venerdì 31 marzo 2023

Simboli fantastici (31): Friuli Venezia Giulia, torna la satira di Mataran

"E io rinascerò / cervo a primavera": è intenso e delicato il brano di Mogol e Cocciante, è bello rinascere a primavera, ma è ancora più importante azzeccare il momento giusto per rinascere. Così, per chi esercita con passione il ruolo di appartenente alla schiera dei #drogatidipolitica e, per di più, ha la fortuna di essere portatore sanissimo e diffusore di ironia corrosiva, le elezioni che riguardano il proprio territorio sono un'occasione da cogliere assolutamente, a costo di risvegliarsi da un sonno durato oltre un anno. Per fortuna nostra si è ridestata a tempo debito la banda di Mataran, la rivista satirica nata nel 2015 e diffusa in Friuli Venezia Giulia (non a caso, mataran in furlan significa "matto", nel senso di originale, giocherellone, dunque non inquadrato né inquadrabile). Già nel 2021 questo sito aveva ospitato volentieri la loro satira graffiante esercitata in vista delle elezioni amministrative celebrate in quell'autunno (anche se chi scrive ha appreso della pubblicazione solo a seggi ormai smobilitati): in quel caso, l'ironia si era tradotta soprattutto nell'invenzione di dodici "simboli fantastici" (o, se si preferisce, "veramente falsi") che non erano riusciti ad arrivare sulle schede perché rifiutati o perché i relativi progetti di lista erano falliti prematuramente.
Quella volta ci si era divertiti a commentarli e a cercare di collocare quei loghi mai nati nel contesto di ogni comune, ma è chiaro a chiunque che le elezioni regionali sono un altro pianeta, un rito che non può in alcun modo essere trascurato. L'ultima uscita cartacea di Mataran, sia pure con la testata il Frico (nata all'inizio del 2021 come inserto mensile de il Friuli) risaliva alla fine del 2021, con il calendario dal sapore popolare e forte di Frico Indovino, preceduta dalla campagna - cui questo sito aveva "simbolicamente" aderito - per lanciare la candidatura del furlan Dino Zoff al Quirinale; quell'anno abbondante di pausa, però, meritava di essere interrotto per occuparsi "alla Mataran" (anzi, tant che un Mataran) dell'evento elettorale più importante del territorio regionale. Da pochi giorni, dunque, in una settantina di punti sparsi nelle varie province della regione è arrivato lo "Speciale elezioni" di Mataran, anzi, "l'organo ufficiale del voto in Friuli Venezia Giulia", come si può leggere sotto la testata: un voto da affrontare con una giusta "dose di satira gratuita ma non scontata", nel senso che non è banale e che non fa sconti (anche per questo nel 2021 è arrivato il meritato Premio Satira Forte dei Marmi, citato accanto alla testata con una finta etichetta malincollata). 
Oltre che in quei punti di distribuzione gratuita, le otto pagine del numero speciale di Mataran sono state al centro di una presentazione rivestita come un "party elettorale" in piena regola (con tanto di invito a forma di scheda, regolarmente bollata) ieri sera a Udine (alla Cas'Aupa) e questa sera si replicherà a Pordenone (alla Casa del Popolo). Che l'appuntamento elettoral-satirico sia molto sentito da quelle parti lo hanno dimostrato due dettagli della serata di ieri: oltre cento partecipanti e, tra il pubblico, varie persone candidate alle comunali o alle regionali. Come a dire che alla fine tanto vale ridere, anche se magari quella banda di scapestrati matarans prende di mira questa o quella candidatura, che sia destinata a vincere o a perdere (perché non ci si salva dai graffi - scritti o disegnati - di chi esercita la satira). Ben venga allora partecipare alla festa di "un organo riproduttivo di satira e umorismo, noncurante ma non indifferente - si legge all'interno - con notizie false ma non bugiarde, fatto in casa per la gente di qui anche se la gente di qui non lo vuole in casa, e quindi letto perlopiù in piedi, sul trattore o in barca a vela (dipende dove abitate)". Pure e soprattutto sotto elezioni, infatti, è bene non dimenticare che "la satira è lo strumento degli sfigati per dissacrare il potere e le idee, specialmente quelle di chi vuole insegnarci come e di cosa ridere"
Il primo e principale oggetto della satira questa volta è il presidente uscente e ricandidato della giunta regionale, il leghista Massimiliano Fedriga: lui, armato di una matita appuntita, spunta da un foro nero con i contorni della regione in una copertina chiaramente ispirata alla locandina del film di Stanley Kubrick Arancia meccanica (il cui titolo, con gli stessi caratteri, è stato trasformato in Rielezione meccanica). Pure all'interno un certo spazio è dedicato al candidato del centrodestra, specie nel confronto con il suo principale contendente, Massimo Moretuzzo (nella caricatura il candidato autonomista sostenuto anche dal centrosinistra e dal M5S è ritratto nei panni del líder mínimo, con il simbolo del suo Patto per l'autonomia sul basco, mentre Fedriga è "Sua Eccellenza", in divisa e con Sole delle Alpi, Alberto da Giussano, fiamma tricolore e bandierina forzista trasformati in distintivi). Tra i vari altri contenuti del numero, appare impagabile (e serissimo), tra i commenti sulle elezioni dei "vip del Friuli Venezia Giulia" (dall'ex candidato autonomista Sergio Cecotti, all'attuale candidato "terzopolista" Alessandro Maran fino a Francesca Mesiano dei Coma Cose), quello di "Armando della Pimpa": "Mi asterrò, come ho sempre fatto da quando ero ragazzo. Sono per l’ordine ma senza potere, fondato sulla pari dignità e perciò autentico".
Nelle otto pagine di Mataran (tutte da sfogliare con la massima attenzione, anche da chi non è parte di quella regione) però, non poteva mancare la seconda edizione del Salon des Refusés imaginaires, vale a dire la pagina dei simboli delle liste (regionali e comunali) "che non ce l'hanno fatta", non essendo arrivate sulle schede perché bocciate o abortite anzitempo, ma in realtà frutto esclusivo della creatività della squadra dei portatori di satira. Questa volta la tribuna è soprattutto per le elezioni regionali, cui sono dedicati ben sei dei dodici emblemi creati da Mataran; non vengono comunque trascurate le elezioni amministrative, fonte di ispirazione per le altre sei liste "farlocche". Come nel 2021, ciascun contrassegno - piazzato su un simulacro di scheda elettorale, rispettando i colori scelti in FVG per l'evento: azzurro per le elezioni regionali, arancione per quelle comunali - è accompagnato da una breve descrizione della lista e del motivo per cui il simbolo ("falso, ma non bugiardo", come tengono a sottolineare dalla redazione) non sarebbe stato sottoposto al giudizio di elettrici ed elettori.
Iniziando il viaggio "fantasimbolico" dalle elezioni regionali, il primo emblema a essere mostrato è quello dell'Österreichisch-Ungarische Volkspartei, vale a dire il "Partito Popolare Austro-Ungarico" su fondo giallo spicca l'aquila bicipite (impiegata anche dall'impero asburgico) cui è sovrapposto al centro uno scudo con l'alabarda triestina dorata, collocata sui colori della bandiera dell'Austria; al nome del partito scritto in carattere gotico fa da contrappunto la sigla collocata in basso, nel segmento bianco, con la V rossa e quasi-3D mutuata dal simbolo della Südtiroler Volkspartei (lo stesso nome, ovviamente, rimanda a quello della Svp). "Dopo una trionfante raccolta firme, forti dell’appoggio di molti triestini, ma non solo, il Partito Popolare Austro-Ungarico era pronto a presentarsi alle regionali con mire di vittoria: obiettivo fondante, l’annessione della Venezia Giulia all’Austria". Mataran peraltro informa pure del prematuro scioglimento della lista, dopo che qualcuno - cartina alla mano, evidentemente - aveva fatto notare che la provincia di Udine confina con l'Austria, ma la Venezia Giulia no.
Non appare legato a questioni storico-territoriali, ma a un evento atteso nelle prossime settimane il Partito degli Alpini con le mani legate. Dall'11 al 14 maggio, infatti, Udine ospiterà la 94esima adunata nazionale degli Alpini, quella che segue le polemiche legate a quella dello scorso anno (svoltasi a Rimini e San Marino) per i casi di molestie verbali e tattili segnalate da varie donne. Il fanta-partito - con le mani davvero legate al centro e la parola "Alpini" con lo stesso rilievo normalmente dato al cognome di Matteo Salvini nel simbolo della Lega (scelta probabilmente originata dal post dello scorso anno a sostegno degli Alpini, apparso sui canali social del segretario leghista) - aveva un programma impegnativo: "Legittima difesa e rispetto per il prossimo. Pene severe per i colpevoli di palpata al culo (tranne se 'mano morta involontaria'), carcere a ore per chi si ubriaca sforando il limite di 3.0 alcolico (valido solo i lunedì di febbraio), pena di morte per chi irride le penne nere (corvi e tacchini inclusi)". Troppo impegnativo forse: si apprende infatti che gli Alpini "hanno abbandonato la sfida elettorale, preferendo direttamente marciare su Udine".
Ben più etereo e leggero, con una sagoma di fatina alata (in stile Campanellino-Trilli di Peter Pan secondo Disney) in un cielo azzurrino con stelle, appare il simbolo della lista Noi siamo Friuli Venezia Giulia. Non c'è alcun riferimento grafico o testuale a idee politiche, in questo emblema, e non è affatto un caso: la lista, che sarebbe stata "ideata da Fedriga sotto l’effetto allucinogeno di due bacche di goji, [...] ricalcava il trend del brand regionale 'Io sono Friuli Venezia Giulia'", campagna pensata per il settore agroalimentare con tanto di merchandising. Per evitare posizionamenti territoriali e culturali limitanti, sarebbero stati "esclusi a priori i candidati friulani, triestini, sloveni e germanofoni", preferendo inserire in lista solo "persone neutre, identificabili nel concetto di 'Friuliveneziagiuliatuttoattaccato'". Il progetto elettorale sarebbe però sfumato perché nessun potenziale candidato aveva queste caratteristiche: "ciò che rimane di questa visione è un container pieno di felpe, penne e altri gadget personalizzati abbandonato nel Porto Vecchio di Trieste".
Si riconosce invece molto bene il simbolo che ha generato il contrassegno mai depositato di Foiba Italia: la bandierina che Cesare Priori aveva concepito per Forza Italia in questo caso si è tinta dei colori della bandiera jugoslava (con il blu al posto del verde e la stella della repubblica socialista nel mezzo). Foiba Italia sarebbe stato un "movimento bipartisan con l’obiettivo di far luce su tutte le foibe presenti in regione, nel resto d’Italia e nel mondo": si apprende infatti da Mataran che "studi indipendenti dimostrano a tutt'oggi l'operatività
di brigate titine nella Buse dai Veris a Udine, nel Grand Canyon e nella Fossa delle Marianne". Il programma prevedeva anche "la creazione del Semestre del Ricordo, perché un giorno è riduttivo, e campi rieducativi per storici coi brani di Cristicchi in filodiffusione" (con riferimento al musical Magazzino 18). Come mai il simbolo non è finito sulle schede? Semplice: "A forza di ricordare di ricordarsi si sono scordati di depositare la lista". Eh, lo fanno, lo fanno...
Merita almeno un mezzo minuto di raccoglimento (anche solo per aguzzare lo sguardo o far riposare gli occhi) il simbolo della fantalista Semplicemente noi, tentativo veramente falso ma drammaticamente verosimile di creare un progetto elettorale comune per l'area sinistra. E se "il nome della lista unica di Sinistra era stato approvato rapidamente, dopo sole ventidue riunioni", oggetto della discordia è stato proprio il contrassegno elettorale, perché "doveva contenere tutte le anime, le idee, le minoranze minorizzate, le maggioranze relative, il mondo del lavoro, le famiglie arcobaleno, i non-giovani, l’ambiente, la pace, gli atei vegani, i preti etero, la Bisiacaria!" Non è dato sapere se il simbolo svelato da Mataran sia l'ultima versione disponibile - si favoleggia circa l'esistenza di un simbolo pieno di "pulci" disposte a spirale in cerchi concentrici, tanto affollato quanto illeggibile - mentre si sa che "il grafico, disperato, si è iscritto agli anarcoinsurrezionalisti e non se n’è fatto nulla". La sua opera, in compenso, ora può essere utilizzata come esempio di come non si fa un contrassegno elettorale, come strumento alternativo per provare la vista e, soprattutto, come test per scoprire quali simboli e di quali partiti sono contenuti nel cerchio. 
L'ultimo fantaemblema legato alle regionali era Fradis dal Friûl (Fratelli del Friuli, in furlan), "formazione capeggiata da nostalgici del Duce e portatori di Ray-Ban con i colletti alzati". Il simbolo di base, ovviamente, è quello ufficiale di Fratelli d'Italia, con il nome modificato e la parte destra della fascetta tricolore con i colori della comunità friulana (azzurro e giallo), ma la massima attenzione dev'essere prestata all'elemento che sta in basso, in campo bianco: un pignarûl tricolore (dunque una catasta da bruciare, con tanto di persona sulla sommità, con i due corni della fiamma tricolore sovrapposti ai lati). Quell'immagine "unisce il nazionalismo italiano a quello friulano: non un controsenso, sostengono, basta saper intonare Faccetta nera in marilenghe" (cioè in furlan, "lingua madre"). Il cammino della lista verso le schede, tuttavia, sarebbe stato bloccato dal senatore Roberto Menia in persona (ora in Fratelli d'Italia, dopo la sua militanza in Msi, an, Pdl e Fli): si apprende da Mataran che lui, "salito appositamente da Roma", avrebbe "spezzato le reni ai promotori ululando 'Prima gli italiani!".
Esaurita la pagina relativa alle elezioni regionali, il gruppo di Mataran ha dato giusta attenzione anche alle competizioni in alcuni dei comuni chiamati al voto (in fondo l'esperimento dei "simboli non presentati" era nato proprio così). Si parte dall'unico ex capoluogo di provincia coinvolto dalle elezioni, dunque Udine: lì si era immaginata la Lista civica dei Magnifici Rettori, generata evidentemente dal fatto che, dopo il doppio mandato da sindaco di Furio Honsell (2008-2018), il centrosinistra ha scelto di rivolgersi a un altro ex rettore dell'Università di Udine, Alberto Felice De Toni. La redazione ha dunque avuto gioco facile a immaginare come "sogno proibito del centrosinistra udinese" la presentazione di "un'intera lista di rettori universitari". Preparato il simbolo (sullo stile di un sigillo antico di ateneo, con all'interno l'aquila friulana di Uniud dotata di fascia tricolore) e raccolte "le adesioni di De Toni, Honsell e Donatella Rettore, l'unione è sfumata dopo l'altolà del Terzo Polo, che ha minacciato di rompere la coalizione se in ogni lista non ci fosse stato almeno uno sceicco arabo o un socio di Confindustria". Neanche con i simboli farlocchi si può stare tranquilli...
Uno stile più moderno connota il simbolo pensato per la fantalista Guardiani della Scalinata, concepita per Fogliano Redipuglia. La scalinata, protagonista del nome e del contrassegno, è ovviamente quella del Sacrario militare di Redipuglia, finita in passato al centro di varie polemiche dopo che nel 2017 il rapper Justin Owusu l'aveva usata come location per un filmato (nel 2020 era stato condannato per vilipendio) e si erano accese varie proteste. Si apprende dunque che la fantalista aveva pensato di organizzare "picchetti 24 h su 24 presso il Sacrario militare di Redipuglia allo scopo di prevenire episodi di vilipendio", risultato da ottenere anche con l'ausilio di "polizia privata munita di spray e tirapugni, videocamere a raggi X, trappola del masso rotolante, buco di lava". La lista tuttavia sarebbe stata addirittura esclusa, per una sorta di contrappasso ironico: avrebbe infatti "organizzato lo shooting fotografico elettorale proprio davanti alla scalinata", per cui "tutti i candidati sono stati iscritti nel registro degli indagati per vilipendio".
Nel comune di Sacile, invece, si sono perse le tracce del Movimento Osei Liberi, legato inevitabilmente alla tradizionale Sagra dei Osei di settembre, in cui si espongono e vendono uccelli da canto. La fantalista sarebbe stata concepita dagli animalisti locali, dopo che i loro predecessori per decenni avevano chiesto "alla città di rinunciare alla sagra e valorizzare altre antiche tradizioni del territorio non speciste, tipo i pagamenti in nero" (correndo voci incontrollate e certamente menzognere secondo le quali, trattandosi di un territorio ricco e ampiamente produttivo, in passato la gimcana antitasse era stata uno sport diffuso). Il simbolo è stato realizzato in modo pregevole, con la sagoma di un volatile in fuga da una gabbia aperta, collocata al posto del tamburo e della cupola del tempo di San Liberale (a sua volta ispirato allo Sposalizio della Vergine di Raffaello). Il problema, qui, sarebbe stato legato al nome della lista, che sarebbe stato "travisato sui social", attirando "solo coppie di scambisti dal vicino Veneto". Inevitabile, a quel punto, l'intervento della forza pubblica : pare che le attività di raccolta firme siano state interrotte e la piccola folla presente sia stata "sgomberata dai carabinieri con l’uso di una scacciacani, specista anch’essa". Un'operazione contro il voto di scambio (anzi, lo scambio prima del voto).
Se Sacile è famosa anche per la fiera dei volatili, San Daniele del  Friuli certamente lo è per i prosciutti. Il dato di base è che alle elezioni del 2-3 aprile Lega e Fratelli d'Italia non sosterranno lo stesso candidato. Si è così immaginata la lista Prosciutto-Meloni, nel senso che il fantacandidato di Fdi sarebbe stato tale Italo Prosciutto, "picchiatore del Msi negli anni '80, poi in doppiopetto con An e oggi meloniano di ferro", ma ritenuto "troppo moderato" dai leghisti, perché "lo scorso carnevale si è mascherato da Minni e non da Hermann Göring come faceva abitualmente. La difesa di Fdi, ovvero che seppur vestito da Minni salutava romanamente, non ha ricucito lo strappo". In luogo della fiamma, nel contrassegno - non arrivato sulla scheda, non si sa perché - ci sono due prosciutti, uno verde e uno rosso.
Più che per il cibo, Fiume Veneto (in provincia di Pordenone, a dispetto di quanto suggerirebbe il nome) negli ultimi anni ha fatto parlare di se per l'apertura - nel 2019 - di uno dei depositi di smistamento di Amazon. Dev'essere quindi venuto facile immaginare che pensasse di tentare "la scalata politica" del comune addirittura il fondatore del colosso dell'e-commerce, Jeff Bezos (magari non di persona, non essendo lui cittadino italiano, ma attraverso un fiduciario). Ecco dunque partorita l'idea della lista bezos for river veneto (ispirata al marchio di Amazon, nelle minuscole, nei colori usati e nella freccia), con alcuni punti programmatici di rilievo: "conversione di tutti i cittadini in operai, aumento a 36 ore lavorative giornaliere, inglesizzazione di Pescincanna in Fishinrod". I disguidi, tuttavia, possono sempre capitare: "a causa dello smarrimento di un codice, il pacco con la lista dei candidati è rimasto bloccato in un Amazon Locker" e non si potrà nemmeno chiedere l'annullamento del voto
Resterebbe da dire dell'ultimo "simbolo fantastico" concepito, quello di Verità per eni, immaginato in corsa a Fiumicello Villa Vicentina, ma c'è poco da spiegare (o meglio, ce ne sarebbe parecchio), molto da pensare e ben di più di cui indignarsi (e non certo per la satira di Mataran). Se a qualcuno sfuggisse il senso del cane a sei zampe di Luigi Broggini (rifinito da Giuseppe Guzzi), trasformato in Anubi mentre spara fiamme da tergo, della presenza di un marchio ben riconoscibile nel nome della lista e di un chiaro riferimento ad Amnesty International nella parte inferiore, basti ricordare che Fiumicello è il comune in cui è cresciuto Giulio Regeni: altro non serve dire.  

