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Libri simbolici (o, più in generale, da #drogatidipolitica)

I creativi raccontano

venerdì 23 ottobre 2015

Le ali di farfalla degli Ecologisti

Bisogna ammetterlo da subito: in politica - per lo meno in Italia - ha vinto il regno vegetale. Lasciate per un attimo da parte gli scudi, le falci, i martelli e i tricolori. Se ci si butta sugli elementi naturali, è facile contare le rose, i garofani, le foglie d'edera, e poi le stelle alpine, le margherite, gli anemoni, i girasoli e qualunque cosa avrebbe potuto ben figurare su un catalogo Sgaravatti. Animali, invece, ben pochi. In principio fu il leone, che fosse quello monarchico, quello valdostano o - più avanti - quello alato dei venetisti; venne poi la breve stagione in cui si giocò a "fa' l'americano", contrapponendo l'elefantino (durato lo spazio di un'elezione) all'asinello (dalla vita appena appena più lunga). Al di fuori di questo, si ricorda qualche uccello (a partire dal gabbiano dell'Idv), qualche orso ("verde verde", ma non solo) e una manciata di insetti.
Se però si pensa in prima battuta alle api - quella simpatica degli Autonomisti per l'Europa e quelle cangianti dell'Alleanza per l'Italia - pochi rimandano la mente alla grazia della farfalla, ritenuta forse troppo delicata e non abbastanza aggressiva per difendersi nel gioco politico. Eppure da alcuni anni il profilo dell'insetto è spuntato sul serio nella simbologia politica, grazie al Movimento Ecologisti di Roberto De Santis, parente stretto della lista degli Ecologisti, con cui lui stesso concorse alle elezioni comunali di Roma del 2006. Se però allora la parte grafica era affidata a una foglia stilizzata e alata - quasi a voler fondere mondo vegetale e animale - qualche tempo dopo l'emblema fu decisamente ripulito: da verde il fondo si fece bianco, il testo arcobaleno si convertì in un più sobrio Bodoni e, all'angolo alto-destro della parola "Movimento" spuntarono i contorni sfumati blu di due tenui ali di farfalla.
"Non ci fu una ricerca particolare, quando nacque quel simbolo, - racconta ora De Santis - semplicemente ci piaceva la farfalla perché aveva le ali e rappresentava in qualche modo la libertà, così come ci piaceva il modo in cui il disegno era inserito graficamente, tutto qui". Si trattava pur sempre, in fondo, di rompere con la scelta fatta nel 2004, con il tentativo di aggregare gli ambientalisti che non si riconoscevano nell'area sinistra sotto un simbolo che portava in evidenza il nome dei Verdi Verdi del piemontese Maurizio Lupi: "Sono sempre stato contrario a utilizzare il nome 'Verdi', ormai troppo caratterizzato politicamente, così come avrei voluto che la nostra formazione si differenziasse anche graficamente dai Verdi di sinistra - ricorda sempre De Santis - ma in quel gruppo chi la pensava in quel modo era decisamente in minoranza. Quando decidemmo di riprendere il nostro progetto ambientalista originario venne naturale cambiare il nome". 
La nuova esperienza, tuttavia, fu presto funestata da un incubo, quasi con il sapore della nemesi o della beffa. Era l'anno del Signore 2011, il Movimento ecologista aveva iniziato a muovere i suoi passi da qualche anno, mentre i Verdi, fuori dal Parlamento italiano ed europeo, si trovavano in seria difficoltà: in quelle circostanze, in ottobre, si decise di scegliere il simbolo del nuovo soggetto ambientalista che ne doveva costituire l'evoluzione. Alla fine risultò comunque vincitore il sole che ride, ma in primo piano non c'era più la scritta "Verdi", bensì "Ecologisti", perché il nome scelto per la formazione era proprio Ecologisti e reti civiche. De Santis, inutile dirlo, la prese decisamente male: "Fu l'incubo più grande", scherza oggi, ricordando la curiosa sensazione di sentirsi copiato dopo avere fatto di tutto per non copiare il nome storico dei Verdi. Anche quel contrassegno verde, in ogni caso, non durò molto, dissolvendosi nel 2013 dopo le elezioni politiche, che avevano visto la débacle di Rivoluzione civile, appoggiata anche dai Verdi. Non potevano certo immaginare, proprio loro, che il sole sarebbe tornato più avanti a ridere in Parlamento, grazie all'adesione di Bartolomeo Pepe e Paola De Pin, senatori eletti nel MoVimento 5 Stelle. Le farfalle degli Ecologisti, invece, sono sempre fuori dalle aule parlamentari: le lasceranno mai entrare?

martedì 20 ottobre 2015

Quanto dura il simbolo di Ncd?

Negli ultimi anni i più attenti alle vicende politiche italiane hanno incontrato più volte storie di simboli "sopravvissuti" ai loro partiti: certi emblemi finivano nelle bacheche del Viminale anche quando il partito che rappresentavano per anni non aveva dato segni di vita (i Liberal Democratici che furono di Dini ne erano un esempio), oppure rimanevano affissi all'ingresso delle loro antiche sedi benché quegli stessi locali ospitassero da tempo le formazioni nate in seguito da quell'area (vedi alla voce "Margherita", per la sede del Pd a Sant'Andrea delle Fratte: la targa con il fiore è stata rimossa da non molti mesi). A leggere Il Tempo di qualche giorno fa, qualcosa di simile sta già accadendo al Nuovo centrodestra: un articolo di venerdì a firma Pietro De Leo si intitola infatti "Ncd, sotto il simbolo niente".
Volutamente provocatorio, il titolo coglie a modo suo una sorta di cupio dissolvi che ormai sembra avere avvinto il partito fondato e guidato dal titolare del Ministero dell'interno Angelino Alfano. Ha buon gioco De Leo a ricordare i pezzi persi via via: prima Nunzia De Girolamo e Giuseppe Scopelliti, poi Maurizio Lupi (che non è uscito da Ncd, beninteso, ma ha dovuto traslocare senza troppi complimenti dal Ministero dei trasporti) e Barbara Saltamartini, fino al probabile addio di Gaetano Quagliariello. Tutto questo mentre lo stesso Alfano sarebbe stato lasciato "lungamente a gestire in solitaria il dramma immigrazione", ma avrebbe continuato a sostenere il governo per non perdere la guida del Viminale, anche a costo di essere tenuto ben poco in conto nelle scelte della stessa maggioranza (dal mancato ritorno al premio alla coalizione vincente alla polemica delle ultime settimane sulla stepchild adoption relativa alle unioni omosessuali).
Per De Leo questo travaglio politico ha anche una rappresentazione grafica, tutta interna al contrassegno del partito: "Nel simbolo Ncd, di fatto, la 'd' di destra ha funto da orpello, specie considerando l’esercizio accademico dei due forni di postdemocristiana memoria: al governo con Renzi, in molte regioni con Berlusconi". Una "D" che già era stata messa fuori dal "quadrato" originale del simbolo e che, per giunta, in più di un caso è sembrata ballerina, come se fosse appesa a qualcosa. Questo nonostante Fabrizio Cicchitto abbia dichiarato da poco all'Huffington Post che Renzi al governo "sta facendo una serie di cose che a Berlusconi non sono riuscite" e, per giunta, "per salvare il Pd dallo stallo e il sistema istituzionale da una contestazione radicale è riuscito in quello che non riuscì né alla destra né a Bettino Craxi e neanche a Berlusconi: ha ucciso i comunisti". Giusto per dire che Ncd sta dalla parte migliore.
Lo stesso Cicchitto, peraltro, nella stessa intervista ha dichiarato che, a suo dire, "il Nuovo centrodestra deve entrare nell'ordine di idee che il suo nome è cambiato nella sostanza politica e deve cambiare nella forma", perché è tempo di costruire un nuovo centro che si allarghi a tutti coloro che hanno sostenuto Renzi fin qui, senza entrare nel Pd. La soluzione? "In tempi ragionevoli ma rapidi vanno superate tutte le sigle esistenti e va posto in essere un processo di rifondazione politico e culturale tale da unificare un campo che finora qualcuno, compresi alcuni renziani, ha trattato come 'un volgo disperso che nome non ha'". Morale, proprio Cicchitto ha di fatto certificato la fine di un partito che, tra l'altro, con l'avanzata dei verdiniani, rischia di essere assai meno determinante. Al punto che Ncd si sarebbe rivelato "l’invitato con posto in piedi al party del renzismo", un posto in piedi "per di più, vicino al wc. Ma l’importante è starci. Finchè non arriva il buttafuori". E chissà se il simbolo, da qui all'arrivo del buttafuori, sarà rimasto lo stesso o sarà cambiato...

