Il nome circolava da un anno, portato avanti soprattutto da Giorgio Merlo (giornalista, militante Dc poi divenuto parlamentare per Ppi, Margherita e Pd, fino all'abbandono dei dem) in ambito cattolico-sociale, per definire una realtà in movimento, che avvicinava associazioni e altri gruppi di matrice popolare con l'intento di fare "qualcosa" a livello politico o prepolitico. Ora Rete Bianca è meno evanescente e più concreta: il 22 luglio a Roma (alla Sala Marcora del Palazzo della Cooperazione) si è svolta un'assemblea nazionale, significativamente intitolata Oltre la testimonianza, quasi a voler sottolineare che chi si è riunito pochi giorni fa punta ad avere un ruolo e una voce non marginali nel futuro politico dell'Italia. E, sulle grafiche che invitavano all'evento, è apparso per la prima volta un simbolo del movimento, piuttosto sobrio a costo di essere un po' anonimo: la rete è presente solo nel nome, inserito in un cerchio bianco a sua volta contenuto in uno rosso; il tricolore è un tocco lievissimo sopra la "i" del nome, al posto del puntino, e si segnala la scelta di inserire la dicitura "movimento politico", come a voler chiarire che non si tratta di una semplice rete di natura sociale. Non si usa la parola partito, ma a Roma si è deciso di iniziare comunque a muoversi seriamente.
Non si tratta di una scelta facile, perché comporta - come scritto da Merlo - "misurarsi concretamente con le dinamiche della politica, le sue regole, le sue contraddizioni, le sue difficoltà. E anche con la sua organizzazione", ma per qualcuno ciò è parso più utile che limitarsi "alla riflessione, all'approfondimento, alla contemplazione e alla rinuncia all'organizzazione della politica". La scelta di parlare di "movimento" e non di "partito" passa forse attraverso un'altra idea espressa da Merlo, cioè che, invece di costruire un partito identitario, sia meglio "far pesare un'area culturale ed ideale - come, appunto, l'area cattolico popolare e cattolico sociale - all'interno di un soggetto politico più ampio, plurale, riformista, democratico, di governo e autenticamente costituzionale". Quale sia questo soggetto non è immediato, visto che lo stesso Merlo nega che possa coincidere con la "sinistra - o presunta tale - di Zingaretti, il neo Pds", oltre che con l'area salviniana o del MoVimento 5 Stelle e conferma che manca ora "una concreta offerta politica ed elettorale" (il che esclude, per esempio, che quello spazio possa esserci al momento in Forza Italia o nell'Udc o in altro partito esistente, come Demo.S). Di certo quel nuovo soggetto deve partire (o ripartire), per l'ennesima volta, dai territori, quelli amministrati da sindaci, assessori e consiglieri di area cattolico-popolare che si sono messi in rete per costruire qualcosa di nuovo.
Non si tratta di una scelta facile, perché comporta - come scritto da Merlo - "misurarsi concretamente con le dinamiche della politica, le sue regole, le sue contraddizioni, le sue difficoltà. E anche con la sua organizzazione", ma per qualcuno ciò è parso più utile che limitarsi "alla riflessione, all'approfondimento, alla contemplazione e alla rinuncia all'organizzazione della politica". La scelta di parlare di "movimento" e non di "partito" passa forse attraverso un'altra idea espressa da Merlo, cioè che, invece di costruire un partito identitario, sia meglio "far pesare un'area culturale ed ideale - come, appunto, l'area cattolico popolare e cattolico sociale - all'interno di un soggetto politico più ampio, plurale, riformista, democratico, di governo e autenticamente costituzionale". Quale sia questo soggetto non è immediato, visto che lo stesso Merlo nega che possa coincidere con la "sinistra - o presunta tale - di Zingaretti, il neo Pds", oltre che con l'area salviniana o del MoVimento 5 Stelle e conferma che manca ora "una concreta offerta politica ed elettorale" (il che esclude, per esempio, che quello spazio possa esserci al momento in Forza Italia o nell'Udc o in altro partito esistente, come Demo.S). Di certo quel nuovo soggetto deve partire (o ripartire), per l'ennesima volta, dai territori, quelli amministrati da sindaci, assessori e consiglieri di area cattolico-popolare che si sono messi in rete per costruire qualcosa di nuovo.