Conclusa la carrellata dei "simboli fantastici" offerta quest'anno da Mataran, resta da prestare l'attenzione che merita all'ultima pagina della pubblicazione. Questa, infatti, è interamente occupata da una tavola intitolata "FriulVotaziaGiulia" e che rende un chiaro omaggio a Benito Jacovitti, artista italiano del fumetto scomparso nel 1997 e di cui quest'anno si celebra il centenario della nascita. La tavola riprende in tutto e per tutto lo stile del maestro (ed è possibile identificare alcune citazioni dallo storico manifesto Così si vota realizzato nel 1975 da Jacovitti per la Spes - Dc) ed è stata offerta ai lettori di Mataran da Luca Salvagno, "erede grafico ufficiale" dello stesso Jacovitti. Che si apprezzi o meno quello stile di disegno, si è di fronte a un vero capolavoro che merita di essere riconosciuto e apprezzato, con il tempo necessario a concentrarsi sulla ricerca dei dettagli e dei particolari che rendono ricca quella pagina. E visto che all'interno non mancano i tradizionali cartelli jacovitteschi, chi scrive non può fare a meno di esprimere una sua convinzione: se nei seggi elettorali, invece del solito manifesto contenente il richiamo alle principali disposizioni penali legate alle elezioni e che quasi nessuno guarda, venisse esposto il cartello con la scritta imperiosa ed enigmatica "È quasi vietato sbarbaganare le pitinicchie", questo riceverebbe molta più attenzione. Chissà come si scrive quella frase jacovittesca in furlan...

sabato 25 marzo 2023

Voto nei comuni piccoli, le Camere ci riprovano (con liti sul ballottaggio)

Le elezioni regionali in Lombardia e Lazio celebrate il 12-13 febbraio, quelle in Friuli Venezia Giulia fissate per il 2-3 aprile e le amministrative che si terranno nelle altre regioni il 14-15 maggio hanno posto parzialmente in ombra - ma nemmeno troppo - il percorso parlamentare di un disegno di legge di una certa rilevanza, volto a intervenire sulle norme che regolano le elezioni amministrative nei comuni fino a 15milabitanti. Chi segue con attenzione questo sito dovrebbe avere una sensazione di déjà vu (e, volendo, di déjà entendu): nella scorsa legislatura si erano infatti già discussi alcuni testi in materia. 
Il disegno di legge in questione riprende il testo che era già stato approvato dal Senato nel 2021 e che si era impantanato alla Camera senza concludere il suo iter parlamentare; la proposta, tuttavia, era finita per qualche manciata di ore nell'occhio del ciclone perché a Palazzo Madama era stato presentato (prima in commissione e poi in aula) un emendamento che puntava a modificare sensibilmente il sistema elettorale dettato per i comuni superiori, assegnando la vittoria già al primo turno alla persona candidata che avesse raggiunto almeno il 40% dei voti validi (estendendo, dunque, il "rito siciliano" a tutta l'Italia a statuto ordinario). Gli emendamenti sono stari ritirati, il progetto di legge è stato approvato a Palazzo Madama così com'era e ora toccherà alla Camera esprimersi, ma è molto probabile che la questione torni in discussione presto: sembra dunque il caso di parlare in modo ampio dei testi e delle proposte in discussione, 

Piccoli comuni, dove eravamo rimasti: quorum di validità...

Occorre innanzitutto fare un passo indietro e capire di quale progetto di legge si stia parlando. Ci si riferisce, in particolare, al disegno di legge n. 379, rubricato "Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, e alla legge 25 marzo 1993, n. 81, concernenti il computo dei votanti per la validità delle elezioni comunali e il numero delle sottoscrizioni per la presentazione dei candidati alle medesime elezioni" e presentato il 28 novembre 2022 da 22 tra senatrici e senatori della Lega per Salvini premier: prima firmataria risulta essere Daisy Pirovano.
Il fatto che la proposta risulti "monocolore", tuttavia, non deve trarre in inganno. Il testo del ddl, infatti, è esattamente identico a quello che l'aula di Palazzo Madama aveva approvato il 26 maggio del 2021, con un voto pressoché unanime: questo sito se n'era occupato a fondo, sia all'indomani dell'esame al Senato, sia nei primi mesi in cui il testo era rimasto impantanato alla Camera, completando il passaggio in commissione ma di fatto senza arrivare all'esame dell'aula di Montecitorio. Pure in quell'occasione il proponente, Luigi Augussori, era leghista, ma tutti i membri della commissione Affari costituzionali furono adeguatamente sensibilizzati sui problemi elettorali legati ai piccoli comuni (del resto nella discussione era confluito anche un ddl del Pd) e si era trovato un accordo più che ragionevole. In questa legislatura Augussori non è tornato in Parlamento (peraltro era stato candidato alla Camera), ma considerando che Daisy Pirovano nel 2021 era stata relatrice del testo a Palazzo Madama, sembra naturale che proprio lei - che tra l'altro è tuttora sindaca di Misano di Gera d'Adda - abbia ripresentato il disegno di legge. Proprio l'approvazione da parte del Senato nella legislatura precedente, tra l'altro, ha consentito di invocare l'art. 81 del regolamento senatoriale: il 23 febbraio, infatti, l'aula di Palazzo Madama ha votato a favore della dichiarazione d'urgenza per quel ddl, aprendo la strada alla procedura abbreviata, conclusasi in effetti il 1° marzo. Va segnalato che la procedura d'urgenza ha avuto anche l'appoggio del MoVimento 5 Stelle e del Partito democratico: non a caso per il Pd è intervenuto in commissione e in aula Dario Parrini, che nella scorsa legislatura era stato presidente della commissione Affari costituzionali e da quella posizione aveva accompagnato l'iter del disegno di legge (e, tra l'altro, aveva accettato insieme ad Augussori di rispondere per I simboli della discordia ad alcune domande, per commentare le norme che si volevano introdurre: chi scrive è grato a entrambi).   
In questa legislatura come nella precedente, l'attenzione si è concentrata soprattutto sul destino delle elezioni amministrative nei comuni fino a 15mila abitanti in base all'affluenza e alla composizione del corpo elettorale. In particolare, l'idea era di rendere stabili le misure eccezionali introdotte nel 2021 e nel 2022 con i rispettivi "decreti elezioni", prevedendo che qualora alle elezioni in un comune "inferiore" concorra una sola lista (perché ne è stata presentata e ammessa una sola o perché solo una di quelle presentate è stata ritenuta ammissibile), i suoi candidati siano tutti eletti in consiglio comunale purché i votanti siano pari almeno al 40% degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune; il calcolo, peraltro, va fatto togliendo dal corpo elettorale da considerare gli elettori iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero che non hanno votato in quell'occasione. Entrambe le misure prendono atto di alcuni fenomeni che affliggono da tempo i comuni più piccoli (e anche alcuni medio-piccoli). 
In quei luoghi, innanzitutto, oltre a un astensionismo crescente - che, com'è noto, colpisce tutta l'Italia - si registra una sempre minore disponibilità di persone a candidarsi e ad assumere responsabilità amministrative: sempre più di frequente, dunque, si creano le condizioni per avere competizioni con una sola lista, nelle quali il rischio che l'affluenza restasse anche di poco sotto il 50% renderebbe più che probabile - con le norme "ordinarie", al di là delle eccezioni degli ultimi due anni - il commissariamento dei comuni stessi. Quel rischio sarebbe ancor più a portata di mano nei comuni piccoli che hanno tra i loro cittadini un alto numero di persone che risiedono all'estero e ben difficilmente tornerebbero nel luogo di residenza per votare: non a caso, il ddl Augussori originario si era occupato innanzitutto della situazione degli iscritti Aire, ovviamente conservando loro il diritto di voto, ma ritenendo ragionevole non considerarli nel corpo elettorale "concreto" ai fini della determinazione del quorum.
Per le elezioni del 2023 queste norme varranno in forza di un nuovo intervento una tantum, inserito questa volta nel "decreto milleproroghe" (d.l. n. 198/2022, come convertito e modificato dalla legge n. 14/2023), precisamente all'art. 2, comma 7-ter. Per il futuro, tuttavia, sarebbe davvero importante che la norma venisse modificata una volta per tutte, tenendo conto delle situazioni concrete che si affrontano nei comuni, soprattutto quelli piccoli o medio-piccoli. Ne è sembrata consapevole - anche per la sua contemporanea vita da sindaca - Daisy Pirovano, che all'aula del Senato ha proposto uno spunto di riflessione: "interroghiamoci se noi, come classe politica, abbiamo qualche responsabilità in più rispetto ai nostri amministratori locali, che lavorano in condizioni veramente critiche e con sempre più difficoltà. Mi riferisco a responsabilità per il fatto che i cittadini si stiano allontanando sempre di più dalla politica anche sui territori. Sempre meno cittadini, infatti, si rendono disponibili a ricoprire il ruolo di sindaco; se così non fosse, il provvedimento cui facciamo riferimento non sarebbe necessario, perché vorrebbe dire che non c'è una lista unica che si candida alle elezioni comunali. È diventato necessario e urgente, infatti, risolvere i problemi degli enti locali e noi non siamo ancora riusciti a farlo in tutti gli aspetti della problematica".
 

