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Libri simbolici (o, più in generale, da #drogatidipolitica)

I creativi raccontano

martedì 12 gennaio 2016

La "lunga marcia" dei socialisti secondo Carlo Correr (prima parte)

Le storie politiche non sono mai lineari; negli ultimi anni, anzi, siamo stati abituati a molti travagli, fermate, ripartenze e riorganizzazioni più o meno precarie. Spesso i vari passaggi sono stati marcati anche sul piano simbolico e meritano di essere raccontati da chi, quelle fasi, le ha vissute in prima persona. 
Da pochi mesi è uscito, per la Nuova Editrice mondoperaio, Una lunga marcia, libro in cui Carlo Correr si propone di raccontare - come recita il sottotitolo - "i socialisti italiani dopo il 1993": lo fa da una posizione privilegiata, che lo ha visto entrare nel 1982 nella redazione di Avanti!, per poi diventare - dopo la bufera di Tangentopoli - capo ufficio stampa del Psi e, in seguito, direttore di Sì al futuro e dell’Avanti! della Domenica, organi rispettivamente dei Socialisti italiani (Si) e dei Socialisti democratici italiani (Sdi), nonché responsabile dei siti web legati al partito. 
La narrazione contenuta nel volume di Correr rappresenta un punto di vista autorevole e informato sulle vicende di quegli anni, sulla storia tormentata dei socialisti in Italia dopo il ciclone da cui si sono fatti travolgere nei primi anni '90; tra una storia e l'altra, a modo suo, dà conto anche dei passaggi di nome e simbolo che nel tempo sono stati affrontati, non sempre con successo e spesso senza che l'elettore medio ne fosse seriamente a conoscenza.
La riflessione parte da un dato che si trova nell'introduzione del libro. L'ultima presentazione a livello nazionale di liste del Partito socialista (così si chiamava ancora allora) risale al 2008: il risultato fu drammatico - sotto l'1%, senza eletti - per una tradizione ultracentenaria, ma non ne parlò quasi nessuno, nei media e tra la gente. "Forse - osserva Correr - il disinteresse per l’assenza dei socialisti dal Parlamento dopo oltre un secolo, è solo la conferma che in realtà la vera uscita di scena nell'immaginario collettivo, avvenne non nell'aprile 2008, ma nel dicembre 1993", quando in un'infuocata assemblea nazionale la linea di Ottaviano Del Turco prevalse su quella di Craxi e si preparò l'alleanza con il Pds. 
A questo si aggiunge un altro dato, ancora più rilevante: l'ultima volta in cui un simbolo socialista di ampio respiro era apparso sulle schede delle elezioni politiche o europee prima del 2008 era datata addirittura 1994"Per una questione tecnica, legata alle leggi elettorali - mi ricorda Correr - dopo il 1994 il Partito socialista, o ciò che ne era rimasto, ha via via smesso di presentare candidati col proprio simbolo, pur continuando a farlo localmente per un certo periodo. La scelta di non presentare l'emblema può comunicare agli elettori uno stato di debolezza del partito, di rinuncia preventiva a correre coi propri colori, come un malato che si lasciasse andare senza provare a curarsi, dando per scontato che non ci siano medicine che lo guariscono. Nel partito si è dibattuto a lungo: per molti militanti non presentare proprie liste è pari a una disfatta, bisogna almeno provare a candidarsi, anche se non arrivano seggi; per alcuni dirigenti, specie quelli più legati alla 'burocrazia' interna, invece è fondamentale avere chance di essere eletti, anche se questo comporta allearsi con altri partiti o farsi ospitare nelle loro liste, invece che presentarne di proprie".
Per il Psi "storico", se il 1992 è stato l'anno di Tangentopoli, il 1993 ha visto la fine dei simboli dell'era craxiana. Ad agosto per morosità si era persa la sede di Via del Corso, a favore dei vecchi locali amministrativi dell'Avanti! in via Tomacelli; nell'assemblea nazionale del 16 dicembre 1993, citata prima da Correr, si scelse di abbandonare anche il garofano. Al suo posto, venne scelta una rosa stilizzata, il cui gambo doveva fare da "i" nella sigla del partito: la grafica è attribuita a Ettore Vitale, lo stesso autore del primo garofano socialista alla fine degli anni '70, eppure il risultato è almeno discutibile. "In effetti era vero - ammette oggi Correr - e la cosa è curiosa se si considera che Ottaviano Del Turco, che come segretario aveva la responsabilità del simbolo e dunque alla fine lo scelse, è un pittore anche piuttosto bravo: in quel momento si assunse pure la responsabilità 'artistica' della nuova immagine... Quella scelta simbolica, in ogni caso, era frutto di una sintesi tra la necessità di mantenere la tradizione socialista e l'assoluto bisogno di rinnovarla attraverso il segno della rosa, che faceva riferimento al socialismo europeo, quasi volendolo far apparire come qualcosa 'di meglio' di quanto era stato il socialismo italiano dell'ultimo periodo".
