Si prepara una "piccola rivoluzione" per le elezioni comunali, a partire da quelle che si svolgeranno tra il 15 settembre e il 15 ottobre di quest'anno (secondo quanto previsto dal decreto-legge n. 25/2021, convertito con legge n. 58/2021): due giorni fa, il 26 maggio, il Senato ha discusso a tempo di record e approvato un progetto di legge che ora dovrà compiere lo stesso percorso alla Camera (ed è molto probabile che si arriverà presto al risultato). La rivoluzione è "piccola" sia perché riguarda solo un paio di punti, piuttosto limitati, delle norme applicabili alle elezioni dei sindaci e dei consigli comunali, ma soprattutto perché, con tutta probabilità, avrà effetti per i comuni piccoli e piccolissimi, a partire dai comuni "sotto i mille" che ogni anno Massimo Bosso passa autorevolmente in rassegna, per scovare curiosità, liste seriali, improbabili affollamenti, candidature senza radici nei comunelli e altre chicche. Anzi, è probabile che le norme approvate a Palazzo Madama e da approvare a Montecitorio facciano tramontare definitivamente il mondo "sotto i mille" per come lo si è conosciuto finora.
Le proposte iniziali
Le modifiche che potrebbero essere approvate a breve, in effetti, pur essendo state discusse rapidamente, erano state proposte oltre due anni fa. Tutto era iniziato, in particolare, con la presentazione di un disegno di legge da parte del senatore della Lega Luigi Augussori, alla sua prima legislatura dopo essere stato consigliere (e presidente del consiglio comunale) a Lodi. Il suo progetto di legge (il n. 1196) si occupava del quorum di validità delle elezioni comunali qualora si fosse presentata regolarmente una sola lista e, appunto, del numero di firme da raccogliere nei microcomuni; il testo era stato comunicato alla presidenza del Senato il 2 aprile 2019, in un certo senso in tempi "avveduti ma non sospetti". In quei giorni non erano ancora state presentate le liste per le elezioni comunali 2019 (le ultime tenutesi in primavera, per le quali il termine scadeva il 27 aprile) e certamente erano ancora di là da venire casi clamorosi come quello di Carbone (Pz), che nel 2020 ha catturato l'attenzione dei media, facendo accendere un faro sulle elezioni "sotto i mille" e sulle loro storture; d'altra parte, però, che casi anomali si presentassero soprattutto nei comunelli di tutta l'Italia (soprattutto in Piemonte e in Molise, ma non solo) era cosa nota da tempo, per i #drogatidipolitica e per chi era abituato a spigolare le pagine cartacee e online delle testate in cerca di notizie curiose. Tra queste rientrava certamente anche il fatto che in non pochi comuni (piccoli, ma non solo) in cui una sola lista era finita sulla scheda le elezioni risultassero nulle, perché non era andato a votare almeno il 50% delle persone iscritte alle liste elettorali comunali.
Augussori aveva pensato di risolvere questo problema precisando che nel numero dei soggetti iscritti alle liste elettorali non dovevano conteggiarsi le persone residenti all'estero, spesso in numero consistente soprattutto nei piccoli comuni di alcune parti d'Italia, al punto da costituire fin dall'inizio una pesante minaccia alla validità del risultato elettorale. Con riferimento alla questione delle firme, invece, Augussori aveva proposto di dividere in due blocchi l'attuale categoria dei comuni "sotto i mille": nei comuni con almeno 500 abitanti si sarebbero dovute raccogliere tra 25 e 50 firme (estendendo la norma oggi efficace per gli enti tra 1000 e 2000 abitanti), mentre in quelli con meno di 500 abitanti sarebbe stato necessario un numero di firme pari a "non meno del 5 per cento e [a] non più del 10 per cento degli elettori, con arrotondamento all'unità più prossima". La relazione del disegno di legge, in realtà, si limitava a illustrare la misura, senza indicare alcuna giustificazione per essa; chi frequenta questo sito, tuttavia, non ha alcun bisogno di ulteriori spiegazioni.
