martedì 30 giugno 2020

Campania, anche Davvero e Azione meridionale tra le liste di De Luca?

Al momento appare piuttosto improbabile che il presidente uscente della Campania, Vincenzo De Luca, riesca nell'intento di fissare le elezioni regionali il 6 e il 7 settembre; in ogni caso, molti occhi sono puntati sulla coalizione che ne sosterrà la ricandidatura, per monitorare assenze e presenze, queste ultime anche solo nei numeri. A quanto pare, infatti, la compagine schierata a riconferma di De Luca si preannuncia molto affollata. Già da settimane, per esempio, si è annunciato il ritorno del simbolo di Davvero - ecologia & diritti, formazione riconducibile all'ex parlamentare Michele Ragosta. Di lui si è già parlato qui un mese fa, quando aveva lanciato il simbolo - e con questo il progetto - di Italia ecologista, ma già allora era chiaro che sulle schede elettorali campane, a questo giro, non sarebbe finita la margherita gialla di quell'emblema, bensì un simbolo che elettori ed elettrici della regione conoscevano già.
Deve dedursi questo, se si considera che proprio alle elezioni del 2015 la lista Davvero, le cui liste erano state presentate in condominio con i Verdi (così come era condiviso il simbolo), era riuscita nell'intento di eleggere un rappresentante in consiglio regionale. Fin dall'inizio, tuttavia, Ragosta ha precisato di voler raddoppiare il risultato ottenuto cinque anni fa, puntando a "costruire un'ampia maggioranza, dando priorità ai temi ambientali e sociali". Rientra in questo disegno anche la notizia, data da Ragosta sul suo profilo Facebook il 6 giugno, dell'uscita "con effetto immediato di un numero consistente di iscritti e amministratori dalla Federazione dei Verdi - Europa Verde, inclusi i consiglieri comunali di Napoli Stefano Buono e Marco Gaudini" (dopo che, si legge sempre lì, mesi fa avevano abbandonato il progetto di Europa Verde non solo Possibile, ma anche Green Italia, che aveva partecipato pure alla lista dei Verdi europei nel 2014, e vari esterni). Al di là delle critiche alla Federazione dei Verdi (i cui dirigenti sono stati tacciati di chiusura e incapacità, nonché accusati di avere "illegittimamente e ingiustificatamente commissariato il partito nella Regione Campania e in altre 4 Regioni"). I due consiglieri comunali citati, tuttavia, hanno precisato di voler lavorare con Davvero e "con la rete Ecologia & Diritti che fa riferimento all'ex assessore al comune di Roma Pinuccia Montanari, per costruire il nuovo partito degli Ecologisti italiani nel segno di una nuova visione più calata nella vita reale". Assieme a loro, varie altre persone elette avrebbero fatto la stessa scelta.
La collocazione della lista Davvero - il cui emblema conterrebbe solo il nome e il segmento verde a base curva nella parte inferiore - non è mai stata in discussione: "Abbiamo deciso - ha scritto Ragosta nei giorni scorsi - di stare dentro la coalizione che sostiene De Luca: insieme a tutti i partiti di centro sinistra e non solo, daremo sicuramente un contributo prezioso, come abbiamo fatto per anni a salerno,nel settore dei rifiuti e dell'energia". Al di là dell'orizzonte immediato, tuttavia, per Ragosta e gli aderenti a Davvero l'obiettivo nemmeno troppo mediato sarà la costruzione di "un nuovo partito ecologista e non solo", pensando probabilmente a concretizzare Italia ecologista, di cui Davvero possa essere il primo e robusto nucleo. 
Tra le formazioni che dovrebbero appoggiare il presidente uscente della Campania, peraltro, il sito Anteprima24.it ha voluto individuare anche Azione meridionale. Prima che a qualcuno vengano in mente indebite assonanze, nulla a che fare con la Lega d'azione meridionale che fu fondata e portata avanti da Giancarlo Cito: il nome è simile, ma il simbolo è totalmente diverso (qui c'è il profilo del Centro-Sud regionalizzato, comprese Abruzzo e Molise, di colore blu su fondo solare sfumato giallo-arancio, con piccole losanghe a "fiamma"). La testata che ne ha dato notizia ha indicato Mario Ascierto (già consigliere regionale di An) tra i candidati, arrivando a qualificare la lista come fatta "di ex missini", salvo poi parlarne come di un "contenitore (di area destra) che accoglierà professionisti, intellettuali, medici e protagonisti del mondo della comunicazione". 
Per ora la sola cosa certa è che la pagina Fb di Azione meridionale esiste dall'inizio del 2015 e per molti mesi ha mantenuto una certa attività, mentre tra il 26 aprile 2017 e l'11 marzo di quest'anno la pagina non ha pubblicato nulla; in seguito i post sono ripresi, ribattendo vari materiali pubblicati da Vincenzo De Luca o articoli a suo favore. Tempo qualche settimana, in ogni caso, e se ne saprà di più (sempre ammesso, ovviamente, che il simbolo arrivi sulle schede, anche grazie al taglio delle firme necessarie).  

lunedì 29 giugno 2020

Toscana a Sìnistra, progetto rinnovato (anche nel colore) per le regionali

C'è chi ancora non ha abbandonato la speranza e il proposito di votare il 6 e il 7 settembre, ma sembra ormai certo - anche per non dover consegnare firme e liste tra il 7 e l'8 agosto - che anche le elezioni regionali si svolgeranno il 20 e il 21 settembre, unitamente alle suppletive, alle amministrative e al referendum costituzionale. L'appuntamento, in ogni caso, non è troppo in là, quindi ci si prepara per tempo: ciò vale ovviamente per chi deve raccogliere le firme, ma non sta a guardare nemmeno chi è esonerato dalla raccolta in tutto o in gran parte. Appartiene a quest'ultima categoria il gruppo di Toscana a Sìnistra, che nel 2015 aveva partecipato alle regionali con la lista Sì - Toscana a Sinistra e ora si appresta a correre di nuovo con un nome più semplice (che semplicemente ha fuso le due parti precedenti) e ripresentando lo stesso candidato alla presidenza, Tommaso Fattori (che in consiglio regionale è stato capogruppo); in quanto rappresentativa di gruppo politico uscente, la lista dovrà raccogliere un numero simbolico di sottoscrizioni (10 per circoscrizione secondo la legge, ma a questo punto - e a meno che il consiglio regionale non decida diversamente - la riduzione di due terzi dovrebbe valere anche per quest'ipotesi, per cui potrebbero bastare solo tre firme per ogni lista circoscrizionale).
Tutto come cinque anni fa dunque? In realtà no: sabato 20 giugno si è svolta (solamente online) la prima assemblea regionale di Toscana a Sinistra, alla quale - come si legge sul sito del gruppo - hanno partecipato oltre centocinquanta persone. Quella di Toscana a Sìnistra vuole essere, come dichiarato da Fattori "un'esperienza che non vuole presentarsi in modo velleitario ed è rivolta al futuro, non al passato", a differenza delle altre proposte elettorali in via di definizione. Soprattutto, nel comunicato della costituenda lista si sottolinea che il progetto è "rafforzato rispetto al 2015" e "punta quindi al governo della Toscana, certamente a un risultato migliore di cinque anni fa". 
Se questo rafforzamento emerge dal programma che si sta strutturando - attraverso un processo condiviso e partecipato - e intende guardare a "una Toscana diversa, felice, inclusiva, che punti ad un economia diversa verde e sociale, capace di difendere e rilanciare l’ambiente, i diritti civili e sociali, il lavoro di qualità", dimostrazione visiva e tangibile del rafforzamento (in termini di idee progettuali, ma pure di forze che partecipano alla lista) sarebbe proprio il nuovo simbolo destinato alle schede elettorali. Se il nome, come si è visto, appare essenzialmente una fusione-riduzione del precedente, il simbolo appare immediatamente diverso, anche dal punto di vista cromatico: dal rosso sfaccettato (con tonalità "possibili") si passa a un rosso deciso, ma sfumato verso il verde, segno di una più marcata attenzione ai temi dell'ecologia. Ciò si riscontra anche nell'indicazione delle "culture sociali e politiche che hanno trovato sintesi virtuosa nel progetto e nel documento politico", indicate su tracciato circolare all'interno (sia pure con una font graziata e sottile che rischia di essere ben poco visibile sulla scheda, considerando pure che il contrassegno ha solo 3 centimetri di diametro), La lista, dunque, si presenta come "popolare, femminista, di cittadinanza, antirazzista, felice, ecologista, comunista". L'ultima parola usata non stupisce certo in Toscana (più per la sua storia che per le vicende più recenti), anche se in un certo senso fa sospettare che - come cinque anni fa - sulla scheda non ci sarà alcun simbolo con falce e martello (certo non quella di Rifondazione comunista, che partecipa al progetto). Quanto all'idea di una Toscana "felice", non può non colpire: l'espressione echeggia più Latouche rispetto alla Dichiarazione d'indipendenza statunitense, ma porsi la felicità come cifra è una bella sfida. Ambiziosa, ma bella.