Nella relazione di apertura, svolta da Dante Monda (figlio, come nota Dagospia, del direttore dell'Osservatore Romano Andrea) e scaricabile dal sito del Domani d'Italia (testata guidata da Lucio D'Ubaldo e Giuseppe Sangiorgi, attorno alla quale si sta sviluppando gran parte del dibattito legato a questa nuova realtà), risultano interessanti soprattutto le osservazioni su metodo politico da applicare e perseguire: il "combattivo, lucido e intellettualmente onesto dialogo politico, a mediazione intesa come vera creatività al potere", cioè "la creatività innovativa del progettare responsabilmente il futuro", per riproporre ovunque "uno stile autentico (cioè autenticamente creativo, propositivo) di fare politica, di esserci politicamente, proponendo con coraggio non soluzioni dall'alto, ma un'alleanza di verace e franco confronto fra società, istituzioni politiche ed economia, oltre che fra parti politiche". E se nessuno pensa o deve pensare di avere Dio e la verità dalla sua parte, per soddisfare "il bisogno di una cultura politica che dica davvero qualcosa su questo futuro, di un ambiente e di un lavoro sostenibili, cioè sintonizzati sui bisogni veri e naturali dell'uomo, da donare alle generazioni che ci succedono", occorre per forza riscoprire il "valore intrinsecamente democratico della mediazione, cioè dall'essere decisi sostenitori (e dunque riformatori) di una democrazia rappresentativa, la forma di organizzazione politica che meglio di tutte permette di sviluppare libertà e giustizia sociale riunite in una fratellanza solidale". Il contrario della "democrazia immediata" a mezzo Facebook o Twitter.
A compendio di tutto ciò, si riporta il documento finale dell'assemblea, approvato all'unanimità dai presenti. Non c'è un punto d'approdo, ma la strada tracciata sì: resta solo da vedere dove porterà e quanto sarà lunga.
A compendio di tutto ciò, si riporta il documento finale dell'assemblea, approvato all'unanimità dai presenti. Non c'è un punto d'approdo, ma la strada tracciata sì: resta solo da vedere dove porterà e quanto sarà lunga.
Vogliamo andare oltre la semplice testimonianza. Per questo rivolgiamo l’invito a prendere sul serio l’impegno per un nuovo codice di appartenenza, iniziando ancora una volta dalle autonomie locali. Da oggi Rete Bianca declina la sua azione come stimolo alla nascita di un vasto e ramificato movimento politico.
Il divenire della storia impone ai “Liberi e Forti” di ogni epoca di guardare avanti, con piena coscienza dei “segni dei tempi”, ma con fiducia. I “segni dei tempi” che cogliamo sono quelli di un passaggio difficile per la nostra democrazia.
La fiducia che vogliamo coltivare è in una società aperta, responsabile, solidale, sorretta da un umanesimo che si rinnova nella centralità della persona e del suo legame inscindibile con la comunità, secondo la lezione ancora viva di Jacques Maritain ed Emmanuel Mounier.
La nostra democrazia corre il serio rischio di uno svuotamento di significati e di valore, come accade sempre quando larga parte del popolo è indotta a cedere autonomia e libertà in cambio di presunta sicurezza e proclamata protezione. La deriva autoritaria è l’inevitabile ricaduta del populismo demagogico.
Ogni risposta puramente “difensiva” dei principi sociali e liberali, ben incisi nella Carta costituzionale, risulterà tuttavia insufficiente, se non sarà accompagnata da un recupero credibile di carisma sociale della democrazia.
I “segni dei tempi” ci parlano di una crisi profonda del compromesso tra democrazia e mercato: le disuguaglianze crescono a dismisura, il ceto medio è impoverito, le opportunità di elevazione sociale diffusamente compromesse.
Le nuove frontiere digitali stanno cambiando le categorie di tempo e di spazio, fino al punto da evocare una dimensione “post umana”, senza che siano stati elaborati adeguati presìdi culturali ed etici. Si afferma una inedita antropologia, che spiazza ogni giorno consolidati modi di vivere le relazioni tra persone.