Il 2 luglio 2019 (quindi dopo le elezioni amministrative) era poi stato presentato un altro disegno di legge (il n. 1382), stavolta dal senatore Pd Mino Taricco, nato ed eletto in Piemonte (dettaglio tutt'altro che irrilevante per chi studia da vicino i comuni "sotto i mille"). Anche in questo caso c'era la volontà di porre rimedio alle storture mostrate dalla disciplina elettorale, richiedendo anche qui che il quorum di validità delle elezioni non tenesse conto degli elettori residenti all'estero (anche se forse lo faceva in modo non troppo chiaro, con un riferimento al "50 per cento degli elettori residenti"). Il testo, poi, non si proponeva di agire sul piano delle firme, evidentemente considerando le oggettive difficoltà "sociali", in realtà molto piccole, a raccogliere anche solo poche firme (col rischio magari di creare inimicizie o desideri di rivalsa in paesi in cui tutti si conoscono); preferiva invece richiedere che nei comuni con meno di 3000 abitanti le liste dovessero "contenere almeno due terzi dei candidati residenti nel comune nel quale si svolgono le elezioni per il rinnovo del consiglio", partendo dal dato di fatto che - come si leggeva nella relazione - era sempre più frequente nei comunelli la presentazione "di candidati sindaco e di liste che nulla hanno a che fare con quelle comunità" (contando magari sulla presentazione di una sola altra lista e "sulla riserva elettiva a garanzia delle minoranze"), sorretta da "motivazioni e scopi che tutto possono rappresentare fuorché il bene delle comunità chiamate al voto"; la richiesta di un legame della maggior parte delle persone candidate con la comunità avrebbe dovuto "evitare sgradevoli e inaccettabili strumentalizzazioni".
Cosa prevede il testo
A dispetto della presentazione nel 2019, tuttavia, il percorso di discussione in commissione Affari costituzionali del Senato è iniziato soltanto il 10 marzo di quest'anno - pochissimi giorni dopo l'approvazione e pubblicazione del "decreto elezioni 2021" - e ha reso opportuno un breve ciclo di audizioni (durante il quale, pochi giorni dopo, sono stati auditi, oltre a un rappresentante dell'Anci, anche Carlo Fusaro, Felice Besostri e Angelo Schillaci). La discussione in commissione, in concreto, è durata due mesi, fino all'approvazione di un testo il 26 maggio, approdato subito in aula e immediatamente approvato all'unanimità delle persone presenti (al di là di una astenuta).
In commissione, tuttavia, il testo era stato modificato rispetto a quello del senatore Augussori (assunto come testo base). In particolare, con riguardo al problema del quorum, se alle elezioni concorre una sola lista (in qualunque comune inferiore), perché i suoi candidati siano tutti eletti il numero dei votanti non dev'essere "inferiore al 40 per cento degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune", posto che nel corpo elettorale totale "non si tiene conto degli elettori iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero che non hanno votato": si è dunque ritenuto opportuno abbassare comunque il quorum di validità, a prescindere dalla questione dei residenti all'estero (lo aveva suggerito anche Schillaci), senza per questo immiserire il valore della consultazione; in più, si è precisato che il conteggio è fatto solo ex post, cioè computando regolarmente nel corpo elettorale l'elettore residente all'estero che però sceglie di votare (e si sforza, anche economicamente, per tornare al suo paese). Resterebbe, ovviamente, la necessità che l'unica lista in corsa riporti "un numero di voti validi non inferiore al 50 per cento dei votanti": se, dunque, va a votare anche solo il 40% di chi ha diritto al voto, ma le schede sono nulle o bianche per oltre la metà, l'elezione è comunque nulla. È bene precisare che si tratta, in questa parte, delle stesse modifiche alle norme elettorali che erano state adottate una tantum in sede di conversione del decreto-legge n. 25/2021, riferito alle elezioni di quest'anno.
