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giovedì 21 agosto 2025

Fortza Paris, la querelle sul simbolo tra diritto e politica

Periodicamente, nell'occuparsi delle vicende nazionali o locali della politica italiana, rispunta una domanda tanto semplice quanto delicata: "Ma di chi è il simbolo di un partito?" Si tratta di un quesito cui molto spesso non si può rispondere con facilità o con un'affermazione secca, visto l'intreccio non banale tra diritto al nome, diritto dei segni distintivi (qualora un simbolo sia stato depositato e registrato come marchio) e diritto elettorale. In certi casi, poi, emerge la tentazione di far pesare anche una quarta leva: quella "morale", se la si vuole chiamare così. Sembra questo il caso legato alla vicenda dell'emblema di Fortza Paris, partito sardo costituito nel 2004 e presente in non poche competizioni elettorali che si sono tenute sull'isola da allora. 
Tra i fondatori del partito - il cui nome può essere tradotto come "Forza insieme" o "Avanti insieme" c'era Gianfranco Scalas, generale in pensione, già portavoce dell'Esercito italiano. Scalas, presidente del partito, è morto lo scorso 15 gennaio; a distanza di oltre sette mesi la vedova, Denise, ieri ha ritenuto opportuno diffondere ai mezzi di comunicazione una propria nota, in cui parla anche della "proprietà" del simbolo dei partito cofondato dal marito e sul suo uso. Eccola di seguito: 

Nel 2004, Gianfranco Scalas, insieme ad Antonello Carboni e Antonio Giua, depositò ufficialmente il simbolo di Fortza Paris. Quel simbolo non è mai stato un semplice segno grafico: era ed è l’espressione viva della sua passione, del suo amore e della sua dedizione verso i sardi e verso la Sardegna. 
Oggi, come moglie di Gianfranco, desidero comunicare che il simbolo appartiene ufficialmente a me. Con questo gesto non rivendico un possesso materiale, ma intendo proteggere la memoria di Gianfranco e il significato autentico di ciò che ha rappresentato per tutta la sua vita. 
Chiedo a tutti di rispettare questa scelta, e con essa il ricordo di Gianfranco. Non è tempo di divisioni né di ambizioni personali, ma di riflessione e di responsabilità. La sua eredità non appartiene a chi vuole inseguire poltrone, ma a chi ha davvero a cuore la nostra terra. 
Vi invito, nel rispetto del mio dolore, a smettere di usare il simbolo senza autorizzazione. Ma soprattutto vi invito a ricordare ciò che Gianfranco ha sempre insegnato: lavorare con onestà, mettere i sardi al centro, non rassegnarsi a una politica che lascia a casa oltre la metà della gente. 
Il simbolo di Fortza Paris resterà per sempre il segno del coraggio, della passione e dell’amore che Gianfranco aveva per il suo popolo e per la Sardegna.


Che la questione della titolarità e dell'uso del simbolo fosse già stata oggetto di discussione lo dimostra un'altra lettera aperta e non meno dura, del 10 giugno, firmata sempre dalla vedova Scalas ma anche dalla figlia Chiara.

Il simbolo del partito Fortza Paris non è mai stato una semplice immagine. È la memoria viva di Gianfranco Scalas, di ciò in cui credeva, di ciò per cui ha speso ogni giorno della sua vita. Un simbolo scelto per trasferire i valori di unità, coraggio, sacrificio e identità sarda.

Per questo sentiamo la responsabilità di custodirlo nella sua integrità morale. Abbiamo constatato con amarezza che c’è chi ignora profondamente il significato che questo simbolo porta con sé. Nessuno ha il diritto di usarlo per ambizioni personali o giochi di potere, svuotandolo del suo significato più profondo.

Chiediamo, insieme agli altri depositari del simbolo, Antonello Carboni e Antonio Giua, che nessuno utilizzi il simbolo del partito Fortza Paris per scopi politici o elettorali.