... e ritorno delle firme "sotto i mille"

Oltre alla norma che dovrebbe mitigare il quorum di validità delle elezioni nei comuni inferiori (e prevenire un discreto numero di commissariamenti per affluenza inevitabilmente molto bassa), il disegno di legge intende modificare un dettaglio specifico delle norme relative alle elezioni amministrative nei microcomuni, in particolari quelli fino a mille abitanti. Come sa molto bene chi segue con attenzione questo sito, in particolare la rubrica "Sotto i mille" curata da Massimo Bosso, a partire dal 1993 in quei comuni le liste si presentano senza necessità di essere sottoscritte dal corpo elettorale. Lo si fece allora per non ingessare la competizione in comunità piccolissime (e per evitare al loro interno situazioni sgradevoli); di certo non si immaginava che la possibilità di presentare liste senza firme avrebbe attirato in comuni piccolissimi e ignoti ai più prima forze politiche in cerca di radicamento, poi gruppi di candidati del tutto estranei a quei paesini e, non di rado, con interessi ben diversi dal concorrere per sperare di amministrare i comuni.
La discussione avviata nella scorsa legislatura aveva individuato come soluzione a questo problema (emerso nella sua gravità dopo i casi limite emersi negli ultimi anni, in particolare quello di Carbone nel 2020) la richiesta di un numero minimo e contenuto di firme pure in quei comuni: non meno di 15 e non oltre 30 nei comuni con popolazione 751 e 1000 abitanti; non meno di 10 e non più di 20 nei comuni con popolazione tra 501 e 750 abitanti; non meno di 5 e da non più di 10 sottoscrizioni, infine, nei comuni con popolazione fino a 500 abitanti. Pur trattandosi di un numero oggettivamente limitato di sottoscrizioni (al fine di evitare un aggravio eccessivo del procedimento preparatorio e di scongiurare ulteriori rischi di presentazioni di un'unica lista), la necessità di raccoglierle in loco (e la difficoltà di farlo su un numero così ridotto di abitanti) dovrebbe essere sufficiente a scoraggiare l'azione di chi, completamente estraneo al paese, volesse presentare comunque una lista di extra muros.
Questo fenomeno, come si sa, riguarda solo i comuni piccolissimi, presenti in tutte le regioni ma concentrati soprattutto in alcune di esse, così come il fenomeno si presenta in particolare in alcune zone d'Italia (tra l'altro con accenti diversi a seconda del territorio, non sempre compresi da chiunque). Ciò spiega, probabilmente, perché anche in quest'occasione nel dibattito pubblico questo punto sia stato considerato con meno attenzione rispetto alle istanze relative al quorum di validità delle elezioni. La questione, tuttavia, ha una sua rilevanza e, a differenza delle misure per salvare la validità delle elezioni in presenza di una sola lista, non è stata anticipata - correttamente - da nessun altro intervento normativo, dunque occorre necessariamente l'approvazione del disegno di legge anche alla Camera perché le norme possano entrare in vigore. Essendo assai improbabile che a Montecitorio il procedimento si chiuda nei prossimi giorni, ciò significa che le elezioni "sotto i mille" che si svolgeranno il 14-15 maggio 2023 potrebbero essere le ultime senza la raccolta firme, di fatto chiudendo un trentennio che ha portato un gran numero di casi di studio interessanti per i #drogatidipolitica (soprattutto in Piemonte, Abruzzo, Molise, Campania e Basilicata), ma anche significative storture che è giusto che trovino una fine.

Vincere al primo turno con il 40%? E con quanti simboli?

