Il tempo, spesso, si segna con gli anniversari: marcano la distanza dagli episodi ricordati, costringono a guardarsi indietro e a vedere come si è cambiati, chi è rimasto (e le assenze spesso fanno male) e cosa si può ancora fare o salvare. Nel 2019 erano passati venticinque anni dalla scelta di mettere da parte il nome della Democrazia cristiana, con la contestuale fine dell'unità politica dei cattolici italiani; quest'anno si nota che è trascorso un quarto di secolo da un'ulteriore frattura, perfino più dolorosa - anche perché consumatasi tra clamori, prime pagine e tante, tante carte bollate - nel Partito popolare italiano, che avrebbe dovuto garantire la continuità politica rispetto alla "vecchia" Dc.
Al biennio 1994-1995 risale l'inizio della "diaspora" democristiana, mai ricomposta anche solo in Parlamento; tra la fine degli anni '90 e l'inizio degli anni 2000, al contrario, si è assistito a varie iniziative politico-giuridiche che hanno cercato di riportare in vita la Democrazia cristiana, tutte mosse dalla constatazione che - come in questo sito si è raccontato tante volte - nel 1994 non si era svolto alcun congresso né per cambiare il nome alla Dc, né tanto meno per sciogliere il partito. Spesso quelle iniziative sono finite in tribunale: uno di quei filoni giudiziari, tra il 2009 e il 2010, ha visto esprimersi prima la Corte d'appello di Roma e poi la Cassazione civile a sezioni unite, consolidando la tesi che la Dc non fosse mai stata sciolta. Quelle sentenze motivarono ancora di più i "riattivatori" democristiani, ma non finirono le liti, le accuse reciproche e - tanto per cambiare - le cause: ne nacquero tra i riattivatori e chi riteneva di utilizzare legittimamente i segni distintivi della Dc storica, ma anche - se non soprattutto - tra riattivatori con idee diverse sul percorso da seguire per ottenere il ritorno della Dc.
A quel quarto di secolo abbondante e non concluso è dedicato il libro Demodissea. La Democrazia cristiana nella stagione della diaspora. Considerazioni sul periodo 1993-2020, pubblicato da pochi giorni (Edizioni A.L.E.F, 421 pagine, 26 euro: lo si può trovare sul sito della piattaforma ilmiolibro, ma anche altrove). Lo ha scritto Ettore Bonalberti, classe 1945: da decenni vive e opera politicamente in veneto (abita a Mestre) e ha lavorato a lungo in soggetti pubblici tra Veneto e Lombardia; in tutto ciò non ha mai abbandonato la passione per la politica e in particolare per la Democrazia cristiana (per lo scudo crociato è stato candidato tre volte anche al Parlamento, nel 1976 e nel 1979 alla Camera e nel 1992 al Senato), anche quando il suo partito storico ha scelto di cambiare nome, avviando la disgregazione.
Il libro appena uscito - con la prefazione di Giuseppe Gargani e la chiosa di Mario Guadalupi - è assai rilevante: probabilmente è il primo volume a raccontare in buona parte il percorso degli anni della diaspora e soprattutto i tentativi di ricomporla sotto le insegne della Dc, soprattutto con lo sguardo di chi ha vissuto tutto questo in prima persona o da testimone "privilegiato" e che, per giunta, si è laureato in sociologia (a Trento, alla fine degli anni '60, con Sabino Acquaviva) e dunque ha qualche strumento in più per analizzare determinate situazioni (non a caso l'autore preferisce qualificarsi come "osservatore partecipante"). Non ci si deve attendere, in realtà, un libro di memorie, che pure non mancano nelle tante pagine che si sfogliano: il testo si basa soprattutto su molti testi che Bonalberti ha scritto nel corso degli anni - in particolare per i siti www.alefpopolaritaliani.it, www.insiemeweb.net e www.donchisciotte.net - o su documenti che spesso lui ha contribuito a scrivere, proprio durante i vari passaggi della storia che lì si vuole ricostruire. Una serie di "testimonianze del tempo", senza mai staccare lo sguardo dalla realtà odierna.
