giovedì 9 maggio 2019

Regionali Piemonte, no confermato per Destre unite - CasaPound - Azzurri italiani

Il verdetto ora è definitivo: le elezioni regionali in Piemonte si terranno regolarmente il 26 maggio e parteciperanno 14 liste. Proprio poco fa, infatti, il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso della lista Destre Unite - CasaPound - Azzurri italiani, presentato lunedì da Massimiliano Panero, segretario nazionale di Destre unite e candidato alla presidenza della Regione. 
Nell'impugnare le varie sentenze del Tar Torino che avevano confermato l'esclusione delle liste circoscrizionali in tutte le province del Piemonte (tranne Verbano-Cusio-Ossola e Cuneo), essendosi negato che il simbolo composito delle tre forze politiche potesse finire sulle schede senza aver completato la raccolta firme, Panero e il suo avvocato Augusto Sinagra (docente di Diritto dell'Unione europea all'Università di Roma "la Sapienza", nonché candidato di Destre Unite - CasaPound alle europee nella circoscrizione Centro) hanno lamentato - da parte del Tar - addirittura la violazione della legge regionale n. 21/2009 in materia di esenzione dall'onere di raccolta firme per le elezioni regionali. 
In particolare, si contestava ancora l'interpretazione in base alla quale Gilberto Pichetto Fratin, candidato presidente della coalizione di centrodestra del 2014, eletto come "miglior perdente", non dovesse considerarsi espressione delle singole liste che facevano parte della coalizione (come appunto Destre unite e Azzurri italiani) e, dunque, queste non potessero dire di aver ottenuto un eletto. Da una parte si ribadiva che Pichetto non era stato eletto nel "listino" regionale, ma per attribuzione del seggio riservato all'ultimo "resto" delle liste provinciali collegate: non a caso, quando il candidato presidente sconfitto era diventato senatore, al suo posto era entrato "il primo degli esclusi delle liste regionali in base, appunto, al calcolo dei 'resti'". Dall'altra parte, Panero e Sinagra negano che la legge regionale possa davvero collegare la concessione dell'esenzione a una "significativa rappresentatività" della lista che la rivendica, se non altro perché l'ipotesi sub c) consente a un partito rappresentato da un gruppo in consiglio regionale di "trasmettere" l'esenzione a una diversa lista, anche non rappresentata in consiglio (e il ricorrente fa l'esempio della "ben modesta Lista civica indicata come 'Si Tav, Si Lavoro, per il Piemonte' per la quale è del tutto da escludere il raggiungimento di qualsivoglia quorum minimo in termini di voti). 
In effetti la valutazione del Tar sulla "infima rappresentatività" non era affatto una "preventiva valutazione (o accertamento) in ordine alla rappresentatività in termini di voti della lista collegata", ma si riferiva alla scarsa capacità della stessa lista di incidere sul risultato precedente, cosa che non avrebbe consentito a Destre unite e Azzurri italiani di sostenere di aver concretamente contribuito all'elezione di Pichetto. Mancando nella legge nazionale e in quella regionale la previsione di un quorum per ciascuna Lista all'interno della coalizione, Panero e Sinagra erano convinti che "'resto' dopo 'resto', anche una lista in coalizione che risult[asse], all'esito delle consultazioni, di 'infima rappresentatività' [potesse] sempre potenzialmente conseguire l’obiettivo di vedere eletto uno dei suoi candidati". Uno scenario, peraltro, che si sarebbe verificato solo al venir meno di tutti gli altri candidati delle liste con cifra elettorale maggiore, uno scenario oggettivamente piuttosto improbabile (pur se configurabile in astratto).
Nel ricorso, insomma si legge che non può applicarsi l'esenzione solo a chi ha conseguito il seggio "in proprio", perché quel seggio riservato al candidato presidente "non può non essere riferito a ciascuna delle singole liste tra di loro collegate e costituenti un unicum con il 'Centrodestra per Pichetto'", visto che la legge elettorale fa sempre riferimento al "gruppo di liste" (anche se di norma quest'espressione si riferisce al complesso delle liste provinciali distinte dallo stesso contrassegno). Da ultimo non si potrebbe contestare la mancanza di un "documentato e persistente collegamento con la coalizione" del 2014 delle singole liste, perché la coalizione di allora si è smembrata da più parti e alcuni gruppi politici avrebbero fatto perdere le loro tracce (Pensionati, Verdi-Verdi e Lista civica per il Piemonte), dunque nessuno potrebbe rivendicare la continuità; di più, per Panero e Sinagra, "nessuna norma elettorale impone di documentare il persistente collegamento tra le diverse liste, o con i propri eletti, altrimenti esisterebbe il vincolo di mandato" e dovrebbero considerarsi le elezioni come "un film in movimento", quando invece sono "la fotografia di un dato momento storico".
Per i giudici di Palazzo Spada, invece, il ragionamento del Tar era corretto. Se l'istituto della raccolta firme deve servire a garantire la rappresentatività delle liste, esonerare determinati soggetti dalla raccolta avrebbe lo scopo di semplificare le procedure elettorali venendo incontro alle forze politiche che "hanno dimostrato – in modo concreto – di disporre di tale requisito", attraverso l'elezione di un proprio candidato. Visto che però l'esonero appare come eccezione alla regola della raccolta firme, per il giudice amministrativo di primo e di secondo grado occorre attenersi a un'interpretazione restrittiva del testo.
In particolare, la disposizione si riferisce espressamente a partiti o gruppi politici Chi ha vinto presentato candidatura e con un proprio contrassegno e abbiamo ottenuto almeno un eletto, quindi in questa limitata ipotesi occorre che il contrassegno per il quale si richiede l'esenzione sia riferito "ai soli soggetti che hanno ottenuto l’elezione di un proprio candidato", cosa che Destre unite e Azzurri Italiani nel 2014 non avevano ottenuto. Non avrebbe pregio, secondo il Consiglio di Stato, la disparità di trattamento ingiusta lamentata da Panero rispetto alla possibilità per un gruppo consigliare uscente di esentare dalla raccolta firme una lista esterna, presumibilmente di scarsa consistenza: però i magistrati spiegano ben poco, limitandosi a dire che "in quel caso sopperisce la dichiarazione di collegamento con gruppi consiliari già presenti in Consiglio Comunale al momento della convocazione dei comizi elettorali" (certo il collegio intendeva dire "consiglio regionale", ma la fretta e la sovrapposizione di questo caso con molti altri legati ad elezioni amministrative non hanno certo aiutato). Una spiegazione, questa, piuttosto apodittica e ben poco utile: forse era un modo per dire che c'è comunque a monte la rappresentatività del gruppo consiliare che in qualche modo fa da garanzia, ma sarebbe stato meglio dirlo a chiare lettere.
La stessa osservazione fatta nel ricorso sulla possibilità che, nel corso del tempo, le proiezioni elettorali o si sfaldino come è avvenuto in questo caso, viene addirittura utilizzata contro il ricorrente, sottolineando che "solo due soggetti tra i tre a cui è riconducibile il contrassegno hanno partecipato alla precedente elezione conseguendo – mediante la coalizione – un seggio", sostanzialmente lasciando intuire che sulla carta Destre unite e Azzurri italiani avrebbero anche potuto rivendicare la precedente conquista di un seggio, ma la presenza estranea di CasaPound avrebbe fatto venir meno il beneficio dell'esenzione (quando, tutt'al più, in riferimento alla mutevolezza delle posizioni avrebbe potuto far pensare che nessun brandello dell'antica coalizione avrebbe potuto intestarsi l'elezione in consiglio del candidato presidente).
La sentenza di oggi rappresenta l'ultimo atto della battaglia legale che precede le elezioni regionali piemontesi. L'esito era piuttosto prevedibile dagli studiosi per varie ragioni; nonostante questo, si deve ammettere che sotto certi profili era lecito aspettarsi di più dei giudici di Palazzo Spada, soprattutto due punti appaiono, come si è visto, carenti nelle spiegazioni o poco lineari sul piano logico. Questa, almeno, è la conclusione che si può trarre attenendosi al testo della sentenza; probabilmente c'è anche un sottotesto, un dato per scontato, ma non è mai opportuno, men che meno in materia elettorale.