sabato 27 giugno 2020

Oltre, una farfalla per andare #unpassoavanti (anche oltre le sardine)

Nei mesi scorsi ha fatto molto parlare di sé il fenomeno delle "sardine", scatenando commenti di ogni tipo, colore e tono, andando anche oltre l'annuncio - a fine maggio - in cui prima sembrava parlarsi di "pausa", poi si è di fatto annunciato un maggior impegno nelle regioni che in autunno andranno al voto. Nel mezzo, confronti, discussioni e polemiche sul futuro, sull'opportunità - tra l'altro - di costruire un partito oppure no; il 21 novembre 2019 era anche stata depositata domanda di marchio europeo per l'immagine delle "6000 sardine", ma nessuno sguardo attento aveva seriamente pensato che quel disegno dei pesci con un fumetto avrebbe potuto avere un uso politico, al di fuori di un eventuale merchandising (magliette, bandiere, etc.).
Ora però un simbolo c'è, anche se non contiene sardine. E anche se, a dire il vero, non riguarda direttamente le sardine: caratterizza invece un gruppo di persone che da quel movimento hanno preso le mosse, salvo decidere di continuare in un altro modo. C'è infatti una farfalla gialla all'interno del simbolo di Oltre, nuova associazione politico-culturale su scala nazionale, che il 10 giugno ha aperto la propria pagina su Facebook. Il nome del soggetto politico - chiamarlo partito sembra poco corretto, prima di tutto verso chi lo ha fondato - è l'elemento grafico che, scritto a caratteri cubitali rossi, spicca maggiormente nel simbolo, potenzialmente già pronto per finire su una scheda elettorale; nel segmento verde inferiore c'è pure uno slogan nella forma dell'hashtag, #unpassoavanti (peraltro visto anche nella campagna di Stefano Bonaccini). Questa, si legge sulla pagina, "è la parola d'ordine per chi vuole passare dalla protesta alla proposta, per chi è stanco della vana retorica e delle promesse di una politica vecchia che rincorre le emergenze e non ha il coraggio di prevenirle. Andare OLTRE, facendo #unpassoavanti significa restituire alla Politica le buone pratiche, attraverso la responsabilità e le competenze".
I fondatori di Oltre sono nove (Franz Di Maggio, Luca Montali, Marco Ladu, Claudio Ringressi, Josè Domingo Combi, Serena Curtosi, Alessandra Madau, Carlo Grossi e Michael Crisantemi): Franz Di Maggio è il presidente, Luca Montali il suo vice, Marco Ladu è il portavoce nazionale, Claudio Ringressi è il tesoriere e Alessandra Madau la segretaria nazionale; la sede è a Terni, ma il progetto si sta strutturando in varie parti d'Italia (in particolare, oltre all'Umbria, in Lombardia, Toscana e Sardegna). La prima uscita ufficiale si è svolta a Milano (Ostello Bello) il 19 giugno e lì si è presentato il progetto di questo "nuovo incubatore di buone pratiche politiche", nato - come ha spiegato Di Maggio - per "discutere per innovare la vita pubblica", anche a partire da un periodo difficile come l'attuale, creato soprattutto dalla mancanza di lungimiranza nella classe politica. Ciò ha prodotto una "mancanza totale del senso di comunità, che non è solo una coabitazione ma prima di tutto un sentire-insieme".
Nei giorni scorsi Montali e Crisantemi avevano parlato espressamente del nucleo fondatore come di "ex sardine che non si accontentano di nuotare, ma prendono le ali di una farfalla e si librano nello spazio politico". Uno spazio in cui, secondo Di Maggio, si sente forte il peso del "conflitto tra cultura e politica: la prima dev'essere critica, nel senso che deve mettere in luce i problemi per migliorare la situazione, ma senza essere arrogante; la politica, per parte sua, deve ascoltare, altrimenti non cresce". I contributi di ogni età sono ottimamente accetti, anche se il capitale da valorizzare - pure qui - è costituito dai più giovani: fondatori e fondatrici ne sono convinti, citando a loro sostegno e per illustrare meglio il loro disegno di "rivoluzione" Massimo Cacciari ("Dovrebbe emergere una generazione di giovani che facendo il loro mestiere, svolgendo la loro professione, si interessano anche di politica e vogliono partecipare a un dibattito politico fondato su programmi, strategie, idee e non su slogan, promesse e chiacchiere"), ma anche Václav Havel, "che fece la rivoluzione di velluto in Cecoslovacchia con un drappello di filosofi e una marea di giovani, che erano competenti e con le idee chiare".
Oltre ha prodotto il proprio manifesto politico (inteso, si immagina, soprattutto in senso etimologico), diffuso sulla pagina:


Adesso parliamo di noi. Delle nostre esigenze, aspirazioni, sogni. Delle nostre famiglie, della nostra gente. Dei nostri sentimenti e della nostra ragione. Del nostro futuro. Facciamo insieme #unpassoavanti: immaginiamo insieme una nuova Italia, ricca di stimoli e feconda di nuove opportunità, fondata su una cultura pluralistica e una visione innovativa del lavoro, nel rispetto dell'ambiente.
Desideriamo un’esistenza serena, libera e consapevole, un cammino illuminato dalla bellezza e dal buonsenso. Vogliamo stringerci attorno a un’idea pulsante, coraggiosa e solidale. Un'idea che nasce dalla competenza e dall'entusiasmo, punto di incontro tra generazioni. Da troppo tempo siamo stati distratti dalla paura di nemici inesistenti e non siamo stati più capaci di progettare un futuro sostenibile.
Rimettiamo al centro i grandi valori della nostra Costituzione: l’uomo e il suo diritto alla dignità attraverso il lavoro, la salute e l'istruzione nel rispetto delle differenze.
Siamo impegnati e operosi nelle professioni, nello studio, nella società e nelle nostre famiglie e crediamo in un tempo in cui la crescita sarà la naturale sintesi fra immaginazione, ricerca, innovazione, competenza e abilità personali; un tempo di relazioni con l’Europa e con il mondo libere dall'idea di un’Italia inefficiente e clientelare, dove cogliere occasioni e opportunità sarà la regola e non un’ardua conquista.
È una sfida urgente ed è il momento di andare OLTRE, di pensare coraggiosamente al nostro futuro, partendo dalle persone e dal territorio.
Immaginare e realizzare un progetto civile e politico, condiviso e partecipato è possibile: un progetto che risponda a esigenze reali, si ponga obiettivi concreti, per realizzare un nuovo umanesimo fondato sulla comprensione e sul rispetto reciproci.
Costruiamo insieme un percorso che sappia valorizzare i punti in comune tra le persone, valorizzando le potenzialità e tutelando il diritto alla crescita sia materiale che culturale. Vogliamo che il suo tempo inizi adesso. Andiamo OLTRE, #unpassoavanti.