Con riguardo invece alla presentazione delle liste alle elezioni comunali, tuttora regolata dall'art. 3 della legge n. 81/1993, il testo approvato dal Senato riporta per intero la "scansione" delle firme richieste nei vari comuni a seconda della fascia di popolazione (risultante dall'ultimo censimento), limitandosi di fatto ad aggiungere le norme previste per i comuni fino a mille abitanti. In particolare, servirebbero tra 15 e 30 sottoscrizioni nei comuni tra 751 e 1000 abitanti; tra 10 e 20 firme nei comuni tra 501 e 750 abitanti; nei comuni più piccoli, fino a 500 abitanti, le liste dovrebbero essere sottoscritte da almeno 5 e non più di 10 persone iscritte alle liste elettorali comunali. Si tratta, soprattutto per i comuni più piccoli, di un significativo abbassamento dell'asticella rispetto alle richieste iniziali del ddl Augussori (per il quale, per esempio, sarebbero servite tra le 25 e le 50 firme in un comune di 500 abitanti, tra le 15 e le 30 firme in uno di 300): si è evidentemente considerata l'esigenza - anch'essa sollevata in sede di audizione degli esperti - di non rendere troppo gravosa la raccolta firme, con il rischio di aggravare il procedimento (e gli oneri a carico degli uffici), ma soprattutto di aumentare le situazioni in cui è presente una sola lista, con i rischi a questo connessi e - in ogni caso - con una riduzione significativa del favor per la partecipazione politico-elettorale. Queste misure non erano state anticipate con riguardo all'anno 2021 neanche in sede di conversione del citato decreto n. 25, quindi per farle entrare in vigore servirebbe proprio la conclusione del procedimento legislativo; anche a quelle poche firme, in ogni caso, si applicherebbe la riduzione prevista solo per quest'anno dal decreto (ma dovrebbero comunque essere raccolte).
La discussione in aula
Come si è detto, il plenum del Senato ha approvato senza riserve le norme: meritano un po' di attenzione alcune delle parole pronunciate in aula il 26 maggio e tratte dal resoconto stenografico.
La relatrice del testo, la leghista Daisy Pirovano (già sindaca di Misano di Gera d'Adda, comune del bergamasco piccolo ma non piccolissimo: nel 2014 Pirovano è stata rieletta con il 100% dei voti, in quanto unica candidata, benché il comune avesse 2316 elettori, 1614 dei quali votanti), ha sottolineato l'ottima collaborazione in seno alla commissione Affari costituzionali, al comitato ristretto e anche con l'apporto del sottosegretario Ivan Scalfarotto. Con riguardo al quorum di validità, la senatrice ha ricordato che in presenza di una sola lista alle elezioni comunali "spesso si fa fatica a raggiungerlo, non tanto perché la lista o il candidato non sono apprezzati, ma perché i cittadini, consapevoli del fatto che c'è solo una lista, a volte credono che non sia necessario recarsi alle urne"; il mancato computo, ai fini del quorum, delle elettrici e degli elettori residenti all'estero che non votano è stato considerato anche alla luce della "situazione pandemica, che ha reso ulteriormente difficoltosi gli spostamenti" e di situazioni particolari, soprattutto legate ai piccoli comuni montani sempre più spopolati "in cui gli iscritti all'AIRE sono addirittura di più rispetto ai residenti". Sul piano delle firme richieste per i comuni "sotto i mille", Pirovano è stata netta nel dire che si è voluto evitare di penalizzare "i Comuni più piccoli con popolazione ridotta", ma si è pure cercato di arginare "il rischio di liste farlocche che vengono presentate senza che i cittadini ne siano a conoscenza". Con le norme approvate dal Senato, ognuno dei dieci candidati nelle liste dei "comunelli" (più il candidato alla carica di sindaco) "è comunque nella condizione di recuperare almeno una firma, che sia da un parente, da un amico o da un conoscente, per non andare proprio a penalizzare la raccolta firme nei piccoli Comuni".
