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giovedì 9 maggio 2019

Regionali Piemonte, no confermato per Destre unite - CasaPound - Azzurri italiani

Il verdetto ora è definitivo: le elezioni regionali in Piemonte si terranno regolarmente il 26 maggio e parteciperanno 14 liste. Proprio poco fa, infatti, il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso della lista Destre Unite - CasaPound - Azzurri italiani, presentato lunedì da Massimiliano Panero, segretario nazionale di Destre unite e candidato alla presidenza della Regione. 
Nell'impugnare le varie sentenze del Tar Torino che avevano confermato l'esclusione delle liste circoscrizionali in tutte le province del Piemonte (tranne Verbano-Cusio-Ossola e Cuneo), essendosi negato che il simbolo composito delle tre forze politiche potesse finire sulle schede senza aver completato la raccolta firme, Panero e il suo avvocato Augusto Sinagra (docente di Diritto dell'Unione europea all'Università di Roma "la Sapienza", nonché candidato di Destre Unite - CasaPound alle europee nella circoscrizione Centro) hanno lamentato - da parte del Tar - addirittura la violazione della legge regionale n. 21/2009 in materia di esenzione dall'onere di raccolta firme per le elezioni regionali. 
In particolare, si contestava ancora l'interpretazione in base alla quale Gilberto Pichetto Fratin, candidato presidente della coalizione di centrodestra del 2014, eletto come "miglior perdente", non dovesse considerarsi espressione delle singole liste che facevano parte della coalizione (come appunto Destre unite e Azzurri italiani) e, dunque, queste non potessero dire di aver ottenuto un eletto. Da una parte si ribadiva che Pichetto non era stato eletto nel "listino" regionale, ma per attribuzione del seggio riservato all'ultimo "resto" delle liste provinciali collegate: non a caso, quando il candidato presidente sconfitto era diventato senatore, al suo posto era entrato "il primo degli esclusi delle liste regionali in base, appunto, al calcolo dei 'resti'". Dall'altra parte, Panero e Sinagra negano che la legge regionale possa davvero collegare la concessione dell'esenzione a una "significativa rappresentatività" della lista che la rivendica, se non altro perché l'ipotesi sub c) consente a un partito rappresentato da un gruppo in consiglio regionale di "trasmettere" l'esenzione a una diversa lista, anche non rappresentata in consiglio (e il ricorrente fa l'esempio della "ben modesta Lista civica indicata come 'Si Tav, Si Lavoro, per il Piemonte' per la quale è del tutto da escludere il raggiungimento di qualsivoglia quorum minimo in termini di voti). 
In effetti la valutazione del Tar sulla "infima rappresentatività" non era affatto una "preventiva valutazione (o accertamento) in ordine alla rappresentatività in termini di voti della lista collegata", ma si riferiva alla scarsa capacità della stessa lista di incidere sul risultato precedente, cosa che non avrebbe consentito a Destre unite e Azzurri italiani di sostenere di aver concretamente contribuito all'elezione di Pichetto. Mancando nella legge nazionale e in quella regionale la previsione di un quorum per ciascuna Lista all'interno della coalizione, Panero e Sinagra erano convinti che "'resto' dopo 'resto', anche una lista in coalizione che risult[asse], all'esito delle consultazioni, di 'infima rappresentatività' [potesse] sempre potenzialmente conseguire l’obiettivo di vedere eletto uno dei suoi candidati". Uno scenario, peraltro, che si sarebbe verificato solo al venir meno di tutti gli altri candidati delle liste con cifra elettorale maggiore, uno scenario oggettivamente piuttosto improbabile (pur se configurabile in astratto).