Il progetto, dunque, ha tra i suoi tratti unificanti l'antifascismo (il che, come si è precisato, non significa collocarsi a destra o a sinistra) e la Costituzione. E i fondatori hanno deciso di rappresentarlo attraverso una farfalla gialla, per nulla a caso: il riferimento è al disegno di una bambina del lager-ghetto di Terezin, raffigurante - appunto - una farfalla gialla che si libra sopra il filo spinato, citato da Liliana Segre nel suo discorso al Parlamento europeo nell'ultima commemorazione del Giorno della Memoria. Così sulla pagina è stata spiegata la scelta grafica:
Una farfalla gialla. Che vola oltre il filo spinato – come disse Liliana Segre alla commemorazione dell'olocausto lo scorso gennaio. Una farfalla gialla che vola per la libertà. Una libertà consapevole della sua importanza. Abbiamo elaborato col lavoro paziente del bruco un progetto ambizioso. Il laboratorio che ha trasformato le idee in una proposta concreta ci ha visti crisalidi che attendevano una nuova primavera delle idee.E così come la gialla farfalla Cedronella spiega le ali per prima all'inizio della primavera, con una forma nuova e il desiderio di un vero cambiamento proponiamo la nostra strada. Una strada fatta di impegno, passione, competenza e solidarietà. Di partecipazione e di desiderio di tornare a credere nella politica e nella democrazia. Al potere dei senza potere, alle voci mai ascoltate, ma per questo più forti. Con la nostra farfalla gialla voliamo per la libertà. Con passione, oltre i sovranismi, i fascismi, i razzismi, gli "ismi" che rifiutiamo da sempre. Ci vuole coraggio per volare per primi in questa primavera di emergenze. Lo troviamo negli occhi e nelle parole delle persone che come te che ci leggi, ci chiedono risposte, non chiacchiere e promesse. Noi ci saremo. Insieme. Migliaia di farfalle gialle, centinaia di migliaia. Per cambiare davvero.
Nella politica italiana la farfalla è un simbolo poco utilizzato (si pensa soprattutto al Movimento ecologisti e a varie liste locali) e, volendo, persino azzardato: per bella ed elegante che sia, la farfalla è fragile e vive pochi giorni. Questo però non ha dissuaso coloro che hanno scelto di andare Oltre: forse si sono assunti il compito di dimostrare che una farfalla, una volta abbandonata la crisalide, può volare alto, senza porsi il problema del tempo. E, per il momento, senza parlare esplicitamente di elezioni.