Nei brevi interventi dei due senatori che avevano proposto i disegni di legge, merita segnalare che per Taricco quello in discussione è un intervento "di democrazia reale in alcuni territori marginali, nei quali si verificavano purtroppo situazioni che non aiutavano le comunità locali a gestire in modo corretto i procedimenti elettorali", a partire dal problema "delle liste straniere", che nei piccolissimi comuni finivano "per occupare gli spazi delle minoranze, creando una serie di problemi e di diseconomie locali". Augussori, invece, ha sottolineato che le due questioni trattate dal testo "apparentemente sono disgiunte tra di loro, ma [...] in realtà si integrano e si sostengono a vicenda: alla base c'è la sempre maggiore difficoltà "di trovare persone disponibili [...] a sacrificarsi a volte per ricoprire il ruolo di sindaco nei piccoli Comuni" (a fronte, per esempio, di "un'indennità irrisoria" ma con gravi responsabilità in caso di azioni ritenute illegittime), che produce spesso presentazioni di una sola lista ed espongono vari comuni al commissariamento (avendo come "unica ancora di salvezza [...] proprio la seconda lista di supporto, che permettesse di aggirare il raggiungimento del quorum", parole eloquenti che svelano senza dirlo con nettezza l'origine di molte seconde liste). Quelle stesse situazioni, peraltro, favorivano l'iniziativa di "liste intruse o farlocche (come le abbiamo definite con un termine che ormai è diventato giuridico)": nel suo intervento Augussori diche chiaramente che queste sono legate alle famose aspettative pagate o al tentativo di correre - appunto - come seconda lista e ottenere i seggi di minoranza, vuoi nella ricerca di "visibilità politica di alcune liste, magari anche di alcune aree estremiste (non faccio distinzione tra destra e sinistra)", vuoi per "godere dei permessi retribuiti per assenza dal lavoro e di benefit vari" (ma, a quanto sostiene il senatore, con seri risvolti economici: "Il bilancio comunale, nella sua parte agibile, va tutto a coprire le spese che vengono generate da queste liste farlocche").
Leonardo Grimani (Italia viva) ha sottolineato l'importanza, "laddove non si trovano delle candidature e non si riesce a creare una contrapposizione tra due o più liste, [...] di salvaguardare la possibilità che anche una sola lista possa portare all'elezione del sindaco", evitando il commissariamento, ma anche di evitare "la possibilità che arrivino all'ultimo minuto, come avviene normalmente, liste costruite in altri territori solo per marcare una presenza", restituendo alla singola comunità locale "la possibilità di esercitare democraticamente un controllo anche sulla presentazione delle liste".
Voto favorevole è arrivato pure da Fratelli d'Italia, anche se Antonio Iannone aveva presentato un emendamento (con altri senatori di Fdi) che fosse sufficiente per l'unica lista in corsa ottenere voti pari almeno al 20% dei votanti (come del resto aveva proposto Anci). Le misure contenute nel testo sono comunque state ritenute accettabili, pur richiedendo una maggior attenzione per "i cittadini delle comunità più piccole, soprattutto quelle delle aree interne, che soffrono di un problema di disantropizzazione" (con problemi che vanno ben oltre il momento elettorale). La questione è stata affrontata pure da Valeria Valente (Pd), mettendo in luce come lo spopolamento dei piccoli comuni produca anche problemi che ricadono sulle procedure elettorali (con l'incidenza degli iscritti Aire); sul tema delle liste "opportunistiche e strumentali", che approfittano "della riserva elettiva a garanzia delle minoranze [...] con obiettivi che sono abbastanza lontani dal bene di una comunità e di un territorio", ha riconosciuto che la richiesta di firme in quei territori - abbandonata nel 1993 - può essere un ostacolo alla partecipazione, ma ha ritenuto importante evitare "effetti controproducenti" anche grazie alla modulazione del numero di firme in base agli abitanti.