Nel ricorso, insomma si legge che non può applicarsi l'esenzione solo a chi ha conseguito il seggio "in proprio", perché quel seggio riservato al candidato presidente "non può non essere riferito a ciascuna delle singole liste tra di loro collegate e costituenti un unicum con il 'Centrodestra per Pichetto'", visto che la legge elettorale fa sempre riferimento al "gruppo di liste" (anche se di norma quest'espressione si riferisce al complesso delle liste provinciali distinte dallo stesso contrassegno). Da ultimo non si potrebbe contestare la mancanza di un "documentato e persistente collegamento con la coalizione" del 2014 delle singole liste, perché la coalizione di allora si è smembrata da più parti e alcuni gruppi politici avrebbero fatto perdere le loro tracce (Pensionati, Verdi-Verdi e Lista civica per il Piemonte), dunque nessuno potrebbe rivendicare la continuità; di più, per Panero e Sinagra, "nessuna norma elettorale impone di documentare il persistente collegamento tra le diverse liste, o con i propri eletti, altrimenti esisterebbe il vincolo di mandato" e dovrebbero considerarsi le elezioni come "un film in movimento", quando invece sono "la fotografia di un dato momento storico".
Per i giudici di Palazzo Spada, invece, il ragionamento del Tar era corretto. Se l'istituto della raccolta firme deve servire a garantire la rappresentatività delle liste, esonerare determinati soggetti dalla raccolta avrebbe lo scopo di semplificare le procedure elettorali venendo incontro alle forze politiche che "hanno dimostrato – in modo concreto – di disporre di tale requisito", attraverso l'elezione di un proprio candidato. Visto che però l'esonero appare come eccezione alla regola della raccolta firme, per il giudice amministrativo di primo e di secondo grado occorre attenersi a un'interpretazione restrittiva del testo.
In particolare, la disposizione si riferisce espressamente a partiti o gruppi politici Chi ha vinto presentato candidatura e con un proprio contrassegno e abbiamo ottenuto almeno un eletto, quindi in questa limitata ipotesi occorre che il contrassegno per il quale si richiede l'esenzione sia riferito "ai soli soggetti che hanno ottenuto l’elezione di un proprio candidato", cosa che Destre unite e Azzurri Italiani nel 2014 non avevano ottenuto. Non avrebbe pregio, secondo il Consiglio di Stato, la disparità di trattamento ingiusta lamentata da Panero rispetto alla possibilità per un gruppo consigliare uscente di esentare dalla raccolta firme una lista esterna, presumibilmente di scarsa consistenza: però i magistrati spiegano ben poco, limitandosi a dire che "in quel caso sopperisce la dichiarazione di collegamento con gruppi consiliari già presenti in Consiglio Comunale al momento della convocazione dei comizi elettorali" (certo il collegio intendeva dire "consiglio regionale", ma la fretta e la sovrapposizione di questo caso con molti altri legati ad elezioni amministrative non hanno certo aiutato). Una spiegazione, questa, piuttosto apodittica e ben poco utile: forse era un modo per dire che c'è comunque a monte la rappresentatività del gruppo consiliare che in qualche modo fa da garanzia, ma sarebbe stato meglio dirlo a chiare lettere.
La stessa osservazione fatta nel ricorso sulla possibilità che, nel corso del tempo, le proiezioni elettorali o si sfaldino come è avvenuto in questo caso, viene addirittura utilizzata contro il ricorrente, sottolineando che "solo due soggetti tra i tre a cui è riconducibile il contrassegno hanno partecipato alla precedente elezione conseguendo – mediante la coalizione – un seggio", sostanzialmente lasciando intuire che sulla carta Destre unite e Azzurri italiani avrebbero anche potuto rivendicare la precedente conquista di un seggio, ma la presenza estranea di CasaPound avrebbe fatto venir meno il beneficio dell'esenzione (quando, tutt'al più, in riferimento alla mutevolezza delle posizioni avrebbe potuto far pensare che nessun brandello dell'antica coalizione avrebbe potuto intestarsi l'elezione in consiglio del candidato presidente).
La sentenza di oggi rappresenta l'ultimo atto della battaglia legale che precede le elezioni regionali piemontesi. L'esito era piuttosto prevedibile dagli studiosi per varie ragioni; nonostante questo, si deve ammettere che sotto certi profili era lecito aspettarsi di più dei giudici di Palazzo Spada, soprattutto due punti appaiono, come si è visto, carenti nelle spiegazioni o poco lineari sul piano logico. Questa, almeno, è la conclusione che si può trarre attenendosi al testo della sentenza; probabilmente c'è anche un sottotesto, un dato per scontato, ma non è mai opportuno, men che meno in materia elettorale.

venerdì 3 maggio 2019

Piemonte, Destre unite non può correre alle regionali senza firme. Anche se...

