sabato 27 giugno 2015

Rotondi alla Rivoluzione cristiana, con il cuore

E così la cristianità è rivoluzionaria. Non è uno spot qualunque, ma sembra uno sei messaggi lanciati da Gianfranco Rotondi oggi a Roma, nel primo dei due giorni dell'evento voluto da lui - assieme a centinaia di giovani delegati - per dare una nuova occasione all'area cattolica del centrodestra. E se per settimane si è parlato del lancio di un'associazione, il simbolo di Rivoluzione cristiana svelato oggi ha proprio le sembianze di un emblema di partito (o, almeno, di un movimento).
È lo stesso Rotondi a spiegare il nome del suo progetto: “La Dc è stata prima il partito della democrazia e poi il partito dello Stato - si legge sul suo profilo Facebook - la Dc è stata l’Italia. Sarebbe velleitario oggi chiamarci Dc". Velleitario e anche poco sicuro, come Rotondi sa perfettamente, visto il numero paurosamente alto di sedicenti Democrazie cristiane in circolazione (alcuni dei primi passi, nel 1997 con Flaminio Piccoli, li aveva fatti pure lui) e il tasso di probabilità di essere citati in tribunale (e di non poter muovere un passo politicamente ed elettoralmente) pari al 101%. Era andata meglio a lui quando alla fine del 2004 aveva creato la "sua" Dc, con tanto di "nulla osta" a firma Gilli e Oliverio, ma dopo qualche mese era andato sul sicuro, chiamando il suo partito Democrazia cristiana per le autonomie, poi divenuta parte del Pdl.
In effetti, in un pezzo sul Giornale a firma Gian Maria De Francesco, Rotondi aveva precisato che - vista anche l'età giovane dei delegati e la loro novità alla politica "né nel nome né nel simbolo non ci sarà nessun riferimento alla Dc: molti di loro sono nati dopo la sua fine". A essere conservati sono solo i colori, bianco rosso e blu, a tingere un cuore dal contorno azzurro su fondo rosso.
Per Rotondi, "Oggi essere cristiani in politica non è una scelta di moderazione, ma di rivoluzione. Solo una rivoluzione cristiana può contrapporre all’antipolitica la passione per la politica, alla corruzione il valore del bene comune, agli egoismi il senso della solidarietà". In questo senso si può forse leggere il cuore, che pure non è una new entry della politica italiana. Innanzitutto la forma del cuore è proprio quella dell'emblema del gruppo Ppe al Parlamento europeo; non è saggio però dimenticare Cuore nazionale, associazione vicina a Forza Italia, come pure Innamorati dell'Italia, lanciato a tempo debito da Diego Volpe Pasini.
Diversi sembrano comunque i riferimenti culturali, proposti sullo schermo della manifestazione di oggi. Colpisce, a suo modo, la convivenza tra un maestro liberale come Benedetto Croce ("il Cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l'umanità abbia mai compiuta. La rivoluzione cristiana rappresenta un evento unico nella storia dell’umanità che per merito di essa non può non dirsi Cristiana"), un parlamentare della sinistra Dc Fiorentino Sullo ("L’anima cristiana della democrazia cristiana ne fa una forza politica spontaneamente rivoluzionaria") e un sacerdote tutto meno che conformista e molto "sociale" (poco di centrodestra insomma) come don Primo Mazzolari: "noi siamo la novità, anche se portiamo sulle spalle duemila anni di storia. il vangelo è la novità". Basteranno questi padri nobili per garantire vita serena alla nuova Rivoluzione cristiana?

giovedì 25 giugno 2015

Berlusconi-Salvini, quale simbolo per il futuro?

Il simbolo della Lega ci sarà: così?
Che se ne sappia, le possibilità che si torni in fretta alle urne per rinnovare il Parlamento sembrano scarse; l'eventualità che si voti con un certo anticipo rispetto al 2018, tuttavia, non abbandona alcune forze politiche e l'opposizione al governo Renzi non vuole farsi trovare impreparata. Non stupisce, dunque, che si torni a parlare di un'alleanza tra Forza Italia e Lega Nord, dopo le scintille nient'affatto pacifiche dei mesi scorsi.
L'intesa dovrebbe essere innanzitutto politica e ne ha parlato il segretario del Carroccio Matteo Salvini in un'intervista a Repubblica: rassicurato da Silvio Berlusconi sulla fine della collaborazione con Renzi ("l'inciucio sulle riforme è finito. L'azione di questo governo è un disastro"), per Salvini si sono poste le basi per un lavoro comune con Forza Italia, che parta dalla messa in discussione dei trattati europei ("Berlusconi è pronto a discutere su come cambiare una moneta che così com'è è sbagliata. Come la direttiva Bolkestein che massacra il commercio, i trattati di Dublino, quello di Maastricht"); per il nuovo rapporto dovrebbe valere il principio "patti chiari amicizia lunga", anche sull'onda dei numeri emersi dalle elezioni ("[In passato] la Lega andava al traino di Forza Italia. Dicevano: se tratti con un partito che è al trenta per cento devi accettare il suo programma. Ora le proporzioni sono cambiate. Il nostro elettore dice che i patti sono chiari perché si parte dal nostro programma").
Se è importante il contenuto dell'accordo, tuttavia, con la nuova legge elettorale non si può trascurare nemmeno il contenitore, cioè il contrassegno di questo possibile "cartello" o "listone": per questo Andrea Montanari ha espressamente chiesto "Con il simbolo della lista come la mettete?". La risposta di Salvini non si è fatta attendere, senza giri di parole: "Il simbolo della Lega ci sarà. Nessuna fusione. Di certo noi non ci scioglieremo. Vedremo quali saranno gli altri compagni di viaggio. Ciascuno naturalmente con la sua identità dovrà riconoscersi nel programma. Per rendere tutto graficamente alla fine qualche soluzione si trova".

Qualcosa di simile, in effetti, era già stato fatto nel 1994, quando - alla prima prova del Mattarellum come legge elettorale - Forza Italia nei collegi senatoriali del nord (e in alcuni di quelli del centro) si presentò in cartello con la Lega Nord per il famoso "Polo delle libertà", facendo convivere nello stesso contrassegno elettorale la neonata bandierina berlusconiana e il più consolidato Alberto da Giussano, con il nome della Lega in font Optima. Potrebbe andare così anche stavolta? Potrebbe, sì, se si legge in questo senso la frase di Salvini sulla "resa grafica" dell'adesione allo stesso programma, che dovrebbe essere mutuato in gran parte da quello del Carroccio.
Non si può, peraltro, trascurare quanto detto subito dopo dallo stesso segretario leghista, rispondendo a Montanari che ricordava come l'Italicum prevedesse comunque la lista unica, senza possibilità di un gioco "a due punte", com'era avvenuto invece nel 2008 - vigente il Porcellum - tra il Pdl e la Lega. "È così convinto che Renzi non ci vorrà mettere mano, adesso che si è accorto che nessuno arriverà al quaranta per cento?" Per qualcuno, dunque, la via delle coalizioni potrebbe forse riaprirsi: certamente il centrodestra avrebbe tutto da guadagnare da una situazione simile (vista la capacità "aggregatrice" quasi sempre dimostrata da Berlusconi). Resta da vedere se converrà anche a Renzi e, nel caso, perché. 