Loredana De Petris (presidente del gruppo misto - .componente Liberi e uguali - Ecosolidali) ha smentito che il testo intenda produrre un "piccolo intervento", sia per la collaborazione delle varie forze politiche, sia per il tentativo di contribuire alla soluzione di alcuni problemi dei piccoli comuni (che rappresentano la maggioranza di quegli enti); in più è risultata ancora più netta l'ammissione per cui "molto spesso si facevano delle liste quasi finte - chiamiamole così - per evitare" il problema del quorum, mentre ora si sarebbe dato un contributo di trasparenza e si sarebbe ridata "forza al momento delle elezioni democratiche", specie le comunali, "forse le più importanti" perché lì "una comunità decide come esprimere non soltanto le proprie esigenze, ma anche il governo del territorio".
Al di là delle osservazioni sul metodo di lavoro della commissione Affari costituzionali proposte dal forzista Luigi Vitali (che peraltro ha sottolineato l'incardinamento nella stessa commissione di un ddl presentato dal M5S Gabriele Lanzi, volto a consentire in modo stabile la nomina dei rappresentanti di lista con posta elettronica certificata, senza autenticazione) e del sostanziale intervento adesivo al testo di Maria Laura Mantovani (M5S), sono interessanti le osservazioni di Cristiano Zuliani, senatore leghista ma tuttora sindaco di Concamarise (Vr), comune poco al di sopra dei mille abitanti nell'ultimo censimento: Zuliani, eletto nel 2014 la prima volta, nel 2019 ha fatto il bis ma la sua lista della Lega era l'unica in corsa, pur non avendo avuto problemi di quorum. In quanto ricco di esperienza vissuta, merita di essere riportato quasi per intero, di seguito:
In Italia ci sono Comuni che vengono sciolti per infiltrazioni mafiose, ma anche altri che vengono commissariati da un commissario prefettizio a causa di problematiche connesse alla raccolta delle firme per le presentazioni delle liste o alla partecipazione al voto. Il commissario, che non è certamente una cattiva persona, va ad amministrare una comunità, soprattutto se piccola, occupandosi di atti semplicemente formali e di routine. Non si fa nulla di nuovo e non si avanza alcuna nuova proposta. Per una comunità avere un commissario prefettizio è una disdetta, non - ripeto - per la sua incapacità, ma perché non vi è nulla di nuovo.Talvolta, quando nei Comuni si presenta una sola lista, i vecchi oppositori in Consiglio comunale che non riscuotono più consenso fanno la guerra al candidato sindaco e alla lista unica scoraggiando le persone ad andare a votare. Ciò è uno sbaglio enorme. Chiunque sia il candidato, di qualunque corrente politica (da destra a sinistra), se c'è una sola lista è giusto che quel candidato e quell'amministrazione vengano votati. Chi scoraggia la gente ad andare a votare si macchia di un errore madornale.
Sono sindaco di un piccolo Comune di quasi 1.080 abitanti e così ce ne sono tanti in Italia, da Nord a Sud. Ora ho avuto la fortuna e l'onore di essere stato eletto parlamentare, ma nel quotidiano - in questo contesto se ne parla - ci sono dei sindaci eroi. Mi riferisco a quei sindaci che magari sono anche responsabili d'area dell'ufficio tecnico e hanno delle enorme responsabilità, non paragonabili a quelle che attualmente ho da parlamentare. (Applausi). Sono sindaci che quotidianamente portano gli anziani, con l'auto dei servizi sociali, nei CEOD, nei centri di sostegno e negli ospedali e che fanno attraversare i bambini sulle strade davanti alle scuole. Sono sindaci tuttofare che spalano la neve, tagliano l'erba e fanno tante altre cose di ordinaria amministrazione che, a livelli superiori della politica, anche per una questione di tempo, non si fanno. Sono persone che amano la propria comunità.