mercoledì 24 giugno 2020

1991: ecco la Lega Alpina di Gremmo, verso le politiche

Il 1990, come si è visto, aveva portato a Roberto Gremmo risultati importanti (in particolare la sua elezione in consiglio comunale a Torino, l'ingresso della moglie Anna Sartoris nel consiglio regionale del Piemonte grazie alla lista Piemont Union Autonomia e, contemporaneamente, l'elezione di Pierangelo Brivio a consigliere regionale lombardo con la lista Autonomia - Alleanza lombarda, propiziata dallo stesso Gremmo) e anche pagine meno gradevoli (l'inizio del procedimento penale legato alla raccolta firme per le elezioni comunali di Torino). L'appuntamento più importante, dopo quella pletora di voti sul territorio, era certamente rappresentato dalle elezioni politiche del 1992: dopo le occasioni perse cinque anni prima (con i due Piemont sulla scheda) e alle europee del 1989 (con la lista dell'Union Piemonteisa bocciata per ragioni formali), quella nuova scadenza doveva essere assolutamente sfruttata per rimettere in campo le battaglie per l'autonomia in Piemonte e in Lombardia (ovviamente su strade diverse da quelle della Lega Nord, sempre più forte dopo il suo ingresso in Parlamento nel 1987). Occorreva prepararsi per quelle elezioni e, possibilmente, ottenere un po' di attenzione dai media, magari per qualcosa di diverso dai problemi legati alle firme (e, anzi, più attenzione ci fosse stata, più sarebbe stato facile in seguito raccogliere le sottoscrizioni necessarie per partecipare alle elezioni politiche). 
Dalla Stampa, 15 giugno 1991, pagina 1
A quel punto Gremmo ebbe un'idea, escogitando la "battaglia del ponte". Il nome, visto ora, può far pensare a qualche rievocazione storica o a disfide locali con tocchi di folklore; il senso dell'iniziativa, però, era tutt'altro. Gremmo ricordò che il 19 maggio 1990 Umberto Bossi, assieme a vari dirigenti della Lega Nord, aveva dato vita al primo raduno di Pontida, sul "pratone" in seguito teatro di molti appuntamenti leghisti (anche dopo la fine della guida bossiana). Il leader della Lega aveva dato appuntamento ai "padani" il 16 giugno 1991, con l'intento di proclamare la "Repubblica del Nord" per riunire entro gli stessi confini Piemonte, Lombardia, Veneto e Liguria, individuando in Mantova la "capitale".della nuova "repubblica". 
Dal Corriere della Sera, 15 giugno 1991, pagina 43
A Gremmo quel progetto non andava affatto a genio: per lui e per i suoi seguaci, i confini esistevano eccome, perché marcavano innanzitutto le identità legate ai territori; dovevano dunque rimanere e, anzi, la condotta annunciata dai leghisti sarebbe apparsa persino contraria alla Costituzione (un attacco alla Repubblica "una e indivisibile" sancita dall'art. 5) e al codice penale, concretando un attentato all'unità dello Stato (art. 241 c.p.)Mentre contro l'iniziativa si erano concentrate varie segnalazioni e denunce all'autorità di pubblica sicurezza (una delle quali era stata presentata da Francesco Miglino, allora segretario della Lega Meridionali d'Italia, in seguito demiurgo del Partito internettiano), Gremmo avvisò le testate giornalistiche che, in coincidenza con il raduno di Pontida, lui e coloro che condividevano il suo progetto politico autonomista avrebbero presidiato i ponti sul Ticino (anzi ,il "fatal Ticino") che mettevano in comunicazione Piemonte e Lombardia, per manifestare la loro netta contrarietà al disegno bossiano.  
Dalla Stampa, 17 giugno 1990, pagina 4
La Stampa mise la notizia in prima pagina il 15 giugno, il giorno prima della doppia manifestazione (La Lega anti-Lega ferma Bossi sul Ticino) e la Rai mandò una troupe a San Martino di Trecate (No). Proprio lì il gruppo di Piemont Union Autonomia e di Autonomia - Alleanza lombarda si sarebbe riunito al mattino nel ristorante vicino al ponte sul Ticino per la sua manifestazione autonomista: dopo che anche ai giornali era arrivata la voce che qualche militante leghista si sarebbe staccato da Pontida e sarebbe arrivato all'altro capo del ponte (mettendosi in auto per oltre un'ora), le forze dell'ordine preferirono evitare grane chiedendo a Gremmo e alle altre persone convenute di non uscire dal ristorante, anche se non poterono impedire loro di sventolare le bandiere alla vista di alcuni sostenitori al di fuori del locale. 
Ai piemontesi (che ovviamente unirono anche il sostegno dell'Union Autonomiste che Gremmo rappresentava in Valle d'Aosta) e ai lombardi - su tutti Pierangelo Brivio, intervistato da più parti, anche per la curiosità che il cognato di Bossi fosse contro di lui mentre questo era a Pontida - si unirono anche Umberto Vecchiato e altri esponenti di Veneto autonomo (evoluzione del Movimento Veneto regione autonoma visto alle elezioni politiche del 1987), nonché - secondo quanto scritto dai giornali - alcuni esponenti del Movimento autonomista toscano. Ovviamente non accadde nulla di problematico: nessun leghista arrivò sull'altra sponda del Ticino e non ci fu alcuno scontro o anche solo uno scambio di insulti. A dire il vero, in un certo senso, si era già dato: il 10 febbraio 1991, a chiusura del primo congresso della Lega Nord (a Pieve Emanuele), Umberto Bossi aveva già urlato nei confronti dei contestatori, dai partiti ai movimenti autonomisti avversi, l'indimenticabile sentenza "Sappiano che la Lega Nord ce l'ha duro, duroo, durooo!".
Falloforia a parte, Gremmo si era reso conto che, soprattutto dopo l'affermazione alle regionali del 1990 dell'Autonomia - Alleanza lombarda, il suo progetto autonomistico non sarebbe più potuto restare limitato ai confini del Piemonte, anche se ovviamente lì avrebbe continuato a vivere; ci sarebbe voluto un soggetto politico adatto al Piemonte, alla Lombardia, alla Valle d'Aosta (nel 1993 sarebbe scaduto il suo mandato da consigliere regionale) e magari anche altrove. Ma quale poteva essere l'orizzonte migliore? Per capirlo, si dovrebbe poter leggere qualche pagina di Contro Roma, il volume che Gremmo nel 1992 aveva dedicato alla sua avventura politica:
Appesa nell'ingresso di casa mia c'è una grande carta geografica che riproduce le Alpi. E' stata stampata in Germania e mi è stata regalata dal caro amico sudtirolese Karl Bargolin. Vi si vede l'arco alpino ma con una prospettiva capovolta rispetto a quella delle stereotipate cartine che sono appese nelle aule scolastiche o nei corridoi dei treni. Al centro c'è la Svizzera, in primo piano la Baviera e poi da Aosta a Trieste, da Torino a Bolzano, da Milano ad Udine si vede una specie di grande torta a ciambella con le sue vallate, i picchi, i fiumi, il Po che fa da sbarramento; in fondo, sfumata verso l'orizzonte, come una specie di nebbione, l'Italia. E' proprio un veder l'erba dalla parte delle radici. Questa è la sola cartina che a me interessa [...]. Nelle mie speranze e nella mia volontà [...] i Popoli Alpini sono largamente disinteressati ai destini dei popoli italici, il cui avvenire ideale è semmai collocato in una dimensione neutralista e non allineata a carattere mediterraneo. Com'è, per esempio, nella vocazione dei catalani. Non ho interesse a mettere a posto l'Italia [...]. Preferisco guardare all'Europa, pensare che come fra Canton Ticino e Lombardia ci sono certo più legami etnici e culturali che non fra Lombardia e Sicilia, così fra Piemonte e Savoia c'è più affinità che tra Piemonte e Calabria. La fantasiosa repubblica del Nord raccordata alle consorelle centrale e meridionale non mi interessa. Una grande regione delle Alpi occidentali che in una Europa dei Popoli unisca in un nuovo federalismo Piemonte e Savoia, Val d'Aosta e Ponente Ligure col Nizzardo è il mio progetto.
Ecco allora che la chiave di lettura, il trait d'union del disegno di Roberto Gremmo erano le Alpi. Un elemento geografico, certamente, ma anche - se non soprattutto - culturale, per tenere insieme territori solo amministrativamente divisi o collocati in Stati differenti. Di questo si doveva necessariamente tenere conto nella progettazione del simbolo, anzi, dei simboli: alla Camera era importante essere presenti con lo stesso simbolo, ma al Senato i seggi erano pur sempre distribuiti su base regionale (ed erano possibili tra l'altro collegamenti con emblemi diversi), quindi si poteva pur sempre adottare un emblema base da differenziare dal punto di vista territoriale, per cercare di raccogliere il maggior numero di voti possibile. 
E se l'imperativo era raccogliere, non c'era dubbio che - dopo il 5.09% raccolto in Piemonte e soprattutto il 18,94% ottenuto in Lombardia dalla Lega Nord - la parola che avrebbe permesso di ottenere più consensi fosse proprio "Lega". Certo, Bossi e i suoi avrebbero protestato, ma di Leghe ne erano state presentate anche negli anni precedenti, quindi non si poteva parlare di esclusiva su quella parte di nome (almeno, così si sarebbe cercato di spiegare se ci fossero stati problemi); in più, se si fosse evitato di scimmiottare i caratteri utilizzati dal Carroccio per i suoi simboli, le grane sarebbero state sicuramente minori. 
Sulla base di queste riflessioni, dunque, era nata la Lega alpina, ufficialmente fondata all'inizio di dicembre del 1991. Gremmo, tra l'altro, era arrivato a quella nuova tappa dopo che, pochi mesi prima - il 26 giugno - aveva consolidato la propria presenza in consiglio regionale in Valle d'Aosta, entrando a far parte dell'Ufficio di presidenza come segretario d'aula. Fu eletto a quel ruolo per un soffio (18 voti a favore, 17 astensioni), ma lui aveva chiesto quella carica come contropartita per avere consentito la formazione - giusto un anno prima - di una nuova giunta regionale sostenuta da Dc, Pci, Adp, Psi e Pri (oltre che dalla sua Union autonomiste), che per la prima volta aveva costretto l'Union Valdôtaine ad andare all'opposizione (dopo aver governato la regione per i primi due anni della legislatura, fino alla crisi scoppiata all'inizio di giugno del 1990). L'ingresso di Gremmo in maggioranza era stato favorito dal socialista Bruno Milanesio, ma considerando che per molti mesi il voto dell'autonomista piemontese era stato determinante per la maggioranza, lui alla fine di marzo del 1991 aveva chiesto un riconoscimento tangibile: non potendo entrare in giunta, aveva puntato all'Ufficio di presidenza e, per consentire il suo ingresso, erano state necessarie le dimissioni dall'incarico di segretaria d'aula di Cristina Monami (Pci-Pds), particolarmente gradite da Gremmo visto che lei in passato aveva firmato un appello con cui si era accusato di razzismo l'autonomista piemontese.
Tornando alla Lega alpina, questa avrebbe avuto almeno due versioni: quella piemontese, amministrata dallo stesso Gremmo, ma anche quella lombarda, affidata a Pierangelo Brivio. Anzi, visto che in Piemonte si sarebbe continuato a utilizzare il nome vernacolare "Piemont", oltre Ticino si sarebbe potuto utilizzare l'aggettivo "Lumbarda", come già Gremmo aveva suggerito a Brivio nel 1990. I riferimenti regionali avrebbero dovuto avere molto rilievo, almeno quanto il termine "Lega", che veniva proposta con una "A" particolare, a forma di triangolo rettangolo, in grado di saltare all'occhio. Certo, in questo modo la parola "alpina" rischiava di finire schiacciata tra li due termini che si volevano mettere chiaramente in evidenza, ma a rafforzare il concetto delle Alpi come filo conduttore avrebbe dovuto provvedere la grafica: il simbolo, infatti, avrebbe dovuto contenere tanto l'immagine di un alpino, con tanto di cappello dalla penna nera e picozza in mano, quanto un'immagine geometrica che richiamava un profilo montuoso ("Ricordo - spiega oggi Gremmo - che mi ispirai direttamente al logo della Cifra, un ente associativo legato alla montagna"); tra l'altro, la "A" a triangolo rettangolo vista prima aveva esattamente la stessa "pendenza" del profilo delle montagne e la parola "Alpina" - con la prima e l'ultima "A" disposte in modo speculare - era perfettamente in armonia con quell'elemento grafico. Il simbolo pensato per il Piemonte conteneva anche il drapò circolare; quello lombardo avrebbe potuto contenere un piccolo riferimento ai Pensionati, il cui apporto nel 1988 - grazie a Luigi Nava - era stato fondamentale.per mettere in piedi la lista in Valle d'Aosta. 
I simboli vennero preparati in bianco e nero, ma anche a colori (con scritte e grafiche di colore bianco su fondo azzurro): proprio in quelle settimane si stava discutendo alla Camera la "leggina" che avrebbe consentito di riprodurre sulle schede i contrassegni a colori e, nel caso, occorreva tenersi pronti. La fine della legislatura, in ogni caso, era vicina e, nel frattempo, in casa leghista stavano accadendo fatti nuovi, potenzialmente interessanti. Al punto che meritano di essere approfonditi in seguito, per leggere in modo più completo l'esordio della Lega alpina.

