mercoledì 30 settembre 2015

Simboli fantastici (9): Partito della Non Destra e Viceversa, secondo Guzzanti

Quante volte la vulgata del qualunquismo politico ci ha consegnato espressioni del tipo "Nella politica italiana non si capisce niente" oppure "Troppi partiti, è un caos completo"? Chi potrebbe portare un minimo di chiarezza e aiutare il povero elettore italiano senza guida a farsi almeno un'idea di ciò che sarebbe arrivato in seguito? Giusto una persona venuta dal futuro potrebbe dare qualche dritta: conoscendo gli esiti, non potrebbe aiutare a cambiare il corso della storia, ma a capirci qualcosa forse sì. Qualcosa di simile l'aveva fatta Corrado Guzzanti, nell'anno di grazia 1997, nel suo spettacolo irresistibile Millenovecentonovantadieci, sorta di vetrina continua dei suoi personaggi più riusciti.
Proviamo allora a immedesimarci nei panni dell'agente Cantamaglia, impersonato da un impagabile Marco Marzocca, che si trova a fermare Giancarlo Santini, personaggio guzzantiano venuto dal futuro che chiede asilo politico perché anche dalle sue parti non c'era lavoro e non c'erano valori (considerando che era nato nel 2025, chissà cosa ci aspetta...). In quel 1997 Cantamaglia chiese lumi sulla politica del dopo-2000 (anzi, 199-10, per dare più tempo agli impreparati al passaggio di millennio), con tutte le difficoltà del caso, trattandosi di un'epoca in cui "la gente aveva smesso di occuparsi di politica, anche i giornalisti non se ne occupavano più", perché nel paese accadevano anche cose più serie (come "La Marini che aveva preso a schiaffi il ginecologo di Zeffirelli"). 
L'unico alieno che seguiva - © Livio Ricciardelli - era un "reggista de paura", ossia Rokko Smithersons, tra le migliori reincarnazioni di Guzzanti. Per lui la "supposta Seconda Repubblica" ("o, più semplicemente, 'a Supposta") non era mai nata: erano tutti armati di buone intenzioni, con l'avvento del maggioritario, cioè il sistema "d'avecce tra le palle il maggior numero de partiti possibbile!", s'era aperta "'na bella fase riformarola (...) durata anche dei lunghi quarti d'ora", senza però risultati. Dove il bipolarismo aveva fallito, per qualcuno forse era bene tornare a "due belle corenti democristiane che se spartiscono tutto", ma in realtà tutto si risolse in una svolta, quasi inimmaginabile. Pds, Popolari "e a volte Bossi" in un congresso comune uscirono del tutto trasformati, dando alla luce il Partito della Non Destra, con tanto di foglie di ulivo e oliva infilzata dal tricolore-stuzzicadenti, provocando l'inevitabile scoramento di Cantamaglia-Marzocca nel vedere "lo zeppo", che fa tanto rinfresco di fine inaugurazione, troneggiare così nel nuovo emblema politico. 
Dall'altra parte, tra Berlusconi, Fini "e a volte Bossi" la dinamica si ripropose uguale e speculare, così le "svariate tematiche" affrontate nel loro "bellissimo congresso" fecero nascere la nuova formazione e Viceversa: a rappresentarla, un forno tricolore, con fiamma altrettanto tricolore a sprigionarsi da uno dei fornelli, davanti a un Marzocca sempre più prostrato e sfiduciato.
Anche grazie a quei nuovi emblemi, la politica diventò "una beffa, una baruffa chiozzotta, un'arlecchinata", in cui era sufficiente spartirsi i temi e le cause da difendere. Questo permise di rinviare a lungo le elezioni, fino all'anno 2007, anno in cui l'appuntamento con il voto non fu più rimandabile. In quell'occasione si dovettero convocare "Gli Stati generali" e agli elettori si presentarono due schieramenti del tutto inediti: da una parte Destra e Sinistra, dall'altra Centro e Frange estreme. Delle insegne simboliche delle due coalizioni questa volta non si seppe nulla: forse erano troppo "avanti" persino per un "reggista de paura".
Mentre la storia sul palco proseguiva e, sempre dalla bocca di Smithersons-Guzzanti si scopriva che Bossi non ce l'aveva fatta a ottenere l'indipendenza di tutta la Padania, ma solo di casa sua "e di mezzo garage" (e che, per giunta, l'Italia non era riuscita nemmeno a entrare in Europa, "entrò però a EuroDisney"), per noi, spettatori del 2015, che l'anno di non troppa grazia 2007 l'abbiamo già passato e sappiamo com'è finita, non possiamo non pensare alle elezioni del 2008 (quelle vere). Le prime con il Pd, annunciato e fondato alla fine dell'anno precedente da Veltroni e con sede al loft con vista Circo Massimo (e qualcuno all'inaugurazione, c'è da giurarlo, avrà mangiato qualche oliva), senza che la nuova formazione si preoccupasse troppo di dirsi di sinistra. Un Pd che aveva provocato a cascata la nascita del Pdl, con Berlusconi e Fini uniti (per un paio di anni scarsi) in un'unica sigla di centrodestra, senza fiamme ma con il tricolore e l'azzurro. E come non vedere un accenno di "e Viceversa" nella formuletta PDL/PDmenoL, inventata da Beppe Grillo e dal suo staff qualche anno più in là? Ecco, in effetti Grillo nemmeno Guzzanti l'aveva previsto, o forse sì e ha preferito non rovinarci la sorpresa.

Grazie a Gabriele Conti per l'idea e avermi fatto ridere come un matto. Le immagini non sono quelle originali, ma sono state ricostruite da me: errori ed orrori, in questo senso, sono miei e dovrebbero bastare per far desistere eventuali aventi diritto dal pretendere royalties (al più, chiederebbero i danni).

martedì 29 settembre 2015

Quelle accuse di ri-Fondazione (immobiliare) An

Che il clima legato alla possibile "svolta politica" della Fondazione Alleanza nazionale sia decisamente teso, lo mostra la reazione che un semplice articolo di Gianfranco Fini, riportato non da un quotidiano nazionale ma dal sito della fondazione da lui guidata, Liberadestra, è riuscito a scatenare in uno dei dirigenti di Fratelli d'Italia, Andrea Delmastro (lo stesso, per la cronaca, che starebbe cercando la soluzione per togliere la parola "destra" dal nome e dal simbolo del partito di Angelino Alfano).
Cosa ha scritto di tanto dirompente Fini? Partendo dalla recente ricomparsa mediatica di Silvio Berlusconi (prima ad Atreju e poi a una manifestazione di Forza Italia, ha parlato con chiarezza), l'ex leader di An cerca di analizzare i disegni e le prossime mosse del fondatore di Fi: in poche parole, niente primarie per la guida del centrodestra (a dispetto delle idee di Salvini e della Meloni) e blocco unitario contro "Renzi e i comunisti". Questo si tradurrebbe, per Fini, in un programma dell'eventuale lista unica di centrodestra molto influenzato "dall'azionista di maggioranza della futura lista unica o coalizione", che però sarebbe Matteo Salvini: ciò porterebbe a una "cultura di governo" (fatta di "antieuropeismo alla Le Pen, innamoramento per 'Putin liberale ed autentico democratico', ammirazione per il muro anti immigrati di Orban, ruspe per i campi profughi", attacchi a tutte le riforme interne, dal Senato alla scuola) che farebbe diventare il centrodestra del futuro "il migliore alleato di Renzi, altro che Alfano o Verdini!".
Su questa base - ecco il punto "critico" - Fini non crede che "i milioni di elettori che hanno abbandonato il centrodestra", specie quelli che avevano sostenuto la svolta di Fiuggi del 1995 (intravedendo "pur con luci e ombre, la fisionomia di una destra con una credibile cultura di governo, capace di costruire e non solo di demolire") possano tornare all'ovile. E, a suo dire, "forse [...] in cuor loro lo sanno anche molti tra gli ex dirigenti ed iscritti di An che sabato e domenica prossima si riuniranno in occasione della riunione degli iscritti alla Fondazione Alleanza Nazionale. Vedremo cosa decideranno". Come dire che, secondo i calcoli di Fini, piuttosto che condannarsi ad essere amici di Renzi, gli ex An dovrebbero votare in difformità rispetto a quanto stabilito domenica all'assemblea nazionale di Fdi. Sostenendo la "mozione dei quarantenni", ad esempio.
Tanto è bastato per irritare Delmastro, che ha sentito il bisogno di scrivere una lettera a Barbadillo, in cui a Fini ("il liquidatore della Destra italiana" o il "solerte pontificatore") le canta tutte, e non solo a lui. Al di là delle sue "colpe storiche", quella attuale dell'ex leader di An è avere ricordato "a tutti l’importanza dell’appuntamento del 3-4 ottobre della Fondazione Alleanza Nazionale". Un appuntamento che, per Delmastro, "scaturisce da una mozione di c.d. quarantenni che intendono scongelare i beni della destra italiana per fare un nuovo partito di destra, ritenendo insufficiente ed inadeguato Fratelli di Italia – Alleanza Nazionale". In effetti non è proprio così, se non altro perché l'assemblea doveva tenersi entro il 2015 a prescindere dalla mozione (lo prevede lo statuto, visto che la precedente assise era datata dicembre 2013), ma tanto basta per far dire al dirigente di Fdi: "Come dire: ripartiamo dai 'valori… immobiliari'!" 