Cambiare i simboli allora era un affare serio, eppure non bastò a dare realmente il senso di una fase nuova: "Anche grazie ai media, ogni episodio di malcostume era immediatamente identificato con i socialisti e solo dopo con gli altri partiti coinvolti in Tangentopoli - ricorda Correr -. La magistratura aveva fatto pulizia nel partito, i dirigenti erano cambiati, ma la nostra azione politica era continuamente sotto esame e il rischio di essere colpevolizzati di tutto era sempre dietro l'angolo". Alle elezioni del 1994 la botta fu tremenda: 2,19% rispetto al 13,62% del 1992, solo 24 parlamentari eletti nei collegi uninominali (buona parte dei quali si sarebbe poi allontanata dal Psi). 
Per non farsi fagocitare dal Pds, i socialisti iniziarono ad allearsi con altre forze minori, tentando di aggirare sbarramenti o unire forze per portare a casa più eletti. Alle europee del 1994 andò male però la "bicicletta" con Alleanza democratica (1,8%): Correr parla di "storica sfortuna delle alleanze elettorali con simboli multipli che non è mai arrivata a raccogliere la somma dei consensi precedentemente ottenuti dai singoli partiti". Eppure anche per lui c'era anche qualcosa di più profondo: "Non dimentichiamo che Ad, guidata da Ferdinando Adornato, nasceva anche sul presupposto che i socialisti 'portavano una croce', era come se una vittima avesse corso con il proprio carnefice e Adornato era proprio lontano dal modo socialista di intendere la politica: gli elettori probabilmente avvertirono questa incoerenza, ma per il gruppo dirigente di allora non vide altre opportunità per presentarsi alle elezioni e sperare di ottenere più seggi".
La sensazione era che la storia del Psi fosse arrivata al capolinea: il 13 novembre 1994, dopo che Valdo Spini era uscito per formare la Federazione laburista, il congresso alla Fiera di Roma decise che era ora di voltare pagina, stavolta definitivamente. Il Psi, schiacciato dai debiti, viene messo addirittura in liquidazione (era successo anche al Pli pochi mesi prima) e nel giro di poche ore nacque un nuovo partito, con tanto di nuovo emblema: i Socialisti italiani. "Anche l'allora segretario Enrico Boselli e la sua compagna avevano una passione per la grafica, benché il risultato finale del logo sia stato tutt'altro che memorabile. Qui del passato non c'era proprio nulla: giusto il puntino rosso della 'i' a qualcuno ricordava la corolla del garofano, ma in realtà era stato messo per richiamare il tricolore, assieme al bianco del fondo e al segmento verde in basso. Era chiaro l'intento di creare una cesura totale rispetto al passato, anche e soprattutto per l'assoluta esigenza di tenersi il più lontano possibile dal vecchio Psi in liquidazione, onde non doversene accollare i debiti, un problema che è durato molti anni". 
Il simbolo pennellato dei Socialisti italiani, peraltro, rappresenta un caso più unico che raro: il Si è forse l'unico partito che abbia agito per anni sulla scena politica italiana senza mai depositare il proprio simbolo al Ministero dell'interno in occasione di elezioni politiche ed europee (liste autonome risultano presentate solo a livello regionale o locale). Tra il 1995 e il 1996, infatti, il partito guidato da Boselli si presentò all'interno del Patto dei democratici (con il Patto Segni e Alleanza democratica) e di Rinnovamento italiano: i socialisti transitati nel centrodestra, invece, nel 1996 sulla scheda c'erano, a modo loro. Questa fase, però, merita più attenzione. 

(fine prima parte - segue seconda parte)

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