Il risultato finale cui ciascun aspirante presentatore di liste aspira è, ovviamente, la vittoria o almeno l'elezione di un rappresentante; per arrivarci, tuttavia, è necessario riuscire a partecipare. Lo si dovrebbe fare raccogliendo le firme, ma è ben noto che i partiti maggiori nel corso del tempo hanno introdotto varie fattispecie di esonero che - al di là di certi periodi - hanno finito per ampliarsi, per l'opera del legislatore (e dei partiti che vi sono rappresentati) o per l'interpretazione degli uffici elettorali chiamati via via a esprimersi. Sotto quest'ultimo profilo, si è già visto come queste le elezioni europee abbiano visto una vera esplosione delle liste ritenute esenti dall'onere di raccogliere le firme grazie al collegamento - reso esplicito da un contrassegno composito - con un partito europeo o (soprattutto) con un partito nazionale che abbia eletto un suo rappresentante al parlamento europeo. 
Se delle elezioni europee rileva ora soltanto la campagna elettorale, la battaglia per le esenzioni si è spostata sul terreno delle regionali, in particolare di quelle del Piemonte, che si svolgeranno sempre il 26 maggio (assieme al turno più nutrito di amministrative). Se ne parla oggi perché da poche ore il Tar di Torino si è espresso sui ricorsi presentati dal piemontese Massimiliano Panero, leader di Destre unite, formazione nata nel 2014 che già riuscirà a partecipare alle europee, con liste condivise con CasaPound, grazie all'affiliazione al partito europeo Aemn; questa volta, Destre unite ha cercato di presentare liste alle regionali del Piemonte assieme ancora a CasaPound e alla forza politica locale Azzurri italiani, anche in questo caso senza presentare nessuna firma (anzi, giusto un paio). Il giudice amministrativo, tuttavia, gli ha dato torto, respingendo i ricorsi.