Fondazione An, i "quarantenni" scrivono agli iscritti: "Non siamo un museo, nessuno vuole portare via i soldi"

Trovarsi la strada sbarrata all'improvviso non fa piacere; se lo fa chi di fondo la pensa come te e pensi possa stare dalla tua parte, ancora meno. Era prevedibile che i primi usciti allo scoperto chiedendo un impegno più diretto della Fondazione Alleanza nazionale in politica avrebbero reagito alle uscite di chi sta opponendo a quel disegno. Dopo il voto con cui l'assemblea nazionale di Fratelli d'Italia ha impegnato gli iscritti a non sostenere nella Fondazione An progetti che paiano "duplicazioni" dell'iter che vuole trasformare Fdi nel partito che punta a unire la destra italiana, i primi firmatari della "mozione dei quarantenni" hanno scritto a tutti gli aderenti alla fondazione, con l'intento dichiarato di portare chiarezza nelle decisioni che ciascuno dovrà prendere; mi sono imbattuto nel testo della lettera, inviata ieri, e posso riportarne il contenuto in anteprima.
Il concetto di base è quello ripetuto più volte in queste settimane: "In un momento di profonda crisi di tutto il centrodestra a noi pare assurdo non impiegare, per quanto possibile e nei limiti di legge, lo strumento della Fondazione per rilanciare la tradizione politica che arriva a noi attraverso l'Msi e An, in un quadro di leale collaborazione con tutti gli altri soggetti politici che operano nel centrodestra".
I primi firmatari - Fausto Orsomarso, Sabina Bonelli (di Fratelli d'Italia), Michele Facci, Andrea Santoro, Alessandro Urzì e Gianluca Vignale - chiariscono le loro idee sulla Fondazione An. Ente che, a loro dire, "non può e non deve trasformarsi in un partito, ma come tutte le fondazioni politiche può svolgere un’attività di elaborazione e diffusione dei valori e delle tesi della Destra politica italiana". Non solo "celebrazione del passato" dunque, ma intenzione e desiderio di "svolgere un ruolo di indirizzo nello scenario politico italiano".
Precondizione di tutto questo, tuttavia, è la "democratizzazione" della fondazione, facendo eleggere il cda dell'ente dall'assemblea, "cancellando ogni criterio di autodeterminazione verticistica". I principi ricalcano la mozione che Nicola Bono e Vincenzo Zaccheo avevano presentato - a quanto pare senza successo - nella prima assemblea della Fondazione An, quella del dicembre 2013 in cui si arrivò a litigare per la concessione del simbolo di An a Fratelli d'Italia (essenzialmente perché per questa votò meno della metà degli aderenti alla fondazione, ma lo statuto della stessa si accontentava di un terzo per ritenere raggiunto il numero legale); il punto però è stato trattato solo indirettamente nella "mozione dei quarantenni", per cui è probabile che si presenti un documento ad hoc.

lunedì 28 settembre 2015

Una colomba per il Partito dell'amore e della luce

Chi sente dire "Partito dell'amore", se ha buona memoria, pensa subito a Moana Pozzi, che nel 1992 si candidò con quell'insegna al Parlamento italiano e replicò l'anno successivo alle comunali di Roma; quel partito esiste ancora, guidato dal suo demiurgo politico-ideologico, Mauro Biuzzi, ma non è di quella formazione politica che si vuole parlare oggi. Perché qualcuno, a quanto pare, non si è accontentato dell'amore, ma ha voluto aggiungere anche la luce. Che non è la "tanta luce" di Proloche, ma è il sogno di una terra migliore, appunto attraverso il Partito dell'amore e della luce. 
A quanto si può capire dal sito, la formazione (in breve, Pal) è nata nel 2012 e si tratta di un "Movimento Politico che ha come ideali la collaborazione fra uomini di buona volontà per il raggiungimento del Bene Comune, la cooperazione con il Paesi più svantaggiati, il reciproco aiuto, la fratellanza e l’armonia fra l’uomo, la natura e l’ambiente". I fondatori rivendicano come il Pal sia "organizzato democraticamente ai sensi dell’art.49 della Costituzione italiana" e sia aperto a tutte le fedi alle credenze ed alle religioni, "ispirandosi all'armonia di tutti gli uomini sotto il cielo azzurro della Ragione e nell'ascolto del proprio animo e della propria coscienza interiore".
Lo scopo è dare voce ai movimenti di coscienza sorti qua e là, che difficilmente trovano posto o si identificano nei partiti (ammesso che questi esistano ancora). Per i fondatori è colpa del fallimento di quella politica tradizionale (fatta di poltrone e stipendi e non di tensione per il Bene Comune), testimoniato dalla crisi economica in atto. Nonostante ciò, l'idea di fare il salto e costruire non solo un movimento, ma un partito è salda: "Essere un movimento di coscienza è bellissimo - si legge nel sito - ma a volte non ci si riesce ad esprimere nella gestione della cosa pubblica, del Bene Comune; è attraverso la politica che la nostra società esprime legalmente le sue preferenze su come gestire il Bene Collettivo. [...] Parliamo di 'politica' nel senso di Gestione della Cosa Pubblica, che deve corrispondere per noi, alla Gestione del Bene Comune, senza di cui non vi può essere né pace né sviluppo ma solo conflittualità ed arrogante antagonismo. Invece attraverso il Perseguimento del Bene Comune, cioè la gioia, l’armonia e la fratellanza fra i popoli (che inizia con la fratellanza fra i concittadini ed i vicini di casa) si può raggiungere una pace duratura ed uno sviluppo sociale, etico e spirituale degno della nuova era di coscienza".
Nel sito non si legge nemmeno un nome dell'organigramma attuale, ma è indicato il percorso secondo il quale il Partito dell'amore e della luce dovrebbe svilupparsi. La prima fase è la costituzione dell'associazione nazionale Pal, che dovrebbe essere fatta in ogni paese (la sede, per ora, è a Novara), con almeno 10 iscritti e statuto conforme a quello riportato nel sito. Da qui dovrebbe partire il secondo step, con la stipula di atti notarili che trasformino ufficialmente le associazioni nazionali in partiti e consentano di candidarsi alle elezioni: "Basterà che i Comitati Nazionali raccolgano un minimo di risorse per pagare i notai - si legge ancora - ed ecco che una meravigliosa rete di amore e luce sarà abilitata a funzionare come un vero e proprio Partito". L'ultima fase, quella di compimento, prevede la convocazione di assemblee generali per confrontarsi ed esprimere i candidati alle elezioni: "Questa terza fase presuppone il confronto produttivo degli obiettivi sociali, etici e politici sia internamente alle varie Sezioni Nazionali del Pal, sia fra i delegati delle Sezioni Nazionali (quindi a livello internazionale)", per creare una solidarietà diffusa e una condivisione profonda dell'idea di contribuire al Bene Comune di tutti e ciascuno.
Tutto questo dovrebbe essere rappresentato, come simbolo, da "una colomba bianca dalle ali spiegate rivolta volta verso occidente, con un ramoscello di glicine nel becco e affiancata dalle scritta in stampatello 'PARTITO DELL'AMORE E DELLA LUCE' e 'PER UNA TERRA MIGLIORE'": nemmeno nel database dell'Ufficio italiano brevetti e marchi, presso il quale la domanda di marchio è stata depositata (ancora senza alcun effetto) si trovano nomi di riferimento. Certo, dovesse finire sulle schede, il partito dovrebbe rinunciare alla scritta esterna e dovrebbe pure rifilare le ali della colomba o ridurre il disegno del volatile, perché nulla spunti dal cerchio; sarebbe tra l'altro la prima volta della font Emmett su un contrassegno elettorale (i fini appassionati della grafica politica non ne sarebbero felici). Nel sito si legge di una conferenza generale che si sarebbe svolta a Roma circa un anno e mezzo fa, ma non è dato sapere come sia andata; in ogni caso, il cammino dell'amore e della luce appare ancora piuttosto lungo...

