In quel giorno si collocherebbe la decisione di far nascere "la Associazione politica 'LEGA' con lo scopo di perseguire [...] l’unità del popolo italiano per la riconquista della sua sovranità nazionale, della massima giustizia sociale, dell’indipendenza politica, culturale, sociale, economica, finanziaria, tecnologica, scientifica e militare, nel solco della sua identità storica e delle sue identità territoriali e proiettata in un’alleanza continentale dei popoli che vivono da Dublino a Vladivostok e con la più stretta cooperazione con le nazioni del Mediterraneo e del Vicino Oriente". Un'altra pagina parla di una "provvisoria aggregazione [...] fondamentalmente formata da esponenti della società civile (docenti universitari e di prestigiosi istituti, accademici; giuristi, professionisti, lavoratori dipendenti e autonomi [...],  studenti e giovani prestatori d’opera, ufficiali, imprenditori e quadri aziendali".
Lo stesso atto costitutivo descrive il simbolo, se non altro provvisorio, che l'associazione si è data: "un cerchio con corona bordata in rosso imperiale con al centro la parola LEGA in nero su fondo bianco"; a guardare l'emblema compreso nel sito, tuttavia, sembra di vedere qualcosa di molto, molto diverso, visto il mancato accenno nella descrizione al colore verde.
Legato al progetto politico ci sarebbe un apposito Manifesto, volto alla ricostruzione dell'identità e della sovranità di popolo, contro la globalizzazione e la "Politica del debito infinito". Nella pagina dedicata al programma, si propone a Salvini e alla Lega Nord una mobilitazione per abrogare in via referendaria le norme "che rendono la Banca centrale un ente privato nelle mani delle banche d’affari" e la legge che istituisce Equitalia, nonché una battaglia di "difesa del settore dei tassisti per bloccare l’anarchia all’americana di Uber". Altre proposte sono lanciate alle nasciture liste "Noi con Salvini".
A voler capire chi si celi dietro il nome "Lega nazionale" e le sue insegne, ci si deve accontentare di ben poco: i firmatari pubblici del manifesto risultano 12 e quasi la metà risultano anonimi. Non può non colpire poi il link, nel "piede" del sito, a Rinascita, "quotidiano di sinistra nazionale", accanto tra l'altro ai loghi di Italia sociale, "periodico del socialismo nazionale", L'Uomo libero (ricorre il nome di Fabrizio Fiorini, firmatario anche di un articolo su Rinascita circa una delle prime iniziative di questa Lega) e all'agenzia di informazione economica Consul Press. Capire effettivamente "chi c'è dietro" sembra un'impresa semidisperata: tra qualche settimana forse ne sapremo di più.

lunedì 29 dicembre 2014

Il fac simile dell'Italicum: simboli finti e la sorpresa delle preferenze

Il fac simile mostrato in conferenza (da foto Ansa)
Mi scuso in anticipo se, per una volta, non do conto di una causa, di una scaramuccia o del parto di una nuova creatura simbolica, ma utilizzo questo spazio per fare il tecnico: le urgenze non si discutono e, quando ci sono, è meglio dare loro strada. L'urgenza qui viene dalla presentazione, durante la conferenza stampa di fine anno del presidente del Consiglio Matteo Renzi, del fac simile della scheda elettorale legato all'Italicum. Un passaggio che merita attenzione, per ciò che mostra e (soprattutto) per ciò che non si dice espressamente.
All'immagine del modello mostrato dal capo del governo - stampato in bianco e nero e forse un po' in fretta, visto che un bordo della scheda è finito tagliato, un po' come facevano certe stampanti Hp con i bordi inferiori dei fogli - aggiungo subito le parole con cui Renzi ha presentato la scheda ai giornalisti, con l'avvertenza che ho sistemato il testo, rimuovendo le incertezze e gli errori del parlato (a partire dal fatto che Renzi dice continuamente "legge elettorale" quando è chiaro che intende dire "scheda elettorale"). Ecco dunque la presentazione: 
«Una scheda elettorale che ha dei simboli – sono simboli finti, naturalmente – con sei, sette, otto partiti, non di più. Uno vota il simbolo e dà la preferenza a quello che Calderoli chiama “capolista bloccato”, mentre a me piace pensare che questo sia un Mattarellum con le preferenze, come profilo. Il candidato di quel collegio lì è chiaramente riconoscibile, per cui se c’è un candidato a Cremona il giornale di Cremona saprà che lì il candidato si chiama Tizio, quello di Forza Italia in quest’altro modo, quello della Lega pure… e sarà molto semplice poter anche permettere a ciascuno di loro di fare campagna nel collegio. In più c’è lo spazio per mettere due preferenze, un uomo e una donna. Io lo trovo un meccanismo di una semplicità impressionante. Sfido chi non approva questo metodo  che pure è stato votato dalla direzione del Pd e approvato dalle forze della coalizione e praticamente in larghissima parte anche da Forza Italia  e ha una proposta diversa a darci un fac simile più semplice di questo».
In parte l'immagine si commenta da sé: come annunciato, spariscono le coalizioni (per cui i rettangoli delle singole liste sono tutti staccati), mentre compare la stampa di elementi non previsti nel bollettino usato vigente il Porcellum; su questi, però, converrà tornare. 

mercoledì 24 dicembre 2014

Simboli fantastici (2): "Tanta luce" con il salvagente di Proloche

Una delle poche certezze della politica italiana, almeno secondo gli esperti tradizionali, dovrebbe riassumersi in una frase: se c'è un candidato alle elezioni, avrà anche un simbolo con cui presentarsi. L'idea era buona, anzi ottima anche e soprattutto nel 1994, quando la nuova legge elettorale - il Mattarellum - per la quota di seggi affidata al sistema maggioritario favorì come non mai la proliferazione di contrassegni e si arrivò al record assoluto di emblemi depositati, sfondando non di poco quota 300.
Durante quella campagna elettorale, l'acutissima banda di Avanzi - con a capo la futura sempreverde Serena Dandini, già ben rodata con la Tv delle ragazze - aveva messo in piedi la nuova trasmissione satirica di Raitre, Tunnel, schierando in video larga parte degli attori che avevano già animato le tre stagioni del programma precedente. Tra loro, non poteva mancare Pier Francesco Loche, che in Avanzi aveva vestito i panni di un fino mezzobusto, infaticabile annunciatore di notizie ufficiose e mormorate. Quella volta era tempo di osare di più, addirittura con una candidatura, proprio come a voler partecipare alle elezioni politiche, previste per fine marzo. 
C'era innanzitutto da inventare un partito: ecco allora Proloche, pronto a supportare degnamente la campagna elettore di un candidato unico, l'autodefinitosi "Uomo Venuto dal Mare", trattandosi di uomo sardo. E se ogni città che toccava con i suoi improbabili comizi - pronunciati a bordo del suo camion-palco a fianco di un inespressivo assistente - era invariabilmente "il paese che io amo!", il motto imprescindibile della sua campagna era ed è rimasto "SALVALITALIA", ovviamente tutto attaccato e proclamato tutto d'un fiato, nella foga di trarre in salvo il Paese e cercare consenso. 
Anche Proloche, però, non poteva sfuggire alla logica emblematica: per affrontare quei "putribondi figuri" degli avversari, occorreva un simbolo. E, se c'era l'Italia da salvare, quale immagine migliore di un salvagente tricolore per comunicare il concetto; il verde, il bianco e il rosso, accompagnati all'altrettanto italianissimo (e protoberlusconiano, in quelle settimane) azzurro dello sfondo, erano poi un'anticipazione dell'epidemia di colori nazionali che stava già infestando buona parte delle multidecine di simboli depositati al Viminale e si sarebbe propagata negli anni fino alla pandemia odierna. 