La legge piemontese (solo) sulle esenzioni e l'interpretazione di Panero

Ma sulla base di cosa Panero e gli altri vorrebbero concorrere alle elezioni senza firme? Per capirlo bisogna prestare attenzione al contenuto della legge regionale n. 21/2009, che il consiglio regionale ha approvato per regolare soltanto la fattispecie dell'esenzione dalla raccolta di sottoscrizioni. Quella legge, in particolare, prevede che possano partecipare senza firme tre specie di candidature: a) "liste di partiti o gruppi politici che hanno presentato candidature con un proprio contrassegno e che hanno conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni nelle circoscrizioni elettorali ricomprese nel territorio nazionale per il Parlamento europeo o per il Parlamento nazionale o per il Consiglio regionale del Piemonte"; b) "liste contraddistinte da contrassegno singolo o composito che sia espressione di partiti o movimenti rappresentati da gruppi consiliari già presenti in Consiglio regionale al momento della convocazione dei comizi elettorali"; oppure, in alternativa all'ipotesi appena vista, c) "liste contraddistinte da contrassegno singolo o composito che abbiano ottenuto una dichiarazione di collegamento con gruppi consiliari già presenti in Consiglio regionale al momento della convocazione dei comizi elettorali. La dichiarazione di collegamento è conferita dal Presidente del gruppo consiliare, informata la Conferenza dei Presidenti dei gruppi consiliari, per una sola lista e può essere effettuata anche a favore di lista con denominazione diversa da quella del gruppo consiliare di collegamento".
Nel corso del tempo la disciplina non ha mancato di destare perplessità, soprattutto da parte di chi lamentava come un partito che fosse stato presente tanto in consiglio regionale (con un gruppo) quanto in Parlamento avrebbe potuto esentare sé stesso in base all'ipotesi sub a) e anche un altro partito non presente in consiglio (magari nuovo o piccolo), concedendogli la dichiarazione di collegamento prevista dall'ipotesi sub c), senza nemmeno che quella forza politica debba mostrare quel collegamento all'interno del simbolo. Chi difende la legge piemontese (peraltro "copiata" nel corso del tempo da altre regioni, non necessariamente nel modo migliore) nota che le ipotesi di esonero previste, comunque non irragionevoli, ampliano la partecipazione a fronte - e questo in effetti è vero - di una procedura di raccolta firme ampiamente antiquata e molto onerosa, in termini di sforzi e di risorse da impiegare, soprattutto per le forze minori (mentre i partiti maggiori, che avrebbero i mezzi, da anni si guardano bene dal raccogliere le firme in regione o lo fanno in modo a dir poco discutibile...).
Tornando a Panero, lui nel ricorso ricordava come tanto Destre unite quanto Azzurri italiani (che pure in quell'occasione aveva un emblema diverso da quello che oggi è ospitato nel contrassegno depositato con le liste; peraltro allora la corsa era stata resa possibile grazie a Grande Sud) avevano partecipato alle elezioni regionali del 2014 all'interno della coalizione di centrodestra (assieme a Forza Italia, alla Lega Nord, ai Pensionati, ai Verdi-Verdi e alla lista Civica per il Piemonte) a sostegno del candidato presidente Gilberto Pichetto Fratin, dunque anche le loro liste provinciali erano collegate alla lista regionale Centrodestra per Pichetto.
Classificatasi seconda, la coalizione ha eletto come consigliere lo stesso Pichetto (in qualità di "miglior perdente"), sottraendo un seggio a quelli conquistati dalla Lega Nord. In seguito, Pichetto era diventato capogruppo di Fi e Destre unite aveva continuato a collaborare con lui, mentre il partito di Panero aveva - proprio in ragione della partecipazione a quel voto regionale - chiesto l'iscrizione al Registro nazionale dei partiti politici, ottenendola a maggio del 2015 essendo stato considerato tra i partiti che avevano eletto almeno un candidato alle ultime politiche, europee o - appunto - regionali. A suo dire, il seggio di Pichetto non sarebbe stato conseguito dalla lista regionale, ma dalla coalizione di (gruppi di) liste circoscrizionali, dunque dell'insieme delle liste: anche Destre unite e Azzurri italiani, insomma, avrebbero eletto Pichetto e, sulla base di ciò, avrebbero pieno diritto all'esenzione dalla raccolta firme.

