Nessuna modifica al quadro delle liste ammesse a partecipare alle elezioni europee 2019 dalle decisioni dell'Ufficio elettorale nazionale: oggi, infatti, sono state pubblicate le cinque decisioni che ieri hanno respinto altrettanti ricorsi presentati da tre dei soggetti esclusi dalle candidature (dunque confermando quanto era già stato deciso dagli Uffici elettorali circoscrizionali interessati). In tutti i casi si trattava di partiti che avevano cercato di partecipare al voto europeo senza raccogliere le firme richieste dalla legge.
Due dei ricorsi erano stati presentati dal Movimento Gilet arancioni, con riguardo alle circoscrizioni Nord-Ovest e Centro. Costoro ritenevano di avere titolo di correre alle elezioni senza firme perché il 10 febbraio 2019 sarebbe entrato a far parte di quel movimento un altro soggetto politico, Alleanza democratica, di cui si dichiara l'adesione all'Alde: il presidente del movimento, Giuseppe Pino, invocava dunque "un'interpretazione evolutiva" dell'art. 12, comma 4 della legge elettorale n. 18/1979, in modo da comprendere tra i partiti esenti anche quelli europei come l'Alde. In ogni caso, Alleanza democratica - secondo il ricorrente - si porrebbe, proprio per la sua appartenenza all'Alde, come "soggetto politico dell'Unione Europea, per cui non sono applicabili nei suoi confronti le norme sulla raccolta firme della legge italiana" (sarebbe meritevole d'indagine la presunta identificazione che il ricorso fa tra l'Alleanza democratica che ha operato dal 1994 sotto la guida di Willer Bordon e l'Alleanza democratica da sempre guidata da Giancarlo Travagin; dovrà comunque essere un altro il momento per occuparsene).
L'Ufficio elettorale nazionale, tuttavia, ha negato che il Movimento Gilet arancioni - legato soprattutto al generale dei Carabinieri Antonio Pappalardo - possa trovarsi in una delle condizioni previste dalla legge per godere dell'esenzione dalla raccolta firme. E questo anche volendo già praticare una lettura in senso estensivo del testo, esonerando dall'obbligo di sottoscrizione anche "i partiti per i quali risulti dimostrato il collegamento con un partito o gruppo politico europeo rappresentato nel Parlamento europeo in carica nel momento delle votazioni", collegamento desunto nel 2014 da "una serie di elementi convergenti", ossia la dichiarazione di affiliazione fatta dal legale rappresentante del soggetto europeo, dal pagamento delle quote associative e dall'inserimento dell'emblema del partito europeo all'interno del contrassegno di lista italiano (si tratta in sostanza del riassunto delle decisioni prese con riguardo al caso dei Verdi Europei). Nel caso di specie, mancherebbe tanto un "atto di affiliazione da parte di un partito europeo", quanto - soprattutto - un contrassegno composito che espliciti all'elettore quel collegamento: ci sarebbe solo la dichiarazione di appartenenza di Alleanza democratica ai Gilet arancioni (da parte del suo presidente Giancarlo Travagin), ma nient'altro.
Altri due ricorsi erano stati presentati da Lamberto Roberti, che aveva depositato il contrassegno Parlamentare indipendente: nelle circoscrizioni Nord-Ovest e Nord-Est (alle quali i ricorsi erano riferiti) Roberti aveva presentato la propria candidatura individuale, configurandola come lista "composta da un solo nominativo" (il suo): gli uffici elettorali lo avevano escluso, ritenendo di trovarsi di fronte a una lista composta da un numero insufficiente di candidati (dovrebbero essere almeno tre) e nemmeno in grado di assicurare il rispetto dell'equilibrio di genere. Il ricorrente, peraltro, ha insistito nella sua posizione di difesa del diritto del singolo a candidarsi individualmente anche alle elezioni del Parlamento europeo.
I magistrati di Cassazione hanno correttamente ribadito che il numero minimo di componenti di una lista è tre, mentre Roberti si era limitato nella sua azione a rivendicare "un'indeterminata libertà nella formazione delle candidature per la elezione dei membri italiani presso il Parlamento europeo"; hanno anche aggiunto che alla candidatura non era allegata alcuna firma a sostegno (né esistevano motivi di esonero dalla raccolta firme), ma soprattutto hanno rilevato che mancava la dichiarazione di trasparenza, dunque già solo per questo il contrassegno non avrebbe consentito la presentazione di liste (e stupisce che l'Ufficio elettorale circoscrizionale non abbia minimamente fatto emergere il problema, almeno stando al riassunto contenuto nella decisione).