martedì 23 giugno 2015

Sgarbi si candida a Milano, ma lo stemma è di troppo

In rete le cose si muovevano da un po' e la voce si rincorreva, sempre più insistente: da ieri è ufficiale che, pur mancando poco meno di un anno al rinnovo dell'amministrazione comunale di Milano, a Matteo Salvini e Corrado Passera che hanno già annunciato la loro corsa verso palazzo Marino si aggiunge pure Vittorio Sgarbi. Proprio ieri, infatti, al Circolo della Stampa l'assessore alla Rivoluzione del comune di Urbino ha presentato la propria candidatura senza tradire le attese di chi avrebbe voluto un momento sulfureo e scoppiettante.
I giornali hanno parlato soprattutto - ed era prevedibile - degli attacchi al Padiglione Italia di Expo (con la proposta choc della "esposizione dei migranti") e dei progetto di valorizzazione delle risorse culturali meneghine, mentre si sono diffusi assai poco sul simbolo adottato dal critico d'arte, che pure meriterebbe uno sguardo in più.
Per chi ha buona memoria, infatti, la struttura grafica è la stessa del primo movimento fondato dallo stesso studioso nel 1999, "I Liberal Sgarbi", giusto il tempo di presentarlo alle elezioni europee di quell'anno: il tentativo andò male per motivi formali (nel contrassegno c'era anche la "pulce" del Psdi, ma l'Ufficio elettorale della Cassazione negò che essa potesse essere validamente usata da Enrico Ferri, eletto sì nel 1994 a Strasburgo ma non più legale rappresentante del sole nascente), ma l'idea grafica (soprattutto del cognome del critico in font Tw Cen e sottolineato di rosso, con un doppio tratto spesso) e politica messa in campo da Sgarbi rimase e prese strade proprie
Il movimento, in effetti, aveva aderito a Forza Italia nei mesi successivi, ma in alcune occasioni ha presentato liste autonome, come alle regionali del 2000. In vari territori, infatti, corse come "Liberal Sgarbi - I libertari", virando al blu il cognome ma mantenendo la sottolineatura rossa e il fondo giallo: gli stessi elementi sarebbero rimasti anche nel contrassegno composito con il Pri elaborato per il progetto comune alle elezioni europee, il noto "partito della bellezza". 
Ora - dopo la parentesi nera e rossa del Partito della rivoluzione - Sgarbi sembra tornato alle origini, per lo meno per la scelta cromatica: il cognome blu sottolineato di rosso è di nuovo l'elemento principale nel tondo giallo, con in più l'inserimento delle parole "sindaco" e "Milano". Quest'ultima, in particolare, è in rosso al centro di una "lunetta bianca", individuata nella parte bassa del cerchio: non si conoscessero i precedenti, si sarebbe tentati di dire che è stato replicato il modello locale di Noi con Salvini, ma a ben guardare si vede che già in passato quell'area era stata lasciata bianca, per fare posto a un libro aperto o ad altri elementi ("pulci" o altri simboli).
Scritte a parte, l'unico elemento differenziante questa volta sembra costituito dallo stemma di Milano, collocato nella parte alta. Stemma che però dovrebbe sparire, pena la bocciatura del simbolo. A partire almeno dal 2013, infatti, nelle istruzioni per la presentazione delle liste redatte dal Ministero dell'interno è espressamente detto che "deve considerarsi vietato anche l'uso di simboli propri del Comune" e il riferimento è proprio allo stemma: lo scopo è evitare di indurre il cittadino a pensare che esista una lista più "ufficiale" di altre e, dunque, potenzialmente favorita. La disciplina è stata applicata alcune volte, anche in comuni relativamente piccoli (quest'anno, per esempio, è accaduto a Collepietro, in provincia dell'Aquila): in definitiva, dunque, dovrebbe sparire l'intero logo comunale o, alla peggio, dovrebbe essere modificato tanto da non poter automaticamente creare l'associazione di idee. Toccherà a Sgarbi decidere il da farsi: di tempo per pensarci, per ora, ne ha parecchio.