Il verdetto negativo del Tar

Questa tesi sarebbe stata accolta dagli uffici elettorali circoscrizionali di Cuneo e Verbania, mentre gli altri l'hanno respinta, sostenendo che il seggio di Pichetto non era da attribuire alla coalizione, ma alla lista regionale, che è un soggetto giuridico distinto: nessuna delle liste che facevano parte della coalizione, dunque, poteva dire che l'eletto fosse suo. Panero, evidentemente in disaccordo con quell'esito, aveva fatto ricorso al Tar, facendo valere gli argomenti visti sopra (e anche altri a loro sostegno).
Il collegio del tribunale amministrativo, tuttavia, ha confermato l'esclusione della lista nelle province interessate dai ricorsi. Per l'organo, infatti, è dirimente un'osservazione fatta dall'Ufficio centrale regionale del Piemonte: "la ratio della legge regionale è quella di esonerare dalla raccolta delle firme i partiti o gruppi politici che hanno una significativa rappresentatività" e questa "verrebbe totalmente contraddetta da un'interpretazione diversa che accordi a singole componenti minoritarie della coalizione il beneficio della procedura senza firme”. Né i movimenti riuniti nella lista ricorrente potrebbero vantare quella "significativa rappresentatività", avendo ottenuto insieme alle regionali del 2014 lo 0,35%.
Al di là delle considerazioni sulla ratio - in parte discutibili, nel momento in cui non considerano che una forza politica, in base all'art. 1, comma 1, lettera c) della l.r. n. 21/2009, può ottenere il beneficio dell'esenzione pur non avendo alcuna rappresentatività, ma sfruttando la rappresentatività altrui - il Tar prosegue il proprio ragionamento sul piano logico: per i giudici l'art. 1, comma 1 lett. a) invocato da Panero è (al pari delle altre ipotesi di esenzione) "una deroga al principio generale che subordina la presentazione delle liste di candidati alla sottoscrizione di un dato numero di elettori": in quanto disposizione eccezionale, essa dev'essere "interpretata e applicata restrittivamente e quindi riferita esclusivamente a liste che abbiano per così dire 'in proprio' conseguito un seggio", diversamente si attribuirebbe il beneficio anche a liste "dotate di infima rappresentatività", per il solo fatto di essere parte di una coalizione che ha ottenuto almeno un seggio.
Le decisioni-fotocopia del Tar di oggi, dunque, sbarrano la strada elettorale al cartello Destre unite - CasaPound - Azzurri italiani, facendo decadere anche le due liste ammesse a Cuneo e Verbania: la mancata ammissione delle liste circoscrizionali in almeno metà delle province, infatti, non consente al gruppo di liste di correre e finire sulla scheda. Una decisione, quella del collegio, che non può piacere a Max Pajero: secondo lui, quella dei giudici è "una mera interpretazione poiché ovviamente la legge regionale non dice questo in alcun suo punto. Parla di conseguimento di un seggio e, come ampiamente dimostrato, i partiti della coalizione avevano conseguito tutti insieme, sulla base dei voti della quota proporzionale delle liste, il seggio poi riservato al candidato presidente. La surroga successiva ne è stata una testimonianza chiara: all’atto delle dimissioni di Pichetto il surrogante non proveniva dal cosiddetto listino regionale, ma dal primo resto utile delle forze della coalizione. Difficile non essere tentati dal considerare la sentenza una sentenza politica! Mentre per tutte le altre liste le norme vengono intese sempre nel senso più ampio (consentendo ad esempio alla civica Sì Tav, sì lavoro, per il Piemonte, pur priva di alcuna confermata rappresentatività politica, di correre in esenzione grazie ad un’esenzione addirittura 'trasferita' dalla Lega) nel nostro caso si esplicita in sentenza la volontà di applicarle in senso restrittivo. Quanto la presenza di CasaPound all’interno del nostro simbolo congiunto può aver pesato?”
Le motivazioni date dai giudici possono essere  in parte condivisibili (se non altro perché un eletto dovrebbe poter esentare solo un soggetto e non più di uno, come potrebbe accadere con un candidato presidente eletto nei confronti di tutte le liste di una coalizione), ma di certo alla base ci sono due problemi di fondo. Innanzitutto appare incredibile la differenza di interpretazione data al testo normativo, per cui - esattamente alle stesse condizioni - la lista era stata ammessa da due uffici elettorali e da altri no, così come alle europee capita che una lista - quella del Ppa - Popolo partite Iva - sia stata ammessa nella circoscrizione Nord-Est e ricusata nelle altre esattamente sulla base delle stesse condizioni; in quest'ultimo caso, peraltro, la lista correrà comunque in quell'unica circoscrizione, mentre in Piemonte (come si è detto) la presenza del cartello guidato da Destre unite sarebbe troppo esigua in base a quanto richiesto dalla legge nazionale. Ancor più a monte, tuttavia, occorre ragionare seriamente su tutto ciò che è previsto in materia di raccolta firme e di esenzioni: se, a detta di molti, oggi raccogliere in modo del tutto regolare il numero di sottoscrizioni richieste è particolarmente difficile, se non impossibile in certe competizioni elettorali (europee e regionali), motivo per cui si è scatenata nel corso degli anni una "corsa all'esenzione" che ha scatenato molte proteste, è il momento di fare qualcosa. Se il radicamento dei partiti (tutti!) appartiene ormai al passato, è molto meglio chiedere a tutti i soggetti interessati un numero ragionevole di firme, che a quel punto sarebbe anche più facile da controllare, usando lo stesso metro di giudizio per tutti: in quel modo, forse, non si creerebbe più il bisogno di adempiere all'obbligo di raccolta firme commettendo irregolarità e si smetterebbe di cercare scorciatoie che a volte la legge consente e, inevitabilmente, favoriscono alcuni più di altri. 