martedì 23 dicembre 2014

Simboli fantastici (1): Partito socialista aristocratico, quando il voto è denaro

In mezzo a tante storie simboliche terribilmente vere, deve avere diritto di cittadinanza anche qualche storia emblematica "veramente falsa". Nel senso che i partiti erano del tutto inventati, ma i loro contrassegni erano stati creati sul serio. Magari sono nati per scherzo, o per esercizio di satira, o ancora come spunto o elemento di contorno per un film di qualunque genere. Sta di fatto che sono venuti al mondo e far finta che non siano mai esistiti è ingiusto. Se non altro per rispetto alle menti che, più o meno sane, hanno contribuito alla loro venuta tra noi. 

Se bisogna parlare di "simboli fantastici", bisognerà pure partire da quello che, più di altri, ha rischiato di essere reale e di finire persino sulle schede. Perché mercoledì 14 maggio del 1980, in fila davanti al tribunale di Roma per consegnare le firme e liste per partecipare alle elezioni regionali del Lazio, alcuni loschi figuri c'erano davvero. 
Nelle loro cartelle, i documenti erano marcati con il simbolo del Partito socialista aristocratico, la cui sigla però era "Spa": nessun errore però, considerando che il motto scelto era "il tuo voto è denaro". A promuovere il partito era niente meno che la banda del Male, probabilmente una delle macchine da guerra satiriche più devastanti a cavallo del cambio di decennio. Quei documenti, però, non arrivarono mai sulle scrivanie giuste: per averne testimonianza, basta leggere l'incipit di un articolo del giorno dopo, firmato da Giuseppe Zaccaria sulla Stampa (e, per gli amanti del genere, pubblicato a pagina 2 subito sotto a un'apertura vergata addirittura da Luca Giurato, probabilmente ancora privo di camicie e occhiali variopinti): 
«Chiederemo mille miliardi di danni!», tuonava nell'atrio del tribunale Vincenzo Sparagna, baffuto redattore del «Male». Poco più in là Jiga Melik, altro ideatore del settimanale, lunga criniera bionda e giubbetto rosso fuoco, arringava i poliziotti attoniti e la gente radunata intorno per spiegare che era tutta una porcheria, che loro erano arrivati in tempo e che, se si voleva proprio spaccare il capello in quattro, allora anche dc e msi, giunti un attimo prima, avrebbero dovuto essere esclusi. 
Motivo del contendere la presentazione — che scadeva ieri mattina a mezzogiorno — delle liste per le prossime elezioni amministrative a Roma e nella provincia. Il «Partito socialista aristocratico» (più brevemente «Spa», emanazione e braccio politico del «Male») era appena stato escluso per essere i suoi rappresentanti giunti con un minuto di ritardo sul tempo massimo. Lo scopo era quello di assicurarsi l'ultima casella in basso nella scheda elettorale (impresa tradizionalmente riuscita alla democrazia cristiana), ma ufficialmente Sparagna e Melik sostenevano di essere stati «depistati» da due figuri che, all'Ingresso, avevano indicato loro una direzione opposta a quella dell'ufficio elettorale. «Siamo arrivati a mezzogiorno in punto!», protestavano i due. [...] 
Dopo aver sfiorato l'arresto i due del «Male» se ne sono andati annunciando ricorsi, e portandosi dietro il sospetto che anche i corridoi del tribunale fossero stri utilizzati per improvvisare satira.

lunedì 22 dicembre 2014

Il 100% che non ha mai visto le schede

Bisogna ammetterlo: certe volte alcuni dei contrassegni che finiscono nelle bacheche del Ministero dell'interno raggiungono tassi notevoli di ermetismo: risulta davvero difficile capire chi stia dietro a quei cerchietti ma, soprattutto, cosa voglia fare e quale sia il suo programma. Talora accade persino con i partiti che dovrebbero essere più noti (a dimostrazione che le grafiche oggi rischiano di comunicare ben poco ai potenziali elettori), più spesso però capita con formazioni minori, che spuntano di rado nella fila fuori dal Viminale.
Così nel 1996, tra due carneadi assoluti come la Regione dolomitica europea e il laziale Golfo unito - Orizzonte nuovo, con il numero 147 aveva varcato il portone del ministero il rappresentante del Primo comitato 100%. E proprio la percentuale, scritta in una quasi naïve font Balloon e delimitata da due spartanissime virgolette rettangolari, era di fatto l'unico ingrediente dell'emblema, insieme allo sfondo color giallo carico. 
Già, ma cos'era questo comitato e che significava quella quota percentuale? Per scoprirlo oggi occorre andare in un sito dalla grafica decisamente old fashioned, in cui si legge tuttora che l'emblema già visto "è il SIMBOLO / del Movimento promosso in Italia e nel Mondo / del 1° COMITATO "100%" / per poter Conoscere a fondo - Dibattere pubblicamente / Votare / in ogni Località e Regione di ogni Paese / e / alle Nazioni Unite / il / 1° PROGRAMMA / BASE COMUNE GLOBALE PERMANENTE / del nostroVillaggio Globale / uno Strumento finora mancante - sempre più necessario / fondato su quanto sappiamo dela realtà / in modo oggettivamente controllabile / da chiunque" (maiuscole ed errori compresi).
A leggere così, occorre riconoscerlo, emerge un disegno ambizioso, ma continua a capirsi pochino. Bisogna spulciare le altre pagine del protosito per scoprire che i primi passi di questo progetto politico sono stati mossi nel 1990 (o probabilmente anche prima), visto che già l'11 dicembre di quell'anno tale Gustavo Ongari dice di avere messo a punto "il Programma base comune globale", "già presentato ed illustrato alle Ambasciate di 60 Paesi accreditati a Roma, presso il Quirinale e la Santa Sede, perché venisse trasmesso ai rispettivi Capi di stato e di governo, [nonché] all'Organizzazione delle Nazioni Unite [...] ed al Parlamento Europeo". Lo stesso programma, addirittura, sarebbe stato presentato - già tradotto in più lingue - ai capi di stato e di governo del G8, riuniti a luglio del 1994 a Napoli.
Il sito dà conto anche dello statuto del "1° Comitato 100%", associazione con sede a Torino (e con l'intenzione dichiarata di crearne altre, anche all'estero) e fatta sorgere con tanto di atto pubblico datato 1992. Allo stesso è strettamente legato il programma di cui si è detto più volte (qui dato nella sua prima versione): la lunghezza dello stesso - 60 obiettivi e 43 sottobiettivi fondamentali - ci hanno però sinceramente scoraggiato dal fare una lettura approfondita, che lasciamo alla bontà del lettore. Lettura che, peraltro, sarebbe imprescindibile, poiché l'intero contenuto del programma "coincide con la serie completa di quelle condizioni fondamentali che lo studio di tutte le strutture e funzioni della natura e nostre individua come necessarie e come sufficienti da costruire o eliminare per il loro svilupparsi e attuarsi al 100%". 
La frase spiega il nome del gruppo e, allo stesso tempo, traccia uno scenario fantapolitico (i programmi, da sempre, sono fatti per non essere integralmente realizzati) e contemporaneamente conferma al malcapitato interessato che non una riga del programma potrà essere omessa. Non dovettero essere poi molte le persone disponibili a correre con le insegne del 100% (o, forse, i lettori coscienziosi erano già allora pochi), visto che alle elezioni nessuna lista o candidatura singola si legò al simbolo a fondo giallo. 
Il presentatore alle politiche saltò un turno, non mettendosi in fila nel 2001, ma tornò a depositare simbolo e documentazione nel 2006 e per il voto di due anni dopo: la font questa volta era un Arial, piuttosto compresso (e sempre con qualche problema alle virgolette, unica differenza tra i due anni), ma nemmeno in quelle due scadenze elettorali il contrassegno finì sulle schede. Nuove notizie del Programma base comune globale permanente (o di sue nuove versioni) non si hanno; chissà se il suo ideatore ha cambiato idea o sta ancora cercando persone che vogliano metterlo in pratica. Al 100%, naturalmente.