Proprio oggi, trent'anni fa, veniva approvata definitivamente la legge n. 81/1993, che introdusse il sistema maggioritario in tutte le elezioni amministrative, prevedendo il ballottaggio - oltre che per le province - per i comuni sopra i 15mila abitanti (l'approvazione, tra l'altro, intervenne in tempo utile per evitare che si svolgesse uno dei referendum presentati dal Comitato per la riforma elettorale nel 1991). D'improvviso, tuttavia, nei giorni scorsi si era materializzata per due volte, nel giro di poche ore, la possibilità che quel trentennio si concludesse a breve. 
Dopo che il 28 febbraio la relatrice del disegno di legge - la leghista Nicoletta Spelgatti - aveva ottenuto che il termine per depositare gli emendamenti in commissione Affari costituzionali fosse molto ravvicinato (scadeva alle 18 di quello stesso giorno), le proposte di modifica sono state infatti solo due: una del leghista Paolo Tosato, volta a prevedere per le elezioni nei comuni "inferiori" l'invio di comunicazioni - tramite messaggi sui cellulari, sulla posta elettronica o sull'app IO - per informare "sulla data di svolgimento delle consultazioni e sulla durata delle operazioni di voto" (valutando poi l'estensione alle altre consultazioni elettorali e referendarie); l'altra presentata da Licia Ronzulli, Mario Occhiuto, Adriano Paroli e Daniela Ternullo, tutte e tutti di Forza Italia. Proprio questo è stato il primo "emendamento della discordia", essendo espressamente volto a intervenire sull'elezione del sindaco nei comuni con più di 15mila abitanti (modificando l'articolo 72 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali): l'idea era di prevedere, al posto della vittoria al primo turno per il candidato sindaco che ottenga almeno il 50% dei voti validi, la proclamazione del "candidato che ottiene il maggior numero di voti validi, a condizione che abbia conseguito almeno il 40 per cento dei voti validi. Qualora due candidati abbiano entrambi conseguito un risultato pari o superiore al 40 per cento dei voti validi, è proclamato eletto sindaco il candidato che abbia conseguito il maggior numero di voti validi. In caso di parità di voti, è proclamato eletto sindaco il candidato collegato con la lista o con il gruppo di liste per l'elezione del consiglio comunale che ha conseguito la maggiore cifra elettorale complessiva. A parità di cifra elettorale, è proclamato eletto sindaco il candidato più anziano di età". Si tratta del medesimo testo dell'art. 3, comma 4 della legge regionale siciliana 15 settembre 1997, n. 35, così come modificata dalla legge regionale n. 17/2016, che ha appunto introdotto la possibilità di evitare il ballottaggio qualora almeno un aspirante sindaco abbia ottenuto il 40% dei voti; non a caso, tra l'altro, una delle proponenti - Daniela Ternullo - è siciliana.
In commissione, a quel punto, il clima si è decisamente arroventato, in un modo che probabilmente non traspare del tutto dal resoconto sommario. Se l'emendamento Tosato è stato ritirato dopo che la sottosegretaria all'interno Wanda Ferro (Fdi) ha fatto notare che "sarebbe impossibile organizzare in breve tempo, e senza ulteriori oneri per il bilancio statale, il sistema di messaggistica per le informazioni sulle operazioni di voto" (in compenso il senatore leghista ha rielaborato il testo trasformandolo in un ordine del giorno presentato in assemblea e poi accolto dal governo), le vere tensioni si sono registrate sull'emendamento forzista. Molto duro è stato il commento di Dario Parrini (Pd): a suo dire, infatti, l'emendamento avrebbe inciso "in modo significativo sul sistema di elezione dei sindaci, modificando surrettiziamente un disegno di legge di portata circoscritta, su cui è stata deliberata la procedura d'urgenza anche con il contributo dell'opposizione". Come dire: non solo questo intervento non c'entra nulla con il testo del disegno di legge (al punto che non dovrebbe essere ammesso), ma Pd e M5S non accetteranno mai che una modifica così rilevante abbia di fatto una "corsia preferenziale" grazie alla procedura d'urgenza che quelle stesse opposizioni hanno appoggiato, evidentemente solo con riguardo al tema originario del disegno di legge. 
Sembra poi opportuno non trascurare un passaggio dell'intervento della sottosegretaria Ferro: lei infatti, pur rimettendosi alle scelte della commissione, riteneva necessario "un ulteriore approfondimento, in quanto la norma potrebbe risultare in contrasto con la disposizione del testo unico sugli enti locali sull'attribuzione del premio di maggioranza". Il riferimento è all'art. 73, comma 10 del Tuel, per cui in caso di sindaco eletto al primo turno, "alla lista o al gruppo di liste a lui collegate che non abbia già conseguito, ai sensi del comma 8, almeno il 60 per cento dei seggi del consiglio, ma abbia ottenuto almeno il 40 per cento dei voti validi, viene assegnato il 60 per cento dei seggi, sempreché nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate abbia superato il 50 per cento dei voti validi": è probabile che Ferro, verosimilmente su indicazione del Viminale, abbia segnalato il fatto che un candidato sindaco può ben ottenere un consenso maggiore della sua coalizione, per cui se un aspirante sindaco ottenesse il 40,5% dei voti ma la sua coalizione ottenesse meno del 40% il premio non scatterebbe. Da una parte questo sarebbe ragionevole, per non distorcere eccessivamente l'esito del voto con l'attribuzione del premio; dall'altra, sarebbe inevitabile il livello assai minore di stabilità della nuova amministrazione comunale in quelle condizioni. L'osservazione offerta da Ferro, poi, deriva forse anche dal fatto che la legge elettorale siciliana per le elezioni comunali prevede comunque l'assegnazione del 60% dei seggi alla lista/coalizione legata al nuovo sindaco, senza richiedere che - in caso di vittoria al primo turno - la lista o la coalizione abbiano ottenuto almeno il 40% dei voti (nemmeno in Sicilia, invece, il premio scatta se un'altra lista o coalizione ha ottenuto almeno il 50% dei voti).  
Si è registrato l'intervento del presidente della I commissione, Alberto Balboni (Fdi), il quale sosteneva che l'emendamento forzista fosse proponibile "in base a valutazioni strettamente giuridiche, in quanto il disegno di legge apporta modifiche anche all'articolo 3 della legge n. 81 del 1993, con riferimento al numero di sottoscrizioni per la presentazione delle liste nelle elezioni di tutti i Comuni e non solo di quelli di piccole dimensioni" e interviene, con l'art. 1, sul testo unico sugli enti locali. Se quest'ultima affermazione è vera (ma la rubrica del disegno di legge era ben delimitata e non pare del tutto ragionevole considerarla superabile con un semplice emendamento, tra l'altro in un procedimento accelerato), appare del tutto fuori luogo il primo argomento speso dal presidente: è vero che l'art. 2 sostituisce l'intera disposizione che stabilisce le varie "forchette" di firme richieste a seconda della popolazione dei comuni, ma basta confrontare il testo vigente dell'art. 3, comma 1 della legge n. 81/1993 e il testo proposto dal ddl Pirovano per rendersi conto che, al di là dell'aggiunta delle firme nei comuni fino a mille abitanti, le altre "forchette" sono assolutamente identiche.
La senatrice Ternullo ha comunque scelto di ritirare l'emendamento, pur condividendo - com'era inevitabile attendersi - le tesi di Balboni sulla sua proponibilità e facendo notare che la norma proposta è già applicata ai comuni "superiori" della Sicilia (anche se, come si è già detto, la lista/coalizione legata al nuovo sindaco otterrebbe comunque il 60% dei seggi, pur avendo ottenuto meno del 40%). Parrini ha apprezzato, anche per la necessità di inquadrare le modifiche alla disciplina elettorale (e non solo) degli enti locali in una riforma complessiva del Tuel, valutando con cura l'impatto di ogni modifica proposta.
Se la mattina del 1° marzo il ddl ha terminato il suo percorso in commissione, alle 13 scadeva il termine per presentare gli emendamenti in assemblea: proprio in quella sede, l'emendamento ritirato in commissione è stato riproposto, con due differenze non trascurabili. La prima consisteva nella precisazione che alla lista/coalizione legata al sindaco eletto a primo turno spettava comunque il 60% dei seggi: un tentativo di intervenire sul profilo critico segnalato da Wanda Ferro, ma forse non nel modo migliore (l'emendamento non interveniva per abrogare l'art. 73, comma 10 del Tuel, in contrasto con il contenuto della proposta di modifica). La seconda novità riguardava i firmatari: oltre al forzista Paroli, c'erano il leghista Tosato e Marco Lisei di Fratelli d'Italia, come a dire che in questo caso erano tutti e tre i partiti principali della coalizione di centrodestra a farsi carico di una proposta che all'inizio era essenzialmente di Forza Italia. Non si trattava di esponenti di primo piano (quindi l'esposizione non era eccessiva), ma il dato non era irrilevante.
Su queste basi, la polemica dev'essere stata notevole: nel suo articolo del 2 marzo per il manifesto sulla questione, Andrea Fabozzi ha segnalato che Pd, Alleanza Verdi e Sinistra e M5S si sono rivolti al presidente del Senato Ignazio La Russa, "avvertendo che se questa grave scorrettezza fosse passata 'non concederemo mai più una procedura di emergenza'", citando le parole di Parrini. Di fatto, quando dopo le 18 in aula a Palazzo Madama è iniziata la discussione sul ddl, l'emendamento era già stato ritirato. 
"Il buonsenso e il senso del pudore sono diffusi anche nella maggioranza", ha commentato in aula la senatrice M5S Barbara Floridia, confermando con le sue parole che in commissione e nei corridoi del Senato la discussione doveva essere stata molto più accesa di quanto poteva trasparire dai resoconti: "Dopo un'attenta e appassionata opposizione in Commissione, dove con un blitz stava per essere presentato un emendamento vergogna, per fortuna in maniera corretta - come correttamente si era mossa e si è mossa oggi l'opposizione - la maggioranza ha ritirato un emendamento che, a nostro avviso, era inopportuno presentare a questo provvedimento". 
Non ha condiviso la definizione di "emendamento vergogna" (probabilmente - ci si permette di dire - dettata non tanto dal contenuto, ma dal modo e dalle circostanze in cui era stato presentato) Massimiliano Romeo (Lega): "Per una volta che un leghista prende ad esempio la Sicilia, ci saremmo aspettati almeno un minimo di riconoscenza". Il capogruppo della Lega ha segnalato l'emendamento è stato ritirato nella consapevolezza "del fatto che la procedura d'urgenza su questo provvedimento è stata votata anche dall'opposizione e in segno di rispetto per un accordo che era stato preso da tutti" e non era il caso di forzare la mano. Ha però anche ribadito che la maggioranza vuole arrivare all'elezione del sindaco al primo turno con il 40% nei comuni "superiori": non a caso, proprio Romeo è primo firmatario di una proposta che, nell'intervenire sulle elezioni provinciali, prevede proprio l'elezione al primo turno del sindaco con almeno il 40%; la stessa idea è contenuta in un altro ddl a prima firma, guarda caso, di Licia Ronzulli. Per Romeo si tratta di una riforma importante perché può "aiutare a risparmiare risorse e a dare maggiore certezza, anche in vista della partecipazione dei cittadini alle elezioni, che sappiamo in molti casi al secondo turno essere assolutamente minimale".