domenica 27 settembre 2015

Fratelli d'Italia chiude ai "quarantenni": niente doppioni, la destra la uniamo noi

Prima di iniziare, una premessa o, se si vuole, una richiesta preventiva di scuse. Non si vuole trasformare questo sito nell'house organ della Fondazione Alleanza nazionale, come si potrebbe pensare scoprendo che anche questo nuovo post riguarda - anche solo indirettamente - l'assemblea che si terrà questo fine settimana; l'occasione, però, è troppo ghiotta perché non se ne parli qui, visto che la questione riunisce partiti che sopravvivono, partiti che non li vogliono scongelare, vecchi che vorrebbero tornare, nuovi che la pensano come loro e seminuovi che non lo vogliono affatto. 
Oggi, in ogni caso, è arrivata una parola chiara - anche per chi non la voleva capire - su come la pensi Fratelli d'Italia sulla "mozione dei quarantenni" e sul loro disegno di rifare An, o per lo meno un partito di destra che parta dalla Fondazione An. All'assemblea nazionale del partito, svoltasi alla fine della 18° edizione di Atreju (festa nazionale della destra italiana), sotto la presidenza di Ignazio La Russa, si è parlato certamente della linea del partito su sicurezza, valorizzazione del Sud, oppressione fiscale e tutela della famiglia, ma si è pure votato su una mozione relativa al caso "ri-Fondazione An". Il documento approvato "a larghissima maggioranza con due voti contrari" (così si legge in una nota diramata dal partito) è sostanzialmente una porta in faccia alla "mozione dei quarantenni" e a chi la sostiene: una linea che emergeva dalle più recenti parole di Giorgia Meloni, ma non era mai stata detta in modo così chiaro. 

sabato 26 settembre 2015

Fondazione An: una settimana all'assemblea e ci si attacca ancora

Il conto alla rovescia dice meno 7: a una settimana dall'apertura della seconda Assemblea dei partecipanti di diritto e degli aderenti della Fondazione Alleanza nazionale, i colpi in canna più pesanti sono già pronti. Del primo - il monito, con minaccia di ricorso ai giudici, a non toccare i soldi della fondazione per un nuovo partito, da parte di Maurizio Gasparri e degli altri ex An ora in Forza Italia - si è detto; ieri, a rincarare la dose sul piano storico e della memoria, ha pensato Raffaella Assuntina Stramandinoli, per tutti Assunta Almirante
Intervistata dal Tempo, la vedova del fondatore del Msi Giorgio Almirante ha parlato con molta durezza del percorso verso l'Assemblea del 3 e 4 ottobre, soprattutto perché si finisce per parlare di denari. "Qui - spiega - si discute di un lascito che non è dei parlamentari o dei dirigenti, ma di una intera comunità politica. I soldi della Fondazione sono il risultato della lungimiranza di Almirante che ha trasformato il partito più povero della Prima Repubblica in quello meglio attrezzato. I soldi sono dei missini e servono per le manifestazioni pubbliche".
La critica di Donna Assunta, tuttavia, punge pure sul piano politico e umano. Interrogata da Michele De Feudis sulla "mozione dei quarantenni, appoggiata da Alemanno e Menia, per rifondare An", il suo giudizio è sferzante: "Non sono capaci di fare nulla. Non sono stati capaci di amministrare le città dove governavano, come possono creare un nuovo partito? Il partito c’era, il Msi, e c’è ancora nel cuore di tanti italiani. Mentre loro pensano solo ai soldi". Soldi che, al pari della Fondazione, dovrebbero servire a "promuovere cultura e opere di bene" e a "riempire di iniziative culturali anche via della Scrofa, desolatamente vuota". 

venerdì 25 settembre 2015

Senigallia, La città futura: il nuovo simbolo lo decidi tu

L'unione, dicono i supposti ben informati - o, più semplicemente, i citatori seriali di proverbi - fa la forza; sarà, ma tra partiti a unirsi ci vuole un certo coraggio, sia perché a correre insieme si rischia spesso di litigare (per le candidature e per i soldi, ad esempio), sia perché - lo si è già scritto su queste pagine - in politica due più due fa sempre meno di quattro. Nonostante questo, però, a volte ci si mette insieme nella speranza di superare la soglia di sbarramento prevista o (quando non c'è) di portare ugualmente a casa dei seggi che diversamente non sarebbero scontati. Ecco allora che, di solito, nascono i contrassegni compositi, cioè quelli che al loro interno raccolgono gli emblemi dei partiti che hanno contribuito a fondare l'alleanza o il "cartello". E' stato così anche per La città futura, nata nel 2010 a Senigallia come laboratorio politico-culturale che ha riunito Sel, Verdi e Partito dei comunisti italiani: a distanza di cinque anni, però, le forze che l'hanno composto vogliono fare un passo ulteriore e costruire qualcosa di nuovo.
Nel paese in provincia di Ancona, in effetti, il contrassegno era apparso sulla scheda del 2010 all'interno della coalizione di centrosinistra che ha sostenuto il candidato sindaco risultato vincente già al primo turno, Maurizio Mangialardi: in quell'occasione, La città futura e il suo volatile blu, appena tratteggiato ad ali spiegate su fondo giallo, ottennero due seggi. Già allora l'emblema aveva una parvenza di tridimensionalità: i tre simboli dei partiti facevano la loro ombra - al pari del volatile e del nome della lista, purtroppo scritto in Comic Sans Serif - sul tondo giallo, che a sua volta ombreggiava il fondo bianco del cerchio che racchiudeva tutti gli elementi.
L'emblema è tornato quest'anno, al rinnovo dell'amministrazione, con Mangialardi che è stato confermato. In effetti i consiglieri si sono dimezzati, passando da 2 a 1, ma certamente il taglio del "decreto Salva Italia" alle consistenze dei consigli comunali ha fatto la sua parte: il calo dei voti, infatti, è stato contenuto rispetto ai numeri di cinque anni prima (da 1270 a 1102), specie se si considera l'affluenza alle urne decisamente inferiore. Rispetto alla tornata precedente, in effetti, una modifica grafica c'era stata: i Comunisti italiani, infatti, si erano nel frattempo trasformati nel Partito comunista d'Italia e anche il simbolo, così, è stato modificato.
Ora però, come si diceva, per chi ha creato La città futura è tempo di andare oltre. Proprio ieri, infatti, si è aperta la sesta edizione della festa della Città futura a Senigallia e, con essa, anche "il cantiere del nuovo simbolo", perché quello originario lasci spazio - si legge nel sito della lista - "ad uno nuovo che rappresenti ancora meglio quel percorso civico avviato ormai molti anni fa a Senigallia da La Città Futura". La città futura rivendica di avere sempre avuto "l’ambizione di contribuire, dal basso, a quel processo che porti, anche a livello nazionale, ad una formazione politica di sinistra e ambientalista, finalmente unitaria  e con ambizioni di governo": anche per questo, occorre un segno di discontinuità, nell'apparato (cosa che è già stata fatta) e pure nella grafica. 
Va in questa direzione l'invito, esteso a chiunque, perché presenti proposte per il nuovo emblema, durante i giorni della festa (che prevede uno spazio espositivo per mostrare ai visitatori le idee pervenute e permettere che siano valutate) o attraverso l'indirizzo lacittafuturasenigallia@gmail.com oppure presentandole durante le giornate della festa. Riusciranno aderenti e simpatizzanti della Città futura a sfornare idee valide, buone da disegnare? Gli appassionati della grafica sperano di sì.

