E' passata giusto una settimana
dal voto-shock di domenica scorsa in Emilia Romagna e Calabria e già i partiti sono alle prese con candidature da individuare e strategie da
attuare, in vista del ben più impegnativo appuntamento elettorale della prossima primavera, quando si voterà per rinnovare l'amministrazione di 7 regioni (Liguria,
Veneto, Toscana, Marche, Umbria, Campania, Puglia). Questa tornata elettorale, in effetti, sarà assai meno
"pesante" rispetto a quella di cinque anni fa (allora si votò per 13 regioni, comprese le realtà più popolose come Lombardia, Lazio e Piemonte, tutte rinnovate in anticipo rispetto alla scadenza, per dimissioni della giunta o per intervento della magistratura); le trattative, in ogni caso, in varie zone risultano essere più che avviate.
Si pensi, ad esempio, al Veneto e alla Puglia, in cui proprio quest'oggi il centrosinistra sta celebrando le primarie per la scelta dei
candidati presidente. Ed è proprio dalla Puglia che
emerge una situazione politica alquanto bizzarra: la regione
guidata ora dal leader di Sel Nichi Vendola è da sempre
territorio di iniziative politiche-laboratorio che in più di un caso si è cercato di replicare su scala nazionale o comunque altrove. Viene subito in mente come, nel 2010, per mesi si pontificò
sulla possibilità di creare un modello - che qualcuno avrebbe voluto in fotocopia al Parlamento nazionale - basato sull'alleanza Pd-Udc
(quando il partito di Casini aveva ancora un peso specifico rilevante), con convergenza su un
candidato moderato. Fu in quell'ottica che il Pd ripropose il nome di Francesco Boccia, ma l'accordo saltò dopo la seconda sonora sconfitta del candidato nel confronto con Vendola.
Oggi un subbuglio simile sembra regnare nel centrodestra pugliese (che pure non godeva di ottima salute quattro anni fa): una realtà dilaniata
tra pessimi risultati recenti e leader autoreferenziali, ma
anche forte della voglia di riprendersi una regione che rossa in fondo non è mai
stata (dimostrandosi anzi una roccaforte berlusconiana al voto parlamentare). In pole position per una coalizione ampia, al di là delle posizioni nazionali (comprenderebbe Fi, Ncd, Fratelli d'Italia e Udc),
come candidato presidente ci sarebbe Francesco Schittulli, chirurgo, già presidente della provincia di Bari: vicino a Forza italia
ma ben visto da tutta la coalizione, egli ha fondato un suo
movimento autonomo che si è presentato alle amministrative di questi ultimi cinque anni nel centrodestra,
riuscendo a portare in dote una percentuale di voti spesso
determinante.
In principio, il simbolo di Schittulli somigliava più
ad una qualsiasi lista civica a sostegno del presidente: fondo blu,
scritta bianca, striscia tricolore, la classica solfa
filoberlusconiana, insomma. Con l'avvento di altre partecipazioni
elettorali, il simbolo è diventato sempre più quello di un vero
partito territoriale (inserendo addirittura la dicitura "Movimento
Politico"). Ci sarebbe giusto lo spazio per reinserire l'appellativo di "presidente", nella speranza per i sostenitori di Schittulli che gli porti fortuna verso la conquista della poltrona più
ambita in Regione.
Non si tratterebbe comunque del primo caso di candidato presidente pugliese che costruisce qualcosa di più di una lista a suo sostegno. Il pensiero va subito al noto ribelle forzista Raffaele Fitto, che molti vedrebbero come pronto ad espatriare
dalla casa berlusconiana, ma che in realtà un partito suo ce l'aveva prima di entrare in Forza Italia (i Cristiani democratici per la libertà) e probabilmente ora ne ha già un altro.
Perché "La Puglia Prima di tutto"
non sembra un semplice cartello elettorale, è un vero e proprio
movimento autonomo presente da oltre un decennio nelle varie
compagini politiche pugliesi: ha corso a quasi tutte le amministrative,
riscuotendo un'ottima affermazione elettorale (mediamente si attesta
intorno al 10%). Fitto, insomma, ha dimostrato che "i voti li ha" e non è da escludere una sorpresa futura, che estenda il modello del "...prima di tutto"
anche su una scala sovrapugliese, se si concludesse l'esperienza del politico in Forza Italia.
Ma se queste esperienze risultano
essere lanciate in prospettive future, un'altra realtà politica sembra avviata a concludersi, o comunque a un energico rinnovo: si tratta della "Puglia per Vendola". Il cartello che nel 2010 raccolse circa
il 5% (anche in questo caso una percentuale più che necessaria per
vincere) è guidato da Dario Stefàno, luogotenente vendoliano, già
assessore regionale all'agricoltura, presidente della giunta delle elezioni e delle autorizzazioni del Senato e candidato alle primarie del centrosinistra.
Strutturatosi come un partitino con
cariche varie, il suo simbolo potrebbe ricomparire sulle schede
elettorali con una veste grafica nuova; se fosse Stefàno a prevalere come candidato del centrosinistra, sarebbe proprio il suo nome a entrare nell'emblema. L'attuale
governatore oggi ha altre mete, cosciente di non
poter più contare di quella spinta che gli ha procurato due elezioni: osannato come futuro
leader della sinistra, per un periodo è stato di fatto relegato a portatore d'acqua del Pd, mentre ora sconta una certa impopolarità (tanto da togliere il suo nome dall'emblema di Sel), mentre il partito ha perso pezzi. Guarda caso, a favore dei democratici.