Il ritiro del secondo emendamento, però, non ha chiuso la polemica in materia. Per Ivan Scalfarotto (Italia viva) la maggioranza aveva tentato un "colpo di mano [...] con un emendamento agganciato a un provvedimento completamente diverso [...]. Approfittando della procedura accelerata per recuperare un vecchio disegno di legge, infila all'interno di questo piccolo disegno di legge un carico da 90, una norma grandissima, che va addirittura a modificare la legge elettorale per i sindaci: una vera e propria riforma istituzionale fatta attraverso l'uso surrettizio e fraudolento di una procedura semplificata accordata da tutti", senza la proclamata ampia condivisione in materia di riforme.
"Chi si definisce terzo polo non può che essere preoccupato del fatto che potrebbe non esserci un ballottaggio nelle elezioni dei Comuni" ha ribattuto a Scalfarotto il forzista Adriano Paroli, ricordando il dibattito già iniziato in I commissione sui disegni di legge Romeo e Ronzulli (con varie audizioni di esperti) e la pratica della vittoria al primo turno con il 40% già "rodata" in Sicilia, "dove non mi sembra che nessuno faccia le barricate, che nessuno la ritenga incostituzionale e [...] una legge vergogna". Paroli ha riconosciuto i meriti della legge del 1993, ma "un tagliando bisogna farlo": "ci troviamo, sempre più spesso, ad avere il candidato sindaco eletto al ballottaggio con meno voti di quelli ottenuti da un altro candidato sindaco al primo turno. È un'anomalia che non può lasciarci indifferenti. Così come non può lasciarci indifferenti il fatto che l'astensionismo, soprattutto nel secondo turno, sta aumentando continuamente. È necessario dare più importanza al primo turno, ma senza eliminare il ballottaggio", disinnescando "chi si candida in mezzo, pensando di arrivare al ballottaggio e di vendere i propri voti - lo dico chiaramente - al miglior offerente o a chi ha più possibilità di vincere"; più avanti ha precisato di fare riferimento non tanto a partiti presenti in aula, ma "a tante liste civiche inventate, dove i candidati prendono il 6 per cento e poi lo vendono al ballottaggio". L'intervento di Paroli - sindaco di Brescia dal 2008 al 2013, sconfitto al ballottaggio alla sua seconda candidatura - è stato significativo, anche perché ha messo in luce che il primo emendamento (a prima firma di Ronzulli) era stato ritirato "poiché il Governo aveva chiesto una riformulazione": la richiesta in effetti era stata di un approfondimento, ma dovevano esserci stati altri contatti per precisare meglio i dubbi dell'esecutivo (ed forse alcuni dubbi erano rimasti, visto che per il senatore forzista era stata chiesta, anche se ciò non emerge dai resoconti, "anche rispetto all'emendamento presentato per l'Aula, una ulteriore riformulazione, sollevando delle preoccupazioni che [...] meritavano una risposta". Il ritiro del secondo emendamento sarebbe invece derivato dalla reazione delle opposizioni che, sempre secondo le parole dell'esponente di Forza Italia, avevano "ritenuto che vi fosse reato di lesa maestà". I toni non nascondono una certa antipatia, oltre che della persona che li ha usati, dell'intera coalizione per il meccanismo del ballottaggio: al di là di alcuni casi in cui il centrodestra è stato prevalente (a partire da Bologna 1999 con la vittoria di Giorgio Guazzaloca) o determinante (per fare perdere il centrosinistra, di solito contro il M5S, come a Parma nel 2012), sono stati molto più frequenti i casi in cui il centrodestra è uscito male dal ballottaggio (per una sua scarsa capacità di richiamare i propri elettori al ballottaggio o per accordi intervenuti nel frattempo tra centrosinistra e forze escluse).
Per la senatrice Ada Lopreiato (M5S), in ogni caso, quegli emendamenti non erano "un'espressione della democrazia", essendo volti "a farsi bastare i pochi cittadini pronti a votare". Nel suo intervento in aula, il dem Dario Parrini ha ribadito di considerare il doppio emendamento "un tentativo di colpo di mano davvero pessimo", a dispetto dei "ravvedimenti postprandiali": si è provato a "sfruttare la procedura d'urgenza data all'unanimità per un provvedimento di piccola portata, da tutti condiviso, per far passare una riforma elettorale del sistema di elezione dei sindaci nei Comuni sopra i 15.000 abitanti, che è una cosa [...] iperdivisiva e di portata molto grande". Ha poi contestato la tesi del centrodestra, in base alla quale l'affluenza ai ballottaggi è sempre minore rispetto al primo turno (poi il senatore di Fratelli d'Italia Costanzo Della Porta ha ricordato che "De Magistris fu eletto con il 25 per cento dei voti al ballottaggio", in realtà però nel 2011 ebbe il 27,5% al primo turno e una quota maggiore, anche rapportata ai voti del primo turno, al ballottaggio; al più si può dire che nel secondo turno l'affluenza è calata parecchio), ha ritenuto comunque sbagliata la scelta siciliana di accontentarsi del 40% al primo turno (scelta tra l'altro "provata in una Regione a statuto speciale, che non per caso è a statuto speciale"). Ha peraltro sottolineato un altro carattere fondamentale della riforma maggioritaria del 1993, messo in luce lo stesso giorno dal costituzional-comparatista ed ex parlamentare Stefano Ceccanti con queste parole: "La legge elettorale sui comuni è datata 25 marzo 1993. [...] Fu approvata a larghissima maggioranza. In questi tre decenni è rimasta sostanzialmente invariata. Ha consentito pacifiche alternanze tra le più varie maggioranze locali. Quando si è sentita la necessità di qualche variazione, ad esempio nella durata del mandato da 4 a 5 anni, si è sempre proceduto per larghissimo consenso. Mentre, purtroppo, per la legge elettorale nazionale si sono avute approvazioni a consenso ristretto e per fini di parte da parte delle maggioranze pro tempore, fin qui la legge comunale è sempre stata al riparo di queste forzature. Sarebbe bene per tutti che restasse così. Festeggiamo consensualmente il trentesimo compleanno mantenendo la differenza tra conflitto sulle politiche e consenso sulle regole: è utile a tutti anche per avviare il dialogo su altre riforme. Bene quindi il ritiro dell’emendamento che voleva limitare il ballottaggio e bene, soprattutto, che simili tentazioni siano accantonate per sempre".
Il fatto che buona parte del dibattito si sia svolto sulla questione del ballottaggio nei comuni "superiori" non poteva soddisfare la proponente del disegno di legge in questa legislatura, la leghista Daisy Pirovano: "Purtroppo anche oggi, per motivi diversi, i grandi Comuni hanno cercato di oscurare i piccoli. [...] Vi ricordo che i piccoli Comuni [...] sono il 54% del territorio del Paese - con riferimento ai Comuni al di sotto dei 5.000 abitanti [...] - e rappresentano il 70% dei Comuni italiani. Stiamo parlando di una buona parte del territorio che merita la dovuta attenzione. [...] più il Comune è piccolo, più un amministratore locale (sindaco, assessore o consigliere) deve occuparsi di ogni genere di cosa: dal netturbino alle piccole e grandi manutenzioni; se non ci sono i soldi per gli eventi bisogna trovare il volontariato e sono i primi che devono dare il buon esempio. [...] Quindi, fare l'amministratore in un piccolo Comune è anche un grande peso e una grande responsabilità e lascia poco tempo alla vita privata. Siccome i cittadini vedono i loro amministratori, quando vi dicevo che l'affluenza al voto è inversamente proporzionale al numero degli abitanti, parlando delle comunali, ma poi passando alle politiche, è anche perché - come ben sappiamo - nelle comunali, soprattutto nei piccoli centri, c'è un rapporto diretto: i cittadini conoscono il loro sindaco, conoscono l'assessore e il consigliere e c'è uno scambio diretto. C'è un programma che i cittadini votano e non solo; in base alla legge che qui è stata approvata, i Comuni devono anche fare il rendiconto di fine mandato, che è un obbligo; e nel rendiconto di fine mandato bisogna dire ai cittadini che cosa è stato fatto nei cinque anni di amministrazione e poi i cittadini decideranno [...] se rivotare o meno i loro amministratori, in base a quello che hanno dimostrato di aver fatto rispetto alle promesse [...]. Questo impegno viene assunto in condizioni spesso critiche, perché i soldi sono sempre meno e le emergenze si susseguono [...]. Quindi, un cittadino ci pensa due volte prima di buttarsi nell'avventura, che pure è straordinaria, di fare il sindaco. Noi dobbiamo aiutare i Comuni per aiutare la gente a riavvicinarsi ai Comuni stessi".
Quanto alla questione della raccolta firme, Pirovano ha chiarito - per chi non avesse ancora compreso il senso della modifica normativa proposta - che la reintroduzione delle sottoscrizioni è stata chiesta "per evitare che ci siano liste cosiddette farlocche e, quindi, con candidati che non hanno niente a che vedere con la vita del Comune, che non abitano nel Comune e non hanno nemmeno in esso legami perché è lecito e capita che si candidino nelle liste persone di Comuni vicini, fra l'altro anche come sindaco; magari sono nati lì o lì hanno degli interessi. Però, purtroppo, è capitato e capita ancora che ci si approfitti del fatto che nei Comuni sotto i mille abitanti non ci sia una raccolta firme per candidarsi e a volte ci si candidi solo per avere dei permessi retribuiti, a volte semplicemente per mettere una bandierina in quel Comune, magari andare a fare un'opposizione, più o meno litigiosa, comunque per creare un po' di scompiglio o magari per un tornaconto personale. Quindi, il numero di firme è ridotto [...], ma almeno c'è qualcuno residente nel Comune che mette la propria firma per dire che una determinata lista è bene che si presenti".
Queste cose, come altre, sono ben note a chi segue questo sito e altri spazi simili. Non ci si sente dunque in colpa per aver dedicato un certo spazio alla questione dell'elezione al primo turno con il 40% dei voti, cosa che - tra l'altro - potrebbe aumentare i simboli o comunque non farli diminuire: un alto numero di liste civiche, paraciviche o personali potrebbe servire a tentare di raggiungere la soglia del 40% (in fondo non c'è la clausola di sterilizzazione per le liste che non partecipano al riparto dei seggi), anche se magari i seggi toccherebbero solo alle liste maggiori. Una scelta simile certamente non sarebbe di poco conto e dovrebbe essere il più possibile condivisa (e in modo palese, non come questa volta), oltre che frutto di discussioni approfondite. Restano però valide, per i comuni "inferiori", le considerazioni fatte in chiusura da Pirovano, che ci si sente di sottoscrivere: "sono tanti i motivi per cui bisogna ancora crederci, avere la voglia di fare l'amministratore in un piccolo Comune e fare il sindaco. La prima cosa, che abbiamo ancora da imparare dai nostri amministratori locali, è l'amore e il rispetto per la propria gente. Meno gioco politico, più fatti, più dialogo, più condivisione, per guardare quali sono veramente i problemi della nostra gente e perdere meno tempo, perché da casa certi spettacoli vi assicuro che anche dai sindaci non sono ben visti. Questo perché noi in Comune - dico noi per deformazione professionale - abbiamo poco tempo per litigare perché abbiamo tanti problemi da risolvere, fin quando non sarà il Parlamento e il Governo a risolverli per noi".