domenica 21 dicembre 2014

Noi, Salvini copia la forzista Calabria? Per niente

Quando si tratta di affrontare qualcosa di nuovo o inatteso, di cui non si comprende ancora appieno il potenziale e potrebbe in qualche modo arrecare disturbo, il primo impulso è quello di approntare le difese, magari sparando qualche colpo in aria o a salve, col risultato che la situazione non appaia così chiara. 
Così, non stupisce che, poche ore dopo la presentazione alla Camera di Noi con Salvini, il simbolo (già depositato come marchio il 4 dicembre) con cui il segretario della Lega Nord intende proporre un nuovo progetto nelle regioni centromeridionali, sia arrivata su Twitter la risposta di Annagrazia Calabria, deputata di Forza Italia e presidente nazionale di Forza Italia giovani. 
La parlamentare ha affidato a Twitter il suo pensiero, mettendo a confronto la foto di Matteo Salvini che presenta il nuovo contrassegno con uno scatto che la ritrae a fianco di Silvio Berlusconi sul palco della manifestazione romana "Noi, la forza dell'Italia" (organizzata dai giovani forzisti il 23 novembre dell'anno scorso) e con il logo di "noi" coniato per l'occasione. 
I manifesti con il logo di Annagrazia Calabria (Dagospia)
La nota diffusa alle agenzie parla di un simbolo "regolarmente depositato e registrato e quotidianamente usato per le attività di Forza Italia Giovani". L'emblema in effetti è stato sperimentato già dall'inizio di novembre, quando le plance romane per le affissioni sono state affollate da decine di manifesti a fondo blu, con l'esclamazione "no!" che - con la rotazione del punto esclamativo - cambiava a poco a poco in "noi", con la scritta e il rettangolo di contorno colorato di giallo: lo stesso segno è stato utilizzato su manifesti e sulle scenografie delle varie manifestazioni.
Nessuno ha parlato (per il momento) di azioni legali o altri passaggi contro il progetto di Salvini, anche se certamente l'uscita della Calabria potrebbe guastare almeno in parte la festa e affiocare il progetto neonato di Noi con Salvini.
Ha certamente il pieno diritto Annagrazia Calabria di esprimersi come ha fatto, anche e soprattutto come titolare del marchio depositato in data 4 novembre 2013 presso l'Ufficio italiano brevetti e marchi e registrato ad agosto di quest'anno; non coglie però nel segno quando dice che il simbolo "è di '#Noi'". Non c'è nessun originale, nessuna imitazione e questo per varie ragioni. Chi conosce il diritto della proprietà industriale sa che si distingue tra marchi forti e deboli, a seconda della loro capacità distintiva, cioè di distinguere un prodotto o un servizio dagli altri. Si ha un marchio debole quando si è di fronte a un segno sostanzialmente descrittivo, o che preveda l'impiego di termini di uso comune o denominazioni generiche: la tutela, in questi casi, è limitata alle "variazioni sul tema" rispetto ai termini comuni o generici, ricomprendendovi anche la resa grafica del segno.
Ora, non può certo dirsi che "noi" sia un marchio forte: come pronome personale, la parola è una delle più usate nel linguaggio quotidiano (anche in tempi di forte individualismo come questo). In politica, poi, esistono molti precedenti dell'uso del termine "noi" all'interno di un contrassegno elettorale: Noi Sud ne era solo l'esempio più recente (ma rappresentato anche in Parlamento nella scorsa legislatura), ma a livello locale non si contano i casi di liste che si fondano sul concetto di "Noi con..." o "Noi per...", sottolineando l'impegno al fianco di una persona o per un territorio. E' pure vero che la Calabria ha registrato come marchio la sola parola "noi" (chiedendo la protezione per la classe 41, in cui sono ricompresi "servizi di formazione in ambito di associazionismo politico, movimenti politici, associazionismo civico, movimenti civici, servizi di organizzazione e direzione di attivita' per manifestazioni politiche"), ma è evidente che la logica delle norme che tutelano il marchio - e di quelle, diverse ma non lontane nell'ispirazione - che tutelano il contrassegno politico-elettorale - è quella di tutelare l'originalità, non di consentire a un singolo o a un gruppo di detenere il monopolio su termini o realtà di uso comune: cosa c'è di più politico e di generico del senso di comunità e di unità, riassunto dal termine "noi"?
Ma allora, ci si potrebbe chiedere, a cos'è servito registrare "noi"? Che tutela può invocare la deputata forzista? Come si diceva prima, in questo caso oggetto di protezione in caso di marchio debole è l'elemento di originalità comunque presente: in questo caso, unico vero tratto distintivo è la rappresentazione grafica, con il "noi" scritto con una determinata font e incluso in un rettangolo a bordo leggermente più spesso del corpo del testo; qui si prescinde dal colore, visto che il segno è stato volutamente depositato in bianco e nero, in modo da coprire tutte le varianti cromatiche possibili. E' di tutta evidenza, però, che non c'è alcuna possibilità di confondere l'emblema registrato dalla Calabria e quello lanciato da Salvini: il simbolo presentato venerdì, infatti, contiene sufficienti elementi che lo differenziano da quello dei giovani forzisti (l'assenza di un rettangolo, il carattere diverso e in stile maiuscolo, l'aggiunta di parti testuali caratterizzanti, lo sviluppo circolare). L'unico elemento di contatto tra i due emblemi, insomma, è il "noi": proprio quello su cui, come si è visto, nessuno può mettere le mani in esclusiva. 

