Questo sito normalmente non sposa cause, visto che cerca di dare voce al maggior numero di realtà politiche possibili (pur non essendo in alcun modo tenuto alla par condicio o a qualcosa di simile). Stavolta però personalmente ritengo di poter fare un'eccezione, che si giustifica con enorme facilità, con ragioni personali e collettive: excusationes non petitae, forse, ma necessarie.
Chi ha concepito questo spazio, attivo da quasi sette anni, ha iniziato a interessarsi dei simboli dei partiti fin da quando aveva 4 anni scarsi: prima delle elezioni del 1987, i simboli dei partiti comparivano abbastanza spesso in televisione e, se sulle schede si vedevano ancora rigorosamente in bianco e nero, in televisione si potevano vedere a colori. Davanti a quegli occhi di bambino sfilavano la verde costanza della foglia d'edera, le suggestioni biancorosse dello scudocrociato e del sole nascente dal mare, il giallo dell'altro sole - quello che rideva - su fondo verde, il bianco su fondo nero della stella alpina, nonché il tricolore della bandiera e della fiamma, ma anche del garofano e della coppia di bandiere che conteneva falce, martello e stella. Più di tutti, però, a quegli occhi spiccava la complessa eleganza di un segno in apparenza ossimorico, che univa la delicatezza della rosa alla forza del pugno che la stringeva; il tutto, peraltro, era contrassegnato da una strana barra nera, che nascondendo parte del disegno gli conferiva un'aura di tristezza.
Non poteva sapere, quel bambino, che un quarto di secolo dopo si sarebbe occupato intensamente proprio di simboli dei partiti (nel frattempo diventati a colori ovunque, anche se il loro valore nel tempo era decisamente diminuito), che sul tema avrebbe scritto addirittura due libri e dio sa quanti articoli. In questo percorso, ovviamente, ha finito per occuparsi a più riprese anche di quel primo emblema e delle sue tante evoluzioni, anche se nel frattempo era sostanzialmente sparito dalla vita politica italiana: lo ha fatto con un articolo giuridico serio - ma debitamente illustrato - e in tanti altri contributi sparsi, senza mai dimenticare quel primo incontro infantile con il simbolo del Partito radicale, che nel frattempo aveva deciso di non presentarsi più sulle schede, lasciando il compito alla Lista Marco Pannella.
Tutto quel lavoro di ricostruzione, tuttavia, sarebbe stato del tutto impossibile senza un'alleata fondamentale: Radio Radicale. Il suo archivio, liberamente fruibile all'indirizzo www.radioradicale.it, ha infatti permesso al gestore di questo spazio di ascoltare congressi di partito (radicali e non), assemblee e molti altri eventi pubblici di cui altrove non era rimasta alcuna traccia: da lì ha tratto elementi fondamentali oppure particolari interessanti che hanno caratterizzato il suo lavoro di scrittura. Senza il patrimonio immenso di quell'archivio - e senza le molte ore passate a cercare e ascoltare - la ricerca sarebbe risultata molto più povera e sterile: nessun altro soggetto, pubblico o privato, è in grado di offrire a chiunque lo voglia una quantità anche solo analoga di materiale, pronta per essere consultata e valorizzata (e che è aumentata di continuo, grazie all'impegno di chi lavora in radio e dei tanti che inviano le loro registrazioni audio o video per dare copertura agli eventi). Come lui (che nel 2017, proprio per gratitudine a quanto quell'archivio gli ha permesso nel corso degli anni, ha scelto di iscriversi al Partito radicale - anche per mantenere in vita il partito - e ha confermato la sua scelta nei due anni successivi), molti altri ricercatori in ambito giuridico e politologico possono condividere lo stesso giudizio su Radio Radicale: si tratta di una miniera a cielo aperto che non ha nemmeno bisogno di una guida all'ingresso (al più, si rischia di perdersi nella sua vastità).