Gli assetti mondiali scombinano vecchie centralità e alleanze; la crisi demografica del Nord del Mondo, i processi migratori ed il cambiamento climatico prefigurano scenari inesplorati e generano una diffusa paura del futuro.
È un passaggio storico di portata globale. Ma ha colto il nostro Paese particolarmente impreparato per la fragilità delle sue istituzioni pubbliche e dei suoi assetti politici; la debolezza della sua base sociale e produttiva; l’insufficiente investimento sulle risorse umane degli ultimi decenni.
L’impressionante facilità con la quale, negli ultimi anni, il Paese ha dato credito alle forze politiche populiste e alla destra sovranista evidenzia una debolezza sociale e politica di sistema e disvela – tra l’altro – le gracili basi sulle quali si era costruito l’assetto politico e della rappresentanza nella stagione della cosiddetta Seconda Repubblica.
I Popolari, animati da una sensibilità cristiana laicamente vissuta, non possono tuttavia rinunciare alla fiducia e alla speranza, ben consapevoli che, in ogni passaggio storico, rischi di regressione e opportunità di nuovi talenti sociali si confondono assieme. Tocca alla cultura e alla politica discernere gli uni dagli altri e dare spazio ai secondi.
Noi abbiamo fiducia nella nostra società: nei suoi vecchi e nuovi corpi intermedi; nei giacimenti non ancora inariditi di cultura e di formazione; nella scienza e nella tecnologia eticamente e socialmente presidiate; nei valori radicati – benché oggi sotto stress – che costituiscono l’ossatura del vivere civile; nelle nuove generazioni.
Noi abbiamo fiducia in un Italia Europea e in una Europa capace di riconquistare il cuore e la mente dei propri cittadini, contro il ritorno degli incubi nazionalisti asserviti al disegno di chi, in Oriente o in Occidente, punta alla sua disgregazione
Il Popolarismo non è una ideologia, ma un modo di essere della Comunità e di vivere ed interpretare la Democrazia, alla luce di un Umanesimo cristianamente ispirato che vive la storia con tutte le sue contraddizioni ed i suoi mutamenti.
Per questo il nostro orizzonte non è la nostalgia ma la rigenerazione di una visione di futuro che trova, oggi come ieri, il suo primo fondamento nel contrasto di ogni declino autoritario.
Il nostro progetto si fonda su una visione sociale e comunitaria della Democrazia. Essa è – come scriveva Aldo Moro nel 1946 – “il divenire della società nella storia secondo il suo ideale di giustizia”. Non esiste Democrazia senza spirito di apparenza comunitaria; condivisione di un destino collettivo; piena valorizzazione delle Autonomie Territoriali e delle formazioni attraverso le quali si esprime il ruolo protagonista della Comunità rispetto allo Stato e al Mercato.
Per questo, restano per noi fondamentali le conquiste di socialità e di partecipazione che hanno segnato il completamento dell’antica idea liberale ed hanno comportato, dal secondo dopoguerra in poi, una trasformazione radicale della società nel senso della giustizia e della piena fruizione dei diritti personali e sociali.
Richiamarsi a questa cultura politica significa opporsi senza ambiguità ad ogni progetto che punti a rispondere alla crisi della democrazia rappresentativa attraverso la tentazione del rapporto diretto tra Potere e Individuo: questa è infatti l’essenza della “post democrazia”.
Sta qui la radice della nostra irriducibile alternatività al populismo e della nostra inconciliabilità valoriale, culturale e politica con la destra.
Serve una “Comunità Politica Popolare” autonoma, riconoscibile, organizzata: per questo facciamo appello ai movimenti locali e nazionali che in questi mesi si sono costituiti per provare a rispondere a questa esigenza.
Troviamo subito, entro poche settimane, il terreno comune sul quale promuovere un unico Soggetto Politico, senza gelosie, primogeniture e tentazioni auto referenziali.
Lavoriamo poi assieme ad una nuova “forma partito”, adeguata alle mutate esigenze di una rappresentanza oggi priva di strumenti e di riferimenti e alla definizione delle condizioni e delle modalità attraverso le quali cooperare con altre culture politiche e sensibilità sociali compatibili con la nostra visione della Comunità e della Democrazia.