lunedì 19 ottobre 2015

Milano, il mistero di Forza Nord

Quando si voterà a Roma, ancora non è ben chiaro: il comune dovrà essere commissariato, ma i tempi si vedranno prossimamente. Le elezioni sotto la Madonnina, invece, sono certe per l'anno prossimo: il test del voto per rinnovare l'amministrazione di Milano sarà certamente il più atteso nel 2016, assieme a quello di Napoli (solo quello di Roma, ovviamente, potrebbe ottenere maggiore interesse). 
Nessuna notizia certa sui contendenti al momento, anche se le ipotesi che hanno più spazio sui media riguardano proprio i possibili nomi in corsa. Nessuna indiscrezione palpabile sul MoVimento 5 Stelle (anche se la sua presenza sulla scheda è quasi scontata), vari nomi per il centrosinistra a guida Pd (in prima linea Emanuele Fiano e Pierfrancesco Majorino); nel centrodestra, invece, prima ancora che un nome si cerca una soluzione unitaria che tenga insieme Forza Italia, Lega Nord e magari il Nuovo centrodestra (non a caso si parla ancora della possibile candidatura di Maurizio Lupi).
Proprio al centrodestra "ufficiale", tuttavia, qualche outsider potrebbe portare un inatteso disturbo, potenzialmente in grado di intaccare il panettone di Silvio Berlusconi (improbabile candidato per Palazzo Marino) e Matteo Salvini (che quel posto lo avrebbe voluto, ma ora sembra più facile un suo passo indietro), ben determinati a riconquistare il capoluogo lombardo. La minaccia, peraltro, potrebbe non arrivare da chi aveva già confermato la candidatura, come Vittorio Sgarbi (con la sua lista personale), Corrado Passera (al battesimo ufficiale di Italia unica) o il redivivo Antonio Di Pietro (con l'Idv che fondò ma di cui non fa più parte?), bensì da una formazione, o addirittura una coalizione "pirata".
In questi giorni, infatti, stanno iniziando a circolare alcuni simboli "strani", che potrebbero essere pericolosamente evocativi delle liste principali del centrodestra, ma sono congegnati in modo da passare sostanzialmente indenni al controllo degli uffici elettorali, precedenti alla mano. Uno di questi, ad esempio, è intitolato Lega per Milano, con la prima e la terza parola in evidenza, su uno sfondo verdino con la sagoma geometrica del duomo di Milano sfumata in bianco-azzurro, mentre decisamente in primo piano c'è l'elemento centrale dello stemma meneghino, cioè lo scudo bianco con croce di San Giorgio rossa sopra. Quest'ultimo fregio, in effetti, potrebbe dare qualche problema, visto che da alcuni anni (dal 2013 per l'esattezza) le istruzioni per la presentazione delle candidature stilate dal Viminale - che i presentatori di liste sono comunque tenuti a rispettare - vietano l'uso di "simboli propri del Comune", cosa che già si è ricordata per il contrassegno già presentato da Sgarbi. In quel caso, tuttavia, lo stemma è completo di diadema e corona d'alloro, mentre qui c'è solo lo scudo, quindi la commissione elettorale potrebbe anche chiudere un occhio; tutto il resto dell'emblema, invece, non creerebbe alcun tipo di problema. Non la grafica, certamente non confondibile con quella di alcun'altra lista, ma nemmeno la parola "Lega": il Consiglio di Stato ha ufficialmente "sdoganato" l'uso di quel termine anche slegato da soggetti affini alla Lega Nord (in quel caso, Lega Toscana - Più Toscana), ritenendo che non potesse esserci alcun diritto di esclusiva per il Carroccio.
Anche più insidioso è un altro potenziale fregio elettorale, quello di Forza Nord. Il nome si presenta come una crasi tra Forza Italia e Lega Nord, senza essere nessuno dei due. La grafica in qualche modo ricorda quella di Forza Italia - in particolare il suo sviluppo orizzontale, senza bandiera, utilizzato soprattutto alle elezioni del 1996, ma non solo - essenzialmente per l'uso della font (un Helvetica compresso corsivo) e per le scritte "impilate", con tanto di banda centrale a sinistra e a destra. I colori però sono diversi (nero e verde fosforescente su fascia bianca, con due segmenti circolari verde e nero rispettivamente nella parte superiore e inferiore del cerchio.
Proprio perché il fregio è più insidioso, i funzionari della commissione elettorale potrebbero mettersi di traverso, ma non su tutto. A partire dal nome: in varie occasioni alle elezioni sono stati ammessi simboli contenenti diciture sul calco di "Forza ..." ma non legate a Fi, quindi "Forza Nord" non dovrebbe creare problemi. Nel 2012, addirittura, a Piacenza fu accettata la lista Forza Piacenza Insieme (alleata del Carroccio ma a sostegno di un candidato diverso rispetto a quello di Fi), che sullo sfondo aveva persino un tricolore; bisogna però ammettere che in quell'occasione sulle schede c'era il simbolo del Pdl e non quello forzista, cosa che può avere facilitato l'ammissione dell'altro emblema nonostante gli esposti di Forza Italia. 
Per qualcuno la differenza cromatica, unita a quella del nome, potrebbe essere sufficiente a scongiurare la bocciatura del contrassegno; per altri, invece, questa avverrebbe comunque a causa del carattere utilizzato, per giunta in Italic. Una diversa font, usata in tondo, potrebbe però bastare ad aggirare l'ostacolo; non si dimentichi che l'ammissibilità dei contrassegni alle elezioni comunali tradizionalmente è valutata con meno rigore rispetto alle scelte fatte dal Ministero dell'interno. Lo stesso Viminale che, per la cronaca, nel 1994 ammise in seconda battuta la versione modificata di Forza Sardegna, dopo che aveva rinunciato alla forma di bandiera "al vento" (accontentandosi di un vessillo rettangolare) e alla font Helvetica.
Resterebbe da capire, secondo il canone classico del complottismo, "chi c'è dietro". I buoni lettori di indizi (purché ovviamente siano drogati di politica fino al midollo) potrebbero riconoscere, ad esempio, la sagoma del duomo milanese già utilizzata nel 2004 alle provinciali dalla Lista per Milano città Metropolitana - Liberaldemocratici federalisti riformatori europei: candidò, tra gli altri, Pietro Mennea (curiosità: suo avversario per i Ds a Milano centro era Emanuele Fiano), Anna Belardi e Viola Valentino (all'anagrafe Virginia Minnetti). La stessa Valentino che, nel 2013, era candidata al consiglio comunale di Aviatico, nel bergamasco, con la lista dei Pirati. 
Non era - diciamolo subito - una lista legata al Partito pirata dell'Internazionale Pirata, ma candidava a sindaco Max Loda e aveva come portavoce nazionale Marco Marsili. Lo stesso che era riuscito a far ammettere il simbolo del Jolly Roger alle elezioni politiche del 2013 (presentando liste in Lombardia) e che negli anni ha "diretto" molte iniziative elettorali, alcune delle quali deliberatamente volte a mettere "sotto stress" le norme dettate per il voto. Qualche indizio forse non fa una prova, ma qualcuno potrebbe anche guardare con attenzione a cosa si sta muovendo in Lombardia, con la certezza che potrebbe uscire qualcosa di sorprendente. Sicuramente di non monotono.

domenica 18 ottobre 2015

Grillo: "M5S, via il mio nome dal simbolo? Si avvererà prestissimo"