2 commenti:

  1. Secondo me c'è un altro argomento non preso in considerazione che dà torto alla tesi di Panero e di Casapound.
    E cioè che per il seggio di Picchetto non è vero che sono stati determinati i voti di destre unite e azzurri italiani.
    Mi spiego,Picchetto è stato eletto essendo arrivato secondo dopo Chiamparino ma prima di Davide Bono dei 5S.
    In quanto un posto in consiglio regionale è riservato al secondo classificato.
    Orbene,Picchetto prese 495.993 voti e Bono 481.453.
    Picchetto arrivò secondo con un vantaggio di quindi 14.540 voti.
    Destre Unite e Azzurri Italiani-GS presero 6680 voti per le loro liste.
    5004 destre unite e 1676 azzurri-GS.
    Quindi anche sottraendo a Pichetto questi 6680 voti restava secondo con 7860 voti.
    Ed avrebbe comunque vinto il seggio davanti a Bono.
    Quindi Casapound non può concretamente dire neppure di essere stata determinante per l'elezione di quel consigliere.

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    1. Diciamo che qui non c'è nemmeno bisogno di ricorrere alla "prova di resistenza", perché in effetti Destre unite (soggetto che riteneva di apportare il beneficio dell'esclusione) non riteneva a regola di essere stata determinante (non la è stata), ma "soltanto" di aver eletto un consigliere avendo concorso alla sua elezione. Al più si può dire che in effetti non è stata "nemmeno" determinante, ma è un argomento - come si dice in legalese - "ad colorandum".

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