mercoledì 23 settembre 2015

Altre scintille nella fiammella di An

Non appena la fiamma sembra rianimarsi, i suoi corni finiscono per bruciarsi tra loro. Era fin troppo facile scommettere che, dopo il parere giuridico di due civilisti che ha tracciato una possibile via per l'impegno politico diretto della Fondazione Alleanza nazionale - sia pure attraverso un nuovo movimento di destra da costituire e (magari) da finanziare - e la posizione assolutamente favorevole a quell'opzione di Prima l'Italia (il gruppo vicino a Gianni Alemanno) sarebbe intervenuto chi, negli anni, si è sempre battuto perche la Fondazione An agisse solo in ambito culturale e non finanziasse iniziative ritenute indebite, specie quando parevano volte ad avviare progetti politici che si richiamassero al partito posto in scioglimento nel 2009, magari grazie a parte del suo patrimonio.
Non stupisce, quindi, che oggi Il Tempo dia molto spazio a una nota che ha tra i firmatari Maurizio Gasparri, già personaggio di primo piano di An, rimasto nel Pdl anche dopo l'uscita del gruppo finiano e tuttora in Forza Italia; condividono con lui quello stesso percorso anche Altero MatteoIi e Marco Martinelli, le cui firme sono accanto a quella di Gasparri. Anche in questa occasione la loro idea non cambia: la discesa nell'agone politico della fondazione, in qualunque forma, sarebbe - si legge nell'articolo del Tempo scritto da Michele De Feudis - "un vulnus clamoroso", poiché contrario "ai principi fondamentali che regolano la vita delle fondazioni e quella dei partiti politici" al punto da mostrare evidenti "profili di illegittimità".
Per i tre forzisti ex An firmatari della nota, ogni possibile forma di impegno politico diretto della Fondazione An sarebbe contra legem. In effetti, il giudizio somiglia a quello dato dai privatisti
Antonino Cataudella e Giovanni Doria per quanto riguarda l'ipotesi che la fondazione agisca direttamente in politica come se fosse un partito: si dovrebbe ricordare che "la vita delle fondazioni è sottoposta al controllo costante del Ministero dell’Interno e quindi dell’Esecutivo", quando in base alla Costituzione un partito "è intrinsecamente libero di incidere sulla politica nazionale e quindi di contrastare la politica dei governi". 
Nulla di nuovo, quindi, rispetto al parere legale già visto. Il giudizio però si divarica sull'ipotesi che la Fondazione An costituisca un nuovo movimento che tenda a trasformarsi in un partito unificante di destra: i problemi, guarda caso, riguardano soprattutto l'aspetto del finanziamento. In un'ipotesi simile, infatti, per Gasparri, Matteoli e Martinelli "si potrebbe ravvisare la violazione dell’articolo 10, c. 8 del D.L. 149/2013 (limite al finanziamento dei partiti da parte di persone giuridiche) e sarebbe inevitabile ipotizzare l’illecita distrazione di risorse dal patrimonio della Fondazione". L'argomentazione, francamente, mostra qualche debolezza: innanzitutto, proprio sulla possibilità di donare a un partito start-up più di 100mila euro all'anno i due giuristi avevano sì aperto, ma con tutte le cautele del caso, precisando che quella era solo la loro opinione e non c'erano ancora riscontri pratici sul punto (quindi non ci sono certezze nemmeno per la tesi opposta); secondariamente, di illecita distrazione si potrebbe parlare - nell'ipotesi contemplata dalla nota - solo qualora la Fondazione desse oltre 100mila euro in un anno al movimento, non anche in caso di elargizioni minori ma comunque consistenti.
Se per Gasparri, Matteoli e Martinelli occorre rispettare "le ragioni inequivocabilmente deliberate dall’ultimo Congresso di Alleanza Nazionale", ossia mantenere l'attività della fondazione in un ambito solo culturale, paventando il ricorso "alle autorità competenti" in caso di comportamenti diversi, altri soggetti hanno idee naturalmente diverse. C'è chi, come Fabio Sabbatani Schiuma, del movimento Riva Destra, bolla come anacronistica la "nostalgia di un partito che non celebrava congressi, dove regnava il pensiero unico del suo leader" (pur ammettendo la necessità di "un progetto credibile a destra, di nuova classe dirigente"), ma è ben diversa la reazione di chi l'impegno politico della Fondazione Alleanza nazionale lo vuole eccome: a queste persone, manco a dirlo, le parole degli ex compagni di strada ora finiti in Forza Italia non sono piaciute per niente.
Così, il portavoce di Prima l'Italia Marco Cerreto bolla come "minaccia di pessimo gusto" il paventato ricorso all'autorità competente qualora l'assemblea della Fondazione An dia il via libera alla "mozione dei quarantenni": "Da chi ha legittimamente deciso di abbandonare la destra per entrare in Forza Italia mi aspetterei quantomeno l'astensione da certe dichiarazioni; chi ha a cuore le sorti del centrodestra non potrebbe che gioire del rafforzamento della destra". Da registrare anche l'intervento di Francesco Biava, vicepresidente della fondazione che non ha mai fatto mistero di gradire il ritorno di An o di qualcosa di simile: dopo aver ricordato che a giugno la consulenza ai giuristi è stata data all'unanimtà dal cda (anche coi voti di Gasparri, Martinelli e Matteoli), Biava nota che i dubbi legati alla questione finanziaria possono essere approfonditi, ma non possono mettere in discussione il potenziale intervento in politica della Fondazione An; per lui, più che della minaccia "aprioristica, oltre che totalmente infondata" del ricorso in procura ("appare come un atto intimidatorio che colpisce inutilmente l'immagine della Fondazione") c'è bisogno che gli aderenti alla fondazione votino sulla "mozione dei quarantenni" liberamente, responsabilmente e "senza sottostare a nessuna forma di minaccia e condizionamento". Se già ora sono partiti i lampi, cos'altro potrà succedere, nei prossimi dieci giorni?

martedì 22 settembre 2015

Fondazione An, tra pareri e nuovi appelli

Di giorni ormai ne mancano solo 11: per il 3 e il 4 ottobre è stata confermata la seconda assemblea dei partecipanti di diritto e degli aderenti della Fondazione Alleanza Nazionale. L'evento si terrà a Roma, all'hotel Midas (lo stesso, per gli appassionati della storia politica, del congresso socialista del 1976 che elesse Craxi alla segreteria del Psi) e quasi tutto è pronto per la più importante occasione di discussione della destra politica in Italia. 
In realtà ci sarebbe già un piccolo "giallo" sull'ordine del giorno della seduta: se nell'avviso di convocazione dell'assemblea pubblicato nel sito della fondazione a fine giugno erano indicati quattro punti da trattare, il secondo dei quali era "Utilizzo del simbolo", nell'ordine del giorno definitivo ogni riferimento all'impiego del contrassegno è stato rimosso. Non è dato sapere il motivo di questa scelta, anche perché la questione simbolica dovrà essere comunque affrontata: la concessione del fregio a Fratelli d'Italia è ampiamente scaduta ed è stata già rinnovata una volta dal consiglio di amministrazione della fondazione; in più, il presidente Franco Mugnai aveva identificato espressamente la nuova assemblea come sede titolata a esprimersi sull'uso dell'emblema. 


Il parere giuridico sul futuro della Fondazione

Al di là del simbolo, la partita più delicata riguarda inevitabilmente il futuro politico-operativo della Fondazione An: si parla da tempo della "mozione dei quarantenni" (pienamente sostenuta da Prima l'Italia, vicina a Gianni Alemanno) che vorrebbe un impegno non solo culturale dell'ente, anche attraverso il sostegno a un nuovo soggetto politico. Per arrivare preparata all'appuntamento del 3-4 ottobre, la fondazione ha interpellato due giuristi, Antonino Cataudella (emerito di diritto civile alla Sapienza di Roma) e Giovanni Doria (ordinario di diritto privato a Tor Vergata), ponendo due domande: "La Fondazione An deve svolgere solo un ruolo 'statico' sul piano della conservazione dell'ideologia di destra, oppure può svolgere un'attività di proposta politica?" e, ove la seconda opzione sia corretta, "con quali tra i comuni modelli di proposta politica la Fondazione An può svolgere quell'attività?"

Un simbolo che fa il "vuoto"? Impossibile...