L'idea non è nuova, se ne parla a ondate da circa un anno, prima solo come voce poi con maggiore consistenza. La consacrazione definitiva, però, l'ha data oggi Beppe Grillo in persona, alla festa Italia 5 Stelle a Imola: "voglio togliere Beppe Grillo dal simbolo, perché il movimento diventerà vostro".
Non è l'unica cosa importante uscita dalla kermesse del MoVimento 5 Stelle, naturalmente: il passaggio dal "vinciamo noi" al "governiamo noi" (emerso anche dalle parole di Gianroberto Casaleggio, che si è riferito espressamente al M5S come "forza di governo", "pronta a governare") è molto più rilevante e va sottolineato. Anche i passaggi sul contrassegno, tuttavia, meritano una certa attenzione. Tutto è partito da una considerazione generale, su quelli che "vogliono il logo" e "non hanno capito che non si può, un MeetUp degli attivisti, usare il logo": sul punto erano già intervenuti alcuni mesi fa Alessandro Di Battista e Roberto Fico con una lettera ai gruppi di sostegno sviluppatisi grazie al social network MeetUp, precisando che quelle realtà avevano un ruolo formativo, partecipativo e "di base" molto importante, ma il MoVimento era una cosa distinta e solo i portavoce eletti e le liste certificate potevano utilizzare il logo, registrato come marchio da Grillo stesso. 
Proprio lui, stavolta, rivela subito dopo alla platea di avere "un sogno... e si avvererà prestissimo": togliere, appunto, il suo nome - meglio, il sito col suo nome - dal simbolo, perché "il MoVimento diventerà vostro e basta, senza nomi, cognomi...". Si avvicinerebbe, dunque, il momento del "distacco", in cui il MoVimento 5 Stelle potrebbe camminare con le sue gambe, senza dover beneficiare per forza e in automatico del plusvalore mediatico apportato dal nome e dalla fama di Grillo. Qualcosa di simile, in realtà, doveva averlo comunque in mente da un po': il simbolo che Beppe Grillo ha depositato all'Ufficio italiano brevetti e marchi, infatti, non comprende il sito Beppegrillo.it (che invece c'è nell'omologo contrassegno registrato all'Ufficio armonizzazione del mercato interno, a livello europeo), per cui quell'elemento poteva non essere essenziale.
Resta solo da vedere a quanto corrisponde il "prestissimo" di cui ha parlato Grillo: settimane? Mesi? Alle prossime elezioni il simbolo - che ci sarà, essendo l'unico davvero pronto ad affrontare un voto con l'Italicum - sarà un po' più leggero o conterrà (magari) il nuovo sito del MoVimento? Toccherà proprio a Grillo e al suo staff svelarlo, quando lo riterranno opportuno. 

venerdì 16 ottobre 2015

Simboli contesi: il caso di Democrazia in (troppo) Movimento

Ma, alla fine, di chi è un simbolo di un partito o di un movimento politico? Del partito? Dei suoi singoli esponenti? Di chi lo ha rappresentato di più a livello apicale? Ce lo si è chiesti più volte negli anni, a ogni dissidio, scissione o dissoluzione di una realtà politica, per cui i giudici non sono mai rimasti senza lavoro. Uno degli ultimi casi finiti in tribunale ha riguardato Democrazia in Movimento, soggetto politico nato - secondo un'etichettatura forse troppo scontata - anche grazie all'apporto di soggetti esclusi dal MoVimento 5 Stelle, a partire dal ferrarese Valentino Tavolazzi
Molti forse non conoscevano nemmeno la sua esistenza, ancora più difficile dunque sapere che, soprattutto tra settembre e ottobre dell'anno scorso, l'associazione politica aveva conosciuto una fase decisamente concitata, arrivando ad avere contemporaneamente due presidenti (Alessandro Crociata e Gino Albettino), ognuno dei quali si riteneva pienamente legittimato a ricoprire quel ruolo, appellando l'altro come "ex associato" o "pluridimissionario e sfiduciato". 
Le acque, insomma, erano agitate proprio come quelle del mare stilizzato nel contrassegno di Democrazia in Movimento. E proprio in quelle circostanze si era arrivati, tanto per cambiare, a litigare sulla titolarità del nome e del simbolo di DiM, oltre che sulla gestione del sito internet. L'associazione rappresentata da Alessandro Crociata aveva dunque citato in giudizio Gino Albettino presso il tribunale di Palermo (città di Crociata e sede della stessa Democrazia in Movimento), chiedendo che ad Albettino, come "ex associato" di DiM, fosse inibito l'uso del nome dell'associazione e del suo emblema, nonché la chiusura degli spazi web di cui era titolare quest'ultimo e la "restituzione" del forum e del gruppo facebook corrispondente (mediante la consegna delle credenziali di accesso).
Sul punto, la sezione specializzata in materia di proprietà industriale del tribunale palermitano si è espressa alcuni mesi fa (23 febbraio - 4 marzo 2015), con un'ordinanza che, in sostanza, ha dato ragione a Crociata. Al suo interno, la decisione affronta vari punti, uno dei quali - al di là delle questioni formali sulla competenza e sulle forme di deposito degli atti, che qui non interessano - merita di essere messo in luce per primo.

martedì 13 ottobre 2015

Chi suggerì davvero la Quercia a Veltroni?

Non so quanti abbiano fatto il conto, ma il 9 ottobre sono passati esattamente 25 anni dalla svolta simbolica più dolorosa della storia della politica italiana. Risale a quel giorno del 1990, infatti, la presentazione di quello che sarebbe stato il nuovo simbolo del dopo Pci, ossia del Partito democratico della sinistra. Il cambio di nome da Partito comunista italiano a Pds sarebbe arrivato solo pochi mesi dopo, con il congresso di Rimini del gennaio 1991, ma il disegno di Bruno Magno era stato reso noto con un certo anticipo.
Lui stesso ha sempre raccontato di avere ricevuto le indicazioni necessarie a creare il nuovo emblema da Walter Veltroni; ora però alla storia si aggiunge un altro tassello. Ad apportarlo è Francesco Martelloni, storico leccese con la tessera del Pci e oggi redattore della rivista Itinerari di ricerca storica: in un articolo pubblicato da Left Avvenimenti, a firma Stefano Santachiara, riporta i suggerimenti che lo stesso Martelloni avrebbe dato proprio a Veltroni: quella da preparare sarebbe stata sì una trasformazione, ma "senza strappi alle radici", per cui il nome sarebbe mutato in Partito Comunista Libertario e si sarebbe dovuto inserire come simbolo anche "l’albero della libertà della rivoluzione francese, nonché della Repubblica partenopea e di quelle giacobine del ’99" Frase che, secondo l'articolo di Left, riecheggiava le parole dello stesso Achille Occhetto sul tema ("L’albero della libertà accompagnò la rivoluzione francese e fu piantato ovunque, in tutte le piazze dei paesi d’Europa"). 
Questa idea di cambiare senza strappare, probabilmente, avrebbe portato a un risultato molto lontano da posizioni come quelle oggi rappresentate dalla Spd tedesca, puntando invece a delineare (assieme alla "rottura con ogni cultura autoritaria e violenta") "il recupero dell’ispirazione originaria dell’equivalenza tra comunismo e libertà". Anche in quel caso, va detto, falce e martello si sarebbero dovuti togliere dal contrassegno, essendo per Martelloni "troppo angustamente rappresentativi di sole figure economico-sociali e professionali del proto-capitalismo”, ma nessuno avrebbe dovuto togliere "l’insopprimibile" bandiera rossa.
Come siano andate le cose è noto: nel nome non ci fu la parola "comunista" e il vecchio simbolo rimase, ma decisamente in versione mignon. Giusto per qualche anno, fino alla nascita dei Ds che cancellarono anche la bandiera che Martelloni voleva conservare. La pagina, però, era già stata decisamente girata da quel 9 ottobre 1990, quando fu piantata e mostrata la quercia.