venerdì 24 marzo 2023

SPartito Rock, una rievocazione musical-elettorale a dito medio alzato

Più di un esponente politico, nel corso degli anni, si è prodotto nell'ostensione del dito medio, parente (peraltro molto più antico) del dantesco "squadrare le fiche". Ben prima che quel gesto finisse citato anche nei resoconti parlamentari (si veda, di recente, quello del 28 dicembre 2022, con il deputato M5S Marco Pellegrini che ha citato ed eseguito - a mero scopo illustrativo - il gesto per chiedere agli avversari di non compierlo più), vari scatti hanno immortalato eletti di vario colore politico impegnati nell'erezione del terzo dito (tra loro Umberto Bossi, Mario Borghezio, Silvio Berlusconi, Roberto Calderoli, Maurizio Gasparri, Daniela Garnero nota Santanchè, Piero Fassino); altre foto colgono politici cui è stato rivolto lo stesso trattamento (Matteo Salvini, che pure all'ostensione del medio non si è sottratto, è solo il caso più famoso). Certo non si tratta di un gesto educato, ma la sfera pubblica italiana ha finito per metabolizzarlo almeno in parte, soprattutto dopo che la scultura L.O.V.E di Maurizio Cattelan ha trovato collocazione - prima provvisoria, poi definitiva - in Piazza Affari a Milano, a partire dal 2010. Chissà quanti di coloro che, in quei primi giorni (e, volendo, anche in seguito), hanno guardato quell'opera monumentale in marmo di Carrara con un misto di stupore, compiacimento e perplessità sapevano che giusto trent'anni prima un dito medio era finito addirittura sulle schede elettorali, non disegnato da votanti in preda alla rabbia ma direttamente stampato come simbolo di lista.
Correva l'anno 1980 - lo stesso del tentativo del Partito socialista aristocratico, elaborato dal Male (con Zio Paperone bloccato nel suo cammino verso le schede delle elezioni regionali in Lazio da pochi minuti di ritardo nella consegna dei documenti) e di varie altre liste alternative, dalle liste del Sole (ridente o no) alle prime formazioni ispirate ai Verdi/Grüne tedeschi - e il dito squadrato comparve sulle schede elettorali di Milano e Como, per contrassegnare rispettivamente le liste No Milano - Lista Rock e SPartito Rock. La seconda esperienza nacque in parte sulla base della prima, ma ebbe un'evoluzione autonoma e un ciclo tanto intenso quanto breve, che merita di essere raccontato in questo articolo. La narrazione è ora possibile anche e soprattutto grazie a un meritorio progetto editorial-discografico divenuto realtà lo scorso anno, che ha offerto in un numero limitato di preziose copie documenti cartacei e sonori imperdibili relativi alla fulminea epopea dello SPartito Rock (o S/Partito Rock, come riportato in alcuni materiali promozionali).  