A questo occorre poi aggiungere l'interesse assoluto e indiscutibile che il patrimonio archivistico di Radio Radicale assume per la categoria dei #drogatidipolitica. Sì, perché loro non si accontentano di cercare testimonianze dei grandi congressi dei partiti che per anni si sono visti in Parlamento (e già questo materiale è introvabile altrove); loro non possono fare a meno di andare in cerca delle assemblee o dei consigli nazionali di partiti definibili "minori" solo per i numeri che hanno raggiunto, ma imprescindibili per chi si appassiona al sottobosco della politica italiana (assai più importante dei retroscena quotidiani cui ormai si è fatta l'abitudine). Gli interventi dei personaggi secondari di grandi partiti e quelli dei soggetti di prima fila di formazioni faticosamente arrivate all'1% possono assumere la stessa importanza - stellare, in ogni caso - agli occhi di chi si è trovato, suo bengrado, a occuparsi di politica a tempo pieno o a tempo perso, ma sempre con passione. Per costoro, la semplice idea che Radio Radicale possa non esistere più e che il suo archivio possa non essere più fruibile com'è stato fin qui è semplicemente folle: un'eventualità che non può, non deve verificarsi.
Per tutti questi motivi, ho scelto di far sposare a questo sito la battaglia per la vita di Radio Radicale, la cui convenzione con lo Stato prosegue solo fino al 20 maggio 2019, senza che poi ne sia garantita la sovvenzione (e senza che sia stata individuata al momento alcuna soluzione alternativa per il sostegno pubblico alla sua attività). Lo faccio adottando come banner sull'homepage del sito il logo "Salviamo Radio Radicale", disegnato appositamente dal sottoscritto a partire da uno spunto offerto da Giuseppe Rossodivita al recentissimo 8° congresso italiano del Prntt come possibile lista di scopo per le elezioni europee. L'ho fatto raccontando proprio a Radio Radicale la mia storia di ricercatore e #drogatodipolitica, che senza il contributo della radio non avrebbe potuto fare nemmeno la metà del lavoro. Al di là della mia storia, Radio Radicale merita di vivere, per rendere più concreto quel diritto alla conoscenza, quell'einaudiano "conoscere per deliberare" che l'emittente ha fatto proprio. Ne sono convinto: avete bisogno di Radio Radicale, anche se non lo sapete.
Chi ha concepito questo spazio, attivo da quasi sette anni, ha iniziato a interessarsi dei simboli dei partiti fin da quando aveva 4 anni scarsi: prima delle elezioni del 1987, i simboli dei partiti comparivano abbastanza spesso in televisione e, se sulle schede si vedevano ancora rigorosamente in bianco e nero, in televisione si potevano vedere a colori. Davanti a quegli occhi di bambino sfilavano la verde costanza della foglia d'edera, le suggestioni biancorosse dello scudocrociato e del sole nascente dal mare, il giallo dell'altro sole - quello che rideva - su fondo verde, il bianco su fondo nero della stella alpina, nonché il tricolore della bandiera e della fiamma, ma anche del garofano e della coppia di bandiere che conteneva falce, martello e stella. Più di tutti, però, a quegli occhi spiccava la complessa eleganza di un segno in apparenza ossimorico, che univa la delicatezza della rosa alla forza del pugno che la stringeva; il tutto, peraltro, era contrassegnato da una strana barra nera, che nascondendo parte del disegno gli conferiva un'aura di tristezza.
Non poteva sapere, quel bambino, che un quarto di secolo dopo si sarebbe occupato intensamente proprio di simboli dei partiti (nel frattempo diventati a colori ovunque, anche se il loro valore nel tempo era decisamente diminuito), che sul tema avrebbe scritto addirittura due libri e dio sa quanti articoli. In questo percorso, ovviamente, ha finito per occuparsi a più riprese anche di quel primo emblema e delle sue tante evoluzioni, anche se nel frattempo era sostanzialmente sparito dalla vita politica italiana: lo ha fatto con un articolo giuridico serio - ma debitamente illustrato - e in tanti altri contributi sparsi, senza mai dimenticare quel primo incontro infantile con il simbolo del Partito radicale, che nel frattempo aveva deciso di non presentarsi più sulle schede, lasciando il compito alla Lista Marco Pannella.