martedì 23 giugno 2020

(Pen)ultime evoluzioni tra i democratici cristiani

Potenziale simbolo delle liste
della Federazione alle regionali
Come si era anticipato nelle scorse settimane, nella seconda metà di giugno le vicende legate all'area democratica cristiana avrebbero potuto compiere passi ulteriori. Il giorno 19, infatti, presso l'ufficio romano di Lorenzo Cesa, segretario dell'Udc, si è svolta una nuova riunione del direttivo della Federazione popolare dei democratici cristiani: all'incontro, oltre a Cesa, hanno partecipato Giuseppe Gargani (che sta curando il cammino della Federazione come presidente), Mario Tassone (per il suo Nuovo Cdu), Antonino Giannone (a capo del comitato scientifico della Fondazione Democrazia cristiana), Alberto Alessi (in rappresentanza della Democrazia cristiana guidata da Renato Grassi), mentre hanno partecipato in videoconferenza Ettore Bonalberti (dello stesso partito e dell'associazione Alef), Filiberto Palumbo (Nuova democrazia cristiana europea) e altre persone aderenti alla Federazione.
Stando a un comunicato emesso da Alberto Alessi e ribattuto sul sito della Dc-Grassi, Gargani ha innanzitutto affrontato alcuni aspetti organizzativi legati alla vita della Federazione: i soci, in particolare, avrebbero ribadito la loro volontà "di procedere in tempi brevi a chiudere la fase preparatoria per passare a quella operativa, attivando e coinvolgendo ancora di più strutture regionali". Ciò dovrebbe agevolare, sempre nell'opinione di Gargani, la costruzione di "un soggetto politico unico ed unitario che rappresenti, pur nelle loro diverse identità recenti e storiche, gli ideali e i valori sturziani, ancora oggi attuali". 
Vista la condivisione di questi obiettivi da parte dei partecipanti alla riunione, i giorni che restano di giugno e il mese di luglio dovrebbero essere dedicati a un maggior impegno nello strutturare la Federazione popolare a livello locale: trattandosi di una federazione, appunto, in questa fase nessun soggetto politico o associativo perderebbe la propria autonomia e identità, ma si cercherebbe soprattutto di coordinare gli sforzi operativi delle varie realtà a livello locale e nazionale. Entro luglio gli organi direttivi della Federazione popolare dovrebbero essere riconvocati, immaginando come passo organizzativo successivo la convocazione di "una grande Assemblea Generale a Roma", dalla quale possa in seguito nascere la costruzione effettiva del nuovo partito di cattolici: in effetti nei mesi scorsi si era deciso di continuare, almeno fino alla fine dell'anno, con l'assetto federativo (come alcuni continuano con energia a chiedere), in ogni caso si vedrà nelle prossime settimane come il direttivo della Federazione vorrà procedere. 

La questione del simbolo (e delle firme)

Più urgente ancora dell'organizzazione del partito, tuttavia, è la questione legata alle elezioni. Com'è noto, il 20 e 21 settembre - a meno di clamorose novità - è previsto che si tengano in contemporanea le elezioni suppletive, comunali e il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari; nelle intenzioni del governo, in quei giorni dovrebbero tenersi anche le elezioni nelle regioni che avrebbero dovuto rinnovare le loro amministrazioni in primavera (anche se qualcuna di esse, come la Campania, fino a pochi giorni fa sembrava ancora intenzionata a "forzare la mano" per anticipare la data). Poiché la Federazione intende partecipare con liste unitarie a queste regionali, ritenendo che possano essere una buona "vetrina" o comunque un momento di lancio per il progetto futuro, in queste settimane si è molto discusso su quale simbolo potesse essere più idoneo a rivolgersi agli elettori e, allo stesso tempo, potesse rendere più agevole la presentazione di liste (in particolare, come si vedrà, senza dover raccogliere le firme).
Traduzione grafica della
seconda opzione per il simbolo
Posto che il contrassegno elettorale dovrebbe contenere lo scudo crociato (apportato dall'Udc, dunque senza rischi di grane giuridiche), già nelle scorse settimane era emerso un certo interesse per un emblema che, oltre allo scudo in primo piano, contenesse un arco di stelle (per evocare l'Europa senza bisogno di mettere riferimenti al Ppe) e la dicitura "Unione dei Democratici Cristiani", magari con le iniziali marcate in rosso per rendere più evidente l'apporto dell'Udc; nell'incontro del 19 giugno anche Cesa avrebbe approvato questa grafica, suggerendo di inserire sopra lo scudo il riferimento alla singola regione in cui ci si presenta. In quell'occasione è emersa anche una seconda opzione - a quanto pare sostenuta soprattutto da Giuseppe Gargani - che avrebbe sempre lo scudo in evidenza, ma impiegherebbe come nome "Unione democratici cristiani e popolari" (in ossequio alla dicitura "Federazione popolare") e, sotto lo scudo, collocherebbe le sigle del Ppe e dell'Udc (un po' come avvenne con il contrassegno composito di Ncd e Udc alle europee del 2014).
La scelta di una delle due alternative (o, potenzialmente, di altre ancora che dovessero emergere) non è ovviamente una mera formalità, ma rappresenta una questione sostanziale sotto almeno un paio di aspetti. Il primo riguarda il nome da far comparire sulla scheda. Sul sito della Dc-Grassi è comparso un intervento del presidente del consiglio nazionale del partito, Renzo Gubert, il quale ha richiamato la necessità di consultare i soci della federazione quanto alla scelta del simbolo, illustrando loro vantaggi e svantaggi legati alle diverse opzioni disponibili e ha espresso perplessità sulla scelta di chi vuole a ogni costo "evocare accanto alla Democrazia Cristiana, che ha ispirato tutti [...] i partiti federati, anche il 'popolarismo', come se fosse una cosa diversa, non rappresentata dalla Democrazia Cristiana". A detta di Gubert, il popolarismo "evoca una dimensione di filosofia politica che è già parte integrante della Democrazia cristiana, mentre non evoca orientamenti di etica sociale, in particolare attinenti a tutela della vita umana, della famiglia, dell'educazione, tutta la questione antropologica, che invece l'identità democratica cristiana comprende in modo esplicito": per lui, dunque, la denominazione "Unione democratici cristiani e popolari" è "poco razionale" e sarebbe sbagliato utilizzarla "per presunti vantaggi di breve termine in qualche contesto locale o regionale" (Gubert non fa esempi concreti: si può forse pensare ai soggetti che negli ultimi anni hanno utilizzato il termine "popolare" o "popolari" - magari in Campania - e al desiderio di attrarre i loro voti o, comunque, di non lasciare loro il monopolio di quel concetto).
Il secondo aspetto delicato e non ancora definito riguarda la presenza nel contrassegno elettorale di un riferimento esplicito all'UdcSempre Gubert ha detto che, essendosi Cesa espresso a favore del simbolo con la dicitura "Unione dei Democratici Cristiani", non si capiscono le ragioni di chi preme per inserire nell'emblema un riferimento esplicito all'Udc (con la sua sigla o addirittura con la "pulce" in miniatura del suo simbolo), che è parte del progetto politico-elettorale ma è solo uno dei soggetti della federazione: l'idea, qui non esplicitata ma ben chiara in altri frangenti, è evitare agli altri gruppi federati la sensazione di essere "annessi" dall'Udc o, nella migliore delle ipotesi, di non risultare sullo stesso piano in termini di dignità, a dispetto dell'impostazione paritaria delle origini (cui le altre sigle sono molto affezionate). Chi vuole una maggiore visibilità dell'Udc lo fa per far risaltare il partito che mette a disposizione lo scudo crociato (il cui uso, in altre condizioni, sarebbe facilmente contestato), e per non rischiare di compromettere l'esenzione dalla raccolta firme per le elezioni regionali. Il punto va chiarito meglio: se la Federazione popolare volesse partecipare alle elezioni comunali, dovrebbe in ogni caso raccogliere le firme richieste dalla legge (sia pure, quest'anno, ridotte di due terzi rispetto al numero richiesto di norma, in seguito alla conversione in legge del "decreto elezioni"), non essendo più previste - dal 1993 - esenzioni per quella categoria di elezioni; per quanto riguarda, invece, le elezioni regionali, ognuna delle sette regioni al voto presenta una disciplina differente, ma quasi tutte sembrerebbero consentire all'Udc di presentare una propria lista senza bisogno di alcuna sottoscrizione, in virtù della sua presenza nelle aule parlamentari o dei rispettivi consigli regionali. Per qualcuno il concorso del partito di Cesa alla lista è già messo in luce dall'uso dello scudo crociato e delle iniziali U D C evidenziate nella dicitura e ciò basterebbe a ottenere l'esenzione; altri temono che gli uffici elettorali non si accontentino di questo per riconoscere l'esonero dalla raccolta firme, mentre non avrebbero da ridire se a indicare l'apporto dell'Udc fosse la sua sigla ben chiara o, addirittura, la miniatura del suo simbolo.  
La questione delle esenzioni merita uno sguardo più approfondito. In Liguria e in Campania una lista dell'Udc sarebbe esente a motivo della sua presenza in Parlamento (la sigla del partito è espressamente indicata nel gruppo costituito al Senato con Forza Italia); nelle Marche lo stesso risultato sarebbe garantito dalla presenza di un gruppo Udc in consiglio regionale e qualcosa di simile potrebbe aversi in Puglia, vista la presenza del gruppo legato alla lista Popolari (che, oltre al simbolo dell'Udc, portava quelli di Centro democratico e di Realtà Italia: è ovviamente opportuno sentire anche i altri componenti del gruppo, visto che la lista dovrebbe essere presentata dal legale rappresentante di questo, anche se la legge elettorale regionale sembra concedere a ogni consigliere la facoltà di esentare una lista dalla raccolta firme). L'Udc non sarebbe invece esonerata dalla raccolta delle sottoscrizioni in Toscana (per poter raccogliere solo un numero simbolico di firme è necessario un gruppo consiliare, che il partito non ha) e in Valle d'Aosta (non era nemmeno stata presentata una lista con quel simbolo; si potrebbe al massimo inserire la "pulce" di un gruppo politico esente), mentre non lo sarebbe immediatamente in Veneto, a meno che non ottenga l'esenzione da parte di uno dei gruppi consiliari esistenti o da una delle componenti del gruppo misto (gruppi e componenti esistenti da almeno un anno, infatti, per un'interpretazione "di manica larga" della legge elettorale veneta sembrano poter esentare dall'obbligo di raccogliere le firme, oltre che una loro lista, anche un'altra con cui dichiarino di collegarsi e anche se questa lista ha "denominazione e simbologia diversa da quella del gruppo consiliare o della componente politica di collegamento").
Nelle prossime settimane, in ogni caso, ci sarà tempo per capire quale strada simbolica sarà presa e chi vorrà davvero partecipare a quest'operazione politico-elettorale.