E se, per assurdo, invece che lambiccarsi il cervello su come riempire lo spazio che la legge attribuisce a ogni contrassegno elettorale, qualcuno volesse fare letteralmente il vuoto? Può sembrare anche assurdo, ma in un momento in cui gli spazi bianchi nel marchio politico spaventano i più, tant'è che si cerca di ridurli il più possibile (con scritte, sfumature di sfondo, disegni di vario tipo), a qualche leader politico o qualche militante rivoluzionario - per questi tempi - potrebbe forse venire voglia di andare controcorrente, lasciando il tondo completamente spoglio. 
La scelta potrebbe nascondere i motivi più diversi: rappresentare il nulla, provocare elettori e funzionari del Viminale o, semplicemente, evitare di scervellarsi troppo per poi magari partorire un emblema orribile a vedersi. Che poi, volendo, anche il simbolo vuoto potrebbe acquisire un valore distintivo: la copertina tutta bianca del Giovane Holden, voluta così dall'autore J.D. Salinger perché la gente comprasse il libro per il contenuto e non per l'illustrazione in fronte, nel tempo è diventata un punto fermo (anche in Italia, grazie a Einaudi) e in tanti sono in grado di riconoscerla. 
Pigri, provocatori e originali, però, dovranno mettersi l'anima in pace: qualcuno ha già provato a suo tempo la via del vuoto e gli è stato detto picche. Bisogna tornare con la mente alle elezioni politiche del 1992, ultime della Prima Repubblica (prima che su Dc, Psi, Psdi, Pli e Pri calasse il sipario) e le prime in cui era possibile depositare simboli a colori. In quell'occasione, qualcuno tentò di presentare il simbolo del Pci, che già da un anno riposava - in miniatura, ma visibile - sotto la quercia del Partito democratico della sinistra. Ci provò, con l'idea di utilizzare l'emblema solo in Toscana, il Pci di Massa, quello che la Repubblica chiamò "un gruppo di dissidenti di Rifondazione comunista", guidati da tale Angelo Gatti come segretario.
Manco a dirlo, il Ministero dell'interno chiese al gruppo di sostituire l'emblema perché confondibile con quello del Pds, così i depositanti tentarono di aggirare il problema, presentando "una circonferenza nera racchiudente uno spazio interamente bianco". Per i funzionari del Viminale, però, la contestazione riguardava, oltre al simbolo, anche l'uso della dicitura "Partito comunista italiano" nel nome del gruppo (che pure non sarebbe apparso sulle schede), dunque fu chiesto di sostituire anche il nuovo emblema. A quel punto, Gatti scelse di opporsi alla richiesta: per lui quella non era più una contestazione sul simbolo, ma l'idea stessa che un gruppo potesse darsi come nome quello del Pci, proprio per contestare la legittimità del suo "scioglimento" (anche se - lo sappiamo - non di scioglimento si è trattato, ma di semplice e regolare cambio di nome in sede congressuale).
Anche per i magistrati dell'Ufficio elettorale centrale nazionale, però, il nuovo emblema vuoto non andava bene, ma il nome invisibile sulla scheda non c'entrava. Il fatto era che il simbolo sostitutivo, "limitato com'è ad un semplice segno grafico non accompagnato da indicazioni ulteriori, simboliche o denominative, circa la sua paternità ed il gruppo politico di riferimento, risulta del tutto privo di attitudine individualizzante: necessaria, questa, per orientare le scelte degli elettori, in funzione delle quali il 'contrassegno' (proprio perché deputato a 'contrassegnare', ossia ad individuare il dato cui si intende riferirlo) è prescritto". 
Morale, un simbolo vuoto non si capisce di chi è e, mettendo la croce, non si comprende chi si sta votando, per cui mancano del tutto i requisiti minimi perché lo si possa considerare un "contrassegno". L'emblema dei comunisti massesi, dunque, fu definitivamente ricusato, anche se ne parlarono in pochi: da allora, però, è certo che il cerchio, per finire sulla scheda, non può essere vuoto.

lunedì 21 settembre 2015

E se Salvini sciogliesse la Lega Nord?

Sempre più incerto il destino politico del centrodestra, a quanto pare. Non occorre un fine analista per capire che, se per anni la forza principale di quell'area è stata Forza Italia (sostituita dal Pdl nel breve periodo in cui quella sigla ha operato), ora il potere di traino è nelle mani della Lega Nord guidata da Matteo Salvini. Se questo è vero, però, non è per forza detto che il partito continui a operare nella stessa forma e con le stesse insegne. L'impressione si ha leggendo i risultati di una ricerca svolta per Libero da Arnaldo Ferrari Nasi, attraverso il suo istituto (FN&A). 
Il sociologo parte da un numero pesante, una sorta di zavorra per il futuro: "Sono circa 21.000.000 gli elettori che in caso di voto difficilmente potrebbero scegliere il simbolo che fu di Bossi". Il dato sarebbe abbastanza problematico, specie se combinato alla quota ampia di indecisi rilevata dai sondaggi (praticamente uno su due): in quelle condizioni, "il marchio della vecchia Lega sarebbe un perfetto tema nella campagna degli avversari e da quel 15% cui è accreditato oggi, pur in alleanza, difficilmente supererebbe la corazzata Renzi".
Come fare allora a puntare al governo, senza accontentarsi del ruolo (blasonato ma poco incisivo) di leader indiscusso dell'opposizione, sullo stile del vecchio Pci? La soluzione, per FN&A, potrebbe essere che Salvini tenti "il colpo di mano, ora che è forte, che nell'area non ha avversari ad impensierirlo". Cosa significherebbe? "Sciogliere la Lega e rifondarla in un nuovo partito, nazionale, che segnerebbe la discontinuità con la politica secessionista del passato ed accogliere nella nuova casa quella gran parte di centrodestra in attesa di ricollocazione". 
Idea dirompente, certo, ma avrebbe un futuro? Secondo Ferrari Nasi, "la maggior parte di chi oggi vota Lega non è in disaccordo, quasi due su tre, ma un consistente 34% non rinuncerebbe allo storico simbolo". Il che vorrebbe dire che, dei 5,5 milioni di voti che la Lega di Salvini prenderebbe se andasse alle elezioni ora, lo scioglimento del partito e la rinuncia ad Alberto da Giussano comporterebbe un'emorragia di quasi 2 milioni di voti. Il sociologo tuttavia è altrettanto convinto che la nuova formazione di Salvini potrebbe pescare in un bacino molto ampio: "Il centrodestra non padano, pur escludendo quelli di Lega e anche Fdi, vale circa oltre 5 milioni di voti; gli indecisi, non padani e non di centrodestra (già conteggiati prima), ne valgono quasi quattro: in tutto circa 9 milioni di voti, oltre ai 3,5 milioni leghisti rimanenti".
Insomma, par di capire, sciogliere il partito e farne uno nuovo potrebbe essere un affare per Salvini e potrebbe essere un modo per ricostruire il centrodestra. Difficilmente forzisti e fratelli (d'Italia) ne sarebbero pienamente felici, ma lo scenario non è impossibile; difficile, però, che dal cilindro salviniano spunti un altro emblema efficace come l'Alberto da Giussano scelto nel 1982 da Bossi per la Lega (Lombarda prima, Nord poi).

sabato 19 settembre 2015

Fare Città a Campi Bisenzio, in grande anticipo sulle elezioni

Quanto dura o può durare l'incubazione di un simbolo e, in seguito, il percorso perché questo si affermi? Di Forza Italia, per dire, gli italiani hanno saputo ufficialmente il 26 gennaio 1994, giusto due mesi prima delle elezioni politiche, ma l'associazione Forza Italia era già nata a giugno del 1993 e il simbolo della bandierina, molto simile a quello oggi noto, era già pronto a settembre di quello stesso anno. Mario Monti aveva divulgato il suo simbolo alla fine di dicembre del 2013 per le elezioni di febbraio, lo stesso periodo in cui Antonio Ingroia aveva scoperto l'emblema di Rivoluzione civile. Negli ultimi anni, dunque, è capitato di frequente che fossero sottoposti alla prova delle urne contrassegni nati da poche settimane o, al più, da pochi mesi: lo stesso Pd ebbe il suo simbolo disegnato a novembre del 2007, cinque mesi prima del voto.
Qualcuno, però, sembra andare in controtendenza e, anche se tra il concepimento di un emblema e il suo uso elettorale possono trascorrere anni, vuole forse avere il tempo di far mettere radici alle proprie insegne. Sembra il caso di Adriano Chini, sindaco di Campi Bisenzio - comune della città metropolitana fiorentina - dal 1990 al 2004 e ancora dal 2007 al 2013. A conti fatti e salvo sorprese (leggi: elezioni anticipate), in quella località si dovrebbe votare per il nuovo sindaco solo nel 2018, eppure già da ora sta circolando il simbolo di un'associazione nascitura concepita da Chini, Fare Città, che potrebbe essere l'anticipazione di un contrassegno elettorale (la forma tonda invita a pensarlo), o anche solo un primo passo verso un altro soggetto politico locale più complesso.
E' lo stesso Chini a far sapere che l'associazione sarà registrata solo a gennaio del 2016, così come precisa che Fare città sarà "un’associazione politico culturale che avrà l’obiettivo di arrivare alle elezioni del 2018", e comunque con un candidato sindaco diverso da lui, ancora da individuare. Avere un obiettivo a lungo termine, comunque, non ha suggerito a Chini di tenere coperto il contrassegno, che anzi sembra sia stato presentato per renderlo via via emblema di una realtà presente e in formazione. L'analisi la fa Antonio Passanese per il Corriere Fiorentino: nel cerchio, carminio-terra sfumato, si vede "lo skyline degli edifici simbolici di Campi: la chiesa dell’autostrada, la Rocca Strozzi, il campanile della pieve di Santo Stefano, il teatro Dante Carlo Monni e il fiume Bisenzio", quest'ultimo adattato a freccia curvilinea, quasi a voler sottolineare la necessità di andare avanti, pur se in modo non lineare. 
L'idea dei promotori è "ricreare quel dibattito che ora manca su cose locali e nazionali", parlando del progetto dell'aeroporto, attaccando il sindaco in carica (Emiliano Fossi, Pd) e il rieletto presidente della regione, Enrico Rossi. Per animare quel dibattito, comunque, c'è tempo, anche due anni e mezzo se l'amministrazione della città regge: spazi per "Fare Città", dunque, ce ne saranno parecchi.

