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giovedì 6 aprile 2017

Dc senza pace: ricorso per annullare l'assemblea di febbraio

Ci risiamo un'altra volta, un ricorso potrebbe bloccare il ritorno della Democrazia cristiana: sembra di averla già vista questa scena, per giunta quasi con le stesse persone, giusto cinque anni fa. Colui che si ritiene legale rappresentante del partito, ossia Gianni Fontana - eletto presidente dell'associazione Dc dall'assemblea che si è riunita il 26 febbraio 2017 - dovrà affrontare le lamentele di chi non condivide le procedure utilizzate per risvegliare la Balena Bianca, o per lo meno ciò che si ritiene sia rimasto.
A presentare il ricorso - datato 30 marzo - al tribunale di Roma sono stati Raffaele Cerenza e Franco De Simoni, entrambi qualificatisi come "iscritti al Partito della Democrazia Cristiana nell'ultimo tesseramento regolarmente effettuato nel 1993" nonché, rispettivamente, presidente e vicepresidente dell'Associazione degli iscritti alla Dc del 1993. Cerenza, peraltro, era presidente dello stesso soggetto giuridico già nel 2012, quando impugnò - e riusci poi a far dichiarare nulli - gli atti del consiglio nazionale che si era "autoconvocato" il 30 marzo di quell'anno e che, tra l'altro, aveva eletto alla segreteria politica proprio Fontana.
Dopo aver richiamato le disposizioni del codice civile sul diritto al nome (da applicare anche ai partiti in quanto associazioni non riconosciute) e sulle regole valide per l'ordinamento e l'amministrazione dei partiti (normati dai loro stessi statuti, in quanto accordi intercorsi tra gli iscritti), Cerenza e De Simoni rivendicano come l'ultimo statuto della Dc sia tuttora in vigore:proprio in base a questo, impugnano "tutti gli atti e documenti relativi alla convocazione della 'assemblea' svoltasi presso l’Hotel Ergife, Sala Leptis Magna, il giorno 25/26.2.2017 nell'asserita e contestata adunanza degli 'associati al partito della Dc'".
Il primo problema è dato dall'elenco utilizzato per chiedere al giudice la convocazione dell'assemblea: non sarebbe infatti "l'unico e ultimo elenco degli iscritti", rappresentando invece il frutto del tesseramento alla cosiddetta Dc-Fontana del 2012. Quel tesseramento - più precisamente, l'autocertificazione di chi si diceva tesserato nel 1993 e voleva ribadire la sua affiliazione al partito - per Cerenza e De Simoni violerebbe in vari articoli lo statuto, che - come precisato nella sentenza n. 17831/2015 con cui il giudice Scerrato del tribunale di Roma aveva dichiarato nullo il XIX congresso del 2012, tra l'altro su richiesta anche dello stesso Cerenza, intervenuto in quel giudizio - dev'essere rispettato in ogni sua parte da chi pretende di essere la "vecchia" Dc.  
Per i ricorrenti, in particolare, "nessun Giudice ha convalidato il tesseramento del 2012 operato dal Gruppo Fontana" (lo avrebbero anzi sconfessato); di più, non si potrebbe parlare di tesseramento, ma di un semplice contributo (di 50 euro) alle spese per il congresso, mentre lo statuto sarebbe stato possibile - a norma di statuto - solo una volta operanti gli organi preposti al tesseramento stesso (organi che, evidentemente, non erano stati ricostituiti). C'è anche una diatriba sulle date: nel 2012 si era chiesto agli aspiranti iscritti di autocertificare la loro iscrizione alla Dc nel 1992, mentre nessuno avrebbe dato prova dell'adesione per l'anno successivo (cui l'ultimo tesseramento valido si riferirebbe), dunque sarebbero da considerare decaduti.
Che l'elenco non sia buono lo testimonierebbero alcune parole di Nino Luciani - primo firmatario della richiesta di convocazione al tribunale di Roma e presidente pro tempore di quella seduta di assemblea - che, in una mail mandata a più persone, avrebbe scritto: "in queste settimane persone dell’elenco del tribunale, mi scrivono e telefonano che loro non hanno mai partecipato a quel congresso (2012) e neppure sono state mai socie della Dc".
Altro problema, già ampiamente sollevato durante l'assemblea e nei giorni precedenti, riguarda l'ordine del giorno della convocazione - firmata da Luciani - che è stato modificato rispetto a quanto era stato chiesto nell'istanza ai giudici e a quanto era contenuto nel decreto di dicembre del giudice Guido Romano. Erano infatti stati aggiunti la "presa d’atto che a tal funzione debba essere il prof. Nino Luciani", così come la nomina del vicepresidente (cui peraltro si è scelto di non procedere); allo stesso tempo, non sarebbero stati eletti "tutti gli organi previsti dagli artt. 100 e seguenti dello Statuto" della Dc.
Per Cerenza e De Simoni, poi, i cinque richiedenti la convocazione dell'assemblea non possono essere considerati coincidenti né con gli iscritti alla Dc del 1993, né alla Dc tout court: "alcuni tra i sottoscrittori della istanza - si legge nel ricorso - sono, in ogni caso, decaduti dalla  qualità di socio" a norma di statuto, avendo nel frattempo fondato altre formazioni politiche o avendo per esse ricoperto cariche in Parlamento o ruoli dirigenziali. Il riferimento è ad Alberto Alessi, che nell'ultimo scampolo della sua permanenza in Parlamento ha aderito al Ccd; a Renato Grassi, tra i fondatori dell'Udc (risulta dall'atto costitutivo). 
Non era vero poi, sempre per i ricorrenti, che la Dc non aveva più organi che la rappresentavano: la stessa associazione, infatti, avrebbe operato e si sarebbe addirittura costituita (grazie al suo presidente Cerenza) in più di un processo.
Di più, pur in mancanza di verbali "ufficialmente prodotti", all'assemblea del 26 febbraio avrebbero partecipato meno di 100 persone delle circa 1750 che risultavano iscritte, mentre sarebbe "stata, di fatto, inibita la partecipazione ai lavori [...] a quegli aderenti che avevano consegnato deleghe per l’assemblea a taluni dei comparenti", deleghe dichiarate ineffaci su proposta del presidente della assise (proprio per evitare, peraltro, contestazioni di altro tipo, sebbene nella convocazione si prevedesse la possibilità di partecipare mediante delega). Per tutte queste ragioni, "soltanto ipotizzare che le attività poste in essere dai Signori Nino Luciani ed altri nella 'assise' del 25/26.2.2017 siano conformi allo Statuto" della Dc "appare francamente del tutto implausibile e persino temerario, dato il milione e mezzo di iscritti della Democrazia Cristiana nel 1993". 
Cerenza e De Simoni, da ultimo, avrebbero scelto di agire anche per evitare indebite prosecuzioni e trasformazioni delle attività della Dc: in base ad alcune comunicazioni, infatti, qualcuno avrebbe avuto l'idea di procedere con "un nuovo congresso, la modifica dello Statuto della Democrazia Cristiana storica e la trasformazione in una Onlus, con l’intenzione di comunicare in Italia l’esistenza di questa struttura politica alle Autorità nazionali e internazionali".
Inutile dire che i soggetti che hanno partecipato all'assemblea di fine febbraio e la ritengono regolare sono pronti a dare battaglia e a contestare quanto sostenuto dai ricorrenti. Di certo c'è solo che, com'era prevedibile, la vicenda giuridica della Democrazia cristiana e del suo scudo crociato - che qualcuno stava pensando di utilizzare alle prossime elezioni amministrative - non conosce pace, dovendo passare per l'ennesima volta dai tribunali.

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