La via di Luciani verso un nuovo XIX congresso

Nel frattempo, ha continuato la sua attività in una direzione completamente diversa - e non ritenendo validi i provvedimenti di espulsione emessi dalla Dc-Grassi nei suoi confronti - Nino Luciani: egli si qualifica presidente pro tempore della Democrazia cristiana dopo che, in un'assemblea dei soci del 12 ottobre 2019 da lui materialmente convocata, si era in sostanza deciso di "revocare" gli atti del XIX congresso del 2018, ritenuti viziati. Già il 14 marzo si era aperta un'altra assemblea dei soci Dc, convocata da Luciani, per definire il percorso verso la ripetizione del congresso. Quella riunione si è chiusa, dopo altre sedute intermedie, il 18 giugno, alla presenza - diretta o per delega, comunque in videoconferenza - di una dozzina di soci.
In quella sede si è deciso soprattutto di provvedere a una ricognizione dei soci effettivi. Se si prendesse per buono l'elenco consegnato nel 2016 al Tribunale di Roma per ottenere la riconvocazione dei soci Dc (1742 persone) si dovrebbero spendere molti soldi per la spedizione degli avvisi personali di convocazione e per una sala adeguata per l'assise; se però si considera che nel 2017 molti avvisi erano stati restituiti al mittente e pochissime persone hanno effettivamente partecipato all'assemblea del febbraio 2017 e agli eventi successivi, per Luciani è opportuno compiere una nuova verifica delle adesioni, come in sostanza aveva richiesto Gianni Fontana in vista del precedente tentativo (demolito per sentenza) di celebrare il XIX congresso, nel 2012. La ricognizione, dunque, si farebbe chiedendo a ogni socio che voglia confermare la propria affiliazione di dichiararlo espressamente entro 30 giorni dalla delibera (allegando alla dichiarazione un proprio documento d'identità) e di versare 50 euro a titolo di quota sociale.
Una nuova assemblea è prevista (in seconda convocazione) il 2 luglio 2020 alle ore 11 e 30, questa volta in presenza, a Roma (Via Giolitti, 335): lì, oltre a valutare questioni pratiche, in particolare relative all'identificazione dei soci, sarà deciso l'ordine del giorno del XIX congresso che si vorrebbe ricelebrare e, verosimilmente, anche la data di questo. Altri aggiornamenti seguiranno non appena sarà possibile.

lunedì 22 giugno 2020

Il coraggio delle idee: nove organizzazioni giovanili (e altrettanti simboli) a confronto