Il progetto editorial-discografico

Il progetto si chiama Rock in Como (o, di nuovo, S/Partito Rock) e merita di essere menzionata subito la casa discografica che si è occupata di realizzarlo: la DES Records, ove la sigla sta per Dynamic & Economic Sound. In base a quanto si può leggere sulla sua pagina Instagram, DES Records è "un'etichetta giocattolo a gestione casalinga", che "si occupa di punk antico e visioni laterali, oscuri luoghi metropolitani e sentieri di campagna, suoni sghembi e auspicabilmente anche di musiche che nulla hanno a che fare con tutto ciò, e di altre faccende": in tutto ciò, l'etichetta "aspira a produrre e distribuire oggetti fisici che, oltre a consentire la riproduzione su appositi apparecchi e l’ascolto della musica che vi viene incisa, siano anche piacevoli da rigirarsi tra le mani, da osservare e da leggere, soffici anche se spigolosi, sempre amorevoli, e a volte perfino romantici", amando contemporaneamente "rovistare in passati da ricordare che contengano anche futuri da immaginare, e i musicisti che sanno divertirsi senza inseguire futili ambizioni". A parere di chi scrive, entrambi gli obiettivi in questo caso sono stati pienamente centrati ed è giusto riconoscere il merito a chi lo ha guadagnato sul campo, anche grazie a una particolare vicinanza agli eventi narrati.
Il progetto editorial-discografico, a prima vista, ha le sembianze di un classico 33 giri contenuto in una copertina apribile, a sua volta inserita in una busta di plastica: sulla foto di copertina figura un inequivocabile dito medio (laterale ma in primo piano) nella foto scattata su un palco, mentre sulla busta esterna figura un adesivo proprio con il simbolo di lista, di cui si dirà meglio più tardi. Chiunque abbia maneggiato un disco in vinile sa che, prima ancora di estrarre il long playing, viene spontaneo girare la copertina, per leggere i dati sul retro: lì è raccontata in breve la storia dello SPartito Rock (chiaramente da approfondire con i materiali all'interno) e si comprende - grazie all'immagine di una musicassetta Basf verde (... ed è subito nostalgia, che solo chi ha usato per tanti anni il Walkman può capire!) e alla sua copertina pieghevole rigorosamente compilata a mano, riproduzione del simbolo inclusa - che il disco conterrà la registrazione di un evento musicale, chiamato appunto Rock in Como, svoltosi in Piazza San Fedele il 19 aprile 1980, con tanto di tracce ed esecutori indicati singolarmente.
Quando la curiosità finalmente spinge ad aprire la copertina, si scopre che in realtà non c'è nessun 33 giri all'interno: il concerto è infatti registrato su Compact Disc, inserito all'interno di una semplice bustina nera, infilata in una delle feritoie praticate nella copertina apribile. Dalle "tasche" di questa, in compenso, come in uno scrigno sottile spuntano materiali molto diversi, che catturano subito l'attenzione di chi li vede: foto di grande formato, riproduzioni di volantini e un opuscolo in formato A4 che lascia intendere che chi vuole immergersi nella storia dello SPartito Rock (perché c'era e pensa di riviverla, oppure non c'era e vuole approfondire) deve partire proprio da lì.
Quella pubblicazione, denominata La grande beffa del rock 'n' roll, era in realtà già stata prodotta nel 1991 dal Rock Club 52, "inventato a Como nel 1983 - si legge sul suo gruppo Fb - da un gruppo di amici, in quella Piazza Roma che è stata per un paio di decenni la scena della Como antagonista. Poi è diventato la sala-prove di tutte le band di Como e provincia, l'unica per un bel po' di tempo". Quella "allegata" al cd è la ristampa inalterata delle 16 pagine prodotte allora per raccontare, a dieci anni di distanza, "l'ironia, lo sberleffo e un po' di sana rabbia", senza mai indulgere all'autocelebrazione. L'opuscolo, infatti, contiene documenti (soprattutto articoli di giornale trascritti) e materiali (volantini, comunicati, foto e altro ancora) essenziali per poter inquadrare l'esperienza dello SPartito Rock, durata poche settimane di quel 1980, ma di certo indimenticabile per chi l'ha vissuta, come attore o semplice spettatore. Qualcosa che oggi probabilmente non sarebbe più proponibile in quelle forme, visto che nel frattempo sono cambiati i modi di proporsi, di provocare e di sorprendere (e, a conti fatti, viene da dire che non è stato un guadagno). 
Ulteriori notizie rilevanti si trovano in altri materiali, in particolare in uno dei due cartoncini ripiegati corredato di testo e foto di alcuni eventi di quella campagna elettorale: lì Sench (all'anagrafe Sandro Bianchi, principale promotore del disco-pubblicazione, come animatore della DES Records e come persona che ha vissuto da vicino quelle settimane, pur non da candidato) ha voluto inserire vari ricordi e testimonianze di chi c'era e ha partecipato osservando, ascoltando, firmando o stando ai seggi.