Per Bonalberti l'area popolare e democratico-cristiana, nella storia politica italiana, non ha eguali per ricchezza, vastità e complessità di posizioni e offerte; non se ne può capire però l'evoluzione (e anche, se non soprattutto, l'involuzione e la disgregazione) se non si guarda al rapporto con la gerarchia ecclesiastica e alle scelte compiute tanto dal papato (soprattutto con l'avvento dei pontefici stranieri), quanto dalla Conferenza episcopale italiana. La "fine politica" della Democrazia cristiana nel 1994 non arrivò tanto (e solo) per i postumi di "Tangentopoli": per l'autore alla base c'erano state la fine del "collateralismo" alla Dc dell'Azione cattolica (e di altre realtà associative), le battaglie referendarie perse sul divorzio e sull'aborto tra gli anni '70 e '80 e, soprattutto, di un cambio di atteggiamento del Vaticano, che scelse via via di non intervenire nelle vicende della politica italiana e delegò sempre di più alla Conferenza episcopale italiana i rapporti con lo Stato e la politica, senza più la mediazione del "partito cattolico" (benché i papi abbiano continuato a fornire attraverso le loro "encicliche sociali" spunti e riflessioni di rilievo per i cattolici interessati a impegnarsi in politica: lo stesso Bonalberti riporta ampi estratti di quei testi).
Il secondo capitolo di Demodissea è dedicato proprio al ruolo della Conferenza episcopale italiana e di coloro che l'hanno presieduta, con particolare attenzione alle ricadute che quelle prese di posizione hanno avuto sulla partecipazione dei cattolici alla politica (come elettori e come attori). Molte pagine sono dedicate alla presidenza di Camillo Ruini, che da sacerdote almeno fino alla metà degli anni '80 (e in parte anche in seguito) era convinto della necessità del sostegno alla Dc: diventato presidente della Cei nel 1991 su scelta di Giovanni Paolo II, cercò - interpretando le indicazioni di Wojtyla - di conservare il più possibile l'unità di intenti e di azione dei cattolici in politica intorno a una "forza d'ispirazione cristiana", ma constatò subito la dispersione dei cattolici verso lidi non democristiani. Dopo la lotta fratricida Buttiglione-Bianco all'interno del Ppi, nel 1995, fu lo stesso Ruini a certificare e stabilizzare la fine della Dc e l'impossibilità di tornarvi: dichiarando che "la Chiesa non deve e non intende coinvolgersi con alcuna scelta di schieramento politico e di partito", di fatto Ruini inaugurò un nuovo corso, basato sulla difesa dei valori "non negoziabili" (sia pure nella versione ridotta dei primi anni - con attenzione a vita, famiglia ed educazione, senza menzionare pace, sociale e lavoro) all'interno di qualunque partito la persona cattolica avesse deciso di impegnarsi, benché sia innegabile un atteggiamento di maggior attenzione verso il centrodestra. Il volume si occupa anche delle presidenze Cei successive, di Angelo Bagnasco (in piena consonanza con il pontificato di Benedetto XVI, assai meno con quello di Francesco, a differenza del segretario generale nominato nel 2014, Nunzio Galantino) e Gualtiero Bassetti: di quest'ultimo, entrato in carica nel 2017, Bonalberti apprezza soprattutto, alla pari di molti "Dc non pentiti", le "sempre più frequenti [...] sollecitazioni all'impegno politico dei cattolici", per cui i laici possono vivere la politica come vocazione - tenendo insieme questioni sociali e questioni morali - per non essere condannati all'irrilevanza. anche se l'idea di un partito cattolico sostenuto dalla Chiesa, come la Dc, non sembra più concretizzabile.