sabato 20 dicembre 2014

Le spighe identitarie di Sovranità

Non è ancora un partito, anche se probabilmente desidera diventarlo "da grande". Per ora non ha nemmeno un sito, si accontenta di una pagina Facebook e di un account di Twitter, in compenso un simbolo da usare è già pronto. E' nata sempre nel nome di Matteo Salvini e delle sue battaglie l'associazione "Sovranità - Prima gli Italiani", che al leader leghista punta a dare un sostegno "politico, culturale e organizzativo", mediante "un bagaglio di idee, di strutture e di parole d'ordine" che consenta di "sostenere una proposta politica che oggi può essere l'unica speranza affinché l'Italia non cessi definitivamente di essere un soggetto collettivo dotato di storia, eredità e destino".
Al pari di Salvini, i promotori di Sovranità se la prendono con "l'espropriazione della sovranità italiana da parte della Ue" (sul piano monetario, ma non solo), il "succedersi di governi non eletti e diretta espressione della troika", lamentano "il convergere della destra e della sinistra 'moderate' verso il progetto renziano" e denunciano il progressivo impoverimento della popolazione, "una tassazione cieca che strangola i settori produttivi", la disoccupazione giovanile galoppante e, last but not least, l'accelerazione degli ultimi governi "su progetti etnocidi, da Mare Nostrum alla progettata revisione dello ius sanguinis".
La reazione quasi naturale, secondo le prime anime di Sovranità, è "una proposta politica sovranista, sociale, identitaria, che si faccia portavoce degli interessi del popolo italiano in un momento in cui le caste politiche, economiche e culturali non riescono più a capire ciò che accade nell'Italia rimasta fuori dai salotti". C'è chi l'ha chiamato “lepenismo italiano”; loro lo chiamano semplicemente Sovranità, come il primo dei tre pilastri che l'associazione si è data (gli altri due sono identità e lavoro).
Alla presentazione del simbolo "Noi con Salvini" ieri c'erano anche alcuni rappresentanti di Sovranità (che ancora non spende nomi ufficiali su di sé). E, ironia della sorte, l'emblema dell'associazione - reso noto già all'inizio di dicembre - sembra imparentato con il nuovo marchio salviniano, almeno dal punto di vista cromatico. Il fondo è sempre blu, anche se è più chiaro nella maggior parte del cerchio e più scuro nel segmento inferiore, che riporta il nome completo del gruppo (scritto in bianco e giallo). Sempre il giallo lo si ritrova a colorare l'elemento figurativo che contraddistingue il logo: tre spighe stilizzate, collocate al centro.
Quelle infiorescenze non sono certo nuove nella politica italiana: c'erano già sulle schede per eleggere la Costituente, sui segni del Partito dei contadini d'Italia, del Partito democratico del lavoro e del Partito socialista riformista (niente a che vedere con quello, di molto successivo, fondato da Enrico Manca e Fabrizio Cicchitto). In tutti quei casi, tra l'altro, le spighe erano proprio tre, così come sono tre nell'emblema di oggi. Non c'è una spiegazione ufficiale per quell'emblema grafico, anche se indubbiamente richiama il "pilastro" del lavoro (e, volendo, anche un po' quello dell'identità, perché di grano in Italia se ne coltiva parecchio).
Non è esattamente probabile che il simbolo già pronto veda le schede, visto che il sostegno diretto è a quanto sta facendo e farà Matteo Salvini. In Italia, tuttavia, non si può mai sapere: il fatto stesso di avere già preparato un emblema tondo non esclude che, almeno a qualche piccola corsa elettorale, qualche "sovranista" abbia fatto un pensierino. 

Post scriptum del 23 dicembre: tra i sostenitori del progetto Sovranità si può annoverare a tutti gli effetti Casa Pound Italia, come si evince da questa intervista al vicepresidente nazionale Simone Di Stefano“Sovranità - dichiara - è un progetto esterno e indipendente a cui CasaPound ha dato la sua adesione. Si tratta di un contenitore che vuole raggruppare tutti quelli che amano la patria e che vogliono collaborare con la proposta di Matteo Salvini”.

venerdì 19 dicembre 2014

"Noi con Salvini": lo sbarco identitario della Lega al centrosud

Alla fine niente popoli, niente identità come si era ripetuto per mesi e come sembrava anche di avere intuito dalla richiesta di registrazione di un marchio - volutamente senza immagine - depositata a nome di Matteo Salvini il 25 settembre. Alla fine il segretario della Lega Nord il suo simbolo per mettere radici nel centrosud l'ha presentato e ha spiazzato quasi tutti.
Rispetto alla scheda originale del marchio, l'indicazione che più è stata rispettata è quella cromatica. Niente verde, proprio come promesso (troppo legato alla Padania, non certo esportabile sotto la linea gotica): il giallo, il bianco e il blu, invece, sono al loro posto, rispettivamente a colorare la scritta "Noi" (vero elemento dominante dell'emblema), la dicitura "con Salvini" (e il circoletto sottile che racchiude il testo) e il fondo, leggermente mosso grazie a una sfumatura che volendo può virare dal blu all'azzurro. A questi elementi, poi, occorre aggiungere il nome della regione centromeridionale che cambierà di volta in volta e starà su una lunetta bianca che spunterà nella parte inferiore del cerchio. 
In realtà, per essere precisi, c'è un altro elemento che è stato conservato nell'emblema rispetto al progetto originario (oltre ovviamente al riferimento a Salvini): si tratta dell'identità. Perché è vero che la parola non è finita nella rappresentazione grafica, ma cosa c'è di più identitario della parola "noi", che una volta si riteneva tipica essenzialmente dell'area sinistra e del cattolicesimo sociale (punto, questo, che dovrebbe far riflettere sull'effettiva collocazione di questo progetto e sulla "provenienza" di chi lo sosterrà)? Piuttosto che tentare l'avventura della "Lega Sud" (che peraltro esiste già e da tempo), il segretario del Carroccio ha capito subito che era meglio non riutilizzare il termine Lega, troppo connotato e quasi sinonimo del partito che già guida e che non era opportuno né necessario trovare un elemento figurativo che sostituisse l'immagine storica di Alberto da Giussano.
Non doveva essere un'immagine, specie se riferita a un elemento territoriale (divisivo, nell'Italia dei campanili, specie al Sud) a rappresentare il nuovo progetto politico. Occorreva una virata a centottanta gradi, e cosa poteva darla meglio del "noi"? Esso proietta improvvisamente l'elettore al centro dell'azione, al punto che il simbolo - generico che più non si può - potrebbe essere indirizzato anche a chi abita sopra e appena sotto il Po. Il "noi", poi, finisce per dare, ai centromeridionali che sosterranno il progetto, una sorta di responsabilità cementata dall'impegno comune (sia pure sotto la "bandiera" e il nome di Salvini); da ultimo - forse il livello più accessibile - il nuovo emblema volta definitivamente pagina nella storia del "leghismo", lasciando definitivamente in soffitta a decomporsi l'armamentario di insulti, sberleffi e pesantezze verso gli italiani operanti da Roma in giù, spesso messo in campo da chi ha guidato il Carroccio prima di Salvini (e, in più di un'occasione, da lui stesso).
Certamente il simbolo non è un capolavoro artistico e si presenta realmente come un marchio, ma non cede alla logica dei colori nazionali e fa emergere le uniche cose che contano: la comunità, l'impegno e l'uomo di riferimento. Il resto, oggi, forse non fa più breccia come una volta o, magari, non serve proprio.

mercoledì 17 dicembre 2014

Due congressi, una Fiamma: qual è quella buona?