lunedì 12 ottobre 2015

Il fumetto di Progetto Trentino

Si è allungato proprio in questi giorni l'elenco dei partiti che hanno ottenuto il riconoscimento da parte dell'apposita Commissione, la quale ha ritenuto che i loro statuti rispettassero i requisiti previsti dal decreto-legge n. 149/2013 per l'iscrizione nel Registro dei partiti politici. L'albo ora conta 21 presenze: mancano ancora il MoVimento 5 Stelle (per ragioni ben immaginabili visto che per ora l'iscrizione serve solo a rivendicare le provvidenze pubbliche) e il Pd, per ragioni molto meno comprensibili (in teoria lo statuto sarebbe pronto da tempo), ma gli altri partiti di peso ci sono tutti. E se nel Registro Ncd, Fratelli d'Italia, Psi, Sel, Lega Nord e Verdi c'erano dall'inizio (da ottobre dell'anno scorso, assieme ad altre sigle meno conosciute), all'ultima riunione della Commissione - in data 5 ottobre - si sono aggiunti anche i Moderati, Centro democratico, l'Italia dei Valori, la Svp e persino Forza Italia, dopo le modifiche allo statuto che all'inizio dell'anno erano in corso di studio, come aveva annunciato in Senato il parlamentare e avvocato di lungo corso Donato Bruno, scomparso di recente.
Tra i soggetti politici di fresco riconoscimento, peraltro, c'è anche Progetto Trentino, il cui simbolo è molto meno noto rispetto a quelli degli altri nominati sopra. In un Registro di livello nazionale, infatti, non si trovano solo partiti di caratura nazionale o al più regionale, ma addirittura provinciale, visto che il soggetto è chiaramente riferito alla sola provincia autonoma di Trento (non è l'unico caso, perché lo stesso potrebbe dirsi storicamente per i partiti "delle stelle alpine", ossia il Patt e soprattutto la Svp, ma in Parlamento sono presenti da tempo). Il sito del movimento cita espressamente come base per Pt il "patrimonio culturale e [il] sistema dei valori del popolarismo autonomista di tradizione cristiana", come pure la "grande tradizione del popolarismo italiano ed europeo", entrambe con l'attenzione peculiare per la sintesi politica delle varie posizioni. 
In cima alle priorità, per Pt, il superamento delle diseguaglianze e della povertà attraverso "politiche che premiano il merito, che incentivano la solidarietà, che rispettano le tradizioni, che supportano tutte le forme dell’associazionismo, che difendono la libertà e la democrazia", nonché l'impegno a perseguire un'economia sociale di mercato "basata sulla meritocrazia, sulla sostenibilità ambientale, sulla solidità e trasparenza della finanza pubblica", all'insegna dell'equilibrio tra competitività e giustizia sociale. Non si perdono poi di vista la cultura, la formazione e altre istanze necessarie a far ripartire la società, avendo come punto di riferimento il Trentino "capace di difendere la sua dimensione locale, di valorizzarla, ma anche di promuoverla nel contesto europeo" e restituendo spazio alla Regione Trentino Alto-Adige, "non tanto in chiave pantirolese, ma secondo l’intuizione degasperiana che vedeva nella Regione l’asse istituzionale portante del nostro speciale assetto autonomistico". Un tentativo - lo dicono gli stessi aderenti al partito - di "essere conservatori e riformatori, [...] portatori della cultura dalle forti radici ma anche attivatori di un’azione riformatrice che facendo i conti con le difficoltà dell’oggi sappia interpretare il patrimonio valoriale e culturale del passato alla luce delle sfide della contemporaneità". 
Tutto ciò sarebbe riassunto nel contrassegno che lo statuto di Pt così descrive: ""Lettere "P" e "t" rispettivamente maiuscola e minuscola disposte una di seguito all'altra, in carattere bastoncino, la "P" in colore arancione e la "t" in colore rosso ciliegia, inferiormente a quest'ultima è posta la scritta "PROGETTO TRENTINO" in carattere bastoncino di colore rosso ciliegia, disposta su due righe; il tutto un un cerchio bianco con un piccolo uncino esterno in basso a sinistra. Tale cerchio è a sua volta inscritto in un altro cerchio di colore rosso carminio sfumato in rosso ciliegia". Ove il "cerchio bianco con un piccolo uncino esterno" sarebbe poi un fumetto, facilmente riconoscibile nell'epoca di Whatsapp. 
Essendo nato nel 2013 (per iniziativa soprattutto di Silvano Grisenti), dunque, Progetto Trentino ha adottato la "nuvola parlante" prima di Mo!, soggetto che ha partecipato alle ultime regionali campane. Sembra comunque essere questo l'elemento grafico di maggiore novità, insieme all'uso dei colori, che rimanda più all'arancione della Cdu tedesca che ad altre esperienze italiane, magari della tradizione popolare (del tutto assente, per esempio, ogni riferimento blu o azzurro, colori democristiani per eccellenza insieme al bianco). Finora il soggetto politico non ha sfondato, alle provinciali (9%) e alle comunali di Trento (3,8%), ma continua le sue battaglie tendenzialmente in un'area di centrodestra, mantenendo il suo fumetto pronto all'uso.

sabato 10 ottobre 2015

La check-list (in preparazione) di Cittadini per l'Italia

Ricevo da un assiduo e attento lettore di questo sito, Luca Cenatiempo, questo messaggio: "Non dici niente sul nuovo simbolo di Scelta civica che è stato presentato quasi due settimane fa?". Non ho ancora detto nulla, è vero, un po' perché la questione legata alla Fondazione An mi ha sottratto molto tempo, un po' perché a Dublino l'attenzione era assorbita da altro. Ma è chiaro che la domanda-suggerimento coglie assolutamente nel segno: l'emblema di Cittadini per l'Italia, nuovo progetto politico in cui in sostanza vorrebbe evolvere Scelta civica per l'Italia (o, per lo meno, ciò che ne resta) merita sicuramente di essere analizzato.
Dal calderone simbolico si può dire che, in questo caso, siano state tirate fuori - e non è certo una novità - cose quasi nuove e cose antiche. Quelle antiche sono abbastanza facili da riconoscere, a partire dai colori: il tricolore, ovviamente, è quello di sempre, mentre il blu (un carta da zucchero un po' più scuro), oltre a formare con il verde, il rosso e il bianco la quadricromia tipica nazionale (tipica dei partiti catch-all), sembra stretto parente della tinta sempre blu, ma più virata al petrolio, adottata da Scelta civica per il contorno dell'emblema e parte del suo testo; persino la font utilizzata nel nuovo segno, Pluto Sans, somiglia abbastanza al carattere stile Nexa utilizzato per Scelta civica da Proforma.
Ci si fermasse qui, si dovrebbe dire gli elementi di svolta rispetto a Sc non si vedono granché bene, per lo meno dal punto di vista grafico: sul piano cromatico, ci si è spostati ben poco; per gli osservatori dotati di buona memoria, tra l'altro, la riga tricolore in quella posizione su fondo blu carta da zucchero ricorda piuttosto il precedente tentativo di Alleanza per l'Italia (non la prima versione con le api, ma quella con il solo fiore - come si vede, tra l'altro, oltre ai colori persino parte del nome coincide), dagli esiti non proprio felicissimi. Se è così, allora, dove stanno gli elementi nuovi nell'immagine del nuovo progetto civico-politico presentato dal segretario di Sc Enrico Zanetti
La quasi-novità grafica sta nel "tick", in quella casella quadrata "spuntata" che compare nella parte superiore del cerchio, con il segno di spunta che addirittura in parte fuoriesce dal tondo, dando l'impressione che l'immagine lì contenuta sia solo un dettaglio. Il "quasi" è dovuto al fatto che qualche precedente in tal senso c'è, nella grafica politica in generale sicuramente, ma anche negli emblemi di lista: il tick è pur sempre un segno di scelta (per cui, se ora quel concetto è espresso con la parola "Scelta", da qui in avanti lo si renderebbe con la grafica) e più di una formazione civica potrebbe averlo adottato. Lo ha fatto, per esempio, nel 2008, la lista civica "Cittadini di Formia", legata al nascente "progetto a 5 Stelle"), così come altre - sia pure in modo non sempre ortodosso - hanno utilizzato il classico "crocesegno" per invitare i cittadini alla scelta. Il fatto che sia stata usata una spunta e non una croce, però, non sembra secondario: più che all'atto del voto, infatti, fa pensare all'azione di chi, avendo davanti i vari punti di un programma amministrativo, segna proprio con un tick le promesse mantenute e lascia in bianco quelle rimaste inevase. Il fatto che Cittadini per l'Italia si sia dato quest'immagine evoca proprio questa operazione di check-list, questa sorta di celo-manca (o, se si preferisce, di fatto - non fatto) che, ovviamente, si vorrebbe desse sempre esito positivo (non a caso, l'unica casella inquadrata è piena, di vuote non se ne vedono).
Il secondo elemento di novità, in effetti, non è propriamente grafico, ma riguarda più che altro il momento e il modo in cui il nuovo simbolo apparirà. Vale la pena, per questo, ripercorrere le parole del segretario Zanetti: 
Il compito che ci dobbiamo dare per le prossime amministrative non è però quello di mettere bandierine con il nostro simbolo nazionale, bensì quello di promuovere e supportare una rete di liste civiche che siano ovviamente omogenee nei valori di fondo delle persone che vi aderiscono, ma assolutamente autonome, secondo appunto la logica della rete di civiche (...). Cittadini per l'Italia (...) è il simbolo della rete dei cittadini europei, liberal-democratici e riformisti che si impegneranno per il buon governo delle loro città e da cui potrà in futuro nascere, questa volta dal basso, la prossima lista civica nazionale, europeista, liberal-democratica e riformista. La prossima volta sarà ancora nella sostanza una Scelta Civica per l'Italia, ma sarà con e su chiamata dei Cittadini per l'Italia.
Salvo errore, parole come queste potrebbero anche significare che il simbolo di Scelta civica potrebbe non sparire del tutto, ma dovrebbe rimanere per lo meno in Parlamento (i deputati sono pur sempre stati eletti con quello), mentre alle elezioni amministrative verrà sostituito da quello di Cittadini per l'Italia, il cui emblema contrassegnerebbe così quelle liste civiche autonome tra loro, ma omogenee nel loro essere riunite in rete; il terzo passaggio, come lasciato intendere dallo stesso segretario, dovrebbe essere lo sbarco dello stesso simbolo locale a livello nazionale, una volta che si siano rese stabili effettivamente queste realtà territoriali. Probabilmente nemmeno questa è una cosa del tutto nuova, ma avere reso chiara e pubblica questa serie di passaggi è sicuramente positivo.