domenica 21 giugno 2015

Il "nuovo" simbolo della Lega Nord: stessa grafica, nuova gestione

Era inevitabile, a ben pensarci, che qualche polemica potesse sorgere con l'approvazione del nuovo statuto della Lega Nord, ad opera del Congresso federale di ieri. In tanti si soffermano sulle "limature" ai poteri del fondatore Umberto Bossi (nella sua qualità di presidente del "Movimento") e sulla "trasformazione" della Lega in partito confederale (il che significa che i cronisti non conoscevano lo statuto precedente, approvato a luglio 2014, in cui già si parlava di "confederazione"). Si è parlato molto meno - eppure il punto meriterebbe una certa attenzione - del "nuovo" simbolo della Lega come da statuto. 
In effetti, a parlare di "nuovo" simbolo si compie una piccola forzatura, se non altro perché non sono previsti al momento cambiamenti grafici dell'emblema, per lo meno di quello consacrato dallo statuto (e ora ad esso allegato, come la normativa sui partiti politici consente di fare). 
La descrizione presente all'art. 3 del documento base del movimento, in effetti, è rimasta la stessa: "un cerchio racchiudente la figura di Alberto da Giussano, così come rappresentato dal monumento di Legnano; sullo scudo è disegnata la figura del Leone di San Marco, il tutto contornato, nella parte superiore, dalla scritta LEGA NORD. Nella parte inferiore è la parola 'Padania'. Alla destra del guerriero è posizionato il 'Sole delle Alpi', rappresentato da sei petali disposti all'interno di un cerchio". Vale solo la pena di sottolineare che il simbolo ufficiale non prevede la presenza del nome del segretario, ma solo il riferimento alla Padania.
Cosa cambia allora? Qualcosa di importante e che va oltre la grafica: il regime di gestione del logo. Intanto si precisa fin dall'inizio che il simbolo "appartiene esclusivamente alla Lega Nord", un concetto più forte rispetto alla precedente formula "appartiene al patrimonio della Lega Nord", un po' più generica. Se però in precedenza lo statuto delegava la gestione dell'emblema e la possibilità di modificarlo al Consiglio federale, ora è scritto chiaramente che "Il Consiglio Federale concede, in conformità ad un apposito regolamento dallo stesso deliberato, l’utilizzo del simbolo alle Nazioni regolarmente costituite ai sensi del presente Statuto e per il perseguimento delle finalità in questo indicate, fatto salvo quanto previsto di seguito per l’utilizzo del simbolo a fini elettorali. La concessione del simbolo può essere revocata dal Consiglio Federale".
Si precisano dunque almeno due cose: innanzitutto la gestione di fatto resta nelle mani del Consiglio, ma si mette per iscritto che dovrà essere stilato un regolamento per la concessione dell'uso del segno da parte delle Nazioni parte della confederazione (magari de facto un regolamento già esisteva, ma al momento non è dato saperlo). Secondariamente, ciascuna delle Nazioni costituite "regolarmente" ai sensi dello statuto (per il momento si tratterebbe di quelle citate all'art. 2 - cioè Alto Adige-Südtirol, Emilia, Friuli - Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Romagna, Toscana, Trentino, Umbria, Valle d'Aosta - Vallée d'Aoste, Veneto - ma il Consiglio federale potrebbe approvarne altre in seguito) può vedersi riconosciuto l'uso dell'emblema avendo come finalità "il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana"; lo stesso statuto, peraltro, precisa che lo stesso Consiglio federale può revocare la concessione del logo alle singole Nazioni, senza che siano meglio indicate le circostanze in cui ciò può avvenire.
Successivamente, si ribadisce che il simbolo allegato allo statuto "è anche contrassegno elettorale per le elezioni politiche ed europee" (anche se nulla vieta di modificare il simbolo anche in quelle occasioni, come è puntualmente capitato negli anni scorsi: il Consiglio federale, si legge più avanti, "per tutti i tipi di elezione, può apportare al simbolo ed al contrassegno, le modifiche ritenute più opportune nel rispetto delle disposizioni di legge in materia", con una formula sostanzialmente identica al testo precedente), mentre si differenzia almeno in parte il regime per le elezioni regionali e amministrative. Nello statuto approvato lo scorso anno si diceva che "ciascuna Sezione Nazionale può inserire, alternativamente, in basso o sul lato destro del guerriero ed in orizzontale, il nome della rispettiva Sezione Nazionale"; oggi invece si dà teoricamente maggiore libertà grafica a ogni Nazione (si dice solo che "può modificare il simbolo"), ma occorre ottenere comunque un parere preventivo del Consiglio Federale, parere che è vincolante. 
Rispetto al vecchio testo, comunque, si accentua il potere di controllo del segretario federale (carica attualmente ricoperta da Matteo Salvini): ora lo statuto precisa che "[i]n ogni caso l’utilizzo del simbolo da parte delle Nazioni per ogni singola elezione (politiche, europee, regionali e amministrative) deve essere oggetto di specifica autorizzazione del Segretario Federale", autorizzazione che quindi dovrà sussistere anche per un'elezione nel comunello più sperduto d'Italia. Ciò significa che, in conformità allo statuto, qualunque lista vorrà adottare alle elezioni il simbolo della Lega o comunque inserirlo nel proprio contrassegno, agli uffici competenti dovrà produrre il documento di autorizzazione all'uso del simbolo firmato dal segretario federale; diversamente la lista dovrebbe essere ricusata.
L'ultimo comma dell'art. 3 è dedicato, come prima ai "simboli usati nel tempo dal Movimento o dai movimenti in esso confluiti, o che in esso confluiranno": essi, da statuto, "anche se non più utilizzati, o modificati, o sostituiti, [...] sono di proprietà esclusiva della Lega Nord" e lo stesso vale per "qualunque altro simbolo contenente la dicitura Lega Nord" (frase che è stata aggiunta ora). Anche in questo caso, prima lo statuto diceva "fanno parte del patrimonio della Lega Nord", mentre ora la formulazione è più categorica e sembra non lasciare spazio ad alternative. 
Si tratta, evidentemente, del tentativo di non consentire ad altre formazioni l'uso di denominazioni e raffigurazioni simili a quelle della simbologia leghista e delle stesse formazioni confluite, anche solo temporaneamente, nel Carroccio: si vorrebbero evitare, dunque, Leghe lombarde o Lighe venete, con simil-AlbertidaGiussano o LeonidisanMarco, cosa che in passato è accaduta più di una volta. Proprio il recente caso della Lega Toscana, tuttavia, fa dire che questa disposizione lascia il tempo che trova, soprattutto in prossimità delle elezioni, per le quali valgono regole diverse rispetto al "diritto di proprietà". Per cui il nome "Lega", essendo parola comune, è di uso tendenzialmente libero e lo stesso va detto per i simboli locali: piaccia o no in via Bellerio, i giudici lo dicono dal 1992.

venerdì 19 giugno 2015

L'invasione simbolica di Albano Laziale (2)