Due congressi contemporanei, ma un unico partito: nel senso che solo una delle due assisi rappresenterebbe correttamente il Movimento sociale Fiamma tricolore. Sembra questa la lettura da dare agli avvenimenti che hanno riguardato nello scorso fine settimana il partito fondato nel 1995 da Pino Rauti, dopo aver attraversato nell'ultimo anno (soprattutto dopo la sfiducia a Luca Romagnoli l'8 dicembre del 2013, atto che ha portato al suo abbandono) una fase piuttosto delicata.
Come si è anticipato, una parte della formazione politica si è riunita a congresso nel week end a Roma, confermando alla segreteria Attilio Carelli, già reggente dopo l'addio di Romagnoli; un'altra parte invece avrebbe convocato un diverso congresso a Salò, tenutosi domenica e dal quale sarebbe uscito come segretario Stefano Salmè. Questi, tuttavia, precisa di non avere convocato nulla: sarebbe stata invece la maggioranza dei dirigenti a dare seguito alle deliberazioni del Comitato Centrale in tema di congresso "emendate dalla parte che viola statuto, codice civile e norme di rango costituzionale", violazioni in gran parte oggetto di un'azione intrapresa il 20 novembre presso il tribunale civile di Roma, in cui lo stesso Salmè figura come attore assieme a Daniela Perissutti, entrambi membri del comitato centrale (e che nei giorni successivi risultano dichiarati decaduti dall'iscrizione ad opera del segretario reggente Carelli).
Le violazioni, secondo Salmè, sarebbero state diverse. In primo luogo, la reggenza di Carelli avrebbe dovuto limitarsi - così dice lo statuto all'art. 12, comma 8 - a una durata di sei mesi, fino alla convocazione dei congresso e mantenersi nei limiti dell'ordinaria amministrazione, senza "fare nomine di alcun tipo diverse da quelle strettamente necessarie all'espletamento delle sue funzioni". Il reggente, invece, non avrebbe fatto approvare il bilancio al comitato centrale in ottobre (delegandolo ad altro organo, a differenza di quanto previsto dallo statuto) e non avrebbe fornito agli attori l'elenco degli iscritti fino alla data del 31 luglio ("unici legittimati" a prendere parte al congresso) e i documenti che confermavano dette iscrizioni. 
Altre censure, più gravi, riguardano il regolamento stesso del congresso, approvato dalla segreteria generale dell'assise l'8 novembre con un solo voto contrario. Le critiche, in particolare, cadono sulla quota di delegati di diritto ammessi a partecipare al congresso, un numero "maggiore rispetto a quelli 'eletti', [...] in palese violazione al principio costituzionale di democrazia interna che deve informare ogni partito politico in Italia". 
Il discorso varrebbe soprattutto per i 20 componenti del comitato centrale ("è del tutto illogico che tale organo eletto dal precedente congresso possa incidere in modo così pesante sul congresso futuro, cui parteciperanno circa 100 delegati"), per i membri di determinati organi funzionali (come la commissione di disciplina o il collegio dei revisori dei conti), per la genericità/discrezionalità di formule come "personalità iscritte al partito" e, soprattutto, per alcuni organi che sarebbero stati nominati proprio nell'ultima seduta del comitato centrale (la segreteria nazionale, sia pure reggente, e la coordinatrice femminile nazionale, figura non più prevista dallo statuto) o poco prima (come per il segretario nazionale giovanile, peraltro non eletto ma nominato come commissario dal segretario reggente).
Ce ne sarebbe abbastanza, secondo i soggetti attori, per ritenere violati i diritti degli iscritti all'interno del partito, poiché la prevalenza dei membri di diritto farebbe venir meno l'uguaglianza di diritti tra gli iscritti prevista dall'art. 7 dello statuto. In questo modo, toccherebbe al giudice dichiarare inesistente, nulla o annullare il regolamento congressuale e la delibera della segreteria generale del congresso che l'ha approvato: ciò, all'evidenza, significherebbe far cadere (o, per lo meno, congelare) gli effetti del congresso svoltosi a Roma e che ha confermato Attilio Carelli alla guida del partito (trasformando la sua reggenza in segreteria).
Toccherà ora ai giudici pronunciarsi (anche perché è probabile che lo stesso Carelli o chi per lui abbia deciso di agire nei confronti di Salmè, contestando la legittimità del congresso di Salò) su quale delle due Fiamme tricolori sia quella "legittima", nel pieno rispetto dello statuto e delle altre norme vigenti. Ci vorrà qualche mese, probabilmente (non ci sono elezioni imminenti); nel frattempo, su Facebook e in rete ci si divide, ci si scontra e ci si confronta (nella pagina legata a Salmè si interrogano gli iscritti anche sull'opportunità di tornare al disegno della fiamma del 1999), in attesa di un verdetto. Anche se, tra scissioni e pezzi persi per strada, la goccia tricolore sembra in buona parte evaporata.

martedì 16 dicembre 2014

La fiamma italofrancese del Progetto nazionale

Mentre domenica si sono ufficialmente svolti due congressi del Movimento sociale Fiamma tricolore (eleggendo segretario a Roma Attilio Carelli e a Salò Stefano Salmè, ovviamente ciascuna delle due assisi delegittimando l'altra), a destra continuano a ondeggiare varie fiamme, di diversa dimensione e consistenza ma senza desiderio di spegnersi. 
Tra queste, vale la pena segnalare il Progetto nazionale, che si autodefinisce come "a metà strada tra l'associazione culturale e il laboratorio politico - associazione di Uomini, di Idee e di Volontà". Si tratta, per stessa qualificazione del gruppo, di un movimento indipendente, trasversale ed apartitico che si colloca nell'area della destra sociale, popolare ed identitaria. In origine era nato (tra il 2009 e il 2010) proprio all'interno della Fiamma tricolore, come ulteriore anima del partito; nel 2010, invece, come realtà politica si è autonomizzata, sempre sotto la guida del vicentino Piero Puschiavo, senza per questo darsi la forma e la natura di partito. Lo si legge con chiarezza nel sito: "va chiarito che Progetto Nazionale non è un partito politico, che noi non viviamo quindi la politica consumati dall’assillo elettorale, ma anche che è nostra ferma intenzione non precluderci nulla".
Anche per questo, il movimento si è comunque dotato di un simbolo con cui distinguersi ed eventualmente partecipare alle elezioni (cosa che è avvenuta, per esempio, nel 2013 alle elezioni politiche). Le origini politiche degli aderenti sono chiaramente rappresentate dalla fiamma a due corni, uno verde e uno rosso. La "madre" grafica della fiamma, tuttavia, non è l'omologo disegno del Msi, né quello della "goccia" della Fiamma tricolore: il riferimento, casomai, è il logo elaborato dal Front National di Marine Le Pen (non ovviamente quello storico del Fn, direttamente debitore della fiamma del partito di Almirante), utilizzando la "lingua" blu del logo, ribaltandola a specchio e declinandola tanto in verde, quanto in rosso (con minime modifiche). Un marchio che unisce tradizione e modernità, dunque, per un movimento che - insieme essenzialmente a Casa Pound e Forza nuova, oltre a ciò che resta della Destra di Storace e della stessa Fiamma tricolore, nonché ad altre realtà politiche - si propone di rappresentare le istanze della destra sociale italiana.