Tutto quel lavoro di ricostruzione, tuttavia, sarebbe stato del tutto impossibile senza un'alleata fondamentale: Radio Radicale. Il suo archivio, liberamente fruibile all'indirizzo www.radioradicale.it, ha infatti permesso al gestore di questo spazio di ascoltare congressi di partito (radicali e non), assemblee e molti altri eventi pubblici di cui altrove non era rimasta alcuna traccia: da lì ha tratto elementi fondamentali oppure particolari interessanti che hanno caratterizzato il suo lavoro di scrittura. Senza il patrimonio immenso di quell'archivio - e senza le molte ore passate a cercare e ascoltare - la ricerca sarebbe risultata molto più povera e sterile: nessun altro soggetto, pubblico o privato, è in grado di offrire a chiunque lo voglia una quantità anche solo analoga di materiale, pronta per essere consultata e valorizzata (e che è aumentata di continuo, grazie all'impegno di chi lavora in radio e dei tanti che inviano le loro registrazioni audio o video per dare copertura agli eventi). Come lui (che nel 2017, proprio per gratitudine a quanto quell'archivio gli ha permesso nel corso degli anni, ha scelto di iscriversi al Partito radicale - anche per mantenere in vita il partito - e ha confermato la sua scelta nei due anni successivi), molti altri ricercatori in ambito giuridico e politologico possono condividere lo stesso giudizio su Radio Radicale: si tratta di una miniera a cielo aperto che non ha nemmeno bisogno di una guida all'ingresso (al più, si rischia di perdersi nella sua vastità).
A questo occorre poi aggiungere l'interesse assoluto e indiscutibile che il patrimonio archivistico di Radio Radicale assume per la categoria dei #drogatidipolitica. Sì, perché loro non si accontentano di cercare testimonianze dei grandi congressi dei partiti che per anni si sono visti in Parlamento (e già questo materiale è introvabile altrove); loro non possono fare a meno di andare in cerca delle assemblee o dei consigli nazionali di partiti definibili "minori" solo per i numeri che hanno raggiunto, ma imprescindibili per chi si appassiona al sottobosco della politica italiana (assai più importante dei retroscena quotidiani cui ormai si è fatta l'abitudine). Gli interventi dei personaggi secondari di grandi partiti e quelli dei soggetti di prima fila di formazioni faticosamente arrivate all'1% possono assumere la stessa importanza - stellare, in ogni caso - agli occhi di chi si è trovato, suo bengrado, a occuparsi di politica a tempo pieno o a tempo perso, ma sempre con passione. Per costoro, la semplice idea che Radio Radicale possa non esistere più e che il suo archivio possa non essere più fruibile com'è stato fin qui è semplicemente folle: un'eventualità che non può, non deve verificarsi.
Per tutti questi motivi, ho scelto di far sposare a questo sito la battaglia per la vita di Radio Radicale, la cui convenzione con lo Stato prosegue solo fino al 20 maggio 2019, senza che poi ne sia garantita la sovvenzione (e senza che sia stata individuata al momento alcuna soluzione alternativa per il sostegno pubblico alla sua attività). Lo faccio adottando come banner sull'homepage del sito il logo "Salviamo Radio Radicale", disegnato appositamente dal sottoscritto a partire da uno spunto offerto da Giuseppe Rossodivita al recentissimo 8° congresso italiano del Prntt come possibile lista di scopo per le elezioni europee. L'ho fatto raccontando proprio a Radio Radicale la mia storia di ricercatore e #drogatodipolitica, che senza il contributo della radio non avrebbe potuto fare nemmeno la metà del lavoro. Al di là della mia storia, Radio Radicale merita di vivere, per rendere più concreto quel diritto alla conoscenza, quell'einaudiano "conoscere per deliberare" che l'emittente ha fatto proprio. Ne sono convinto: avete bisogno di Radio Radicale, anche se non lo sapete.
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