D'accordo, chi arriva al ballottaggio merita attenzione, ma i due sfidanti non possono essere gli unici a finire sotto i riflettori: a spulciare tra i concorrenti rimasti esclusi dal secondo turno delle elezioni comunali di Albano Laziale si trovano grafiche stimolanti, anche solo per un commento, un apprezzamento e un sorriso (magari con retrogusto beffardo).
Come si è visto la volta scorsa, i partiti nazionali si erano sparpagliati a sostegno di diversi candidati, senza ricostruire apparentamenti in essere a livello nazionale. Il Nuovo Centrodestra, per esempio, aveva scelto di sostenere il proprio candidato sindaco, Fabio Ginestra, sostituendo il suo nome a quello di Alfano nel simbolo. Ovviamente a suo sostegno era presente il simbolo di una "lista personale", Fabio Ginestra sindaco, esclusivamente cromatico-testuale; i colori però non sono quelli di Albano (giallo e rosso, praticamente come Roma), ma il giallo e il blu, rendendo l'emblema più simile alla lista Tosi a Verona di quanto ci si possa aspettare da un aspirante primo cittadino albanense.
A suo sostegno, peraltro, Ginestra aveva anche la lista del Movimento civico popolare, un lista da lui definita civica (senza sapere, forse, che quelle parole - insieme a "responsabile" - erano state utilizzate da Scelta civica a suo tempo per lanciare la propria campagna elettorale per le elezioni politiche). Il simbolo è tricolore, nel senso che al bianco del fondo unisce il rosso di un arco in cielo e il verde di tre forme arcuate e irregolari, a metà tra la strada, le gradinate di un emiciclo e una semplice stilizzazione del terreno. A conti fatti, questo è stato il contrassegno più votato della coalizione: l'unico a superare l'1%, comunque lontanissimo dalla possibilità di entrare in consiglio.
Niente da dire, al solito, sul MoVimento 5 Stelle, che a sostegno di Federica Nobilio ha schierato il simbolo noto a tutti, registrato come marchio e presente in Parlamento: ha raccolto più del 10% (quasi cinque volte la percentuale della Lista CiVica delle precedenti amministrative) e stavolta ha ottenuto un eletto. Fuori dal consiglio invece Forza nuova (candidato sindaco Matteo Stella, fermo intorno allo 0,5%) e Rigenerare la democrazia - PpE, che candidava a primo cittadino Marcello Di Rollo: il movimento, nato ad Ariccia il 2 giugno 2013 (soprattutto, si legge in rete, da soggetti provenienti da Udc e Scelta civica), si è fregiato delle stelle d'Europa e di varie sagome popolari in giallo, ma ha convinto meno di 250 elettori di Albano.
Non è andata meglio, in realtà, a Simone Carabella, candidato sindaco sostenuto da due liste che - secondo i media locali - poteva avere il suo bacino elettorale in area Pd: quello in fondo era stato il suo partito alle elezioni cinque anni prima. Lui poi ne è fuoriuscito, continuando la sua battaglia contro la discarica di Albano e le barriere architettoniche. Il tutto è condensato, ad esempio, nella "lista di scopo" che assume quelle lotte come punto centrale del contrassegno, anche se leggerle è difficile: sono scritte in bianco (Italic e graziato, per giunta) su fondo azzurrino. Impossibile poi decrittare la provenienza Pd, visto che la struttura del logo fa molto centrodestra, stile Alleanza di centro by Pionati.
Obiettivamente più leggibile era l'altro contrassegno messo in campo da Carabella, che sembra quasi un programma politico: Nè destra nè sinistra - Amo Albano (con gli accenti sbagliati, come si vede). Protagonista del simbolo, decisamente scarno, è il tricolore centrale, che divide la scena con le scritte più "importanti", ossia "Amo Albano" e "Carabella". Il "nè destra nè sinistra" (che sembra quello cantato a suo tempo da Celentano su testo di Fossati), peraltro, è andato un po' in ombra al ballottaggio, quando proprio questa lista si è apparentata con Benedetti, al fianco di simboli dichiaratamente di centrodestra: col senno di poi, tocca solo prenderne atto.
Un consigliere è riuscito invece ad acchiapparlo Noi con Salvini, unica lista a segno della coalizione a sostegno di Marco Silvestroni, già candidato per il centrodestra nel 2010, sconfitto da Marini (in coalizione in realtà c'era pure Fratelli d'Italia, ma al secondo turno, come si è visto, ha appoggiato Benedetti). Tutta nuova la compagine di simboli locali, rispetto a quella del turno precedente, con la sola eccezione del Cigno, lista civica nata una quindicina di anni fa e alle scorse elezioni schierata con Marini; stavolta ha scelto di fare parte della compagine di Silvestroni, mantenendo l'emblema del volatile bianco su fondo giallo, con corona stellata blu. Il numero di voti, però, si è ridotto di molto (da 857 a 280).
Allo stesso raggruppamento di civiche fanno riferimento due altri simboli locali, la Lista Albano (che riprende l'immagine del sepolcro degli Orazi e dei Curiazi) e la lista Pavona, con il nome della frazione e il disegno stilizzato di un pavone, per richiamare la leggenda in base alla quale in zona Laghetto ci fosse una colonia di pavoni stanziali. Il carattere usato e la fascia tricolore danno l'idea della concezione congiunta delle liste; nessuna delle due, peraltro, ha superato l'1%
Molto coreografica e a suo modo originale, da ultimo, la coalizione a sostegno di Giorgio Battistelli, musicista e fondatore di FabricAlbano, che alla fine è riuscito a entrare in consiglio. Paradossalmente, il contrassegno meno interessante è stato quello più votato, quello della "lista personale" di Battistelli, Lista Giorgio Battistelli Sindaco: tutto scritto (in bianco e blu) su fondo arancione, senza alcun rimando grafico. Unica particolarità che merita di essere segnalata, la grafia di "SiNDACO", con la seconda parte in blu, evidenziando solo il "Si" bianco della prima parte, come se fosse la richiesta di un consenso all'elettore... e pazienza se per quel "Sì" manca l'accento.
Negli altri simboli, in qualche modo, si può dire che prevale la persona, o per lo meno la sua citazione. Basta vedere quante sagome variopinte sono presenti nei contrassegni di Fare Pavona - Cecchina (lista rivolta soprattutto alle due frazioni più grandi di Albano) e di Albano Bene Comune, che nel nome ricalca quello di molte liste sorte in area sinistra (o, per lo meno, di centrosinistra) negli ultimi anni.
Lo stesso può dirsi per altre "presenze umane", come le due persone stilizzate della lista Libertà è partecipazione (con "azione" evidenziato in blu), che nel darsi la mano disegnano il profilo di una casa (e chissà se la circonferenza arcobaleno, unita al fatto che la grafica non mostra il "sesso" delle figure stilizzate, non significasse qualcosa...), o come la mano che ha contraddistinto FabricAlbano.
Chiude la parata simbolica (di Battistelli e dell'intera Albano) il contrassegno di Centrosinistra è dei cittadini, forse uno di quelli più curati graficamente: equilibrato nella copertura degli spazi, nella scelta delle font (uno è lo stesso usato dal Movimento Aurora, schierato con Marini, ma in effetti sta meglio in questo emblema) e in generale nella resa grafica. Carina la stilizzazione in alto del profilo del sepolcro degli Orazi e dei Curiazi, ma non può sfuggire che l'accento della "è" somiglia in tutto a una foglia di ulivo. Non è proprio quella del contrassegno disegnato al tempo da Andrea Rauch, ma il riferimento c'è tutto, quasi a instillare un dubbio nell'elettore: dove sta il vero centrosinistra? Non a caso, la lista ha raccolto oltre il 3% e certamente ha contribuito all'elezione in consiglio di Battistelli

mercoledì 17 giugno 2015

In fondo a sinistra (4): Alternativa sì, ma sempre comunista

Poteva finire così in fretta il viaggio tra i partiti a sinistra della sinistra (o di quello che rimane, a giudicare da chi pretende di rappresentarla in Parlamento)? Nemmeno per sogno, ovviamente: così si possono far cadere gli occhi su una coppia falce-martello che solo in apparenza appare "come le altre". Già, perché a ben guardare i due arnesi che appaiono nel simbolo del Partito di alternativa comunista sono "a specchio", con la testa del martello che guarda a destra e non l'opposto: segno inequivocabile, questo, che si è di fronte a un partito di matrice trotzkista (o trockijsta, a voler rendere a dovere quella parola nel modo più preciso possibile, anche se è dannatamente difficile ricordare come si scrive).
Così in effetti è e, per sgombrare ogni ombra di dubbio, sovrapposto ai due attrezzi c'è anche un "4" stilizzato, a voler richiamare l'esperienza della Quarta Internazionale, fondata da Lev Trockij nel 1938 e schieratasi certamente contro il capitalismo (teorizzando la necessità della rivoluzione permanente del proletariato), ma anche contro lo stalinismo sovietico. A ben guardare, in realtà, il PdAC non si richiama proprio alla Quarta internazionale tuttora esistente (cui invece fa riferimento, ad esempio, la Sinistra anticapitalista con cui è cominciato questo viaggio), bensì alla più recente Lega internazionale dei lavoratori - Quarta Internazionale, fondata nel 1982 e di cui il partito in esame è la sezione italiana. 
Nel preambolo dello statuto si spiegano scopi e visione del partito con una certa chiarezza e con un linguaggio che altrove è difficile ritrovare. La missione dei comunisti (tutti, secondo il PdAC, compresi i "compagni che sbagliano"), "di fronte alla barbarie del capitalismo" resta quella tracciata nel Manifesto di Marx ed Engels: portare giorno per giorno e lotta dopo lotta "la maggioranza del proletariato [...] alla comprensione dell'impossibilità di riformare il capitalismo", facendo capire che è necessario rovesciare l'ordine borghese, distruggere i vecchi rapporti di produzione e instaurare la dittatura del proletariato ("cioè la trasformazione dei lavoratori in classe dominante")
Per fare questo, però, serve "un partito basato sull'indipendenza di classe dalla borghesia e dai suoi governi" ed è proprio quello che il PdAC vuole costruire, riunendo "la parte più avanzata e cosciente del proletariato" e mettendo insieme "gli sforzi e le lotte delle masse lavoratrici, dei disoccupati, dei giovani e di tutti gli oppressi". Questo in piena eredità, oltre che del pensiero di Marx ed Engels, anche della "stagione" leninista e dei primi anni dell'esperienza sovietica, venuta prima della "degenerazione stalinista": insomma, un "gigantesco patrimonio di teoria e prassi". E visto che non si può agire in un solo paese, ma occorre un "percorso vittorioso di rivoluzioni socialiste a livello internazionale", per il partito occorre rifondare un'Internazionale comunista basata sul trotskismo, attraverso la citata Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale.