sabato 13 dicembre 2014

Marche 2020: al via il partito del governatore uscente (dal) Pd

Il simbolo di Marche 2020 (Ansa)
Pensi a partiti "regionali" e te ne vengono in mente, se ti va bene, una manciata. Pensi alla Svp in Alto Adige, all'Union Valdotaine, ai venetisti che dagli anni '80 in poi (e dopo la fine della Liga Veneta come esperienza autonoma) si sono frantumati in varie sigle, al Fronte nazionale siciliano (e al contorno di altre forze simili), al Partito sardo d'azione e a Irs. Da oggi, però, è bene allargare i propri orizzonti, mettendo in preventivo l'operatività di Marche 2020 - Partito delle Marche. 
La nuova formazione politica è stata lanciata proprio stamattina ad Ancona - in una convention intitolata "Obiettivo lavoro" - dai suoi fondatori, Gian Mario Spacca e Vittoriano Solazzi, presidenti uscenti rispettivamente della giunta e del consiglio regionale delle Marche. E' soprattutto il primo nome a essere pesante: Spacca è arrivato alla presidenza della regione (per due mandati) sotto il simbolo dell'Unione e, da quando esiste, in forza al Pd, partito dal quale ora si sta allontanando. 
L'idea è di costruire comunque - anche e soprattutto in vista delle elezioni regionali previste nella prossima primavera - un centrosinistra "con capacità di governo", ma con la consapevolezza che "'Di fronte ad uno scenario di crisi e difficoltà che andrà avanti per anni, non è possibile pensare ad un governo regionale che nasce come risultante di interessi dei partiti in una logica compromissoria, senza bisogna pensare al benessere dei cittadini". Ovviamente al Pd Spacca e compagni devono per forza guardare, ma il partito di Renzi non appare più come unico interlocutore possibile, né la sua alleanza sembra una condizione necessaria per l'azione politica: "Marche 2020 - ha detto il presidente uscente - dà anima a questo progetto, ma se non si vuole attuarlo, noi comunque ci saremo per portare dignità e penetrazione nella comunità regionale e per garantire capacità di governo".
La mossa, naturalmente, al Pd non piace molto, anche perché non può non sorprendere la presenza inattesa (per gli analisti) di Gaetano Quagliariello, coordinatore del Nuovo Centrodestra. Così non stupisce che il segretario regionale del Pd Francesco Comi noti come sia nato un nuovo partito "grazie alla forte determinazione di due ex dirigenti del Partito Democratico", per cui coloro che lo hanno varato dovrebbero "avere l'onestà di dimettersi dagli incarichi istituzionali ottenuti grazie alla generosità degli elettori Pd e la serietà di non utilizzare risorse pubbliche per iniziative propagandistiche''. 
Il logo appena varato è sostanzialmente quello già visto nei giorni precedenti per illustrare il progetto di Spacca: la "M" stile pennarello che domina la grafica acquista solo un tocco di arcobaleno in più, un briciolo di rosso mattone a sinistra che quasi non si vede; il tutto è inserito in una circonferenza blu, lo stesso colore del segmento inferiore (che occupa quasi mezzo cerchio), su cui è riportata la dicitura "Partito delle Marche". Ecco, che non si tratti di una semplice "lista civica" o qualcosa di simile, lo testimonia la scelta di questa espressione, che non si addice a esperienze "solo" elettorali, ma piuttosto a formazioni che intendono durare e, magari, far sentire il proprio peso anche oltre i confini della Regione. Almeno nella mente di chi quei partiti li ha voluti.   