venerdì 18 settembre 2015

L'Unirenzità: "Like e Martello per schiacciare i gufi"

Like e Martello (da L'Unirenzità - FB)
Perché domandarsi solo qual è il simbolo più votato di sempre e non provare, ad esempio, a chiedersi quale sia stato il più parodiato, piegato a qualunque scopo di taroccamento? Se nelle urne per anni la parte del leone l'ha fatta lo scudo crociato democristiano, probabilmente nella classifica delle parodie il primo posto è saldamente nelle impugnature della falce e del martello, segno prima socialista (solo regnante Craxi il segno fu tolto dall'emblema del Psi) che comunista.
Spesso non c'è stato nemmeno bisogno di utilizzare la grafica, nel senso che è bastato lavorare sul nome degli "arnesi" per sfornare nomignoli e titoli buoni per i libri. In principio, per dire, fu "calce e martello", per indicare vuoi l'edificazione di qualche fabbricato molto marxista, vuoi - e più facilmente - le famiglie di costruttori vicine al Pci (si legga, ad esempio, alla voce "Marchini" a Roma); in seguito ci avrebbe giocato Bernardo Caprotti, scrivendo il suo libro Falce e martello per raccontare la storia della grande distribuzione e drammatizzare lo scontro con i maggiori concorrenti commerciali (a partire dalla Coop). Tra gli ultimi casi, va ricordato almeno il bel libro di Anna Tonelli Falce e tortello, racconto ben fatto della storia politico-social-musical-mangereccia delle Feste dell'Unità, uscito per Laterza quando gran parte delle feste del Pd si chiamavano ormai Feste democratiche. 
L'ultima interpretazione del segno marxista-laborista, ironia della sorte, viene proprio da una sorta di spin off satirico del quotidiano che fu di Gramsci (la cui testata è da poco tornata in edicola per opera del Pd di Renzi). E' stata L'Unirenzità - "quotidiano sfondato da Matteo Renzi nel 2015", si legge nel sito - a pubblicare sulla sua pagina Facebook l'immagine rielaborata della coppia falce-martello, ossia Like e Martello, "il nuovo logo renziano". La falce è al suo posto solito; a reggere la testa del martello, invece, è il pollice della mano (per l'occasione virata dal blu al rosso) che nell'era Facebook incarna l'idea del gradimento. Impossibile, vedendo il simbolo reinterpretato in Renzie style, soffocare la tentazione di saperne di più e di fare qualche domanda alla redazione. A dare risposte rigorosamente "concordate e fedeli allo storytelling" ci si mette per intero "l'Apparato dei pubblicisti ed il Comitato Centrale di Redazione", con tutte le maiuscole a esprimere il peso dell'auctoritas
Come è nata, dunque, l'idea di taroccare falce e martello? "Da quando il nostro luminoso Premier - spiega la velina collettiva - ha deciso di cambiare verso al Paese e rinnovarlo con le Riforme ci è sembrato doveroso apportare il nostro contributo riformando quello che è stato per decenni il simbolo della 'sinistra comunista' (scusi la volgarità) italiana legata all'800."
In qualche modo l'invenzione grafica ha fatto breccia, visto che si è conquistata circa 500 "mi piace" (fino alle 23, dopo un giorno di pubblicazione); a qualcuno in effetti l'immagine non è piaciuta, ma altri - renziani compresi - si sono fatti sonore risate. In effetti, a voler essere pignoli al massimo, sembra strano avere chiamato il simbolo "Like e Martello", quando è proprio l'arnese ad avere lasciato il posto al ditone likoso. Anche per questo, però, la risposta è pronta e stampata: "Lo storytelling del Premier è poesia, quindi la metrica e la ritmica dei comunicati, dei titoli, dei tweet sono fondamentali. Falce e pollicione sembrava la trattoria di Bersani che beveva la sua birra solitaria". 
Sarà pure vero, quanto a impatto di storytelling (ammesso che gli italiani abbiano capito davvero cosa diavolo sia), eppure non può non colpire questa trasformazione del martello, strumento del lavoro manuale, in un gesto che rimanda più a Fonzie che al sudore e all'energia del lavoro. "In realtà il martello per noi rappresenta lo strumento con cui schiacciare i gufi parassiti della minoranza Pd. - tengono a precisare dalla redazione - Purtroppo un certo savoir faire ci impedisce di essere violenti quindi abbiamo metaforizzato questo smartellamento nei loro confronti con il Like. Non certo come un segno di ottimismo e distensione, ma semplicemente come l'affermazione numerica del consenso di cui i nostri post al vetriolo godono per distruggere mediaticamente i nostri avversari interni."
In questo disegno di distruzione interna - chissà come ci sta bene, nella stagione dell'attuazione dell'art. 49 della Costituzione sulla democrazia interna ai partiti - viene allora spontaneo chiederselo: chi verrebbe davvero rappresentato dal "nuovo" simbolo? Ed, eventualmente, a voler cambiare il nome del partito per marcare il mutamento dei tempi, quale potrebbe essere un nuovo nome? La domanda l'ho fatta, ma me ne sono immediatamente pentito, per l'ovvietà della risposta. Che, puntuale, è arrivata a corroborare il timore: "Non capiamo la domanda. E' scritto infatti, 'Non avrai altro Premier al di fuori di Renzi'. Sul nome del Partito la questione è irrilevante. Lo sanno tutti che è soltanto il Partito di Renzi". L'Unirenzità voglia allora accettare il perdono dello scrivente, che non ha saputo ricondurre nome, simbolo e partito a chi davvero lo incarna: #sischerza ovviamente, è #lavoltabuona per farlo...

giovedì 17 settembre 2015

I Repubblicani di Berlusconi: quattro mesi più lontani che mai

Diciamo la verità: la sfera di cristallo non c'era nessuno  e, al momento, non c'è una sola persona che posso dire con certezza quale sarà il quadro politico italiano anche solo tra una manciata di mesi. Il cammino della riforma costituzionale non è ancora del tutto definito, c'è chi chiede con una certa insistenza - lo si è visto ieri - una modifica sostanziale dell'Italicum, ripristinando il premio di maggioranza alla coalizione più votata (questione determinante per delineare lo scacchiere politico del futuro) e in più di un partito le acque sono decisamente mosse. 
Il discorso vale per il Pd del presidente del Consiglio Renzi, alle prese con la conta interna della minoranza dem; vale per Ncd del suo vice Alfano, da molti dato come prossimo alla rottura tra fedeli a Renzi e nostalgici di Berlusconi; vale per Scelta civica, in procinto di cambiare nome e simbolo. E poi c'è Possibile di Civati, pronto a fare il suo esordio elettorale; ci sono l'Udc e Forza Italia, dei quali è difficile dire se continueranno ad esistere così come sono o se conosceranno cambiamenti di qualche peso; la Lega Nord di Salvini continuerà a giocare innanzitutto in nome proprio, per aumentare il proprio consenso (e chissà se continuerà la strada di una sigla analoga per il sud), ma non disdegnerà un accordo con le forze di centrodestra all'opposizione, purché fondato su presupposti chiari condivisi. Si potrebbe essere certi giusto del MoVimento 5 Stelle: certamente esisterà ancora, più difficile dire con quali numeri.
E allora ammettiamolo: quanto sembrano (e sono) lontani quei giorni di maggio, in cui Silvio Berlusconi sembrava mettere in scena il suo ennesimo ritorno, mettendo in campo - dopo Forza Italia, i Poli, la Casa delle libertà, il Popolo della libertà e il ripescaggio del tricolore forzista - il Partito repubblicano, o Repubblicani italiani, a seconda dei momenti. In fondo ci avevamo creduto un po' tutti almeno un tantino: varie cose permettevano di farlo, a partire dal richiamo ai repubblicani americani già dell'amico George W. Bush. 
C'era l'idea di un contenitore ampio e non troppo connotato, che potesse riunire (anche nell'ottica dell'Italicum che proprio in quei giorni diventava legge) sotto un'unica insegna tutte le formazioni del centrodestra; c'era persino un'idea di simbolo, che ha conosciuto un'evoluzione nel tempo. Se all'inizio Affari italiani aveva mostrato un cerchio molto schematico e "povero", coi quattro colori nazionali sviluppati in senso strettamente geometrico, nei giorni successivi il sito Freedom24 aveva divulgato un'ipotesi grafica più elaborata, che ricalcava nella struttura il contrassegno elaborato nel 2001 per la Casa delle libertà: stesso segmento tricolore inferiore a base ondulata, bianco quasi del tutto bandito, scritte blu su fondo azzurrino, con una "mezzaluna" superiore sfumata, manco fosse stata fatta per il Nuovo centrodestra. Un impatto grafico da spilletta americana, verrebbe da dire.
Come è noto, tuttavia, di quel simbolo si è persa ogni traccia, così come del progetto repubblicano di Berlusconi, che ha accennato ad altre idee di rinnovamento radicale, mentre altri hanno cercato piuttosto di dare forma a una Lega Italia in cui potessero sentirsi a casa forzisti e leghisti (ci ha pensato Carlo Taormina, avvocato ed ex parlamentare di Fi, a rovinare la festa, ricordando che la Lega Italia lui l'aveva già fatta da anni). Così, mentre ci si affanna a predire il futuro e immaginare gli scenari politici che verranno,  è molto più facile etichettare chi era sicuro del lancio dell'affermazione dei repubblicani in salsa berlusconiana - non quelli di Nucara, naturalmente - come veggente da strapazzo. Anche se ciò, inevitabilmente, significa che da strapazzo siamo stati un po' tutti.