giovedì 8 ottobre 2015

Pensioni & Lavoro, quando il successo poteva partire da Courmayeur

Come si può far conoscere agli elettori un partito che magari non è agli esordi, ma fino a quel momento non ha avuto troppo riscontro? Cercando di trarre vantaggio dall'attenzione che attirano gli altri competitori, ad esempio. Ci aveva provato, sinceramente, Ugo Sarao da Bagnone in Lunigiana, per anni cancelliere tra il tribunale di Cassano D'Adda e la corte d'appello di Milano e, anche prima della pensione, creatore di nuovi partiti con relativi simboli. Una delle sue creature più recenti, la cui durata probabilmente ha battuto tutte le altre, è Pensioni & Lavoro, nata nel 1996 e spesso presente nelle bacheche del Viminale e in alcune competizioni locali. Una delle storie che mi ha raccontato Ugo l'Inesauribile per il mio libro Per un pugno di simboli ha davvero dell’incredibile e passa per Courmayeur: la faccio raccontare direttamente da lui. Buon divertimento... 
Nell’estate del 2007 le agenzie di stampa battono la notizia: Silvio Berlusconi si sarebbe presentato alle elezioni comunali di Courmayeur con il Popolo della libertà, alla prima uscita. Una splendida occasione per un partito, come Pensioni & Lavoro, che voleva farsi conoscere dal grande pubblico, sfruttando i riflettori puntati sul Cavaliere. Così il sottoscritto Ugo Sarao, da buon alpino, incomincia a pensare come dare la scalata al Municipio di Courmayeur.  
Chi è pratico di elezioni lo sa: la difficoltà maggiore è la raccolta delle sottoscrizioni. "Fortunatamente le firme necessarie per Courmayeur sono soltanto 13", pensai, ma commetto un errore metropolitano perché raccogliere 13 firme in Val d’Aosta è come raccoglierne 130 a Milano. La voglia di partecipare, comunque, è tanta ed è più forte di qualsiasi ragionevole ripensamento; il dietro-front, invece, lo fa Berlusconi che, subodorato un probabile insuccesso, rinuncia alla competizione.  
Berlusconi o no, alle prime luci dell’alba di un giorno di ottobre il sottoscritto Sarao, Marilena Sohnel (candidata vice-sindaco), Carlo Muccio (candidato consigliere), partono da Cassano d’Adda per Courmayeur portandosi un tavolino, due sedie pieghevoli, alcune bandiere, la modulistica ed un rotolo di manifesti. I tre vengono raggiunti sul posto dalla seconda pattuglia elettorale, formata dal candidato sindaco Cesare Valentinuzzi, scortato da Nigi Macchi alla guida della generosa NigiMobile; per ultima arriva la terza pattuglia composta da Salvatore Quarta, dalla moglie Angela Pesaro e dal loro secondogenito.
Nessuno di tutti loro sa che quello è un giorno sbagliato! Fantozzi avrebbe detto: "Trattasi di tragico affondamento degli equipaggi in giorno semi-festivo con pochissime persone in strada, negozi ed esercizi commerciali chiusi". In più c’era il problema di reperire un Pubblico Ufficiale per autenticare le firme: in questo li aveva aiutati il Tribunale di Aosta il cui Presidente, memore del suo trascorso ambrosiano nella stessa città in cui prestava servizio Sarao, aveva autorizzato alla bisogna la dottoressa Emanuela Chieppi, cancelliere di quel Tribunale, che si era imbarcata ad Aosta sull’auto della terza pattuglia. 
Finalmente si può allestire la postazione e i nostri attivisti si mettono al lavoro, che consiste nello spiegare ai pochi increduli passanti il motivo della loro presenza. Da non credere, ma le 13 firme vengono raggiunte allo scadere della quinta ora. Il mese successivo il gruppo torna a Courmayeur per comiziare, affiggere manifesti e partecipare ad un paio di dibattiti pubblici. Per far capire a chi non c’era l'impossibilità di prendere voti, basta citare i nomi delle tre liste concorrenti: Courmayeur la nuova via, Noi Courmayeur-Nous Courmayeur, Courmayeur domani… quando tutti i candidati erano parenti e/o amici di tutto l’elettorato possibile e immaginabile. 
Nonostante tutto, a lasciare attoniti è il finale. Tredici firme, tredici voti raccolti da Pensioni & Lavoro: unico caso al mondo in cui i sottoscrittori sono rimasti fedeli a una lista per più di un mese!

mercoledì 7 ottobre 2015

Fondazione An: cosa dice davvero la mozione approvata domenica?

Spente le luci in sala, passata la foga del momento e dei titoli di giornale, gli appassionati di politica dovrebbero chiederselo: ma cos'ha deciso davvero domenica l'assemblea della Fondazione Alleanza nazionale? Basta dire che ha vinto Giorgia Meloni, che è stata sconfitta la "mozione dei risentimenti" (come Fabio Rampelli ha battezzato quella dei "quarantenni") assieme a Gianni Alemanno e Gianfranco Fini e che - come ha scritto Il Fatto Quotidiano - "il patrimonio resta blindato"? E, soprattutto, è corretto tutto ciò? Per capirlo è bene confrontare il testo della mozione annunciata da Ignazio La Russa nelle vesti di "pontiere", per cercare di mettere d'accordo tutti, e quello della mozione "Fondazione per l'Italia" approvata dall'assemblea: non disponendo di documenti ufficiali, tocca fare riferimento ai testi pubblicati dal Secolo d'Italia, organo della fondazione stessa.
Scorrendo con attenzione le due versioni, le differenze emergono e pesano. Alcune sono di portata minore, anche se significative, come nel "Considerato che", sull'intervento politico diretto della fondazione (le premesse sulla presenza tangibile ma insoddisfacente di Fratelli d'Italia in Parlamento e sulla necessità di unire la destra sono identiche). Rispetto al "testo La Russa" originale, è sparito l'inciso per cui la trasformazione della fondazione in partito appare giuridicamente impossibile "a prescindere dal giudizio di merito che ciascuno può dare" e, quanto al parere chiesto dalla fondazione ai civilisti Cataudella e Doria, non si ritiene più che abbia sancito "la difficoltà (rectius: l'impossibilità) di avere certezze di liceità" su percorsi alternativi alla trasformazione, ma si parla solo di "impossibilità": queste differenze marcano le distanze dal progetto dei "quarantenni", ma non hanno effetti pratici (anche se, come ho già scritto, la conclusione sul parere non è condivisibile in pieno). 
Diverso è il discorso, invece, per una modifica solo in apparenza più piccola: il primo testo di La Russa metteva in dubbio la liceità tra l'altro del "finanziamento ultra legem di un'associazione finalizzata alla rinascita di un partito), mentre nella mozione approvata le due parole sono sparite. La nuova versione esclude in ogni modo che la Fondazione An possa finanziare un partito in via di (ri)costituzione anche entro i limiti di legge, sbarrando la strada pure per il futuro a simili progetti; un atteggiamento così rigido, però, cozza contro il reale contenuto del parere, non è prescritto dalla legge e, soprattutto, sembra poco coerente con il finale della mozione, di cui si parlerà a tempo debito.
Le differenze maggiori, però, devono ancora venire: le parti successive della mozione sono state private dei punti più significativi di mediazione che aveva introdotto La Russa nel suo testo. Innanzitutto, è stata decisamente annacquata la parte relativa alla "democrazia interna" alla Fondazione Alleanza nazionale: in particolare, il consiglio di amministrazione ha avuto "l'indirizzo di affrontare l'opportunità" di modificare lo statuto per introdurre, tra l'altro, l'elettività dei membri dello stesso cda da parte dell'assemblea e l'incompatibilità tra la carica di consigliere di amministrazione e quelle di parlamentare, consigliere regionale (o comunale/metropolitano di capoluogo di regione). In pratica, a scegliere se sarà opportuno democratizzare la formazione e l'operato del cda - cosa che, attualmente, porrebbe il problema dell'incompatibilità per Alemanno, Gasparri, La Russa, Martinelli, Matteoli e la Meloni - sarà il cda stesso, con un cortocircuito di competenze non indifferente.