[...] Qui non se ne parla (oppure lo si fa, ma molti non conoscono bene la questione), ma in Italia a volte succede quanto capitato recentemente anche nella mia Verona (parliamo di un articolo del 13 maggio 2018). In occasione delle elezioni amministrative ci sono dipendenti pubblici, in particolare delle Forze di polizia, che, visto che la legge lo permette, presentano una lista alternativa a quella del sindaco pur di avere un'aspettativa temporanea per la campagna elettorale. [...] Quello delle aspettative elettorali è un fenomeno nato in sordina una decina di anni fa, ma che è andato via via crescendo fino ad assumere proporzioni considerevoli.
Questo è uno dei casi che spiega perché il provvedimento in esame è molto positivo, soprattutto anche per gli italiani residenti all'estero, discendenti degli emigrati nell'Ottocento (il Veneto ha dato un forte contributo all'emigrazione in quel periodo). In questo modo garantiamo una sicurezza, perché nella raccolta delle firme non ci sarà più bisogno di raggiungere un certo numero e non saranno nemmeno necessari i voti degli italiani residenti all'estero.
Se la Camera approverà il testo così come ricevuto dal Senato, probabilmente l'attenzione ai "comuni sotto i mille" come fenomeno tramonterà definitivamente. Le norme in discussione, infatti, dovrebbero disincentivare tanto la presentazione di "seconde liste di comodo", presentate con lo scopo più o meno dichiarato di evitare il commissariamento; in certe realtà - quelle con un elettorato tradizionalmente meno responsivo - il problema potrebbe non sparire del tutto, ma solo la pratica potrebbe darne prova. Dovrebbe essere definitivamente stroncato, invece, il malvezzo di presentare liste di extra muros, "imbucandosi" nelle amministrazioni dei microcomuni a decine o centinaia di chilometri di distanza, per il mero tentativo di partecipare ed eleggere consiglieri o con scopi meno nobili. La necessità di raccogliere firme sul posto (anche poche), infatti, dovrebbe essere un deterrente, richiedendo la presenza fisica sul territorio dei candidati o di loro collaboratori e la disponibilità di un soggetto autenticatore (ammesso, ovviamente, che ci siano persone residenti disposte a sottoscrivere la lista). Questo dovrebbe scoraggiare tanto le candidature "all'insaputa dei candidati" emerse in misura copiosa lo scorso anno, quanto la pratica delle "candidature per l'aspettativa elettorale", che già il deputato forzista Pierantonio Zanettin aveva proposto di colpire rendendo non retribuita l'aspettativa elettorale anche per chi appartiene alle forze di polizia.
In concreto, ciò dovrebbe tradursi nella sparizione dalle schede elettorali dei microcomuni di numerosi simboli: sia quelli di forze politiche minori ed estreme, sia quelle di progetti più o meno consistenti ma da sempre nel cuore dei #drogatidipolitica (e che nel corso del tempo avevano fatto emergere vari "eroi" della presentazione seriale di liste, specie in Piemonte), sia soprattutto di quella marea di simboli anonimi e inguardabili, dalla grafica 0.0, che in certe realtà si presentavano puntualmente (a volte affollando in modo improbabile manifesti e schede, senza che nessuno conoscesse i candidati). Tutto questo sembra ragionevole sul piano giuridico e, se si vuole, "morale"; di certo i cultori della microItalia che vota e i #drogatidipolitica si apprestano, con un po' di tristezza, a dire addio a un filone d'indagine che aveva riservato molte soddisfazioni. A meno che, beninteso, qualcuno non abbia voglia di trovare altre vie per partecipare e sfidare le norme elettorali. Non sarà facile, specie in tempi di stanca, ma perché diffidare della fantasia altrui?