Premio alla lista o alla coalizione? Per i simboli cambia tutto...

La fila davanti al Viminale nel 2013 (da Lettera43)
Mentre il cammino delle riforme costituzionali procede a tamburo battente (con buona pace dell'art. 72 della Costituzione), si fa strada nel dibattito un punto tutto meno che secondario, relativo alla legge elettorale e che potrebbe facilmente avere riflessi anche sul piano simboli. Anche se sono passati solo quattro mesi abbondanti dall’effettiva nascita dell’Italicum – per gli esperti, legge 6 maggio 2015, n. 52 – c'è già più di qualcuno che vorrebbe mandare in pensione un "dettaglio" del nuovo sistema elettorale con cui si dovrebbe votare per la sola Camera dei deputati da luglio dell’anno prossimo: si tratta del premio di maggioranza alla lista, che per alcuni dovrebbe trasformarsi di nuovo in premio alla coalizione/lista singola più votata.
All'inizio lo chiedeva essenzialmente Forza Italia e non è difficile capire perché. Nelle condizioni attuali, infatti, correndo da solo il partito fondato da Silvio Berlusconi arriverebbe (almeno) terzo e resterebbe fuori dal ballottaggio; un'alleanza con la Lega Nord potrebbe dare risultati migliori, ma metterebbe a rischio la leadership di Berlusconi e di Fi, binomio che dal 1994 ha sempre guidato il centrodestra. Ora invece la stessa richiesta arriva da alcuni partiti di maggioranza, sia pure con uno scopo almeno in parte diverso: quello di non sparire dalla scena, di non rischiare l’irrilevanza. Cesa (Udc) vuole il ritorno alle coalizioni perché l’area cattolica continui a essere rappresentata, senza essere schiacciata tra due listoni di centrodestra e centrosinistra; Quagliariello (Nuovo centrodestra) lo chiede per il rispetto dell’identità, poiché gli elettori di Ncd non sarebbero a loro agio in un centrodestra a trazione salviniana o in un Pd che Renzi ha portato nel Partito socialista europeo.
Tutti i partiti minori, poi, sanno bene che - se la riforma costituzionale entrasse in vigore così com'è ora - con il Senato non più a elezione diretta, solo la lista che vincesse il premio di maggioranza avrebbe un numero di eletti simile a quello che potrebbe ottenere a Montecitorio e a Palazzo Madama vincendo ora le elezioni; tutte le altre formazioni vedrebbero le loro compagini parlamentari decimate e questo varrebbe soprattutto per i partiti minori, potenzialmente alleati della lista più votata, che non godrebbero più del "bonus" dei seggi del premio. Il che significa contare di meno, certamente, ma anche avere meno soldi per la gestione dei gruppi e per pagare il personale (magari "distaccato" dal partito), cosa che oggi pesa tantissimo, anche se in pochi ne parlano.
Se però l'idea del premio di coalizione piace a buona parte della minoranza dem, Matteo Renzi non ci pensa nemmeno: per lui - che ha suggerito la modifica dell'Italicum in questo senso - il premio alla lista è un elemento essenziale per sapere con certezza chi ha vinto la sera stessa delle elezioni, come pure per dare stabilità alla maggioranza uscita dalle urne, cancellando i ricatti degli alleati (che, al più, potrebbero entrare nei "listoni", ma alle condizioni degli "azionisti di maggioranza"). 
Il premio alla coalizione, del resto, non è mai piaciuto neanche a una forza che mai farebbe parte di una coalizione, ossia al MoVimento 5 Stelle: per il suo esperto di questioni elettorali, Danilo Toninelli, l'importante è che "ci sia un vincitore ma non si porti dietro un’ammucchiata di partiti": la scottatura rimediata nel 2013 - quando quelle del M5S erano state le liste più votate in Italia, ma la vittoria era andata alla coalizione di centrosinistra, scioltasi dopo poche settimane con il passaggio di Sel all'opposizione - fa ancora decisamente male.
Altro che “dettaglio” o “piccola modifica” dell'Italicum, come la chiama Quagliariello: trasformare il premio alla lista in premio alla coalizione cambierebbe completamente le carte in tavola (dando, tra l'altro, maggiori margini di miglioramento al centrodestra). Di certo, il primo effetto combinato dell'Italicum e delle nuove norme sui partiti che il Pd ha proposto alcuni mesi fa alle Camere si vedrebbe già al primo atto del procedimento preparatorio alle elezioni politiche: la fila per il deposito dei simboli al Ministero dell'interno. La fila di persone davanti al Viminale, sempre consistente negli ultimi trent'anni, si sfoltirebbe di molto, per almeno due ragioni. 
Da una parte, tutti i soggetti che non avessero ottenuto l'iscrizione al Registro dei partiti politici sarebbero disincentivati a depositare il loro contrassegno, che potrebbe essere dichiarato senza effetti; dall'altra, la corsa al voler presentare i "listoni" (e al tentare di superare le soglie di sbarramento) spingerebbe vari partiti e gruppi ad allearsi tra loro, magari dando luogo a simboli compositi, in numero decisamente minore rispetto a quello dei simboli visti negli ultimi anni alle elezioni. Anche il rito della "fila per la democrazia", insomma, potrebbe vivere i suoi ultimi anni di fulgore. Qualcuno, c'è da scommetterci, lo ricorderà con nostalgia.

martedì 15 settembre 2015

Da Scelta civica a Cittadini, sempre "per l'Italia"

La notizia non arriva del tutto nuova, in fondo se ne parlava - almeno - dalla metà di luglio, ma ora l'annuncio è ufficiale: Scelta civica presto avrà un nuovo nome e un nuovo simbolo. Il primo, in realtà, si sa già: il segretario Enrico Zanetti ha annunciato in una conferenza stampa che alle elezioni del prossimo anno (solo quelle amministrative, a meno di qualche sorpresa politicamente rilevante) si presenterà il soggetto politico Cittadini per l'Italia. Per conoscere il nuovo contrassegno della forza politica varata tra il 2012 e il 2013 da Mario Monti, invece, bisognerà attendere la Festa Civica, in programma il 26 e il 27 settembre a Salerno.
Il nome, in qualche maniera, rappresenta una continuità con le proposte che a luglio si potevano intuire dalle dichiarazioni dello stesso Zanetti: in quell'occasione lui aveva parlato di Movimento Civico Nazionale, di Partito dei Cittadini Italiani e di Stagione Civica, cercando di far emergere soprattutto il carattere locale e territoriale dell'impegno che si vorrà dimostrare nel 2016. 
Le priorità nei programmi sono innanzitutto politico-organizzative: "Prima avevamo una fortissima leadership e tutto ruotava intorno ad essa - ha spiegato Zanetti - ora vogliamo che tutto ruoti intorno agli italiani". Non fa mistero il segretario di Scelta civica, assieme al deputato Mariano Rabino, sulla collocazione del soggetto politico che verrà, parlando di "cambio di passo in cui larghe fasce del centrodestra moderato possono riconoscersi" e di una formazione che "si collocherà a destra del Pd ma a sinistra del forzaleghismo": dire "al centro" sarebbe stato troppo difficile o, forse, leggermente demodé? 
Considerazioni sulle mode a parte, per Zanetti quello di Cittadini per l'Italia sarà uno "spazio politico libero e praticabile, senza avere intere legioni di figure che dal passato vorrebbero occupare anche il futuro". Di certo, però, a garantire questo non bastano un nuovo nome e un nuovo simbolo: saranno i fatti a parlare.

domenica 13 settembre 2015

An, ricomporre la diaspora col simbolo di vent'anni fa?