lunedì 15 giugno 2015

L'invasione simbolica di Albano Laziale (1)

Della piazza elettorale di Albano Laziale si era già parlato alcune settimane fa, quando era scoppiata una disputa su chi avesse titolo per utilizzare il simbolo della lista Tsipras (l'Altra Albano). Ora che si è chiuso anche il ballottaggio, che ha visto la riconferma di Nicola Marini come sindaco della città, si può passare in rassegna l'intera fauna emblematica che si è affrontata sulle schede: difficile parlarne in termini diversi, visto che in quel rettangolo di carta - per lo meno al primo turno - si sono affollati ben 34 contrassegni.
Della coalizione a sostegno del sindaco uscente e confermato, ovviamente, non interessano tanto i simboli ufficiali (come quelli di Pd, Sel, Psi e Centro democratico; dentro, peraltro, ci si mette anche quello del cartello Sinistra, contenente le "pulci" di Rifondazione e del Pcd'I, oltre che dell'Altra Albano); l'attenzione, piuttosto, cade su altri segni grafici. Innanzitutto su quello di Insieme con Nicola Marini sindaco, basato essenzialmente sulla silhouette dei monumenti principali della città: si vedono i coni del sepolcro "degli Orazi e dei Curiazi", la torre della chiesa di san Pietro e (probabilmente) la cattedrale, tutto tinto di blu scuro per la lista "personale" di Marini. Con il 6%, se non altro, due seggi li ha portati a casa.
Lo stesso risultato finale, in termini di consiglieri ottenuti, anche se con numeri più ridotti (4,65%), lo ha strappato la Lista riformista, legata a quel Patto tra cittadini che aveva riunito varie liste civiche nell'area dei Castelli romani. Il nome di quest'associazione sta in basso, in un segmento con sfondo tricolore; per il resto, il contrassegno è dominato dal colore arancione (non lo si vedeva così dai tempi del Partito umanista, forse) e dalle iniziali bianche del nome della lista, proposte in font Franklin Gothic, stile black e italic. Graficamente, è facile ammetterlo, il risultato non è dei migliori, ma alla fine qualche risultato è arrivato (ed è sparita la fascia blu con le stelle vista alle scorse elezioni, quando LR significava "Liberali riformisti" e questi erano schierati con il centrodestra).
Un seggio alla fine è arrivato anche per la lista Sinistra, a dispetto delle polemiche sulla "pulce" del progetto Tsipras. Molto meno fortunata invece (neanche un consigliere eletto) l'ultima lista non partitica della coalizione vicina a Marini, il Movimento Aurora per i Castelli Romani. I colori che, sfumati, tingono la parte superiore del cerchio (segnata da vari archi bianchi come fosse un arcobaleno stilizzato) potevano volendo rimandare all'aurora, mentre convinceva meno la parte inferiore, con quel carattere di gusto antico che però appariva poco adatto a quello spazio. Questo, però, era niente in confronto alle polemiche politiche legate alla collocazione ritenuta non proprio fermissima del Movimento, proprio all'interno dell'area dei Castelli: così almeno appare, leggendo alcuni giornali online.
Anche il principale sfidante di Marini, Gino Benedetti, ha potuto contare su una pletora nutrita di liste a suo sostegno (allargatasi in occasione del ballottaggio); in questo caso, tuttavia, i raggruppamenti che hanno scelto di non adottare emblemi di partito sono stati molto più numerosi rispetto ai gruppi contrassegnati da emblemi noti ai più. L'unico simbolo nazionale presente fin dall'inizio era quello di Forza Italia, cui poi si è aggiunto al secondo turno quello di Fratelli d'Italia, con il cognome della Meloni riprodotto al centro, a caratteri cubitali: impossibile non notarlo, anche per chi portava gli occhiali (e anche stavolta graficamente la scelta non è stata felice, ma pazienza...).
A dire il vero, almeno un altro emblema decentemente noto c'era: quello di Reazione civica, con il suo tricolore "a gesso" su fondo rosso. Per chi ha buona memoria, in effetti, quello è stato il tratto grafico distintivo della Lista Polverini alle regionali del 2010 e che poi è passato alla sua fondazione "Città nuove", nata nel 2012 ed è stato utilizzato nei mesi successivi anche da varie liste "civiche", non si sa quanto collegate alla fondazione stessa. Stavolta la scia tricolore era un po' defilata, in basso leggermente a destra; in compenso, non si può dire che gli elementi testuali del contrassegno abbiano "coperto" lo spazio disponibile in modo adeguato ed equilibrato (e alla fine il simbolo è stato il meno votato di tutti).
Colpisce poi quella che ha tutta l'aria di sembrare la lista personale di Benedetti, che non aveva nemmeno un nome, visto che l'unico presente nel contrassegno era il suo. E' vero, nel contrassegno erano presenti anche due delle frazioni di Albano (Cecchina e Pavona), quasi a voler sottolineare l'impegno anche per quei territori, ma risultava molto più evidente il cuore dal contorno tricolore e curiosamente tridimensionale che circondava il cognome del candidato sindaco. All'interno, nella punta bassa del cuore, chi aveva buona vista poteva scorgere le sagome dei musi di un gatto e un cane, non litiganti ma tranquilli: il fatto che Benedetti fosse un veterinario ben noto certamente c'entrava qualcosa (alla fine però niente consiglieri per la lista).
Al fianco di Benedetti c'era anche un simbolo già visto in precedenza, quello della Rete dei cittadini, già rappresentata in consiglio comunale da Adriano Venditti (in precedenza a sostegno di Marini). Nessuno ha utilizzato il concetto di "rete" sul contrassegno, che si presentava invece come tricolore, unendo il bianco delle scritte (e della corona di contorno), il rosso del fondo centrale e il verde di un piccolo elemento vegetale, a metà tra il quadrifoglio e le quattro foglie separate. La font scelta per la parola "Rete" in effetti sembra quella di un marchio vero e proprio (il "ricciolo" della R rimanda a quello della Paluani), ma tutto sommato la scelta complessiva non è sgradevole, sembrando piuttosto equilibrata.
Tra le liste a sostegno di Benedetti, anche quella che all'interno portava il nome del suo capolista, il consigliere uscente Nabil Cassabgi, al centro delle polemiche per essere stato eletto nel 2010 con il centrosinistra, mentre questa volta lo schieramento era opposto. Limitandoci a valutare il simbolo di Solidarietà trasparenza legalità, lo si può inquadrare nella categoria dei contrassegni quadricolori, che accostano alle tinte della bandiera (in forma di arcobaleno) l'azzurro o - come qui - il blu, nel tentativo di rivolgersi a tutto l'elettorato. Al centro si stagliava anche il disegno di una colomba in volo, ma il suo tratto stilizzato, assieme all'uso di sole lettere maiuscole con font poco funzionali a quell'impiego, dava al contrassegno un'aria naif che non ha aiutato a renderlo gradevole.
Da segnalare poi la lista legata a Marco Mattei, già sindaco di Albano e poi assessore regionale per il centrodestra, sebbene lui stesso non fosse candidato (e si fosse parlato di una sua possibile nuova candidatura a primo cittadino). Eppure il suo nome era molto più evidente di quello di Benedetti sull'emblema di Area democratica, mentre sul fondo, nascoste da un velo grigio e contornate da un arco tricolore, emergono una croce rossa e quello che pare il fregio della pavimentazione del Campidoglio a Roma. Il simbolo probabilmente è risalente (purtroppo non è possibile trovare in rete quello già usato nel 2005), quindi è più difficile valutare la resa grafica delle soluzioni adottate, anche se la parte inferiore sulla scheda è stata difficile da leggere.
Resta da vedere, per ultimo, il contrassegno del Patto popolare, occupato nel semicerchio inferiore da un pienissimo colore blu (scritte bianche a parte), mentre nella parte superiore le stelle europee circondavano un piccolo tricolore, non si capisce bene come rappresentato. Si trattava della lista legata a Marco Moresco, consigliere uscente dell'Udc (che nel 2010 aveva sostenuto Marini) e che questa volta ha scelto l'altro schieramento andato al ballottaggio; CastelliNews ha scritto che i membri che facevano capo alla lista Udc "si sono spalmati in vari partiti, per cui si comprende la scelta di non utilizzare il simbolo nazionale. Non per questo, naturalmente, si può dire che quello adottato sia particolarmente felice... 