Il libro arriva poi alla diaspora vera e propria, con la trasformazione della Democrazia cristiana in Partito popolare italiano, annunciata da Mino Martinazzoli nel 1993: essa fu sancita nel pomeriggio del 18 gennaio 1994, preceduta al mattino dalla nascita per scissione del Centro cristiano democratico di Pierferdinando Casini e Clemente Mastella. Iniziò lì "un susseguirsi di rotture e tentativi di riunificazione che si trascina senza soluzione di continuità sino ai nostri giorni", come lo chiama Bonalberti, che ha cercato di dare il suo contributo affinché si muovessero passi verso una nuova unità dei cattolici in politica, magari sotto le rivitalizzate insegne della Dc. Nel volume l'autore racconta di avere saputo nel 2011 da Publio Fiori della vicenda giudiziaria finita in Cassazione, nel corso della quale i giudici avevano escluso che la Dc potesse essere stata sciolta, poiché in tal senso non aveva deliberato un congresso, ma solo altri organi. "Partì da quell'informazione - scrive Bonalberti - la mia certosina battaglia condotta con Silvio Lega per tentare di convocare il vecchio Consiglio nazionale (nel totale silenzio e disimpegno forzato della presidente Jervolino, alla quale avrebbe dovuto competere statutariamente la convocazione del Consiglio nazionale. Lei, nel frattempo, però, era diventata sindaco di Napoli per il Pds [in realtà era stata sostenuta dall'intero centrosinistra, ndb] e noi Le inviammo lettere raccomandate A/R senza ricevere risposta)".
Andate a vuoto le raccomandate, si decise di procedere per autoconvocazione e, dopo una prima riunione del consiglio nazionale il 30 marzo 2012 (che provvide a un primo rinnovo delle cariche), si arrivò a celebrare il 10-11 novembre di quell'anno il XIX congresso Dc, seguendo la numerazione delle storiche adunanze. In quell'occasione - il libro riporta il documento principale dell'assise - si elesse alla segreteria l'ex ministro Gianni Fontana ("La sua scelta fu fatta, dopo la rinuncia a quell'incarico per motivi professionali di Silvio Lega, su indicazione mia e dell'amico Sergio Bindi") e Ombretta Fumagalli Carulli alla presidenza del consiglio nazionale. Quel tentativo del 2011-2012 finì male, schiantatosi per motivi formali in tribunale tra il 2013 e il 2014 (e lo si poteva già capire dalle concitate immagini del primo consiglio nazionale del 2012, di cui lo stesso Bonalberti fu protagonista): "Alcuni tra i mancati aspiranti eredi che si erano scontrati ai diversi livelli giurisdizionali sino alla sentenza della Cassazione, iniziarono allora una folle e suicida rincorsa contro i tentativi giuridici da noi messi in atto, impegnando ciò che rimaneva del vecchio scudo crociato a ricorsi e contro ricorsi in un’insensata gara nella quale, alla 'maledizione di Moro' annunciata agli eredi Dc dal carcere delle Br, si aggiunse la stupidità degli uomini. Dal 2012, infatti, stiamo combattendo tra noi stessi come stupidi 'polli di Renzo', mentre attorno a noi gli scenari geopolitici internazionali e del nostro Paese mutano di continuo in questa fase difficilissima della globalizzazione mondiale e dell’anomia che attanaglia la società italiana". Il volume dà conto anche di altri tentativi messi in atto e riusciti poco o nulla, come gli incontri svoltisi a Todi nel 2011 e l'anno successivo, con l'idea di dare più visibilità e rilievo ai cattolici in politica, salvo poi non trovare l'accordo sui modi e sui mezzi per farlo (e anche - scusate se è poco - sulla collocazione politico-partitica da scegliere).