Venti giorni all'assemblea della Fondazione Alleanza nazionale e le dichiarazioni in proposito aumentano: vale la pena leggere, ad esempio, l'intervista rilasciata da Gianni Alemanno al Giornale d'Italia e uscita l'altro ieri, in cui è ritornato anche sulla questione del sondaggio interno a Fratelli d'Italia, di cui lui è ancora parte, benché si sia autosospeso dall’Ufficio di Presidenza dopo aver ricevuto l’avviso di garanzia per “Mafia Capitale” ("Da quel momento - nota nell'intervista - nessuno del vertice di Fdi, fatta eccezione per Ignazio La Russa e Edmondo Cirielli, si è più fatto sentire").
Se al momento Alemanno dice di non potere non sostenere "l'unico partito che, fino ad oggi, si richiama ai valori della destra nazionale", resta "in attesa di capire quale sarà l’atteggiamento di Fratelli d’Italia di fronte al progetto di una grande aggregazione a destra che si avvalga anche delle potenzialità offerte" dalla Fondazione An. Certamente il sondaggio di Fdi non gli è piaciuto, al punto da bollarlo senza appello come "un'iniziativa strumentale che non poteva dare risultati diversi, [...] un sondaggio 'fatto in casa' senza nessun controllo oggettivo sui risultati", nemmeno sottoposto a vari iscritti e dirigenti di Fdi vicini a lui e comunque con domande formulate in modo da sollecitare le risposte "solo dei militanti più convinti dell’esperienza di Fdi".
Al giornalista che gli chiede se appoggiarsi alla fondazione per rifondare la destra non sembri "un’idea che puzza di vecchio", Alemanno rivendica come la mozione che vorrebbe rilanciare l'azione politica a destra sotto le insegne della Fondazione An abbia come primi firmatari "sei 'quarantenni' impegnati in politica in diversi partiti del centrodestra": è questo il segno che la diaspora di quell'area politica va ricomposta "non tanto con le vecchie glorie di An, quanto con migliaia di giovani consiglieri comunali e regionali che, pur sentendosi di destra, oggi preferiscono rimanere 'ospiti' in altri partiti". Fin qui, tuttavia, Fratelli d'Italia avrebbe mostrato "un atteggiamento di chiusura aprioristica" che Alemanno ritiene "incomprensibile se non alla luce di piccole paure sugli spazi futuri per candidature e quant'altro".
Una risposta indiretta allo stesso Alemanno - che si chiede se il progetto di rifare An o qualcosa di simile interesserà "solo a quattro ferri vecchi" o riuscirà a far emergere la "destra sommersa" da milioni di voti - sembra darla il consigliere regionale toscano di Fratelli d'Italia Giovanni Donzelli: per lui "la destra deve avere un ruolo di forte rinnovamento, non si può basare su uomini e simboli del 1994". Nel 1994 Alemanno c'era (iniziava il suo primo mandato da deputato) e nel 1995 fu tra i "trasformatori" del Msi in An; quanto al simbolo, sembra quasi che nemmeno Donzelli sia particolarmente entusiasta di ripartire da lì (pur avendolo, per ora, nel contrassegno del suo partito). 
Lo stesso Donzelli, tuttavia, non vorrebbe che si dichiarasse di destra chi, secondo lui, non lo è affatto: il riferimento, ovviamente, è agli alfaniani del Nuovo centrodestra, che lui e altri dirigenti di Fratelli d'Italia vorrebbero diffidare dall'uso della parola "destra". A spiegare meglio l'idea, nata in seno a Fratelli d'Italia, è il responsabile cultura del partito, Andrea Delmastro Delle Vedove: "Alfano ormai ha scoperto il suo gioco, ha detto che è organico al centrosinistra: quindi, con il nome Nuovo centrodestra, ha messo in campo la più gigantesca e colossale operazione di pubblicità ingannevole mai concepita nella politica italiana. Ci rivolgeremo al Garante della concorrenza e del mercato e credo che ci siano i presupposti per promuovere una class action fra chi ha finanziato il partito".
Delmastro è ovviamente libero di fare ciò che crede, ne è pienamente legittimato; restano altrettanto legittimi i dubbi di chi scrive sulla possibilità che l'Autorità garante da lui indicata possa effettivamente occuparsi di un caso come questo. Se non spetta ai giudici dire chi può dirsi di destra e chi no, nemmeno può farlo un'autorità di controllo che è chiamata a occuparsi del mercato e non può intervenire in settori che non le siano stati affidati da una fonte normativa ad hoc. Coi prossimi passi dell'iniziativa se ne saprà di più, ma i dubbi rimangono; ammesso che per allora - come direbbe qualche maligno - il Nuovo centrodestra esista ancora sulla scena politica italiana...

sabato 12 settembre 2015

Giugliano, il simbolo adesivo che non ti aspetti

Una cosa, tra le tante che si possono pensare a proposito dei simboli elettorali, è assolutamente vietata: nessuno, ma proprio nessuno, può pensare che la fantasia di chi presenta le liste abbia un fondo, una fine. Non ci si riferisce tanto alla grafica (in cui l'originalità e le trovate spesso sembrano scarseggiare), quanto alle idee collaterali e sottostanti. Un caso di questi ultimi giorni ne sembra un perfetto esempio: per capirlo, bisogna andare a Giugliano, comune della provincia di Napoli. 
A far scoppiare la bomba e a far puntare qualche occhio su quella località campana sono state le lamentele del MoVimento 5 Stelle, che ha presentato un ricorso per ottenere l'annullamento delle elezioni tenutesi a fine maggio. La notizia, per ora, è apparsa solo sul sito di TeleClubItalia, ma il ricorso elettorale si può leggere sul sito della Giustizia amministrativa. La prima accusa riguarderebbe la validità della partecipazione al voto della lista di Forza Italia, poiché le firme dei sottoscrittori sarebbero state autenticate da un funzionario del comune di Pozzuoli, che non avrebbe quel potere al di fuori del suo territorio comunale: la semplice presenza illegittima di quella lista, dunque, avrebbe inficiato la correttezza dell'intero procedimento elettorale.
Accanto a quest'accusa, tuttavia, ce ne sarebbero altre, relative tanto a liste dell'attuale minoranza, quanto a formazioni a sostegno di Antonio Poziello, poi diventato sindaco di Giuliano, guidando una coalizione formata da diverse liste civiche e dai simboli - tra l'altro - del Psi, della bicicletta Ecologisti - Repubblicani democratici e del Nuovo centrodestra. Anche qui questione di firme, nel senso che non si sarebbero presentate a firmare in municipio tutte le (almeno) 350 persone necessarie per presentare ogni lista, così come in altri casi ci sarebbero stati - lo riporta sempre TeleClubItalia - "verbali in bianco, altri firmati tutti da una sola grafia, presidenti di seggio rinunciatari all'ultimo secondo".
Un discreto campionario di errori e orrori elettorali, insomma: uno di questi, tuttavia, merita di stare in queste pagine. Nel ricorso, infatti, si lamenta che "per quanto riguarda la lista NCD - Campania popolare il foglio A3 di presentazione della lista contiene in alto a sinistra il simbolo incollato con adesivo, sotto il quale vi è un altro simbolo di NCD (senza la dicitura 'Campania popolare')". Qualche sbadatone aveva fatto stampare i fogli con il simbolo sbagliato? Evidentemente può essere (come può essere che l'emblema sia stato cambiato all'ultimo momento e, per non perdere le firme raccolte, si sia proceduto a colpi di adesivi), ma il MoVimento 5 Stelle chiede al Tar di svolgere "una apposita istruttoria": il sospetto, in base a quanto si legge nel sito di TeleClubItalia, è che quello depositato da Ncd sia "un vecchio foglio di firme raccolte due anni prima e 'riciclate' per le elezioni che hanno portato Poziello al governo della città".
Come è chiaro, quella avanzata dal M5S è solo una supposizione, di cui si dovrà occupare la magistratura. Di sicuro, il ricorso sbaglia nel momento in cui sostiene che l'emblema sotto l'adesivo "è quello che veniva utilizzato dal suddetto partito [cioè Ncd] per la competizione elettorale del 2013, poco prima dello scioglimento per infiltrazioni camorristiche del Comune di Giugliano": il comune, infatti, è stato sciolto il 24 aprile 2013, mentre il Nuovo centrodestra è stato fondato il 15 novembre 2013, per cui le date non tornano. A prescindere da questo, se il particolare denunciato fosse vero, sarebbe una testimonianza importante del "pecettismo" (a la Corrado Guzzanti, mentre interpreta il televenditore Armà) in ambito pre-elettorale. Un esempio, tuttavia, che è meglio non seguire, anche se ci si può ridere sopra, con un po' di amarezza.