sabato 13 giugno 2015

Democrazia cristiana storica? No, Movimento cittadini

Il simbolo del Movimento Cittadini
Poi arriva il momento di confluire. Che, a pensarci bene, come operazione ha sempre qualcosa di misterioso, di sfuggente: di solito è qualcosa di solido e liquido allo stesso tempo, con elementi che spariscono e altri che cambiano volto e forma, in modo a volte prevedibile, a volte meno. In politica, però, la confluenza non sarebbe mai una scelta leggera, visto che si tratta di rinunciare a un pezzo della propria identità per prenderne altri: oggi, nell'epoca in cui i partiti dormono ma non si sciolgono, la faccenda si è fatta meno drammatica, ma resterebbe pur sempre seria, se non altro con la consistenza della pagina che si volta. Eppure...
... eppure i malati di politica non possono non restare colpiti quando una notifica di Facebook li invita a mettere il loro "mi piace" alla pagina di MovCittadini - realtà che non conoscono affatto - e, cliccandovi sopra, scoprono che al neonato movimento politico ha aderito la Democrazia cristiana storica. Ma come? Il partito non era nato a marzo o giù di lì, con l'idea di rimettere in campo dal basso i valori della Dc, senza ripercorrerne le vicende e senza rivendicarne il simbolo? Che ne è del lavoro che si immagina fatto finora?
A guardare nella pagina Facebook - ancora attiva - della Dcs, si leggono status evocativi: "Finalmente ci siamo - c'è scritto l'11 giugno - sta per Nascere un Contenitore che non rappresenterà un voto di Protesta,ma un Voto di Proposta..!!" E giusto ieri l'annuncio che non ti aspetti: "Da Oggi la Dcs aderisce ufficialmente al Movimento Cittadini". E viene facile pensare - se le parole in italiano hanno ancora un significato - che il partito lanciato da soli pochi mesi sia entrato in una realtà più grande, composita, cui entità diverse hanno contribuito a loro modo, anche se resta in qualche modo la sensazione strana che un'esperienza politica - per parlare di adesione e confluenza - un po' più di tempo alle sue spalle debba averlo.
A guardare bene sul nuovo (e ancora incompleto) sito del Movimento Cittadini, però, dopo avere notato che il simbolo è un fumetto arancione con la lettera C in evidenza (e, per chi ci vede bene, c'è anche la miniatura della sigla Dcs in basso a sinistra), si scopre che i nomi dei promotori del progetto sono sostanzialmente rimasti gli stessi, a partire da quello di Francesco Crocensi, indicato come "analista politico". 
E allora, nel rispetto di tutte le migliori intenzioni, viene da chiedersi se davvero questa sia stata un'adesione/confluenza, o se non somigli piuttosto a un repackaging, che ha messo un abito nuovo e diverso a una realtà esistente. Come un antico diccì era solito dire, a pensar male si fa peccato, ma si potrebbe anche credere che il tentativo di un ex collaboratore di depositare come marchio la Democrazia cristiana popolare abbia fatto sorgere qualche problema, così come poteva non essere pacifico nemmeno l'uso del nome della Dc, pur se abbinato all'aggettivo "storica", per cui era meglio cambiare del tutto direzione.
In ogni caso, qualcosa di nuovo o di diverso, almeno in grafica, ora c'è. Si vedrà poi se le novità continueranno, magari attraverso un'altra notifica su Facebook.

venerdì 12 giugno 2015

Solidarietà popolare: coordinare i cattolici. Verso un partito?

A settembre, quando le prime notizie circolarono, si era parlato di "Confederazione dei Popolari Italiani". Ora che una struttura più compiuta c'è, il nome è leggermente diverso, Solidarietà popolare, ma il concetto è quello: concorrere a ricostituire una piattaforma culturale e sociale composta da credenti e da uomini di buona volontà che si rifanno all'insondabile patrimonio della cultura cristiana e all'etica costituzionale. 
Lo statuto è datato 28 marzo, giorno in cui si è svolta l'assemblea fondativa (teatro dell'evento, tanto per cambiare, un convento, quello di S. Sisto delle Suore Domenicane missionarie a Roma), e al momento, stando al sito - la federazione raggruppa almeno undici associazioni di area cattolica. Almeno, perché nelle prime notizie battute dalle agenzie all'epoca della fondazione i soggetti che avevano costituito la federazione stessa risultavano essere una ventina. Sul piano grafico, in realtà, il risultato è per lo meno discutibile: l'emblema, che affida l'azzurro al fondo e il tricolore alla parola "popolare" ripetuta tre volte sovrapposte in ordine sparso, non rende affatto bene; forse però si tratta di un primo tentativo, magari si potrà fare meglio. 
Nel soggetto collettivo è ben saldo il ruolo di Giovanni Fontana: dopo l'esperienza poco fortunata (soprattutto sul piano giuridico) della tentata riattivazione della Dc aveva fondato l'Associazione Democrazia cristiana e proprio da presidente di quel gruppo è stato tra coloro che hanno costituito la federazione. Proprio durante l'assemblea fondativa di marzo, Fontana è stato indicato come presidente di Solidarietà popolare: "Non si tratta della ennesima sigla di partito - aveva detto in quell'occasione Fontana - oggi iniziamo un percorso per far crescere dal basso un patto federativo di persone, di associazioni, e un domani forse anche di soggetti politici, che operi con capacità di inclusione". 
Tra i soggetti che dall'inizio erano parti del preaccordo alla base della confederazione (ufficialmente Fontana aveva dato la sua adesione, assieme tra l'altro a Luigi Baruffi dellla Federazione dei partiti democristiani, che però non risulta in alcun elenco di aderenti a Solidarietà popolare), si ritrova Rinascita popolare di Publio Fiori. L'evoluzione della Rifondazione democristiana avviata da Fiori nel 2006 non cessa di partecipare a iniziative che cerchino di riorganizzare e tenere insieme il mondo cattolico del sociale e della politica; anzi, la folla di persone disegnate nella parte inferiore del contrassegno di Sp ricorda molto quelle del contrassegno composito di Rifondazione Dc e Rp di qualche anno fa.
Tra i nomi che invece erano presenti nell'elenco iniziale, riportato dalle agenzie, più di qualcuno non è ripetuto nel sito. Si tratta a volte di sigle sconosciuti del tutto o in parte ai più (Centro Popolare Lombardo,  Accademia Gioacchino Belli, Associazione Armonia d'impresa, Bioacademy online, Fondazione Sorella natura, Presenza popolare, Ass. Difesa ammalati psichici, Associazione per il primato dei sindaci e dei cittadini, Associazione ricerca e cambiamento, Federazione Movimento Base, Azione civica umbra), ma tra queste c'è pure il Nuovo Cdu di Mario Tassone (che, per la cronaca, ha da poco modificato la forma della colomba nel suo simbolo). Non è dato sapere il motivo dell'assenza, visto che comunque ad alcune iniziative della federazione proprio Tassone risulta presente; una dimenticanza, un errore o cos'altro? 
Altri nomi c'erano a marzo e ci sono ancora: Associazione Prospettiva Avvenire, Associazione Culturale Art’s Planet, Associazione Nuovitalia, Comitato Italiano Popolo Sovrano, Identità Cristiana, Popolari Liberi e Forti, mentre si sono aggiunti Comitato per la civiltà dell'Amore e Rigenerare la Democrazia. Tra le new entry, però, bisogna considerare anche il Partito politici cristiani, "Siamo nati - spiega la presidente Carla Marri - soprattutto per dare una "casa" credibile e onesta ai cattolici sparsi nei vari partiti di sinistra e togliere loro l'appellativo anacronistico di 'cattocomunisti'". Graficamente il centro è una piccola croce rossa da cui promana la luce a raggiera su fondo blu; al di sotto, una frase evocativa, "In Te si raduneranno tutte le genti". "La frase - continua Marri - sta a significare la nostra apertura a tutte le persone di buona volontà che riconoscano nei valori cristiani le indispensabili fondamenta su cui ricostruire il tessuto del Paese". Per il momento, la strada per quelle nuove fondamenta sembra passare attraverso Solidarietà popolare: il tempo dirà di più sui risultati.