lunedì 13 febbraio 2017

Polo sovranista, per la scelta finale 4 simboli nuovi. Ma non troppo

Lo devo ammettere: nel vedere e commentare i simboli che militanti e simpatizzanti della Destra di Francesco Storace e di Azione nazionale di Gianni Alemanno avevano proposto per il nuovo soggetto sovranista che nascerà a Roma questo fine settimana, non ero rimasto particolarmente colpito. Della quarantina di idee grafiche pervenute, poche mi sembravano interessanti (in più di un caso il risultato era davvero discutibile): immaginavo quindi che la scelta finale, tanto per i militanti chiamati a votare nei giorni scorsi gli emblemi, quanto per i dirigenti/delegati che, al congresso, avrebbero dovuto rendere definitiva la decisione, fosse tutt'altro che semplice.
Non potevo immaginare, però, che alla fase finale del voto sarebbero state sottoposte ai partecipanti quattro proposte - tutte varianti dello stesso tema - che non erano affatto parte delle grafiche mandate in un primo tempo e che, evidentemente, sono frutto dell'intervento di qualche grafico professionista. La scelta, sia chiaro, ne guadagna in qualità ed è comprensibile che nessuna delle idee ricevute nei giorni scorsi potesse realmente soddisfare coloro che poi quel simbolo avrebbero dovuto usarlo; non si capisce, però, perché nel sito qualcuno abbia insistito per scrivere che la scelta dei visitatori va fatta tra "i 4 simboli più votati", quando nessuno di questi poteva concretamente essere votato in prima battuta, non facendo parte delle scelte messe al voto.
La struttura degli emblemi messi oggi in votazione è la stessa e formalmente rispetta - se non altro - quanto indicato attraverso il sondaggio proposto in precedenza dal sito: la maggioranza voleva un richiamo alla fiamma tricolore (senza riprendere il simbolo di Alleanza nazionale), ma non prendendo a modello né il contrassegno della Destra, né quello di Azione nazionale. L'idea della fiamma è richiamata da due pennellate, una verde e una rossa, collocate nel segmento bianco a sinistra, mentre la maggior parte del simbolo è occupata dal colore blu scuro, con tanto di riflesso per dare l'idea della terza dimensione e dare un tocco di "modernità" alla grafica.
Uniche varianti riguardano la parte testuale. I nomi in ballo sono Azione nazionale (mantenendo dunque l'etichetta coniata dal gruppo vicino ad Alemanno) oppure Destra nazionale, che un po' è evoluzione del nome di Storace e un po' - soprattutto - guarda all'indietro, agli ultimi vent'anni di storia del Movimento sociale italiano. Ciascuno dei due nomi, poi, viene proposto sia nella versione più "complessa" con la scritta corsiva "Per la Sovranità", sia nella versione più "semplice" con la sigla del nome scritta a caratteri cubitali (ed è inevitabile che AN risulti parecchio d'impatto, rimandando ad altri tempi, altri simboli e - per chi ha la memoria buona - altri risultati elettorali).
Tra le prime reazioni online, qualcuno avrebbe preferito un "più coraggioso" colore nero, mentre altri lamentano una somiglianza eccessiva con il simbolo del Nuovo centrodestra. Non hanno tutti i torti, in effetti, per lo meno se si pensa che lo stesso riflesso tridimensionale sul blu si poteva vedere in una delle due prime versioni tonde del simbolo di Ncd, fatta depositare da Angelino Alfano come marchio: la struttura dell'emblema, a ben guardare, è praticamente "a specchio", anche se naturalmente il tricolore era reso in modo molto diverso, vista la collocazione politica del tutto diversa dei due soggetti che si considerano in questo momento.
A pensarci bene, tuttavia, la somiglianza maggiore è con il simbolo del Movimento per le Destre unite, formazione nata nel 2014, con base soprattutto in Piemonte (doveva servire a sostenere la candidatura di Gilberto Pichetto a presidente della regione): era sorta dal percorso comune di La Destra, Fli e Destra sociale (cioè quelli che avevano abbandonato la Fiamma tricolore dopo essere stati messi in minoranza sulla loro idea di ridare vita ad An con Storace e altri) e poi era diventata un movimento a sé, presente a livello elettorale in più realtà locali. Anche le "nuove pennellate" ricordano la fiamma simil-Front National di Destre unite: "Be, dire 'ricordano' è riduttivo - spiega Massimiliano Panero, principale artefice di quel progetto politico - questo simbolo chiaramente riconduce al nostro, regolarmente pubblicato assieme al nostro statuto in Gazzetta Ufficiale! Ma forse è un segnale fattuale di un'ipotesi di avvicinamento del Polo Sovranista al progetto lanciato dal Movimento per le Destre Unite". Chissà se Panero ha ragione ... e chissà se qualcuno se n'era accorto!