Ci auguriamo che Fortza Paris resti esattamente ciò che deve essere: una memoria viva, un simbolo pulito, e una promessa non ancora conclusa. La nostra unica volontà è proteggere la memoria di Gianfranco Scalas, e di quel simbolo che lui aveva nel cuore. Esso potrà vivere nei ricordi futuri, nelle dediche, nei gesti sinceri fatti in suo onore.
Con rispetto e amore, 
Denise e Chiara Scalas

Sempre il 10 giugno, a SardegnaNotizie24, Denise Scalas ha rilasciato una dichiarazione molto incisiva: "Qualche vecchio esponente del partito mi ha già fatto sapere che vuole usare il simbolo in politica e che è disposto ad avviare una guerra in Tribunale per ottenerlo, ma io invece scelgo la guerra morale, e voglio che lo sappiano tutti cosa sta accadendo. Fortza Paris deve restare ciò che è: una promessa ancora aperta, una memoria pulita, un gesto d’amore".
Se le parole della vedova Scalas chiariscono meglio quali fatti stiano alla base della sua presa di posizione (immaginando che l'uso del simbolo possa tornare utile in vista delle elezioni, incluse le regionali qualora la presidenza di Alessandra Todde dovesse concludersi in modo traumatico), resta da capire come stiano davvero le cose sul piano giuridico. La risposta, va detto subito, sembra tutto meno che immediata. Non aiuta particolarmente consultare - per esempio - la vecchia banca dati di Adnkronos, in base alla quale il 4 marzo 2004 si apprendeva che in vista delle elezioni regionali era nato Fortza Paris, "frutto dell'unione tra Partito del Popolo Sardo (PPS), Sardistas e Ups", avendo nel programma tra l'altro "la riforma dello Statuto di Autonomia che rafforzi i poteri di autogoverno, l'istituzione concreta delle zone franche per favorire una maggiore competitività del sistema economico isolano, l'estensione del diritto di voto per il Consiglio regionale a tutti gli emigrati sardi nel mondo, la difesa delle peculiarità ambientali e culturali dell'isola, una sorta di maggiore indipendenza nei rapporti con l'Unione europea". Non soccorre più di tanto nemmeno ricordare che tradizionalmente il partito ha appoggiato il centrodestra, al di là delle ultime elezioni regionali in cui ha sostenuto Todde, candidata del M5S appoggiata pure dal centrosinistra.
Lo statuto, all'art. 3, si limita a descrivere il simbolo del partito: "un cerchio diviso in due semicerchi dal diametro tracciato in senso orizzontale, di colore rosso il semicerchio superiore contenente in caratteri maiuscoli di colore bianco la parola FORTZA, di colore bianco il semicerchio inferiore contenente in caratteri maiuscoli di colore nero la parola PARIS". Non c'è alcun riferimento su chi, all'interno del partito, abbia la titolarità di decidere sull'uso del simbolo o del contrassegno, così come non sembra di trovare alcun riferimento alla presentazione di eventuali candidature.