giovedì 11 giugno 2015

Quarto, simboli dei partiti fuori dalla scheda

Di partiti praticamente sulla scheda non ce n'erano, ma alla fine al ballottaggio a Quarto, comune in provincia di Napoli, sono andati la candidata del MoVimento 5 Stelle (che comunque è un emblema nazionale) Rosa Capuozzo e Gabriele Di Criscio, che il simbolo di Forza Italia non l'ha avuto dalla segreteria regionale del partito (inizialmente lo aveva chiesto pure il cugino Francesco, sempre forzista ma di un'altra corrente, e i vertici avevano preferito non creare confusione tra gli elettori.
Quello del M5S, in ogni caso, era l'unico simbolo davvero noto, visto che (Fi a parte) tutti gli altri erano stati esclusi dal Consiglio di Stato, a causa di irregolarità nelle autenticazioni delle firme (sempre loro, anomalie sempre più presenti nelle elezioni sparse per tutta l'Italia). Erano così saltate le liste di alcuni tra gli emblemi più conosciuti: Pd, Valori e diritti - Sel, Udc, Centro Democratico, Nuovo Centrodestra e Fratelli d’Italia. La stessa sorte, peraltro, l'ha condivisa anche Quartopuntozero, la lista civica legata all'associazione politico-culturale nata nel 2013 che sosteneva Francesco Dinacci con Pd, Sel, Udc e Cd: sulla lista, dunque, niente Q che riassume in sé un paesaggio stilizzato.
Se Di Criscio non ha ottenuto il contrassegno di Forza Italia, ha voluto almeno cercare di evocarlo per i suoi elettori, personalizzandolo già che c'era. E' nato così Forza Gabriele, che della bandierina creata da Cesare Priori mantiene giusto i colori e forse l'idea (anche solo dello sviluppo orizzontale, sperimentato nel 1996), ma con una resa decisamente meno soddisfacente. Il nome scritto in font Arial Black, un carattere tozzo che non si alleggerisce a dispetto del colore bianco, non aiuta ad avere una buona resa del simbolo e il rigone sempre bianco, longitudinale a metà del cerchio, ricorda francamente più un cartello stradale che un vero simbolo elettorale.
A sostegno di Di Criscio c'era anche la lista Insieme per Quarto, dalla grafica un po' più elaborata ma francamente non proprio soddisfacente. Una conformazione tricolore a due segmenti, la sagoma di un sole che irradia luce verso un trapezio bianco, che probabilmente è la stilizzazione della Fescina, ossia del monumento funebre di epoca romana che da pochi anni è stato restituito più decoroso agli abitanti. Il tutto è circondato da una corona blu con le consuete dodici stelle (bianche, ma quella vicina al sole si tinge di giallo), che in alto a destra lasciano il posto all'anno 2014, chissà perché (inutile anche solo fare supposizioni, tanto si rischierebbe di sbagliare comunque).
Resta fuori dal ballottaggio invece il contrassegno Protagonismo sociale, che sosteneva la corsa a sindaco di Luigi Rossi, avvocato e presidente del Comitato anti-discarica del Castagnaro. Un emblema che sa di antico, ma anche un po' di minaccioso: si intravede l'elsa di una spada, con tanto di nastro tricolore ad adornarla e lama luccicante che da lì si diparte. Lama che è affondata in una fessura del cerchio centrale: a dirla tutta, non si capisce se la spada sia "a riposo", infilata in una sorta di curioso fodero, o piuttosto sia affondata in qualcosa dopo avere colpito (forse però la fessura sarebbe più grande e meno fine). In ogni caso, c'era poco da stare tranquilli.
Da ultimo, completava la schiera di candidati finiti sulle schede Giovanni Santoro, sostenuto dalla lista Uniti per Quarto. C'è obiettivamente poco da dire sul suo contrassegno, anche perché dice tutto con le parole, uniche protagoniste oltre al colore rosso tendente al porpora del fondo. Non è stato comunque lui l'ultimo arrivato al primo turno del 31 maggio: il suo simbolo solo verbale ha comunque ottenuto più del 13%, lasciando Protagonismo sociale di Rossi in ultima posizione. I partiti che non sono finiti sulla scheda per mano del Consiglio di Stato, intanto, masticano amaro e - pur tentando nuovi ricorsi - dovranno rassegnarsi ad aspettare il prossimo giro.

martedì 9 giugno 2015

"Vive", la nuova strategia di Rabellino?