Da ultimo, il collegio si è espresso anche sul ricorso presentato da Ora rispetto per tutti gli animali, escluso dalle elezioni nella circoscrizione Nord-Est (l'unica in cui aveva presentato liste). Qui l'ufficio di seconde cure non ha fatto altro che confermare ciò che era già stato rilevato in precedenza, cioè che non era stato prodotto né un numero sufficiente di firme per la presentazione della lista, né qualche documento che attestasse il diritto della forza politica a godere di qualche tipo di esenzione dalla raccolta delle firme. Su questa base, era inevitabile il rigetto del ricorso, con conseguente conferma dell'esclusione già decisa in prima battuta.
Fin qui le decisioni dell'Ufficio elettorale nazionale, a meno che in un secondo momento non se ne aggiunga qualcuna. Qualche informazione, pur se ovvia, la danno, ma non danno risposta - e non per colpa dell'ufficio in questione - a due questioni fondamentali. Innanzitutto non si trova alcuna considerazione sui passaggi logici seguiti dagli Uffici elettorali circoscrizionali per ammettere senza firme le liste di partiti che hanno legittimamente ospitato nei loro contrassegni le "pulci" di partiti di paesi europei che elessero europarlamentari nel 2014: ciò si spiega soprattutto perché, come si è detto giorni fa, se è possibile ricorrere contro l'esclusione di una lista (o di singole candidature), nessuno può impugnare un provvedimento di accettazione perché non nuoce a nessuno. Il fatto è che, da una parte, sarebbe stato utile capire i passaggi logici di un ragionamento (non svolto, in effetti, dai magistrati di cassazione) che avrebbe meritato qualche riga di spiegazione da parte degli uffici circoscrizionali, visto l'ampliamento notevole rispetto ai precedenti del 2014 che lo stesso collegio nazionale cita. Dall'altra parte, appare strano e non del tutto coerente veder citate dai magistrati di Cassazione, come fonte in cui trovare "specifica informazione" circa la "necessità" dei vari elementi per dimostrare l'adesione a un partito europeo rappresentato all'Europarlamento, le Istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature, compilate dalla Direzione centrale dei servizi elettorali del Ministero dell'interno: fonte che proprio gli Uffici elettorali circoscrizionali hanno dimostrato di non aver seguito, ampliando a dismisura i casi di esonero dalle firme (in particolare, accontentandosi del contrassegno composito e della dichiarazione di collegamento con il partito di un paese europeo rappresentato al Parlamento europeo, senza chiedere il pagamento delle quote associative, difficilmente configurabile in questo caso).
Secondariamente, non si trova alcuna spiegazione di un caso oggettivo di incoerenza nel comportamento degli Uffici elettorali circoscrizionali, che a Milano, Roma e Napoli hanno escluso le liste del Ppa - Popolo partite Iva, mentre a Venezia i candidati sono stati ammessi. Bisogna ammettere, pur con molto tatto, che l'anomalia originale è rappresentata proprio da quest'ultimo caso, perché non si capisce davvero con quali argomenti la lista sia stata ammessa a partecipare senza firme a sostegno. Chi conosce Antonio Piarulli, deus ex machina del Ppa, sa che già alle politiche del 2018 aveva proposto una lettura singolare delle disposizioni, per cui nel dire "Nessuna sottoscrizione è richiesta per i partiti o gruppi politici..." la congiunzione "o" sarebbe utilizzata in senso disgiuntivo, per cui la presenza parlamentare con un gruppo o con un eletto diretto (in questo caso, alle Camere o al Parlamento europeo) sarebbe richiesta solo ai soggetti politici diversi dai "partiti" inseriti nel Registro previsto dalla legge: indubbiamente la tesi è seducente, ma poco praticabile sul piano sistematico (a partire dal fatto che l'art. 12, comma 4 della legge n. 18/1979 ripete per tre volte l'espressione "Nessuna sottoscrizione è richiesta per i partiti o gruppi politici...", per cui se la lettura fosse quella data da Piarulli non ci sarebbe alcun bisogno di ripetere per tre volte il riferimento ai partiti, essendo questi già esonerati in ogni condizione).
Evidentemente, però, l'Ufficio elettorale della circoscrizione Nord-Est ha accettato un ragionamento simile, cosa che non hanno fatto gli altri citati: si è dunque creata un'incoerenza tra i due uffici, che non si sarebbe potuta sanare con la ricusazione dell'unica lista ammessa (proprio perché nessuno poteva impugnare quella decisione), mentre si sarebbe potuto tentare di ottenere la riammissione delle liste bocciate nelle altre circoscrizioni proprio sulla base della decisione veneziana. Si era immaginato un ricorso di Piarulli all'Ufficio elettorale nazionale, anche nella speranza che il collegio facesse chiarezza su questo punto, ma al momento non si ha notizia di alcuna decisione (e non si sa nemmeno se i ricorsi siano stati presentati). In caso di nuove notizie, se ne darà debitamente conto.