Cosa intende, dunque, la vedova Scalas quando insieme alla figlia ha chiesto, unitamente "agli altri depositari del simbolo, Antonello Carboni e Antonio Giua, che nessuno utilizzi il simbolo del partito Fortza Paris per scopi politici o elettorali", ma soprattutto quando dice "il simbolo appartiene ufficialmente a me", pur senza rivendicare "un possesso materiale"? Oggettivamente, per ora, non è dato saperne di più. Salvo errore, nella banca dati dei marchi non risulta alcun emblema depositato come segno distintivo a nome di Gianfranco Scalas, così come non sembra di ritrovarvi il simbolo di Fortza Paris: in questo senso, almeno il diritto dei marchi non sembra di doversi applicare al caso in questione. Al momento non si ha a disposizione il testo dell'atto costitutivo del partito, quindi non è dato sapere se all'interno i fondatori risultino effettivamente Scalas, Carboni e Giua e se qualche disposizione dell'atto costitutivo - non ribattuta nello statuto - preveda un regime particolare circa la titolarità del simbolo. 
In mancanza - come si è visto - di disposizioni statutarie sulla titolarità del simbolo e sulla presentazione delle candidature, ci si può limitare a ricordare che, da una parte, il presidente di Fortza Paris (che era proprio Scalas) in base all'art. 14 viene "eletto dal Congresso nazionale, rappresenta l’unità del Partito e ne garantisce la continuità", mentre il segretario amministrativo, nominato dal consiglio nazionale proposta del presidente, "ha la rappresentanza amministrativa di Fortza Paris di fronte ai terzi ed in giudizio senza alcuna limitazione" (ricordando che il simbolo è parte del patrimonio del partito). Trattandosi di figura "strettamente fiduciaria del presidente", venuto meno per decesso il presidente anche il segretario amministrativo dovrebbe decadere; un nuovo presidente, invece, in base allo statuto dovrebbe essere eletto dal congresso nazionale, purché questo sia convocato - mancando il presidente in carica - su richiesta di due terzi del consiglio nazionale. La quota di membri del consiglio necessaria per convocare quest'organo oggettivamente è piuttosto elevata, ma se si riuscisse a ottenere quella convocazione e a eleggere un nuovo presidente, sembrerebbe difficile impedire a questo di presentare liste alle elezioni o comunque di utilizzare il simbolo del partito che - a meno di diverse disposizioni nell'atto costitutivo o altrove - prima che a una singola persona (e agli eventuali eredi) appartiene all'associazione che distingue. Difficile dunque dire se la vedova Scalas potrebbe, in qualche modo, opporsi con successo sul piano del diritto privato privato a un uso del simbolo da lei (e dalla figlia) non condiviso. Senza dubbio la richiesta delle due donne di cessare ogni uso non autorizzato (o comunque senza consenso) del simbolo di Fortza Paris merita il massimo rispetto sul piano morale; anche qualora esistesse qualche documento in grado di porre nelle mani della vedova Scalas la titolarità dell'emblema, peraltro, ci si potrebbe interrogare su quanto sia giusto che un soggetto, magari estraneo a un partito politico, possa non consentire più a questo di continuare a operare con il fregio (e magari con il nome) che ha sempre utilizzato e con cui è stato riconosciuto fino a quel momento.
La situazione, come si può vedere, è tutto meno che banale: anche qualora non finisse in carta bollata (esito mai piacevole e mai da augurare), farebbe comunque sorgere - alla pari di questioni con maggiore risonanza, come quella legata al simbolo del MoVimento 5 Stelle - parecchi interrogativi, in ogni caso meritevoli di essere approfonditi.