martedì 7 giugno 2016

Simboli sotto i mille: Piemonte (di Massimo Bosso)

L'articolo che segue, che inizia ad affrontare il tema delle liste presentate nei comuni al di sotto dei mille abitanti (dunque, come si è visto più volte, senza necessità di presentare firme) è stato scritto da Massimo Bosso: con lui - che è stato responsabile elettorale di un partito nazionale - ho avuto il piacere di condividere la relazione presentata al seminario della Società italiana di studi elettorali del 2015 (Piccolo è bello? A caccia di consiglieri senza firme, sotto i mille abitanti). L'argomento era affine e la ricerca di base era tutta sua: gli sono grato di averla voluta proseguire quest'anno. 

In Piemonte c'è un altissimo numero di comuni con meno di mille abitanti, alcuni anche con meno di cento: anche per questo motivo, nella "regione subalpina" storicamente vengono presentate molte liste che si possono considerare, in un modo o nell'altro, "esterne".
Qui corrono, come vedremo, anche partiti nazionali, come ad esempio Fratelli d'Italia: il partito di Giorgia Meloni si ritrova ad Entracque (Cn), Rosazza (Bi) e a Quinto Vercellese (qui il simbolo è quello di una lista civica, Alleanza per Quinto, ma il candidato sindaco era il segretario della sezione Fdi di Vercelli...). Se ad Entracque non supera i 14 voti (2,7%) e non riesce a sottrarre seggi alle due liste civiche di paese, va decisamente meglio a Quinto, anche grazie alla presenza di una sola lista locale: con 40 voti (17,54%) arrivano tre seggi, cioè tutti quelli di minoranza, assicurati dalla legge. Va ancora meglio a Rosazza (118 elettori - 79 votanti): lì Francesca Del Mastro Delle Vedove, figlia d'arte - il padre Sandro è stato deputato di An - dopo avere già sfiorato la vittoria due anni fa, questa volta diventa sindaco (o sindaca, come direbbe qualcuno...) con il 77,46%, pari a 55 voti e portando tra gli eletti - a quanto pare - anche l'ex europarlamentare Carlo Fidanza.
Sempre nel biellese troviamo le uniche liste presentate da Destre Unite, cartello nato per le elezioni regionali del 2014 - univa La Destra e il gruppo fuoriuscito dalla Fiamma Tricolore, poi organizzatosi in Destra sociale - e trasformato dal torinese Massimiliano Max Panero in partito nazionale (sempre in quell'anno, del resto, il simbolo venne depositato anche al Viminale per le elezioni europee): a Dorzano, grazie alla sola concorrenza della lista civica Campanile, prende il 14,44% (38 voti) e ottiene 3 seggi. Niente da fare invece nella splendida Campiglia Cervo, in cui le liste di paese sono due: 11 voti (3,45%) non bastano, così non arriva neanche un seggio.
Ci prova anche Difesa Sociale a Castelletto Cervo, ma la lotta tra le due liste civiche presenti è troppo tirata: il gruppo di destra biellese, che annovera alcuni fuoriusciti da Destre Unite tra le proprie fila, ottiene così solo 17 voti (3,39%).
Passando nel cuneese, la provincia granda, troviamo a Barbaresco la Lista dei Grilli Parlanti. L'emblema ovviamente è già noto dal 2008 - comprese le oscillazioni tra Grillo e Grilli - e chi era il candidato sindaco? Franco Grillo! Proprio lui ha centrato l'elezione e sono entrati altri due consiglieri - compreso, a quanto pare, il candidato sindaco a Torino Gianluca Noccetti - grazie al 4,54% (15 voti) ottenuti contro l'unica altra lista presente, quella che nel simbolo aveva il bicchiere di barbaresco. 
Sempre in provincia di Cuneo si presenta, a Melle, Rinnovamento di Destra, prende 18 voti (9,57%) ed elegge in consiglio il solo candidato sindaco, visto che l'altra lista di minoranza - la lista civica con la campana - ottiene comunque 21 voti; curiosamente il candidato sindaco di quest'ultima ha lo stesso cognome del sindaco uscente e rieletto, Fina...
In provincia di Torino troviamo il simbolo di Rivoluzione Cristiana, a Lemie: milioni di italiani lo hanno trovato sulle schede, in primis a Roma, mentre lì per soli 5 voti ha mancato la vittoria (68 per gli indipendenti, 64 per il partito di Rotondi), un terza lista (Innovazione e Sviluppo) raccoglie solo 2 preferenze. 
A Massello (ben 62 elettori per 41 – diconsi quarantuno – votanti), invece, si sono presentate ben 4 liste, due civiche di paese - Montagna viva, poi risultata vincitrice, e Per Massello - una della Lega Nord (!!??) e un'improbabile Massello Rinasci...: abbastanza scontato che il tabellino finale, per le ultime due formazioni dica "0 voti" per entrambe. A Oncino, in compenso, Tradizione e innovazione con trasparenza raccoglie solo 2 voti, pari al 2,53%, senza riuscire a difendere i due consiglieri che aveva ottenuto nella precedente consiliatura.
Spostandoci in provincia di Novara, troviamo il Movimento Nazionalista e Socialista dei Lavoratori - Nsab: in effetti non è una novità, visto che da anni prova a conquistare seggi e visibilità nei piccoli centri di questa zona. A volte c'è pure riuscito, in questa tornata no: un solo voto a Casaleggio Novara (0,19%), 11 (2,82%) a Sorisio. 
Sempre a Casaleggio (772 elettori – 533 votanti) le liste sono addirittura 4, compresa quella di Nsab. Se la formazione "di paese" - Insieme per Casaleggio - prende il 92,44%, ci sono anche i Pensionati e invalidi - Giovani insieme, già presenti nel 2011, che riconfermano i 3 seggi di minoranza con il 6%; chiude l'elenco una misteriosa Sezione Civica per il progresso che ottiene solo 7 voti (1,35%) e resta fuori. I Pensionati e invalidi etc etc si presentano pure a Nibbiola, ma lì le liste locali sono due: 6 voti (1,14%) sono ben magro bottino.