L'idea e i primi passi  

Il primo articolo dedicato al progetto di un "Partito Rock" anche a Como è datato 11 aprile 1980 ed era uscito sul quotidiano La Notte: il nome era provvisorio, il simbolo pudicamente descritto come "una mano con dito alzato" (manco fosse stato un modo per chiedere informazioni), il programma ancora da definire. Certamente era chiaro il legame con la nascente Lista Rock di Milano, "anche se - raccontava il portavoce, Franco Castronovo - non vogliamo essere una sua emanazione", così come era ben definita l'idea di collocarsi al di fuori dello schema tradizionale sinistra-centro-destra. 
Che gruppo era quello dei "pionieri del rock politico"? "Il luogo di riferimento in cui provare a collocare i protagonisti - si legge nelle note scritte da Sench - è Piazza Roma, con il Palazzo dove avevano avuto sede alcuni gruppi della sinistra extraparlamentare. In particolare alcuni candidati venivano dall'esperienza della sede di Lotta Continua, situata negli stessi locali che avrebbero poi ospitato il Rock Club 52, nello stesso stabile dove aveva aperto baracca la libreria Centofiori e sarebbe poi sorto il Box 202, esperienze nate sull'onda lunga dello S/Partito Rock, semi gettati allora e ancora presenti nei pochi luoghi cittadini in cui la cultura musicale, cinematografica ed artistica underground ha tuttora cittadinanza [...]. altri erano invece parte della scena alternativa e fricchettona che gravitava intorno alla piazza, ma la musica che circolava era per tutti quella che i giovani del 'Movimento' erano usi ascoltare: rock californiano, psichedelia, cantautori italiani, il progressive". In quel periodo in cui pochi suonavano seriamente uno strumento, ma un certo numero di persone aveva un minimo di confidenza con la chitarra, "l'impatto con la novità del punk che cominciava a circolare aveva [...] cambiato l'orizzonte di alcuni"; in ogni caso, la musica e la voglia di "distruggere tutto" erano sentimenti guida. 
Como nel censimento allora valido (quello del 1971) risultava avere quasi 100mila abitanti. Da una parte, ciò significava che il consiglio comunale era composto da 40 persone e il minimo di candidati era pari a 13 (un terzo del totale dei consiglieri); dall'altra, per presentare una lista si dovevano raccogliere da 150 a 220 firme di cittadini iscritti alle liste elettorali di quel comune. Essendo stato fissato il voto per i giorni 8 e 9 giugno, era necessario consegnare le firme e gli altri documenti richiesti per presentare le liste entro le ore 12 del 14 maggio (in teoria il limite sarebbe stato il 30° giorno prima del voto, ma una legge del 1960 aveva concesso cinque giorni in più). Dal gruppo che volle promuovere la lista uscirono in fretta 13 nomi; il problema maggiore era legato alla raccolta delle sottoscrizioni, "così - si legge nelle note di copertina del disco, curate da Castronovo - si decise di organizzare un concerto rock in centro a Como, [...] in piazza San Fedele. L'idea era di raccogliere le firme, raccogliere un po' di offerte in contanti per finanziare la campagna elettorale e presentarsi 'col botto' al nostro elettorato di riferimento e alla città". L'idea del concerto era nata dopo la partecipazione a una serata in discoteca organizzata a Milano dalla Lista Rock (che si era autoconcepita come "momento di coagulo di atomi vaganti per una nuova serie di comportamenti metropoltitani") e dopo un dialogo con uno dei suoi promotori, Gianni Muciaccia, bassista del gruppo Kaos Rock, che aveva manifestato la disponibilità a ripetere un evento simile anche a Como.  
Il volantino, con la dicitura "Facchiù Produscion" che faceva capolino e la prima versione artigianale del simbolo di lista (che già conteneva, sopra al dito medio, lo slogan "Gabba Gabba Hey", che aveva connotato i Ramones), annunciava la presenza di alcune band extra muros (in particolare Oltretomba, i citati Kaos Rock, Satan Group e Kandeggina Gang) e di due gruppi comaschi (SuperSensitol e Cacao Express). Il giorno dell'esibizione, però, il programma subì le defezioni dei SuperSensitol e soprattutto delle Kandeggina Gang: due componenti - inclusa la cantante, Jo Squillo, all'anagrafe Giovanna Coletti, futura capolista milanese della Lista Rock - arrivarono a Como in autostop, ma altre due non si presentarono (le note del disco segnalano la vox populi in base alla quale proprio loro due, ancora minorenni, non avevano avuto il permesso di uscire dai loro genitori). Il concerto fu comunque memorabile e ora è possibile ascoltarlo su Cd grazie alla registrazione fatta allora da Angelo Tagliabue (tra i candidati, più noto come Speedy Angel, chitarrista, cantante e autore dei Potage - gruppo rock-punk in cui ha militato e milita lo stesso Sench Bianchi - e purtroppo scomparso nel 2010: nei materiali annessi al disco si raccontanche l'epopea di quelle registrazioni e qualche episodio imperdibile dei Potage connesso ai fatti narrati).
Dopo le prime due canzoni degli Oltretomba, Faccia da vipera ("Senz'altro non ci casco / nel mare di marcio") e Il maiale sei tu, sparate ad altissimo volume mentre iniziava la messa prefestiva nella vicinbasilica, il potenziale distruttivo divenne noto a ogni angolo del centro di Como. Pretese così il microfono l'assessore comunale alla vigilanza, il democristiano Moschioni, per lamentare l'inizio del concerto in anticipo di 30 minuti rispetto all'orario concordato (che non si sarebbe sovrapposto alla messa) e comunque un volume eccessivo che disturbava la quiete di chi abitava vicino alla piazza. Per tutta risposta, dopo l'assessore si esibirono i Kaos Rock, snocciolando dieci loro brani, quasi tutti frenetici e "sparati": Tu non m'ami più (aperto da un urlo consistente), La rapina ("Quando entrerò / tutti spaventerò / la banca così svaligerò / e col bottino me ne andrò" ma, dopo il fallimento, la conclusione: "è da quando sono nato / che sono uno sfigato"), Caos sulla terra ("è tempo di guerra / rompiamo la pace / questo mondo non ci piace"), Kekka maledetta, Kaos Rock ("Odio tutti i silenziosi / sempre tristi e noiosi / che rincorrono il corpo / come fosse un peso morto / non li voglio più"), Qui va tutto bene ("il sole non nasce più / ma qui va tutto bene"), Metropoli ("Noi vogliamo essere umani / e non essere banali / i lecchini e gli arrivisti / sono solo qualunquisti"), Spingi spingiPoliceman ("un pezzo dedicato alle forze dell'ordine", dissero, prima di cantare "Il vecchio rock esce dalle radio / è merce avariata immagazzinata / ed io non so cosa fare / Pensaci tu, policeman") e, per finire, Basta bastauscito come singolo. Prima di congedarsi, Muciaccia dei Kaos Rock invitò le persone presenti a non sottrarsi all'obolo ("Uei, adesso passa quello coi soldi, con la cassetta: cercate di imbucare un po' di lira eh, perché qui l'impianto, le storie costano...") e le stuzzicò a modo suo: "Uei, ci dicono che a Como siete tutti fricchettoni di me*da, è vero? Sì o no? Non rispondete, siete un po' morti eh?". 
Il concerto dei SuperSensitol del 17 maggio
Non erano morti i comaschi: non solo rimasero a sentire gli altri gruppi in programma, ma in quel pomeriggio in cui nella piazza si liberò "l'energia primitiva del rock 'n' roll per dire 'Okay, ci siamo, siamo qua nel centro della vostra città di me*da, facciamo rumore e ci piace rompervi le palle. Sappiatelo, perché d'ora in poi lo faremo appena se ne presenta l'occasione'" firmarono in numero quasi sufficiente per la presentazione della lista. E pazienza se qualcuno si premurò di scrivere a un quotidiano locale per denunciare una manifestazione che aveva "violentato gli abitanti della zona": arrivarono anche le firme mancanti e la lista fu regolarmente presentata il 9 maggio (subito dopo il Pci, che allora faceva di tutto per arrivare sempre primo nelle sedi del deposito). Non solo: la campagna elettorale dello SPartito Rock si aprì in musica il 17 maggio 1980, in piazza Duomo, con un altro concerto ad alto potenziale distruttivo: quello dei SuperSensitol (che così recuperarono l'assenza del 19 aprile); nel frattempo il frontman, Tiziano Bianchi, era diventato ufficialmente uno dei 13 candidati della lista).
La campagna ufficiale, in effetti, si era aperta qualche manciata di ore prima: il 16 maggio, avuta la certezza dell'ammissione della lista, lo SPartito Rock presentò il proprio programma in una conferenza stampa organizzata nel tardo pomeriggio di fronte al Broletto, con tanta voglia di fare a pezzi i riti e le prassi che conducevano al voto (come dimostrava anche la scelta di elevare a slogan sempre presente la frase "Como città di me*da) e il sogno da concretizzare di trasformare l'ormai sfitto hotel Firenze in una "caverna" per ritrovarsi, in un "luogo libero per vivere il nostro tempo come a noi più piace, scuotendoci il corpo e fracassandoci il cervello al suono del Rock, contro un moralismo diffuso che ci bolla come dementi ed emarginati che non sono categorie di devianza, ma comportamenti voluti e coscienti della gioventù elettrika". I contenuti principali del programma furono riportati anche sui quotidiani locali L'Ordine e La Provinci(insieme a quelli delle altre liste) in un inserto speciale voluto dall'amministrazione comunale, ma questa pretese che lo SPartito Rock rinunciasse alle "espressioni attinte al turpiloquio, insultanti nei confronti della città di Como"; "abbiamo accettato l'imposizione - scrissero i candidati - perché ci interessa soprattutto arrivare con le nostre demenzialità, a spese dell'amministrazione comunale, a molta gente"; in compenso, il simbolo era rimasto al suo posto.
Tre giorni prim
a del voto, però, arrivò il colpo di scena. In un comunicato rigorosamente dattiloscritto, il 5 giugno la listannunciò: "Venerdì 6 giugno 1980 lo SPartito Rock si scioglie e si ritira clamorosamente dalla burla elettorale!". Con la campagna elettorale agli sgoccioli, dopo varie iniziative perturbanti (ricordate nei materiali annessi al cd) era finito il divertimento: "prima che manchi la corrente spostiamo l'interruttore e ci mettiamo in corto circuito, liberando così di nuovo atomi vaganti alla ricerca di altri momenti di coagulo". I candidati erano consapevoli però del fatto che non c'era modo di fermare la macchina elettorale: i manifesti con le candidature erano già fuori da giorni, le schede erano state stampate e venivano distribuite in quelle ore, dunque tutto sarebbe rimasto come previsto. Nel comunicato chiesero dunque di non essere votati "perché hanno già realizzato lo sporco interesse personale al quale avevano finalizzato tutto il loro impegno e per cui si erano messi in lista, quello della ricerca di contatti con le grandi industrie", aggiungendo di aver ottenuto appoggi e finanziamenti da una non svelatmultinazionale meccanica "che ci garantirà un futuro, una carriera e un successo personali" (e la burla continuava...).
Il tempo dell'ultimo concerto proprio il 6 giugno (sempre in piazza Duomo, con il gruppo Massakrants "cui piace suonare in pubblico, ma soprattutto piace suonare il pubblico" e la lista fece perdere le sue tracce. Non dappertutto però: nelle urne, finito lo spoglio, si trovarono 357 voti correttamente attribuiti allo SPartito Rock, non sufficienti ad arrivare penultimi ma nemmeno così pochi in fondo, per chi aveva chiesto di non essere votato. Eppoi proprio il simbolo, quel disegno indimenticabile, poche ore primaveva prodotto scene indimenticabili viste solo dalle poche persone in servizio presso i seggi. Vale la pena raccontarla con le parole di Adria, una scrutatrice-fan che così raccontanche nelle note del disco: prendetele come una bonus track simbolica...
C'era il problema della descrizione del simbolo sul verbale, per cui con presidente e scrutatori decidiamo di sentire la prefettura, ovviamente per divertirci. Chiamo la prefettura e dico alla funzionaria che mi risponde: "Buongiorno, è il seggio n. ..., abbiamo un problema con la descrizione di un simbolo..." "Prego, mi dica, quale?" "Quello di un partito nuovo, lo SPartito Rock". Sento che muove un po' di carta. Segue attimo di silenzio. Prende fiato e inizia un'imbarazzatissima descrizione fatta di ehm..., pause, risate trattenute. Naturalmente tutto il seggio vicino alla cornetta del telefono rideva crepapelle. 
Serve dire che, a questo punto, chi scrive e chi legge vorrebbe conoscere l'esatta descrizione ufficiale di quel contrassegno elettorale?

Grazie di cuore a Sandro Sench Bianchi per avere fornito il materiale necessario a raccontare questa storia, iniziando già molti anni fa, fino alla copia n. 55 di questo prezioso prodotto editorial-discografico.