Naufragato il primo tentativo di riattivazione della Dc (l'autore del libro ne attribuisce il fallimento all'azione di "qualche 'solerte amico'"), il libro racconta come si sia cercato di mantenere un minimo di organizzazione attraverso un altro soggetto giuridico (Associazione Democrazia cristiana, sempre guidata da Fontana, mentre Mario Tassone aveva dato vita al Nuovo Cdu), senza stancarsi di organizzare convegni e incontri per cercare di rimettere insieme le forze. In quel contesto, nel 2016 segnato dal lungo percorso di avvicinamento al referendum sulla riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi (Bonalberti fece parte del "Comitato popolare per il No" presieduto da Giuseppe Gargani) e senza trascurare il tentativo di mettere in piedi un soggetto politico nuovo "laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, transnazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel Ppe" (innanzitutto coi Popolari liberali e con Idea), i "Dc non pentiti" hanno scelto di seguire un altro percorso, che prevedeva il rivolgersi ai giudici in prima battuta per evitare attacchi successivi: l'idea, cioè, era di chiedere la riconvocazione dell'assemblea dei soci con la richiesta firmata da un decimo degli associati, per poi ottenere dal tribunale di svolgere quell'assemblea e riprendere l'attività del partito.
Chi ha seguito questo sito sa che la convocazione è stata disposta dal tribunale di Roma a metà dicembre del 2016 ("Tutti noi, che dal 1993 abbiamo operato, tra mille difficoltà e incomprensioni, per la ricomposizione dell’area democratico-cristiana - scrive Bonalberti - e che, venuti a conoscenza della sentenza della Cassazione del 2010, avevamo concorso a riaprire nel 2012 il tesseramento alla Dc di tutti i soci che erano stati iscritti allo scudo crociato nel 1992, data ultima del tesseramento della DC storica, non potemmo che esprimere un sentimento di viva gratitudine nel constatare che finalmente avevamo trovato un giudice a Roma") e l'assemblea si è svolta il 26 febbraio 2017 all'hotel romano Ergife, affidando la presidenza dell'associazione di nuovo a Gianni Fontana: questi l'ha mantenuta fino al nuovo XIX congresso, celebrato il 14 ottobre 2018 con l'elezione alla segreteria di Renato Grassi. Ciò tuttavia non ha fermato quelle che Bonalberti nel libro chiama "assurde e suicide contestazioni di 'sabotatori seriali' i quali, dicono di battersi per il bene della Dc, ma che, in realtà, l'unico risultato che hanno sin qui raggiunto è stato quello di ostacolare ogni processo concreto di ricomposizione dell’area democratico cristiana".
Già nel 2017, pochi mesi dopo l'assemblea dell'Ergife - e quando il primo ricorso per invalidarla era già stato presentato - l'autore disse di essere arrivato alla conclusione "che non vale più la pena di inseguire quelli che credono di poter risolvere il problema politico dell'area cattolico-popolare e democratico-cristiana in sede giudiziaria", ma non aveva perso le speranze sulla possibilità di vedere di nuovo in opera la Democrazia cristiana, o almeno un partito di cattolici; quel tempo, tuttavia, è stato ricco anche di delusioni, come suggerisce il sesto capitolo del libro. In particolare si parla della "lista di tutti i Dc italiani sotto lo stesso simbolo dello scudo crociato" che si sarebbe dovuta mettere in campo alle elezioni politiche del 2018, con la disponibilità di Lorenzo Cesa a mettere a disposizione il nucleo del simbolo dell'Udc per un progetto chiaramente di centrodestra.
Quel progetto non si attuò, anche perché nel frattempo Gianni Fontana aveva seguito altri percorsi (aveva incaricato, in particolare, di presentare il contrassegno della Dc al Viminale per una lista autonoma, ma il simbolo fu ricusato e lo si dovette sostituire in fretta e furia; lo stesso emblema tra l'altro non finì quasi su alcuna scheda, visto che le liste furono presentate di solito in difetto di firme, mentre lo si vide alle regionali del Lazio per sostenere la candidatura di Giovanni Paolo Azzaro) e il resto della Dc (Bonalberti incluso) si limitò a partecipare alle liste di Noi con l'Italia, peraltro vedendosi escludere varie tra le candidature proposte. Il giudizio di Bonalberti su questa fase - e sullo stesso Fontana, con cui aveva condiviso molte battaglie - è molto duro e chiama in causa, come in altre fasi, la "maledizione di Moro", cioè le durissime parole profetiche indirizzate dallo statista agli "ex amici democristiani" negli scritti durante il sequestro: "Ho un immenso piacere di avervi perduti e mi auguro che tutti vi perdano con la medesima gioia con la quale io vi ho perduti. Con o senza di voi, la Dc non farà molta strada. I pochi seri e onesti che ci sono non serviranno a molto, finché ci sarete voi".