Due dei ricorsi erano stati presentati dal Movimento Gilet arancioni, con riguardo alle circoscrizioni Nord-Ovest e Centro. Costoro ritenevano di avere titolo di correre alle elezioni senza firme perché il 10 febbraio 2019 sarebbe entrato a far parte di quel movimento un altro soggetto politico, Alleanza democratica, di cui si dichiara l'adesione all'Alde: il presidente del movimento, Giuseppe Pino, invocava dunque "un'interpretazione evolutiva" dell'art. 12, comma 4 della legge elettorale n. 18/1979, in modo da comprendere tra i partiti esenti anche quelli europei come l'Alde. In ogni caso, Alleanza democratica - secondo il ricorrente - si porrebbe, proprio per la sua appartenenza all'Alde, come "soggetto politico dell'Unione Europea, per cui non sono applicabili nei suoi confronti le norme sulla raccolta firme della legge italiana" (sarebbe meritevole d'indagine la presunta identificazione che il ricorso fa tra l'Alleanza democratica che ha operato dal 1994 sotto la guida di Willer Bordon e l'Alleanza democratica da sempre guidata da Giancarlo Travagin; dovrà comunque essere un altro il momento per occuparsene).
L'Ufficio elettorale nazionale, tuttavia, ha negato che il Movimento Gilet arancioni - legato soprattutto al generale dei Carabinieri Antonio Pappalardo - possa trovarsi in una delle condizioni previste dalla legge per godere dell'esenzione dalla raccolta firme. E questo anche volendo già praticare una lettura in senso estensivo del testo, esonerando dall'obbligo di sottoscrizione anche "i partiti per i quali risulti dimostrato il collegamento con un partito o gruppo politico europeo rappresentato nel Parlamento europeo in carica nel momento delle votazioni", collegamento desunto nel 2014 da "una serie di elementi convergenti", ossia la dichiarazione di affiliazione fatta dal legale rappresentante del soggetto europeo, dal pagamento delle quote associative e dall'inserimento dell'emblema del partito europeo all'interno del contrassegno di lista italiano (si tratta in sostanza del riassunto delle decisioni prese con riguardo al caso dei Verdi Europei). Nel caso di specie, mancherebbe tanto un "atto di affiliazione da parte di un partito europeo", quanto - soprattutto - un contrassegno composito che espliciti all'elettore quel collegamento: ci sarebbe solo la dichiarazione di appartenenza di Alleanza democratica ai Gilet arancioni (da parte del suo presidente Giancarlo Travagin), ma nient'altro.
Altri due ricorsi erano stati presentati da Lamberto Roberti, che aveva depositato il contrassegno Parlamentare indipendente: nelle circoscrizioni Nord-Ovest e Nord-Est (alle quali i ricorsi erano riferiti) Roberti aveva presentato la propria candidatura individuale, configurandola come lista "composta da un solo nominativo" (il suo): gli uffici elettorali lo avevano escluso, ritenendo di trovarsi di fronte a una lista composta da un numero insufficiente di candidati (dovrebbero essere almeno tre) e nemmeno in grado di assicurare il rispetto dell'equilibrio di genere. Il ricorrente, peraltro, ha insistito nella sua posizione di difesa del diritto del singolo a candidarsi individualmente anche alle elezioni del Parlamento europeo.
I magistrati di Cassazione hanno correttamente ribadito che il numero minimo di componenti di una lista è tre, mentre Roberti si era limitato nella sua azione a rivendicare "un'indeterminata libertà nella formazione delle candidature per la elezione dei membri italiani presso il Parlamento europeo"; hanno anche aggiunto che alla candidatura non era allegata alcuna firma a sostegno (né esistevano motivi di esonero dalla raccolta firme), ma soprattutto hanno rilevato che mancava la dichiarazione di trasparenza, dunque già solo per questo il contrassegno non avrebbe consentito la presentazione di liste (e stupisce che l'Ufficio elettorale circoscrizionale non abbia minimamente fatto emergere il problema, almeno stando al riassunto contenuto nella decisione).
Da ultimo, il collegio si è espresso anche sul ricorso presentato da Ora rispetto per tutti gli animali, escluso dalle elezioni nella circoscrizione Nord-Est (l'unica in cui aveva presentato liste). Qui l'ufficio di seconde cure non ha fatto altro che confermare ciò che era già stato rilevato in precedenza, cioè che non era stato prodotto né un numero sufficiente di firme per la presentazione della lista, né qualche documento che attestasse il diritto della forza politica a godere di qualche tipo di esenzione dalla raccolta delle firme. Su questa base, era inevitabile il rigetto del ricorso, con conseguente conferma dell'esclusione già decisa in prima battuta.