lunedì 18 agosto 2025

Quale Dc vuole? La 1, la 2 o la 3? (a essere ottimisti)

Alle volte alcuni comunicati stampa politici sembrano relativamente inoffensivi, portatori di notizie destinate al più a lasciare tracce lievi, appena percettibili. Chi appartiene alla schiera dei #drogatidipolitica, tuttavia, non si lascia ingannare e sa che certe notizie nascondono un potenziale esplosivo notevole, qualcosa sia colto dalle persone giuste; se quelle notizie riguardano la Democrazia cristiana, poi, la deflagrazione è più che probabile, per ragioni che chi frequenta con costanza questo sito conosce fin troppo bene.
Si prenda, per esempio, una nota diffusa il 5 agosto dall'ufficio stampa del gruppo di Forza Italia al Senato e divulgata, ad esempio, dall'agenzia Agenparl:
In un incontro tra il presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri, e il senatore Raffaele De Rosa, rappresentante della Democrazia cristiana, è stato siglato un accordo politico che ha confermato l’appartenenza del senatore De Rosa al Gruppo del Senato di Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE in qualità di senatore indipendente e rappresentante politico della Democrazia cristiana. Nell’occasione, è stato ribadito il rapporto di sinergia e collaborazione tra il gruppo di Forza Italia e la Democrazia cristiana, nella piena valorizzazione delle rispettive identità politiche e dei valori che le contraddistinguono. Il senatore De Rosa continuerà ad esercitare la propria autonomia politica, programmatica e decisionale. Gli atti di voto, così come le valutazioni politiche in Aula e nelle Commissioni del Senato, saranno espressione della linea autonoma della Democrazia cristiana, nel quadro di un confronto leale e costante con il Gruppo di Forza Italia. È stato, infine, confermato l’impegno reciproco a sostegno delle rispettive iniziative, nella consapevolezza del contributo che la cooperazione tra Forza Italia e la Democrazia cristiana può offrire alla promozione dei valori cristiani, della dottrina sociale della Chiesa, dell’economia sociale di mercato e dei principi ispiratori che accomunano le tradizioni politiche di riferimento.
Online si può trovare traccia - in un articolo del Roma - della possibilità che Raffaele De Rosa, eletto senatore nel 2022 nel collegio uninominale di Acerra per il MoVimento 5 Stelle, uscito dal gruppo stellato all'inizio di febbraio del 2024 per passare - il giorno 21 - a quello di Forza Italia, già a fine luglio si preparasse a un nuovo passaggio, questa volta al gruppo misto, con la volontà di rappresentare la Democrazia cristiana. La nota del gruppo senatoriale forzista, in questo senso, suonava come una precisazione, per cui De Rosa, a prescindere dalla sua scelta di aderire a un altro partito, sarebbe rimasto nel gruppo da indipendente.
L'aderente alla citata schiera dei #drogatidipolitica che si fosse imbattuto in quella nota, però, si sarebbe già posto - anche con una certa enfasi - una domanda inevitabile: "Sì, va bene, ma di quale Dc stiamo parlando??" Già, perché nella nota in questione non è presente alcuna indicazione circa il vertice politico della Democrazia Cristiana evocata nell'accordo: questo non stupisce, dal momento che - secondo un copione ben noto - ognuna delle molte, innumerevoli Dc operanti ritiene di essere la Dc, l'unica legittima e originale e chi sigla accordi con uno qualunque di questi soggetti ha interesse a far intendere che a essere coinvolta è proprio la Dc "giusta", l'unica vera.
Indicazioni, insomma, non ce ne sono, dunque tocca andare per esclusione. Dall'elenco si può certamente depennare la Dc che ha come segretario nazionale Totò Cuffaro (www.dcitalia.it), visto il comunicato diffuso dai media il 10 agosto: "Il senatore Raffaele De Rosa non fa parte della Democrazia cristiana e non ha nessun titolo a firmare documenti per conto della Dc, utilizzandone impropriamente il nome. Non riusciamo a capire perché il senatore Maurizio Gasparri firmi accordi con chi sa non far parte a nessun titolo della Dc. Ingenerare confusione non serve certo alla coalizione e di centrodestra di cui la Dc fa parte". Torna in mente, in qualche modo, il periodo precedente le elezioni europee dello scorso anno, in cui proprio Cuffaro lamentò l'esclusione dalle potenziali candidature di Forza Italia (e non andò meglio con altri partiti in seguito), anche se poi alla fine disse che il suo partito - guidato prima di lui da Renato Grassi e Gianni Fontana - avrebbe comunque sostenuto il centrodestra. Non ha cambiato idea, ma veder spuntare un'altra Dc nel rapporto con Forza Italia, mentre erano alla vista altre consultazioni elettorali, non deve avergli certamente fatto piacere.