Le vicende successive al congresso del 2018, complicate e intricate quanto basta, sono state puntualmente raccontate su questo sito e si rimanda a quegli articoli per non rendere ancora più complesso seguire la storia oggetto di questo scritto (anche perché, come si è visto, la storia continua e le liti pure). Va segnalato, peraltro, il fallimento di un nuovo disegno realmente unitario immaginato anche da Bonalberti in vista delle elezioni europee 2019, per mettere insieme la Dc guidata da Renato Grassi, il Nuovo Cdu di Tassone e Maurizio Eufemi, vari ex Dc di rilievo (a partire da Vitaliano Gemelli, Ivo Tarolli e Giorgio Merlo) e soprattutto Mario Mauro, che con i suoi Popolari per l'Italia aderenti al Ppe avrebbe potuto evitare alla lista la raccolta delle firme: alla fine la lista fu essenzialmente quella di Mauro e Tarolli con pochi inserti, senza alcuna apertura alla Dc (e anche qui le parole dell'autore non sono tenere nei confronti del "voltafaccia" che aveva cambiato la natura del progetto in itinere).
Il volume inevitabilmente somiglia molto a Ettore Bonalberti, essendo carico di suoi scritti, appunti, articoli, pensieri e note; è una testimonianza di tante battaglie, ricca anche se necessariamente incompleta (il numero di pagine raggiunto è già consistente); non manca qualche inesattezza nelle date riportate, ma questo non impedisce certo di avere chiaro il quadro descritto, molto mutato nel tempo ma con certe caratteristiche mai venute meno. Anche per questo, per chi vorrà addentrarsi nelle pagine di Demodissea, occorrerà munirsi di attenzione e pazienza, per farsi largo in una vicenda che nulla ha di banale. Si potrebbe scomodare qualche verso di Giorgio Caproni ("Devi perseverare, / usare buona pazienza. / Ricordalo, se vuoi arrivare / al punto di partenza"), sapendo che il punto di partenza resta irraggiungibile, ma qualcosa di simile forse non lo è. Per l'autore la Dc, nei primi anni '90, era finita "per aver raggiunto il suo scopo sociale" (far cadere o scongiurare i totalitarismi di destra e sinistra), per il venir meno di molte sue ragioni ideali originarie e per i "particolarismi egoistici di alcuni che, con i loro deteriori comportamenti, hanno coinvolto nel baratro un’intera esperienza politica", nonché per l'aggressione mediatico-giudiziaria e per un'improvvida conversione al maggioritario (oltre che per colpe e inadempienze proprie dei diccì, come lo stesso Bonalberti riconosce).
Ora, in un contesto ben diverso, ci sarebbe comunque bisogno di un soggetto politico nuovo, in cui i cattolici possano riconoscersi (senza per forza cercare di riattivare un passato glorioso): Bonalberti rivendica il suo impegno duraturo in questa direzione, in particolare con il sostegno dato dal 2019 alla Federazione popolare dei Democratici cristiani, comprensiva dell'Udc; il primo obiettivo rilevante, la partecipazione alle elezioni regionali 2020 come Unione democratici cristiani, non è stato però colto, essendosi viste liste riferibili al solo partito di Cesa. L'autore riconosce che altri soggetti - le forze raccolte intorno al "manifesto Zamagni" e ribattezzatesi Partebianca - si muovono in un'analoga direzione: l'idea di ricomporre l'area cattolico-democratica e quella cristiano-sociale, insomma, non è ancora tramontata. Anche per questo l'autore conclude il libro con una certezza: "comunque andranno le cose, io sarò sempre un democristiano".
quindi la DC non è mai morta, cioè mai sciolta??
RispondiEliminaOggi alle 17 sulla pagina FB presentiamo il libro e parleremo anche di questo.
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