Bisogna ammetterlo: un po' ce lo si era dimenticati. Perché, a forza di parlare di "rottamazione" e di "rinnovamento", alle volte tentato con vere e proprie operazioni di casting, si è fatto passare in secondo piano che anche i partiti di oggi, nel tentare di rivolgersi ai più giovani e organizzare il loro impegno, hanno costituito associazioni e organizzazioni giovanili (più o meno attive, non sempre note ai più). Lo si deve ricordare per forza davanti all'avviso di un incontro previsto per il 25 giugno (ore 20 e 30), trasmesso in diretta sulla pagina Facebook di Generazione liberale, un progetto che - come recita quella stessa pagina - è nato per "avvicinare i giovani alla politica [...] attraverso strumenti social [...] approfondendo temi quali cultura, della politica e dell'economia".
Quell'evento, intitolato Il coraggio delle idee. Crisi sociale, politica ed economica, vedrà infatti confrontarsi le figure di vertice di ben nove organizzazioni giovanili partitiche, anche piuttosto distanti tra loro: il coraggio è quello di cui c'è bisogno in una fase difficile come questa, ma anche quello di avere idee e prendere una posizione netta e riconoscibile in giovane età.
Alcuni di questi soggetti politici giovanili hanno una certa notorietà, magari conquistata per motivi non pienamente ascrivibili alla politica. Questo può essere il caso della Lega Giovani (all'incontro parteciperà il segretario federale Luca Toccalini, l'unico peraltro tra gli invitati a essere anche parlamentare). Qualcuno, infatti, probabilmente ricorderà la "singolar tenzione" araldica che lo scorso autunno aveva riguardato non il simbolo federale, ma quello "nazionale" della Lega Giovani Toscana (per l'accostamento di un fante medievale allo scudo del Granducato di Toscana, ben successivo e assimilabile a un'insegna straniera). Al di là di quell'incidente, l'emblema federale - adottato a settembre 2019, come evoluzione del simbolo che fu del Movimento giovani padani - è rimasto intatto da allora, con il leon da guera venetista sullo scudo del fante, che ha la spada sguainata e la croce di San Giorgio sulla corazza (richiamando così la figura di Alberto da Giussano). 
Ha fatto un certo effetto anche la ricostituzione della Federazione giovanile comunista italiana (legata al Partito comunista italiano, ricostituito nel 2016 e guidato fin dalla nascita da Mauro Alboresi), il cui emblema, tra quelli attuali è, probabilmente quello con più storia alle spalle: il simbolo, infatti, altro non è che la versione colorata di quello in uso un tempo, giusto con qualche adattamento grafico per rendere l'immagine in linea con i tempi. Oltre ad avere ripreso il nome e il logo storici, la Fgci - che all'incontro sarà rappresentata dal segretario nazionale Nicolò Monti - ha ripreso anche la vecchia sigla con cui è sempre stata nota e anche questo rappresenta un elemento di continuità rispetto al passato.
Mantiene il collegamento con la propria storia, ma con qualche aggiustamento visivo in più, l'emblema di Forza Italia Giovani (che giovedì 25 giugno vedrà partecipare il suo coordinatore nazionale Marco Bestetti). Al centro c'è sempre la bandierina tricolore del partito ritagliata a cerchio (con la scritta che ora è obliqua, mentre inizialmente era orizzontale), mentre ora la parola bianca "giovani" è ripetuta due volte e disposta a cerchio su fondo carta da zucchero, mentre prima in quel colore era riportato (su fondo bianco o neutro) il nome dell'organizzazione giovanile forzista: "Giovani per la libertà". Ora è l'intero logo a sembrare una sorta di distintivo da appuntarsi addosso, facendo emergere di più il riferimento ai giovani rispetto a quello al partito.
Un altro recupero grafico sui generis riguarda la Gioventù nazionale, organizzazione giovanile legata a Fratelli d'Italia (e giovedì rappresentata dal suo presidente nazionale Fabio Roscani). La mano tinta in buona parte di azzurro, in effetti, è quella che nel vecchio emblema del Fronte della gioventù - e poi in quello di Azione Giovani - reggeva la fiaccola dalla quale si sprigionava una fiamma tricolore. Ora al posto della fiaccola c'è un drappo tricolore che sventola (anche se, ai #drogatidipolitica senza speranza di redenzione, potrebbe ricordare un po' il fazzoletto tricolore, sullo stile di Emilio Pucci, utilizzato nel 1994 all'ultimo congresso del Partito liberale italiano).
C'è invece chiaramente l'elemento principale del simbolo del partito di riferimento nel fregio che distingue la Federazione giovanile repubblicana (che tra l'altro figura come organizzatrice - insieme alla citata Generazione liberale e a Cultura Identità giovani - dell'incontro del 25 giugno, al quale prenderà parte il segretario nazionale Marco Spina). Al centro dell'emblema, infatti, c'è la foglia dell'edera che, da Giuseppe Mazzini in avanti, contraddistingue gli ideali repubblicani; in questo caso, la foglia - che non riprende nessuna delle foglie impiegate nel corso del tempo dal Pri ma ha comunque un che di tradizionale - è collocata su fondo rosso e inscritta in un cerchio.
Sa di antico anche l'emblema della Federazione dei giovani socialisti (nata nel 1994, erede del Federazione giovanile socialista italiana - Movimento giovanile socialista), oggi guidata da Enrico Maria Pedrelli (tra coloro che parteciperanno all'evento). Negli anni ha mutato più volte il suo simbolo, spesso incentrato su una rosa; dal 2016 l'emblema è costituito da un sole stilizzato e da tre frecce, su fondo rosso mattone. Se il sole stilizzato è quello dell'avvenire, le tre frecce (altrettanto stilizzate, senza la classica punta) sono "un antico simbolo socialista, usate in più occasioni dal movimento socialista nel mondo, ma soprattutto usate dal 'Fronte d'Acciaio' tedesco contro Hitler - come si legge sulla pagina Fb -. Le tre frecce erano il modo più efficace per cancellare le svastiche dai muri, e rappresentavano i tre grandi nemici del socialismo: una freccia colpiva la monarchia, una il comunismo, una il nazifascismo"; in Italia, non a caso, figurarono anche nel simbolo del Partito socialista dei lavoratori italiani, non ancora Psdi.
Recupera invece un consolidato simbolo politico europeo l'emblema della Gioventù liberale italiana, tuttora legata al Pli presieduto da Stefano De Luca (all'incontro rappresentata dalla sua segretaria nazionale, Giulia Pantaleo). A essere utilizzato, infatti, è il bird of liberty, nell'interpretazione che per molti anni ha caratterizzato l'Eldr, il partito europeo dei liberali, democratici e riformisti: se questo aveva le ali tinte di blu e di giallo, in questo caso l'immagine è stata virata al verde e al rosso, per ricreare la tavolozza cromatica della bandiera italiana che ha caratterizzato tanto il Pli storico quanto il soggetto politico rifondato da De Luca a partire dal 1997.
Sono dotati di un'organizzazione giovanile anche i monarchici che fanno riferimento all'Unione monarchica italiana: si tratta del Fronte monarchico giovanile (il cui segretario nazionale, Amedeo Di Maio, sarà tra i relatori all'incontro di giovedì). L'emblema - quadrato ma, alla bisogna, impiegato anche in forma rotonda - comprende, oltre alla sigla, i due elementi fondamentali del simbolo dell'Umi, vale a dire la corona reale dei Savoia e il nodo che li rappresenta; il tutto è posto su fondo blu (ma più chiaro rispetto a quello impiegato da altre formazioni monarchiche) e non manca un elemento tricolore nella parte inferiore del fregio, senza alcuno stemma nella parte bianca.
All'incontro del 25 giugno partecipa anche quella che probabilmente è l'ultima nata tra le organizzazioni partitiche dedicate ai giovani: il Movimento giovanile della sinistra, costituito a settembre del 2017 per riunire "ragazze e ragazzi che si riconoscono nei valori della tradizione socialista europea" e fare "della battaglia politica per il rinnovamento della sinistra italiana il proprio tratto distintivo"; di fatto il Mgs è nato soprattutto in collegamento ad Articolo 1 ed è guidato da Carlo Rutigliano (anch'egli invitato all'evento di giovedì). Per il suo simbolo - anch'esso quadrato ma ritagliabile a cerchio - nessuna scritta, sigla o nome che sia, ma solo la stilizzazione della corolla di una rosa, bianca su fondo rosso, riprendendo dunque uno dei segni classici del socialismo europeo.