Depennata la Dc di Cuffaro, comunque, nel giro di ventiquattr'ore si è potuta tranquillamente escludere anche la Democrazia cristiana con Rotondi, quella con la balena bianca nel simbolo (il sito è www.dcconrotondi.it). Permette di escluderlo una breve dichiarazione proprio del suo leader, Gianfranco Rotondi: "Il nome Dc è stato concesso in uso solo al mio partito nel 2004, come tutti i tribunali hanno confermato. Tutti gli altri ne abusano, sono stato costretto ad aggiungere il mio nome per poter distinguere il nostro partito dal proliferare (misterioso e inquietante) di imitazioni strumentali. Guarda caso le Dc si moltiplicano da quando abbiamo deciso di sostenere Giorgia Meloni e Fdi". Va detto, a onor del vero, che la moltiplicazione delle Democrazie cristiane era iniziata ben prima del 2022 e dell'avvicinamento a Fratelli d'Italia della stesso Rotondi (e lui lo sa molto bene, avendo denunciato spesso il proliferare di scudi crociati). Quella breve nota di Rotondi, in ogni caso, sembrava diretta tanto a smentire eventuali legami di De Rosa con il suo partito, quanto a rispondere a Cuffaro, amico e compagno di storia democristiana ma accomunato dal deputato irpino a coloro che abusano del nome della Dc. Il che non contrasta con la proposta che lo stesso Rotondi fece tra gennaio e febbraio di quest'anno, invitando tutti coloro che avessero ritenuto di vantare qualche diritto o pretesa (politica o giuridica) sulla Dc a costruire un soggetto nuovo per poter rappresentare quell'area più concretamente e senza ulteriori contestazioni. 
Finora, in effetti, questo scenario di "ripartenza da zero" non sembra essersi verificato (per cui la causa intentata da Cuffaro davanti al Tribunale civile di Avellino continuerà), anche se qualcosa sul piano elettorale si muove. Si parla con una certa insistenza, infatti, della collaborazione tra Udc, Dc con Rotondi e Dc-Cuffaro per la presentazione di liste comuni alle prossime elezioni regionali, in particolare quelle previste in Calabria in autunno (del resto, c'è pur sempre una soglia del 4% da superare e unire le forze può fare comodo); ciò, tuttavia, non basta a spegnere le dispute giuridico-politiche in casa democristiana.
Il dubbio originario, comunque, non è ancora stato sciolto: se non si tratta della Dc-Cuffaro o della Dc con Rotondi, di quale Democrazia cristiana sarebbe espressione Raffaele De Rosa? Sembra di dover escludere la Dc che si riconosce nella segreteria di Nino Luciani (il quale rivendica, dopo essere stato primo firmatario della richiesta di convocare l'assemblea dei soci del 2016 a norma del codice civile, di avere materialmente convocato quella riunione e di avere continuato l'opera iniziata come presidente da Gianni Fontana): il fatto che il suo sito (www.democraziacristianastorica.it), l'account Fb di Luciani o le newsletter mandate periodicamente via e-mail non contengano accenni alla vicenda di De Rosa suggerisce di guardare altrove. Né questo altrove sembra potersi identificare nelle Dc guidate da Franco De Simoni o da Emilio Cugliari, sempre in mancanza di segni che rivendichino collegamenti con De Rosa. Nulla di simile appare anche dalle parti della Dc che riconosce come segretario Angelo Sandri, che certamente non si lascerebbe sfuggire l'occasione di comunicare di avere ottenuto in qualche modo una rappresentanza parlamentare. 
Sembra invece che la Dc di cui sostiene di essere rappresentante De Rosa possa identificarsi con quella che, dopo avere avuto come segretario Antonio Cirillo, a seguito del XX congresso di febbraio attualmente è guidata dall'ex ministra Elisabetta Trenta. Il partito, infatti, sta cercando da tempo di affacciarsi alla politica rilevante e in varie competizioni elettorali; in più in Campania, la regione di De Rosa, questa Dc sembra particolarmente attiva. La segretaria campana, Giuseppina Crescenzo, giusto l'11 agosto in un comunicato - pubblicato sul sito www.democrazia-cristiana.net - si è espressa sulla possibile partecipazione alle elezioni regionali, precisando che "La presenza della Democrazia cristiana nel Consiglio Regionale può significare il punto di equilibrio nel confronto politico e un punto di forza per la risoluzione dei temi più importanti che interessano il Paese. Il nostro impegno ha come obiettivo quello di far rivivere la Democrazia cristiana e con essa la vera politica, quella autentica che persegue il bene comune, che unisce giustizia, partecipazione, competenza e visione globale, stando vicino alla gente, ai lavoratori e alle imprese per ridare speranza e dignità all'Italia. [...] Siamo il partito al centro degli interessi del Paese e insieme ricostruiremo il nostro futuro". Prima ancora, a metà luglio, sempre Crescenzo aveva voluto smentire "categoricamente le affermazioni dell’On.le Gianfranco Rotondi, il quale si autoproclama presidente della Democrazia cristiana e annuncia un sostegno alla candidatura di Edmondo Cirielli", precisando che egli non rappresentava la Dc nata nel 1943 e che la Dc campana da lei guidata stava lavorando per la preparazione delle liste e confrontandosi con altre forze politiche "al fine di individuare il candidato presidente alla Regione Campania che meglio incarni i valori e gli obiettivi di sviluppo e benessere per la nostra regione".
Insomma, passa il tempo, passano le elezioni e le compagini parlamentari, ma la disfida politica e giuridica su chi rappresenti la Democrazia cristiana e chi possa utilizzarne i segni distintivi (in particolare il nome e lo scudo crociato) non sembra conoscere fine. Al punto tale che verrebbe davvero la tentazione di imitare Mike Bongiorno e di chiosare "Quale Dc vuole? La 1, la 2 o la trèèèèè?": non fosse che il numero 3, per quanto perfetto, non può bastare per esaurire tutte le Democrazie cristiane in circolazione...