venerdì 12 dicembre 2014

Riecco (forse) il Partito comunista d'Italia. Ossia, da Pdci a Pcdi

Inutile negarlo, la politica italiana è (o dovrebbe essere) abituata agli eterni ritorni: lo ha testimoniato a sufficienza la miriade di "rinascite", "rifondazioni", di partiti con la parola "nuovo" che precede nomi vecchi e di contrassegni puntualmente debitori di antichi simboli mai davvero accantonati. Negli ultimi anni si sono esercitati soprattutto gli irriducibili dello scudo crociato, finendo non di rado in tribunale (o rischiando di finirci), ma anche tra gli aficionados della falce e martello non si scherza. Soprattutto dopo che qualcuno ha annunciato il "ritorno" del Partito comunista d'Italia
Non si tratta del già esistente Partito comunista, cioè la formazione nata come Comunisti Sinistra popolare sotto la guida di Marco Rizzo e tornata al vecchio nome nel 2012; non è nemmeno però un gruppo nuovo a recuperare la denominazione adottata per la prima volta nel 1921 da Antonio Gramsci, Amadeo Bordiga e altri. A prepararsi a tornare all'antica etichetta è il Partito dei comunisti italiani, storicamente legato ad Armando Cossutta e Oliviero Diliberto e attualmente guidato da Cesare Procaccini. E' proprio lui a firmare un lungo comunicato in cui si dà conto del ritorno, o almeno dei suoi preparativi.
Così si apprende che, al comitato centrale Pdci del 23 Novembre, nel valutare il risultato delle elezioni regionali emiliane e calabresi (che hanno visto il buon risultato della lista L'Altra Emilia Romagna, con l'elezione di alcuni consiglieri), si è confermata "la necessità di proseguire con determinazione nel processo di ricostruzione di una soggettività comunista capace di ridare rappresentanza politica alle istanze del mondo del lavoro e delle masse popolari [...] e di rappresentare, prefigurando  una alternativa possibile, una risposta credibile ai loro bisogni", come sottolineato anche dall'appello (non senza seguito) dell’Associazione per la Ricostruzione del Partito Comunista.
E' nata da lì la decisione di partecipare con più vigore alla ricostruzione comunista "dando vita al Partito Comunista d’Italia, quale evoluzione dell’esperienza del PdCI e scelta a ciò funzionale". Sarebbe stato lo stesso comitato centrale a decidere di far registrare statuto e simbolo della nuova esperienza politica, in più promuovendo "rapidamente la relativa campagna di tesseramento per l’anno 2015".
Il tenore del comunicato non fa pensare che si tratti, come si diceva, della formazione di un partito nuovo (anche se ci sono elementi che vanno in questa direzione): si parla espressamente non di una chiusura d'esperienza, ma del "suo rilancio in direzione di una soggettività comunista più grande, la cui necessità e possibilità è sottolineata da ciò che accade, dal perché accade".
Certo, potrebbe comunque seguirsi la strada della costituzione di un nuovo soggetto politico, nella speranza che anche altri soggetti possano aderire; se invece in mente ci fosse proprio il cambio di nome, sarebbe interessante capire se sia previsto in tempi rapidi un congresso, visto che - come ormai è noto, dopo le vicissitudini in casa democristiana - per mutare la denominazione del partito (specie se si fa ricorso a un nome già esistito) occorrerebbe l'assise nazionale. 
L'uso del nome difficilmente potrebbe creare seri problemi di compatibilità con gli altri partiti (in fondo, per il Pdci si tratterebbe solo di invertire le lettere di mezzo): il precedente storico di Gramsci e Bordiga è talmente risalente, infatti, da rendere inimmaginabile qualunque collegamento con quell'esperienza nata negli anni '20. Per il simbolo, invece, la partita sarebbe molto più delicata.
Pare di capire, infatti, che come emblema si voglia utilizzare la doppia bandiera falce-martello e tricolore, con tanto di aste: esattamente la stessa che, dopo il 1948 - e senza che Guttuso ci mettesse mano, a differenza della vulgata comune - ha caratterizzato il "marchio" politico ed elettorale del Partito comunista italiano, da Togliatti a Occhetto (cambierebbe, paradossalmente, solo la sigla, non più puntata e con una font più moderna, mentre in alto comparirebbe la minidicitura "Ricostruire il partito comunista").
Il fatto è che quel segno, almeno fino a pochi mesi fa, era certamente nella disponibilità dei Democratici di sinistra, che dal 1998 sono subentrati al Partito democratico della sinistra nella titolarità dei nomi e dei segni, benché non facessero parte del nuovo contrassegno. Ora che anche formalmente i Ds risultano sciolti - e non disponendo delle carte necessarie a capire bene la vicenda - è da vedere se a essere titolare ora dell'emblema (o, per lo meno, a poter agire davanti al giudice in caso di uso ritenuto indebito) sia la stessa associazione in liquidazione o una delle fondazioni cui è riconducibile buona parte del patrimonio, soprattutto immobiliare, che era stato del partito. Ovviamente l'uso della falce e del martello in sé non sarebbe problematico (ce ne sono già parecchie e di varie fogge); il problema è l'impiego di quel disegno. 
Alla base, tra l'altro, ci sarebbe un episodio già molto chiacchierato. Basta sfogliare le cronache politiche del 1998 - anno in cui proprio Cossutta e compagni, in contrasto con Fausto Bertinotti, avevano provato a salvare il governo Prodi alla Camera, senza riuscirci - per vedere come Rifondazione comunista avesse accusato da una parte il neonato Pdci di avere copiato il suo emblema, dall'altra i Ds, rei di avere "concesso" di fatto l'uso del vecchio segno grafico. Espressamente interrogato sul punto dal sottoscritto, Ugo Sposetti (ultimo tesoriere dei Ds) affermò categoricamente che "Nessuno ha concesso un bel niente!", anche se in effetti non risulta che lui o qualcuno per lui si sia opposto per vie legali - mai risparmiate in Italia - all'uso della grafica, cui mancavano giusto le aste delle due bandiere per ricreare la vecchia atmosfera.
Sarà curioso vedere come la questione evolverà nelle prossime settimane: se qualcuno protesterà ufficialmente (compresa Rifondazione, che fino a qualche tempo prima era unita al Pdci nel progetto di Federazione della Sinistra) e, soprattutto, quanti guarderanno con interesse a quell'emblema. Se in ballo ci saranno bandierine o bandierone, saranno i numeri a dirlo.

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Aggiornamento del 13 dicembre 2014
Contrariamente a quanto detto prima, è probabile che proprio di un partito nuovo si tratti, in cui il Pdci dovrà decidere se confluire o meno. In effetti sarebbe la soluzione più rispettosa delle procedure giuridiche (come si è detto, non si è fatto un congresso per cambiare il nome); si vedrà come e in quanto tempo si arriverà a quel risultato.

giovedì 11 dicembre 2014

Croce, vanga o scudo? Proibiti, in ogni caso

Occuparsi di simboli è bello e stimolante, perché in fondo a questo o a quel contrassegno sono legate esperienze di persone, frammenti di vita vissuta che in più di un caso aspettano solo di essere raccontate, anche e soprattutto quando il loro tasso di stranezza è un po' più alto del normale. Questa volta è di turno un emblema curioso, nato a metà degli anni '70 e fonte di scaramucce pre-elettorali, al punto che sparì dalle schede all'ultimo minuto e gli elettori dovettero scegliere solo tra i due segni rimasti. 
La storia ci proietta nel 1975 a San Benedetto Val di Sambro, comune del bolognese che aveva poco più di 4mila abitanti e portava ancora le ferite della bomba fatta esplodere l'anno prima sul treno Italicus proprio nei pressi della stazione. 
Alle elezioni per il rinnovo del consiglio comunale, previste per il 15 giugno, la Democrazia cristiana, che aveva governato il comune per tutta la consiliatura precedente, si era però presentata spaccata: una parte aveva scelto di correre in un "cartello" con i socialdemocratici, l'altra, che schierava in lista anche il sindaco democristiano uscente, Leandro Musolesi, voleva comunque partecipare alle elezioni. "In effetti ci fu una spaccatura nel partito - ricorda oggi lo stesso Musolesi, intervistato su quella vicenda -. Il segretario locale della Dc di allora non era propenso al dialogo, non aveva molto seguito tra gli iscritti e con i suoi modi aveva finito per creare una frattura: lui rappresentava il partito, ma dalla sua non aveva la maggioranza".
Morale, quella volta di scudi crociati ne vennero presentati due: col numero 2 quello contenuto nella bicicletta Dc-Psdi, col numero 3 quello legato a Musolesi. 
Non stupisce, ovviamente, che la Commissione elettorale mandamentale di Porretta Terme, cui spettava pronunciarsi sull'ammissione delle liste, il 22 maggio non abbia accettato l'ultimo contrassegno presentato: il depositante aveva due giorni per sostituire l'emblema e mantenere il gruppo in corsa, ma bastarono poche ore. Si scelse di modificare un po' l'immagine, senza però discostarsene troppo: allo scudo vennero tolti i "punti" superiori, sostituiti con due stelle e la croce - bianca all'interno e senza la scritta "Libertas" - ospitò la dicitura "Democratici cristiani". "Volevamo mostrare comunque che eravamo legati alla Dc - spiega Musolesi - per cui di fatto portammo la croce più in alto, per metterla in evidenza". Sui moduli ufficiali l'emblema venne descritto come "una croce immersa in uno scudo con due stelle"; per i commissari il nuovo simbolo non era confondibile, così la lista il 23 maggio fu riammessa.
Agli amici diccì che avevano presentato la lista per primi, però, l'idea di avere un concorrente insidioso alle elezioni non era proprio andata giù, così fecero ricorso al Tar di Bologna, lamentando la confondibilità tra gli emblemi e persino l'uso di un simbolo religioso da parte della lista di Musolesi. Il 5 giugno i giudici amministrativi ribaltarono la situazione: ammettere quel simbolo sostitutivo era stato un errore, le liste alle elezioni dovevano essere solo due.

martedì 9 dicembre 2014

Una rondine per l'Alternativa (per l'Italia)