Anche se non risultano partecipanti all'incontro del 25 giugno, è almeno il caso di ricordare che esiste un'altra rilevante organizzazione giovanile, legata al Partito democratico: si tratta dei Giovani Democratici, che fin dalla loro costituzione hanno il loro simbolo arancione con le iniziali sottolineate in rosso col gesso (che ricorda un po' il segno sotto al veltroniano "I care") e un pezzo del ramo d'Ulivo convertito al tricolore. Come si diceva, il loro segretario nazionale - Mattia Zunino - non è presente all'incontro, ma va anche detto che i Gd sono nel bel mezzo di un percorso congressuale che, fin dallo scorso anno, si era stabilito dovesse essere "rifondativo", per intervenire a fondo sull'organizzazione e sullo statuto. Certamente l'avvento della pandemia da Coronavirus non ha aiutato quel percorso; per gli sviluppi occorre attendere.

sabato 20 giugno 2020

Comitato per l'unità socialista, un garofano per ricomporre la diaspora

Una delle aree politiche italiane più colpite dalla frammentazione, soprattutto dopo il ciclone di "Mani Pulite" e il suo strascico di effetti politico-sociali, è certamente quella socialista (non meno di quella democristiana). Nel corso degli anni si sono succeduti innumerevoli iniziative nel tentativo di rimediare alla diaspora, che via via aveva portato vari esponenti e militanti del Psi ad aderire ad altri partiti - non necessariamente di impronta socialista - e una parte consistente di elettori ed ex iscritti ad allontanarsi dalla vita politica (anche se alcuni di loro sono tornati sui loro passi, almeno per un certo tempo). Costituenti, liste, federazioni hanno cercato di ricostruire a più riprese una "casa socialista", a volte di una sola parte (nel centrodestra o nel centrosinistra), altre volte con l'idea di coinvolgere il maggior numero possibile di persone, di varie sensibilità nell'ampia famiglia socialista. Lo stesso Psi attuale, guidato da Vincenzo Maraio, di fatto si è posto e si pone come un soggetto politico che possa essere riconosciuto e votato da molti elettori ed elettrici che si ritrovano nella storia e nel divenire del socialismo italiano, a prescindere dall'area politica cui hanno fatto riferimento negli ultimi anni: anche la scelta di recuperare il garofano come emblema del partito è andata in questa direzione. 
Non tutti, però, evidentemente hanno ancora accolto questa proposta: non si sono dunque esaurite le occasioni di dialogo e ricomposizione. Si spiega anche così la costituzione, il 29 aprile scorso, del Comitato per l'unità socialista, con l'idea di "reimmettere il socialismo, con i suoi ideali storici e con precise proposte politiche per muoversi nella crisi del presente, sui binari ricostruttivi di un percorso difficile, incerto, ma l'unico che possa essere praticato per riconsegnare alle future generazioni un Paese giusto, libero e solidale". Un percorso che richiede un lavoro collegiale del maggior numero possibile di associazioni, organizzazioni e formazioni che si dichiarino socialiste o si ispirino al socialismo, e che intende porsi lo scopo di ricostruire una forza socialista unitaria. 
Il sito del comitato rivendica però un impegno "iniziato sin dalla fine del 2016": l'antecedente diretto è la Rete di circoli e associazioni per il Socialismo nel XXI secolo in Italia, nota anche come Socialismo XXI e costituita il 10 febbraio 2019 (con presidente Aldo Potenza). L'idea, già allora, era di arrivare a costituire un nuovo partito chiaramente socialista, unico e unitario, per lasciare definitivamente alle spalle la diaspora; se quel progetto aveva preso piede soprattutto dal 2018 (dopo un primo "evento dell'orgoglio" a Livorno in quell'anno), ancora prima è iniziata l'opera di divulgazione in rete della storia italiana del socialismo grazie alla piattaforma www.socialismoitaliano1892.it. L'associazione aveva previsto di dotarsi di una testata (Sempre Avanti, che è proprio il sito in cui ora sono state pubblicate le prime notizie sul Comitato per l'unità socialista) e si era data in fretta un simbolo, con il garofano disegnato da Filippo Panseca stretto in un pugno, il tutto proposto on posizione obliqua (prima su fondo bianco, poi su fondo rosso); dalla metà di maggio dell'anno scorso l'immagine è stata rivista (a partire da una proposta di Vincenzo Lorè), con il pugno orizzontale stilizzato, preso direttamente dal vecchio emblema del Psoe spagnolo (e a sua volta rielaborazione dell'immagine del creativo francese Marc Bonnet le poing et la rose per i socialisti d'Oltralpe), il garofano preso stavolta dal simbolo disegnato nel 1979 da Ettore Vitale e il recupero della doppia corona rossa inventata nel 1983 da Panseca.
Al "tavolo di concertazione" del 18 giugno, in base al comunicato diffuso, era presente "una delegazione ai massimi vertici del Psi con il segretario compagno Enzo Maraio e con il vicesegretario Luigi Iorio i quali, nei loro interventi, hanno portato l'adesione del Partito al Comitato per l’unità Socialista assicurando il loro contributo e quello del Psi al processo avviato con la costituzione del tavolo di confronto". Il fine ultimo del tavolo è e resta la confluenza delle varie realtà in "un unico soggetto politico socialista unitario", alla fine di un congresso che dovrebbe tenersi a Genova - città in cui nacque ufficialmente nel 1892 con il nome di Partito dei lavoratori italiani - possibilmente entro la fine dell'anno (si era inizialmente pensato ad aprile, ma ovviamente la pandemia non lo avrebbe consentito). L'idea ricalca il procedimento utilizzato in Francia con il congresso di Epinay del 1971 (e proprio da quel momento in poi la rose au poing è diventata un elemento costante della propaganda e della comunicazione del nuovo Parti Socialiste). 
All'appuntamento di giovedì (che era dedicato soprattutto alla situazione in materia di salute e ai problemi emersi a seguito della pandemia) dovrebbero seguire altri incontri tematici o, se si preferisce, programmatici, sulla base dei quali costruire "una condivisa piattaforma politica di proposte che rimetta in evidenza in un quadro politico destrutturato una offerta politica dei socialisti italiani". E, pur trattandosi di uno strumento per natura provvisorio, il Comitato stesso si è dato un simbolo: al centro, su sfondo rosso, c'è anche qui un garofano - con la corolla disegnata a pennellate di colore - che però stavolta spunta dietro a due mani che si stringono, recuperando così un altro degli emblemi storici della cooperazione e dello stesso mondo socialista. Non è affatto detto ovviamente che questo alla fine sia il simbolo del soggetto politico che si vorrebbe veder nascere, così come non è scontato che questo possa realmente nascere: è comprensibile che il Psi possa essere interessato soprattutto a rafforzarsi "in proprio", invitando le persone e i gruppi interessati a entrare a far parte di quel partito; è altrettanto chiaro che i promotori del comitato hanno ribadito la necessità di "superare i contrasti che fino ad ora hanno causato una dolorosa frammentazione della presenza socialista nel nostro Paese" e di arrivare al nuovo partito unitario attraverso "un confronto aperto, senza egemonie da parte di nessuno, sui grandi e gravi problemi che investono la società italiana", il che difficilmente potrebbe tradursi nella pura e semplice adesione di alcuni gruppi al Psi.  
Per il campano Luigi Ferro, autore di un lungo post sul sito Sempre Avanti, "mai come in questo momento di profonda crisi economica e sociale il nostro Paese (ma anche l'Europa) ha la necessità di un nuovo socialismo": ha citato l'economista Thomas Piketty ("diseguali di tutto il mondo unitevi"), i fallimenti del neoliberismo e la necessità avvertita di "cambiamenti epocali per costruire un futuro meno incerto e dalle grandi opportunità" proprio grazie al socialismo del XXI secolo, "che spazi in tutti i settori umani e che abbia come punto di riferimento i tanti e diversi gruppi sociali con il loro 'fardello' di idee e di bisogni". Per lui il lancio del Comitato per l'unità socialista "va ben oltre l’appello a tutti i socialisti di buona volontà, rappresentando un impulso verso la fase costituente, verso la rinascita socialista in Italia. Perché ora più di ieri c'è bisogno di socialismo. Di un socialismo partecipativo, democratico, inclusivo per riequilibrare una società e un mondo devastati dall'idea di mercato deregolamentato". Si vedrà con l'andare dei mesi se il disegno riuscirà.