Fin qui le decisioni dell'Ufficio elettorale nazionale, a meno che in un secondo momento non se ne aggiunga qualcuna. Qualche informazione, pur se ovvia, la danno, ma non danno risposta - e non per colpa dell'ufficio in questione - a due questioni fondamentali. Innanzitutto non si trova alcuna considerazione sui passaggi logici seguiti dagli Uffici elettorali circoscrizionali per ammettere senza firme le liste di partiti che hanno legittimamente ospitato nei loro contrassegni le "pulci" di partiti di paesi europei che elessero europarlamentari nel 2014: ciò si spiega soprattutto perché, come si è detto giorni fa, se è possibile ricorrere contro l'esclusione di una lista (o di singole candidature), nessuno può impugnare un provvedimento di accettazione perché non nuoce a nessuno. Il fatto è che, da una parte, sarebbe stato utile capire i passaggi logici di un ragionamento (non svolto, in effetti, dai magistrati di cassazione) che avrebbe meritato qualche riga di spiegazione da parte degli uffici circoscrizionali, visto l'ampliamento notevole rispetto ai precedenti del 2014 che lo stesso collegio nazionale cita. Dall'altra parte, appare strano e non del tutto coerente veder citate dai magistrati di Cassazione, come fonte in cui trovare "specifica informazione" circa la "necessità" dei vari elementi per dimostrare l'adesione a un partito europeo rappresentato all'Europarlamento, le Istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature, compilate dalla Direzione centrale dei servizi elettorali del Ministero dell'interno: fonte che proprio gli Uffici elettorali circoscrizionali hanno dimostrato di non aver seguito, ampliando a dismisura i casi di esonero dalle firme (in particolare, accontentandosi del contrassegno composito e della dichiarazione di collegamento con il partito di un paese europeo rappresentato al Parlamento europeo, senza chiedere il pagamento delle quote associative, difficilmente configurabile in questo caso).
Secondariamente, non si trova alcuna spiegazione di un caso oggettivo di incoerenza nel comportamento degli Uffici elettorali circoscrizionali, che a Milano, Roma e Napoli hanno escluso le liste del Ppa - Popolo partite Iva, mentre a Venezia i candidati sono stati ammessi. Bisogna ammettere, pur con molto tatto, che l'anomalia originale è rappresentata proprio da quest'ultimo caso, perché non si capisce davvero con quali argomenti la lista sia stata ammessa a partecipare senza firme a sostegno. Chi conosce Antonio Piarulli, deus ex machina del Ppa, sa che già alle politiche del 2018 aveva proposto una lettura singolare delle disposizioni, per cui nel dire "Nessuna sottoscrizione è richiesta per i partiti o gruppi politici..." la congiunzione "o" sarebbe utilizzata in senso disgiuntivo, per cui la presenza parlamentare con un gruppo o con un eletto diretto (in questo caso, alle Camere o al Parlamento europeo) sarebbe richiesta solo ai soggetti politici diversi dai "partiti" inseriti nel Registro previsto dalla legge: indubbiamente la tesi è seducente, ma poco praticabile sul piano sistematico (a partire dal fatto che l'art. 12, comma 4 della legge n. 18/1979 ripete per tre volte l'espressione "Nessuna sottoscrizione è richiesta per i partiti o gruppi politici...", per cui se la lettura fosse quella data da Piarulli non ci sarebbe alcun bisogno di ripetere per tre volte il riferimento ai partiti, essendo questi già esonerati in ogni condizione).
Evidentemente, però, l'Ufficio elettorale della circoscrizione Nord-Est ha accettato un ragionamento simile, cosa che non hanno fatto gli altri citati: si è dunque creata un'incoerenza tra i due uffici, che non si sarebbe potuta sanare con la ricusazione dell'unica lista ammessa (proprio perché nessuno poteva impugnare quella decisione), mentre si sarebbe potuto tentare di ottenere la riammissione delle liste bocciate nelle altre circoscrizioni proprio sulla base della decisione veneziana. Si era immaginato un ricorso di Piarulli all'Ufficio elettorale nazionale, anche nella speranza che il collegio facesse chiarezza su questo punto, ma al momento non si ha notizia di alcuna decisione (e non si sa nemmeno se i ricorsi siano stati presentati). In caso di nuove notizie, se ne darà debitamente conto.
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