lunedì 5 ottobre 2015

Il Partito dei Socialisti, a guida Craxi (Marco), con polemiche annesse

Mentre questo sito era impegnato a capire cosa sarebbe accaduto in casa degli ex An, in vista dell'assemblea biennale della Fondazione Alleanza nazionale, due domeniche fa sempre a Roma sono tornati i socialisti. Nel senso che è nato il Partito dei socialisti, con tanto di etichetta "sottotitolo": Riformisti Democratici Liberali. Li ha fatti (ri)nascere un cittadino di Tortorici (ME) dal cognome illustre, Marco Craxi. Il centro congressi Frentani, infatti, il 26 settembre è stato teatro del primo congresso del partito che si propone di aggregare tutti coloro che, pur ritenendosi socialisti, "non si sono mai riconosciuti nella fallimentare esperienza di Riccardo Nencini", senza dimenticare chi condivide la stessa idea e si trova a disagio all'interno di Forza Italia o del Pd. 
Per coloro che si sono riuniti il 26 settembre ai Frentani, è innanzitutto necessario "per l’Italia e per gli italiani" che esista "un autentico, forte e autonomo partito socialista" che offra "proposte pratiche e concrete anche ai problemi più banali del popolo"; si può fare questo solo cercando di unire "tutte le esperienze socialiste che anche la gestione turbolenta del Psi sta in questi mesi producendo".
Quel soggeto "collettore" socialista, manco a dirlo, vuole essere incarnato proprio da Craxi (eletto dall'assise segretario nazionale) e da chi è intorno a lui, iniziando a prendere contatti nei prossimi mesi con altre forze socialiste, per arrivare poi a un secondo congresso per iniziare davvero a operare: "Qualora nei prossimi mesi l’attuale Psi non riesca ad affrancarsi in maniera netta e totale dalle sbagliate scelte politiche del PD e dei suoi derivati, di sinistra, come di destra - si legge in un comunicato del partito - la base più autenticamente socialista potrà avere in questo nuovo contenitore una nuova casa già allestita". 
Casa che, naturalmente, ha già un'insegna grafica, con tanto di descrizione ufficiale del simbolo: "una corona circolare rossa nella quale è riportata la scritta “Partito dei Socialisti Riformisti Democratici Liberali” con al centro 3 garofani rossi con gambo verde, di cui il garofano centrale ha le maggiori dimensioni. Il fondo è di colore celeste sul quale si stagliano sette linee rette gialle a simboleggiare le origini del movimento socialista, mentre i tre garofani sorgono da un terreno simbolicamente rappresentato dal tricolore italiano".
Quei garofani, a ben guardare, sono la copia carbone del fiore (a sua volta versione appena stemperata del disegno della metà degli anni '80, opera di Filippo Panseca) che era già presente nell'emblema del movimento Rinascita socialista, guidato dallo stesso Craxi nei mesi scorsi e di cui il Partito dei socialisti vorrebbe essere la continuazione. O meglio, così si pensava, perché nel sito di Rinascita socialista si legge che Craxi sarebbe invece stato espulso dal movimento per difetto di trasparenza sul meccanismo del tesseramento e sulla gestione economico-finanziaria della forza politica, nonché a causa della linea politica dell'associazione che sarebbe stata decisa dallo stesso Craxi senza consultare gli organi statutari preposti. 
A decidere l'espulsione di Marco Craxi (di cui il collegio dei probiviri ha preso atto) sono stati gli altri due soci fondatori di Rinascita socialista, il coordinatore nazionale Emilio Ierace e il presidente Vittorino Navarra: quest'ultimo, peraltro, mantiene tuttora la segreteria di Rinascita socialdemocratica, partito dal nome simile ma distinto, trattandosi del soggetto politico nato negli anni '90 per opera di Luigi Preti e di cui Navarra ha "ereditato" la guida. "Stiamo tentando di mettere insieme un progetto politico nuovo - spiega - dal nome 'Un’italia diversa', visto che questa non ci piace: per fare questo, partiamo da una riunificazione socialista e socialdemocratica, di coloro che hanno quelle idee e non hanno avuto una responsabilità di governo, per costruire tutti insieme una realtà che mandi democraticamente a casa questa classe politica inetta e corrotta. Anche per questo, cerchiamo di prendere accordi col M5S e Lega Nord, gli unici due soggetti politici che oggi si differenziano molto da tutti gli altri". In tutto questo, comunque, per Navarra "Marco Craxi ha avuto atteggiamenti non consoni a un progetto politico come quello che volevamo portare avanti e che lui stesso aveva iniziato". Sempre dal sito si apprende che Craxi sarebbe stato diffidato da Navarra e dal coordinamento di Rinascita socialista affinché non usi nome e simbolo dell'associazione, né convochi riunioni di qualunque tipo in nome della stessa. E' forse per questo che Craxi e gli altri hanno deciso di usare denominazione ed emblema nuovi (via, quasi nuovi) per il loro congresso del 26 settembre?

domenica 4 ottobre 2015

Fondazione An: Fratelli d'Italia vince (ma non stravince)

Alla fine l'accordo che qualcuno aveva sperato non c'è stato: arrivare alla conta sulle mozioni presentate all'assemblea dei partecipanti di diritto e degli aderenti alla Fondazione Alleanza nazionale è stato inevitabile. Chi vuole a tutti i costi identificare vincitori e vinti, dirà che ha vinto la linea di Fratelli d'Italia e ha perso quella dei "quarantenni" e di chi, come Gianni Alemanno, li aveva sostenuti con maggiore forza. In realtà, a ben guardare, la situazione è un po' più complessa e merita una lettura più attenta.
Il primo numero da analizzare è stato poco considerato dagli interpreti. Al voto di oggi hanno partecipato 490 delegati su quasi 600 aventi diritto, cioè coloro che erano regolarmente iscritti o che hanno pagato le quote dovute anche in extremis; a dicembre del 2013, alla prima assemblea, i votanti erano stati 306, gli aventi diritto 693 (chi aveva impugnato l'esito del voto che aveva concesso il simbolo di An a Fratelli d'Italia ne aveva contati 1206, ma forse molti non avevano regolarizzato l'adesione). La partecipazione è stata più consistente stavolta, anche perché da mesi si preparava l'evento (lo hanno fatto soprattutto i sostenitori della "mozione dei quarantenni") e su certe presenze si è contato; pesa però il calo di aderenti alla fondazione, a quattro anni dall'avvio, come se nell'ultimo biennio circa cento persone si fossero scordate di rinnovare l'iscrizione o si fossero allontanate di proposito. Segno poco incoraggiante, a ben guardare.
Arrivando ai numeri più "caldi", quelli delle mozioni, il testo a prima firma di Ignazio La Russa (Fondazione per l'Italia), volto a riaprire un "congresso costituente" di Fratelli d'Italia che apra a chi si riconosce ancora nei valori di An e a rinnovare la concessione del simbolo, ha ottenuto 266 voti, quando ne bastavano 246; la mozione "dei quarantenni" di voti ne ha ricevuti 222. Di documenti ce n'era un terzo, firmato da Nicola Bono e Vincenzo Zaccheo (gli stessi che già nel 2013 avevano chiesto maggiore democrazia interna per la fondazione), con cui si chiedeva di "congelare" il simbolo "perché non diventi motivo di lotta", come ha spiegato Bono, che peraltro sposava la tesi dei "quarantenni": quella mozione ha ricevuto 212 voti. La mozione con primi firmatari Altero Matteoli e Maurizio Gasparri, invece, è stata ritirata, con lo stesso Gasparri che - pur ribadendo che "non si può fare della fondazione un partito" e che "chi vuole rifare un partito alleato con Monti, lo può fare. Non con i soldi della Fondazione" - ha invitato a votare la mozione La Russa.

sabato 3 ottobre 2015

Fondazione An: la mozione di La Russa pronta a vincere?