Continuare a scorrere la fauna elettorale che si è affacciata sulle schede dei comuni sotto i mille abitanti in Piemonte riserva sempre grandi soddisfazioni e qualche sorpresa. Capita dunque che in quattro comuni diversi come Aisone, Benevello e Treiso (in provincia di Cuneo), nonché Isolabella nel torinese, abbiano visto la partecipazione di quattro liste quasi identiche, per lo meno nella grafica: elemento dominante, il nome del comune con sotto la parola "vive", il tutto in nero, maiuscolo e font Impact; al di sopra, come recitava la descrizione, "montagne stilizzate da bandiera del Piemonte a forma di sole". Ad Aisone, oltre al segno del lambello, in fondo c'era pure la bandiera occitana.
In tre comuni su quattro, queste liste sono riuscite a raccogliere ogni volta tre consiglieri (nove in tutto, dunque), proprio per la presenza di una sola altra lista a raccogliere i consensi degli elettori: per raggiungere questi risultati, sono bastati 42 voti (il 17%) a Benevello, 31 (16,06%) a Isolabella e altri 31 (7,15%) a Treiso; ad Aisone, invece, non è bastato raccogliere il 4,32% (cioè 8 voti) per ottenere una rappresentanza in consiglio. 
Proprio il caso di Aisone, tuttavia, ci permette di dare a quest'operazione un nome e un volto. Che sono quelli di Renzo Rabellino, candidato sindaco non eletto proprio ad Aisone. Per qualcuno già questo potrebbe essere una notizia: Rabellino si candida, e non c'è una vera lista alias a sostegno suo, che imiti nella grafica il nome di qualche politico più famoso, come siamo stati abituati a vedere negli ultimi anni.
Sarebbe stato lo stesso Rabellino a giudicare ormai superate, da consegnare al passato le varie "operazioni Alias", dalla Lista Gianfranco Rosso (invece che Roberto Rosso) alla lista del Grillo parlante, con l'ultima parola con meno evidenza. Quello coniato per queste elezioni, insomma, può definire come "un simbolo di transizione": in attesa di qualcosa di più strutturale, strutturato e definito, "Vive" dimostra che può esserci spazio per un progetto politico che, oltre a guardare al futuro, possa dirsi vicino agli elettori. A questo punto, però, è legittimo essere più che curiosi sui nuovi approdi di Rabelllino: la Lista del Grillo, c'è da sospettarlo, potrebbe non avere una storia ancora lunga.

lunedì 8 giugno 2015

Campione d'Italia Bunga Bunga: l'ultimo guizzo firmato Di Nunzio

Piccolo è bello. No, lasciate stare l'economia, Schumacher (mica il pilota eh?), la piccola scala e quant'altro. Parlando di elezioni, per qualcuno un paese che all'ultimo censimento abbia registrato meno di mille abitanti è davvero bello: così si possono presentare liste alle amministrative senza raccogliere una sola firma. Se poi si corre in un comune in cui, oltre alla propria lista, ce n'è solo un'altra, si ha la quasi certezza di entrare in consiglio: se pure si perde, basta prendere un voto – almeno quello – e il proprio gruppo prende tutti i seggi non occupati dalla maggioranza. Certo, i tempi sono cambiati: fino a qualche anno fa i gettoni e i fondi di funzionamento erano più consistenti (e più facili da spendere) e faceva comodo avere qualche autenticatore in più per altre elezioni, ma c'è chi non perde la speranza e ci riprova: prima o poi la rivoluzione (o la riscossa) partirà dal basso...
E così, spulciando nei microcomuni del Piemonte – una terra foriera di grandi soddisfazioni, dal punto di vista politico-simbolico-elettorale – non si può non dedicare un bel po' di attenzione all'ultima evoluzione grafica del progetto di Marco Di Nunzio, che stavolta si chiama Campione d'Italia - Movimento Bunga Bunga. Il simbolo è spuntato almeno in due comuni del torinese, Osasio (candidato sindaco Tommaso Ciliberti) e nel più noto paese di Sestriere, in cui il potenziale primo cittadino di cognome fa Di Nunzio, ma il nome è Marcos Alexandro (il figlio, verosimilmente, essendo classe 1996). 
Nella prima località il colpetto è riuscito: sono bastati 33 voti (il 7,63%) per avere tre consiglieri su dieci; nel secondo caso, invece, di voti ne è arrivato solo uno, davvero troppo poco perché la lista di Di Nunzio Jr potesse entrare in consiglio. Eppure, a conti fatti, delle altre tre liste – Rilanciamo Sestriere, Impegno quotidiano per Sestriere e Più Sestriere – che si sono divise 507 voti su 508, difficilmente ne resta in mente una (tranne forse, a tutto concedere, il cristallo dell'Impegno quotidiano, che comunque di voti ne ha acchiappati 69).
Anche questa volta, di soldi per la campagna elettorale Di Nunzio ne ha spesi davvero pochi e, almeno in un comune, gli eletti li ha portati a casa. Meno bene è andata nei tentativi extra-piemontesi, nei comuni imperiesi di Aquila D'Arroscia e Rocchetta Nervina, in cui i candidati della lista non hanno ricevuto nemmeno un voto. 
In quei casi meno fortunati, peraltro, si è tornati indietro al 2013, con il simbolo del solo Movimento Bunga Bunga in chiave "di protesta", con l'omino che prende a calci il nemico di turno cerchiato da un tricolore e con le immancabili sei stelle, giusto per ironizzare su chi di astri ne ha uno di meno.
Sempre nel 2013, in realtà, si era tentato un primo apparentamento dei due emblemi che, secondo il pensiero di Di Nunzio, dovevano funzionare di più, Forza Juve ("a Torino prende almeno l'1,5%, se non il 2%") e Bunga Bunga: nessun riferimento berlusconiano, ma solo il desiderio – confessato candidamente – di farsi pubblicità quasi gratis. In quell'occasione il simbolo composito fu a dir poco "arrangiato", frutto essenzialmente di un rapido taglia-incolla fatto con Photoshop, senza troppa cura per i particolari grafici: a Borgomasino, a maggio del 2013, ci fecero la croce sopra in dieci (il 2,57%).
Il grande salto fu tentato l'anno dopo, alle europee, quando Di Nunzio presentò personalmente al Viminale un Forza Juve - Bunga Bunga più curato, sperando di evitare la raccolta firme grazie all'inserimento della pulce dell'Usei. I Tar e l'Ufficio elettorale esclusero le liste per motivi formali, ma già prima il Ministero aveva chiesto di far sparire ogni riferimento alla Juventus (che aveva presentato una diffida durissima) e da allora nei libretti che illustrano la presentazione delle liste si precisa che "deve considerarsi vietato anche l'uso di [...] denominazioni e/o simboli o marchi di società (anche calcistiche) senza che venga depositata apposita autorizzazione all'uso da parte della stessa società". 
Praticamente, il comma Di Nunzio, che quella volta – con l'aiuto di un singolare complice – accettò la richiesta, togliendo il nome incriminato e anche i colori, per non avere problemi. Alle regionali del Piemonte, però, il tentativo lo fece ugualmente: rimise le bande bianche e nere e, al posto di Forza Juve, scrisse Campione d'Italia, proprio come stavolta: le norme ministeriali chiedevano solo di evitare nomi e marchi e lì non ce n'erano (a parte il bianco e nero, che però non sono solo juventini), in più Campione d'Italia, prima che uno status calcistico, è un comune. Quella volta, in effetti, a sparire dal simbolo – che nuovi problemi formali esclusero dalla competizione – fu soprattutto un insidioso "Chiama Gasparino", che qualcuno avrebbe potuto confondere con l'attuale presidente della Regione.
A distanza di un anno, Di Nunzio ha affinato ancora l'idea, lasciando il Campione d'Italia dov'è e collegando a Bunga Bunga la sagoma di una testa femminile, ornata di cappello, con tanto di fiore (o di gioia) in alto. Che differenza rispetto alle sagome sfoggiate tra il 2011 e il 2012, oggetto di discussioni "dello scandalo" tra Di Nunzio e pudich* funzionar* di prefettura... A 33 persone di Osasio, evidentemente, il nuovo stile dev'essere piaciuto.