Il primo volatile che viene in mente pensando ai simboli politici, quelli italiani per lo meno? La risposta probabilmente è il gabbiano, se si pensa all'Italia dei Valori che lo usa da oltre dieci anni; qualche cultore della zoologia simbolica potrebbe citare aquile e colombe. Eppure bisognerebbe chiamare in causa almeno anche la rondine. Non una qualunque, ovviamente, ma quella di Alternativa per l'Italia: loro si qualificano "un movimento della Gente per la Gente, perché il nostro futuro ha bisogno di donne e di uomini che agiscano per il bene dell’Italia".
A livello nazionale hanno depositato il loro contrassegno - salvo errore, ovviamente - alle sole elezioni politiche del 2001, ma atto costitutivo e statuto sono del 1997: già allora l'emblema portava in evidenza una rondine blu (con ombra tricolore) in volo: "un'immagine che rappresenta la nostra volontà di volare sopra i limitati steccati degli attuali Partiti". L'iniziativa politica è da ricollegarsi al cremasco Fulvio Lorenzetti, nelle intenzioni "l'Uomo che ha voluto creare la vera Alternativa agli attuali Poli". 
L'idea certamente non era e non è nuova: l'impossibilità di riconoscersi negli schieramenti di allora (e attuali), unita al desiderio di "partecipare attivamente alla vita e allo sviluppo del proprio Paese", senza per questo essere "professionisti della politica". Si rivendica solo la patente di cittadini, con le loro opinioni e magari con un passato politico in altre formazioni, ma uniti dalla volontà di "contribuire a realizzare una Italia migliore". 
Allora come oggi, il programma si sviluppa a partire da alcuni punti cardine, quali l'unità della nazione, la Famiglia come "pietra d'angolo di uno stato moderno" (il che comporta, tra l'altro, una riflessione sull'identità nazionale e sul cristianesimo come difesa della famiglia stessa), il rigore morale (con la legalità dello Stato al servizio della Nazione, anche grazie a una riforma statale improntata all'efficienza) e la libertà (con lo sviluppo dell'uomo da mettere al centro, "nel contesto dell'evoluzione sociale", in pratica attuando in pieno l'art. 2 della Costituzione). 
Guardando oltre i patrii confini, il gruppo politico punterebbe agli Stati Uniti d'Europa, ma con la necessità assoluta di cambiare la politica economia, a partire dal nostro paese. "In Italia - si legge in uno degli ultimi comunicati - è la criminalità del credito che ci ha ridotto sul lastrico. Occorre stampare moneta e superare la finzione del debito pubblico, monetizzando tutto il deficit, come avviene nei Paesi ai vertici della industrializzazione mondiale". 
Chissà allora che, alle prossime elezioni, la rondine non torni, primavera o no, per chiedere che si torni a stampare moneta: spiegherà allora le Ali, che è anche la sigla del gruppo (sebbene l'Alleanza liberaldemocratica per l'Italia di Silvia Enrico e Oscar Giannino nel frattempo abbia conquistato qualche riga di cronaca in più proprio con quell'acronimo, accompagnato a un aeroplanino di carta). 

lunedì 8 dicembre 2014

Congresso a Roma o a Salò? Cosa succede nella Fiamma Tricolore

I congressi di partito, di norma, dovrebbero servire a dare la linea, a contarsi e, se non si può fare diversamente, a salutarsi prima che le strade politiche si separino. Le scissioni sono sempre un affare doloroso, ma di solito è durante l'assise che si discute e spesso ci si scontra (talora anche fisicamente, come certi congressi socialisti di un passato recente insegnano). 
Il guaio è quando le liti e le scaramucce iniziano prima ancora che l'assemblea inizi o se, addirittura, di congressi ne vengono convocati due a centinaia di chilometri di distanza, ovviamente distinti dallo stesso simbolo. E' quello che sembra accadere in questi giorni all'interno del Movimento sociale Fiamma tricolore: sul sito, infatti, si legge di espulsioni, di un congresso nazionale convocato a Roma per il 13 e il 14 dicembre e di un "controcongresso" che si dovrebbe invece tenere a Salò nella sola domenica 14. Che sta succedendo dunque in ciò che resta del partito fondato nel 1995 da Pino Rauti?
"La situazione è molto semplice - spiega senza mezzi termini Francesco Condorelli Caff, presidente della segreteria generale del congresso - ci sono iscritti che vogliono diventare 'ducetti' e convocano un congresso parallelo, ma noi li abbiamo espulsi, una congrega di mariti e mogli". 
Alla base del dissidio ci sarebbero interpretazioni diverse delle regole interne al partito: "Una di queste persone - continua Condorelli - pretendeva che il congresso della Fiamma che si svolgerà a Roma fosse aperto a tutti gli iscritti, invece che ai soli delegati; in più questi sosteneva che non esistono delegati 'di diritto', mentre per noi sono i venti componenti del Comitato centrale e i sei della Segreteria generale. Quelle richieste sono assurde: da sempre il Msi ha avuto i suoi delegati di diritto, anzi, il segretario nazionale poteva indicarne venti, mentre noi abbiamo tolto questa possibilità, lasciando però gli altri. Cosa vogliamo fare, lasciare fuori dal congresso i venti che hanno lavorato nel 'parlamentino' del partito? Non può essere".
Per Condorelli, che da anni per il partito segue anche le vicende legali connesse al simbolo della fiamma, la condotta di certi iscritti è pretestuosa: "Qui si cerca di distruggere, abbiamo avuto sempre questo destino: succedeva già nel Msi, poi è arrivato Fini e qualcun altro è arrivato dopo Fiuggi, quando eravamo riusciti a ottenere alcuni eletti. Ci sono persone ex An che vengono qui, all'inizio fanno le pecorelle, poi cercano di distruggere. A volte ci sono riusciti".
Nel sito, in effetti, risultano i provvedimenti di "decadenza ed espulsione per indegnità" pronunciati nei confronti di Stefano Salmè (che sembrerebbe aver convocato l'assise a Salò) e Gianluca Bonazzi di Sannicandro, che si è aggregato a lui, con il divieto per entrambi di utilizzare il simbolo della Fiamma tricolore; in più si annuncia che la stessa sanzione colpirà chi parteciperà all'autoconvocato congresso. "Abbiamo un Comitato centrale che ha deliberato che il congresso nazionale si tenga a Roma il 13 e il 14 e ha eletto la segreteria generale dell'assise - conclude Condorelli - mi dica questi che diritto hanno..."
Intanto, però, sulla sua pagina personale Stefano Salmè continua a diffondere la locandina dell'evento, con lo slogan "L'Italia in cammino" (sopra i volti di Mussolini, D'Annunzio, Borghese, Almirante e Rauti), parla di congresso "legittimo" e lo definisce "della rinascita". 
Si vedrà come andrà a finire questo "congresso a due piazze"; nel frattempo, la creatura politica di Pino Rauti, retta ora da Attilio Carelli, dopo l'addio dell'ex segretario Luca Romagnoli ("sconfessato" dal Comitato centrale a novembre) e di un consistente gruppo di iscritti alla fine del 2013, conta poco più di 2mila aderenti. La crisi dei partiti è generalizzata, ma una nuova scissione - pur piccola - rischierebbe di mettere in seria difficoltà la formazione che, dopo Fiuggi, rappresenta con maggiore continuità e longevità una parte della destra italiana e postmissina.