Alla fine l'appuntamento di destra per eccellenza è arrivato: oggi, all'hotel Midas di Roma, lo stesso in cui il 16 luglio 1976 Bettino Craxi fu incoronato segretario del Psi (e lo rimase per sedici anni e mezzo), inizia l'assemblea dei partecipanti di diritto e degli aderenti della Fondazione Alleanza nazionale. L'appuntamento da statuto è biennale e, dopo la prima turbolenta assemblea della fine del 2013, da tempo si attendeva la convocazione della seconda puntata: come si legge su questo sito da settimane, l'atmosfera se possibile è ancora più tesa ed "elettrica" rispetto a due anni fa.
Più che sulle attività svolte, ovviamente, il confronto-scontro riguarderà il futuro. Fino a ieri erano almeno due le mozioni presentate su cui l'organo della fondazione si sarebbe dovuto pronunciare (ricordando che il numero legale dei presenti perché l'assemblea si costituisca correttamente è un terzo degli aderenti; per l'approvazione delle mozioni occorrerà, in più, la maggioranza dei presenti). 
La prima, e più chiacchierata, era la cosiddetta "mozione dei quarantenni" (presentata a luglio da sei firmatari), volta a tentare di riunire politicamente la destra attraverso una nuova associazione, avallata dalla Fondazione An, per poi approdare al massimo in un anno a un partito unico che rappresenti davvero la destra italiana e che possa essere sostenuto, tra l'altro, dalle risorse residue di An di cui è titolare la fondazione stessa; il testo, cui hanno aderito tutte le associazioni riunite in ForumDestra (a partire da Prima l'Italia, movimento di Gianni Alemanno e di Francesco Biava, vicepresidente della fondazione), è stato da pochi giorni modificato, inserendo tra l'altro il riferimento al parere dei civilisti Antonino Cataudella e Giovanni Doria sulla fattibilità di un impegno politico diretto della fondazione e la richiesta di "democratizzare" la formazione del consiglio di amministrazione dell'ente (facendone eleggere in particolare l'elezione dei membri da parte della stessa assemblea) .
La seconda mozione, non meno discussa, porta le firme di Altero Matteoli, Maurizio Gasparri, Giuseppe Valentino, Marco Martinelli, Alfredo Mantica e Carmelo Porcu (tutti ex An, molti ora militano in Forza Italia, ma non tutti) ed avversa in pieno qualunque "cambio di destinazione d'uso" della Fondazione Alleanza nazionale rispetto alla sua forma giuridica e alla sua vocazione culturale, come pure l'idea che le sue risorse possano essere utilizzate oltre i limiti di legge per finanziare un partito, anche di nuova costituzione: in caso contrario, si prospetta la possibilità di "un infinito e doloroso contenzioso" che - c'è da giurarci - Gasparri e gli altri, direttamente o indirettamente, sarebbero pronti a iniziare.
Tra le due soluzioni appena viste, tuttavia, è probabile che se ne imponga - anche se, magari, di misura - una terza: si tratta della mozione annunciata da Ignazio La Russa nei giorni scorsi (anche grazie a un'intervista sul Tempo), come sorta di mediazione tra le due ipotesi appena viste e la realtà, che vede Fratelli d'Italia come unico partito di destra con rappresentanza parlamentare e cui l'assemblea della Fondazione An ha già riconosciuto per il 2014 (non senza polemiche) l'uso del simbolo, prorogato dal cda per parte di quest'anno. Il testo della mozione è certamente debitore del deliberato dell'assemblea nazionale di Fdi di domenica scorsa con cui si sono impegnati gli aderenti alla fondazione iscritti al partito a non sostenere progetti che possano apparire come "duplicazioni" del partito di tutta la destra che proprio Fdi sta cercando di incarnare.

venerdì 2 ottobre 2015

Destra per Milano riparte dal Duomo (tricolore)

A volte non occorre essere un partito per darsi un simbolo, di quelli che sarebbero anche pronti per finire sulle schede elettorali. Anche un movimento è perfettamente libero di farlo e, naturalmente, anche di cambiarlo. Lo ha appena fatto, ad esempio, Destra per Milano, che in effetti si qualifica come "libero movimento, apartitico e trasversale, di opinione ed espressione politica, di destra (sociale, popolare ed identitaria)". Quel gruppo lunedì scorso ha diffuso il suo emblema nuovo nuovo: se si votasse domani per rinnovare l'amministrazione meneghina, la grafica sarebbe già pronta e non sfigurerebbe sulla scheda. In realtà, come è noto, per il rinnovo di Palazzo Marino si voterà l'anno prossimo e non è detto che il fregio finisca tra quelli votabili, come del resto è accaduto in passato, anche quando gli aderenti al gruppo erano tra i candidati.
In effetti Destra per Milano nacque come comitato nel 2000, per opera di una ventina di persone che avevano militato prima nel Msi e poi chi in Alleanza Nazionale, chi nella Fiamma Tricolore (diventandone anche dirigenti). A guidare il gruppo, i tre consiglieri di zona: Riccardo Falcone, Roberto Jonghi Lavarini (come portavoce) e Sergio Spinelli (allora presidente). 
Già dall'inizio, il comitato scelse di sostenere il progetto di Felice Roberto Bigliardo, eletto nel 1999 al Parlamento europeo con la Fiamma tricolore, ma poi intenzionato a dare vita al Movimento sociale europeo (potendo vantare, tra l'altro, l'appoggio di Jean Marie Le Pen del Front National). Il disegno, tuttavia, durò poco e Bigliardo rientrò presto nella Fiamma: da lì in avanti, Destra per Milano scelse di impegnarsi sostenendo innanzitutto i raggruppamenti politici che a livello nazionale hanno ritenuto di incarnare la tradizione della destra sociale, senza però disdegnare l'area di centrodestra (pur mantenendo la propria identità come comitato, poi divenuto associazione).
In particolare, nel 2008, il gruppo (con Jonghi Lavarini diventato presidente) ha contribuito a promuovere la lista unitaria che univa la Destra di Storace alla Fiamma tricolore (allora indicava come capo della forza politica Daniela Garnero, nota Santanchè); quell'esperienza non durò molto e riprese l'impegno su vari fronti, contribuendo tra l'altro alla promozione di una corrente interna al Pdl, dal nome di "Destrafuturo", certamente qualificata fin dall'etichetta. In seguito, nel 2011, sempre Destra per Milano si è posta come referente meneghina e lombarda della Destra, per poi tornare a una forma di fiamma più avanti, con il Progetto nazionale guidato da Piero Puschiavo. In tutti questi anni, il gruppo ha mantenuto come immagine di riconoscimento un emblema che non era di principio tondo o inscrivibile in un cerchio, anche se in qualche modo a quella forma poteva ricondursi: si trattava in fatti di un tondo a tre quarti, con i due spicchi sinistri verdi e rossi e quello superiore destro nero (il quarto settore era sostituito dalla M di Milano, nella versione completa c'era tutto il nome del comitato-movimento a destra del logo); il cerchio, peraltro, era "traforato" da una sorta di "mandala" o croce celtica bianca sovrapposta, tanto per chiarire bene a quale area il segno facesse riferimento.
Nel 2014 è arrivato un contatto importante per il possibile futuro di Destra per Milano: il gruppo infatti si è alleato con la Fondazione Europa dei Popoli di Mario Borghezio e, quasi come logica conseguenza, alle elezioni europee ha sostenuto la Lega Nord, con leader Matteo Salvini. E' in quel contesto che Jonghi Lavarini e gli altri aderenti auspicano di vedere nascere una "Lega degli Italiani", a guida bicefala Salvini-Meloni, a difesa della sovranità nazionale, della giustizia sociale e della sicurezza degli italiani. Nel frattempo, peraltro, Destra per Milano ha scelto - sempre nel perimetro del centrodestra - di organizzare una sua presenza autonoma con la creazione di un coordinamento regionale che ha preso il nome di Destra lombarda, con l'adozione di un simbolo che al tricolore affianca la tradizionale croce di San Giorgio, rappresentativa non della sola Milano ma dell'intera regione. L'obiettivo era essere comunque pronti per la prossima tornata di elezioni amministrative. 
Nella stessa ottica, peraltro, va il simbolo nuovo appena adottato, anche se in realtà era stato varato già a giugno, sia pure in versione nera. Fondo a parte, però, la struttura è rimasta la stessa: "Si tratta di un simbolo - spiega direttamente Jonghi Lavarini - dai colori patriottici: c'è il Duomo di Milano riletto in chiave tricolore, rappresentato in un modo che può tra l'altro rimandare a una fiamma, c'è lo sfondo azzurro sportivo nazionalpopolare, c'è il carattere di stampo futurista. Nel complesso ricorda molto il simbolo di Alleanza Nazionale, ma si tratta comunque di un emblema moderno (anche per l'ombra utilizzata) e moderato, altra cosa rispetto a quelli più aggressivi del passato: anche per questo, il simbolo nuovo è in grado di attirare naturalmente molte più simpatie, non solo nella destra sociale e radicale, ma nel centrodestra in generale, senza contare che il Duomo e la scritta Milano piacciono anche all'elettorato leghista...". Gia a giugno, Jonghi Lavarini aveva parlato di "svolta realistica, patriottica e futurista", dettata da "sano pragmatismo politico, necessario per vincere e difendere il bene comune”: per lui è necessario che la destra italiana faccia di nuovo buona politica e, partendo da Milano, riconquisti il governo dei territori e dell'intero paese. La Lega degli Italiani, in questo senso, sarebbe lo strumento migliore: se non arriverà, in ogni caso, il simbolo della Destra per Milano è già pronto all'uso... 

giovedì 1 ottobre 2015

Fondazione An e i Quarantenni 2.0, la mozione rivista e corretta

Lo avevano annunciato nei giorni scorsi: i "quarantenni" - Sabina Bonelli, Michele Facci, Fausto Orsomarso, Andrea Santoro, Gianluca Vignale e Alessandro Urzì - aderenti alla Fondazione Alleanza nazionale che avevano presentato in estate una mozione per sbloccare quell'ente dalla posizione di "monumento culturale" e dagli maggior peso politico, sostenuti in questo dalle trenta sigle riunite in ForumDestra (a partire da Prima l'Italia, legata a Gianni Alemanno), questa mattina hanno illustrato il nuovo testo della loro proposta, a breve sottoposto ai 293 firmatari della mozione stessa, che punta alla democratizzazione e trasparenza della fondazione finora guidata da Franco Mugnai.
La mozione "Quarantenni 2.0" mostra effettivamente alcune novità. Si rivendica, per esempio, per la Destra nazionale "un ruolo forte e autonomo, non subalterno a nessun altra forza politica, ruolo che può essere guadagnato soltanto riaggregando tutta la diaspora della propria area" (ogni riferimento alla necessità di non essere ai comandi della Lega è puramente casuale, il pensiero a eventuali alleanze Meloni-Salvini forse altrettanto). Si aggiunge poi, nella parte del "considerato che", il richiamo al parere dei civilisti Cataudella e Doria, emesso su incarico del cda della Fondazione An e nel quale si esplorano le possibilità di intervento della fondazione stessa in politica (sostenendo e finanziando una nuova associazione).
Tengono appunto conto di quel parere giuridico alcune delle modifiche più rilevanti della parte "impegnativa", in cui si delinea con maggiore chiarezza il percorso che il progetto politico dovrebbe seguire: per prima cosa i vertici della fondazione, assieme al Comitato scientifico e culturale, dovrebbero stilare un programma di iniziative politiche, culturali e sociali volte a diffondere "le idee della Destra politica, secondo la tradizione che discende dall’esperienza storica di Alleanza Nazionale", con l'attenzione a produrre "un effettivo miglioramento della condizioni di vita degli italiani". Questo punto, in effetti, sembra cogliere le sollecitazioni tanto del direttore del Tempo, Gian Marco Chiocci, quanto di Marcello Veneziani (in un intervento pubblicato sullo stesso giornale), che proponevano in effetti un impegno solido in chiave rispettivamente sociale e culturale.   
Altro contributo accolto sarebbe quello di Massimo Corsaro (già tra i fondatori di Fratelli d'Italia, ora vicino ai Conservatori e riformisti di Fitto, non tenero nei confronti dei "quarantenni" e di chi aveva comunque sostenuto quella mozione), che aveva suggerito di lasciare intatto a quello scopo il patrimonio della Fondazione An, impiegandone solo i frutti e soprattutto di avviare una procedura di gara trasparente per individuare operatori professionali della gestione mobiliare ed immobiliare, in modo che siano costoro ad amministrare l’intero patrimonio della Fondazione.
Viene poi la precisazione del cammino già indicato varie volte in questi giorni, con la nascita di una nuova associazione (alla cui costituzione contribuisca la fondazione, senza però aderirvi e senza trasferirle il proprio patrimonio) che possa aggregare "tutte le persone di destra che si vogliono ritrovare in una 'casa comune'" e gli italiani che si riconoscono nei principi che furono di An. L'associazione dovrebbe operare al massimo per un anno, verificando la possibilità - attraverso un Comitato di promotori che rappresenti tutte le realtà di destra, a partire da Fratelli d'Italia - di indire un grande Congresso di fondazione "che raccolga tutte le energie presenti nella nostra area politica per dare vita ad un nuovo partito unitario della Destra italiana": non una semplice riproposizione di An, ma "un’organizzazione nuova con nome, simboli e messaggi in sintonia con i nostri tempi"
Passaggio necessario per arrivare a tutto questo, però, sarebbe l'impegno per la Fondazione An ad approvare tutte le modifiche statutarie che trasferiscano all’Assemblea dei partecipanti di diritto e degli aderenti il potere di eleggere direttamente il Consiglio di amministrazione e il Comitato dei partecipanti di diritto e degli aderenti (oltre che di approvare i bilanci e decidere chi sono i nuovi aderenti alla Fondazione) e stabiliscano l’incompatibilità tra la carica di consigliere di amministrazione e quella di parlamentare, consigliere regionale o di Città metropolitana, così da trasformare il Cda in un organo solo tecnico (mentre il Comitato dei partecipanti di diritto e degli aderenti sarebbe un organo di indirizzo politico, a partire dalle decisioni dell’Assemblea biennale). Soprattutto la prima parte è chiaramente debitrice della mozione presentata a dicembre dell'anno scorso da Nicola Bono e Vincenzo Zaccheo, non ancora discussa però dall'assemblea.
Il nuovo testo della mozione, alla fine, chiede che l'assemblea della fondazione sia chiamata "prioritariamente, a determinarsi con autonoma votazione sull'utilizzo del simbolo di Alleanza Nazionale", punto che - come si è detto nei giorni scorsi, era misteriosamente sparito dall'ordine del giorno dell'assemblea. Per non saper né leggere né scrivere, comunque, il nuovo testo della mozione precisa che Fratelli d'Italia dell'emblema di An ha avuto solo "l'uso temporaneo" (la prima versione parlava genericamente di "acquisizione del simbolo", potendo essere letta anche in senso definitivo).
Capire chi sarà interessato a questo progetto politico e chi invece - come dichiarano da tempo Gasparri, Matteoli e come ha deciso l'ultima assemblea nazionale di Fratelli d'Italia - chiede che la Fondazione An mantenga un ruolo solo di riferimento culturale, senza sostenere in alcun modo iniziative politiche, è ormai questione di giorni: salvo novità dell'ultim'ora, nel fine settimana al Midas di Roma si celebrerà una vera e propria conta, dagli esiti non troppo prevedibili.