mercoledì 9 aprile 2014

Simboli per le europee: scudi crociati? No, bocciati

A mezzogiorno è arrivato il verdetto dal Ministero dell’Interno (agli interessati: i giornalisti hanno dovuto aspettare ore). Poche bocciature (almeno come numero, in proporzione era pur sempre il 12.5%), ma ben mirate. Dei 64 simboli effettivamente presentati per le elezioni europee, la Direzione centrale per i servizi elettorali ne ha provvisoriamente cassati 8, invitando i depositanti a sostituirli entro 48 ore (oppure, se sono convinti di avere ragione, a impugnare la decisione davanti all’Ufficio elettorale nazionale).
Grande e inevitabile vittima dell’esame del ministero è stato lo scudo crociato: se ne contavano cinque o sei ed era chiaro fin dall’inizio che almeno quattro sarebbero stati bocciati. Stando alle regole vigenti, che danno tutela ai partiti rappresentati in Parlamento, non poteva che essere risparmiato lo scudo dell’Udc, inserito nell’emblema composito con il Nuovo centrodestra.Non stupisce dunque che i primi esclusi siano stati gli scudi – con bordo arcuato, del tutto identici tra loro – delle due Democrazie cristiane, quella rappresentata da Angelo Sandri (anche se si è messa in fila 16 posizioni prima dello scudo vincitore) e quella, depositata in extremis dal combattivissimo Leo Pellegrino, in qualità di iscritto al partito dal 1975 (egli è anche membro del comitato di iscritti guidato da Raffaele Lisi ed Emilio Cugliari, ma non è con questa qualità che ha presentato il segno).
Per il Viminale poco importa che varie pronunce (ormai divenute definitive) abbiano messo in dubbio i passaggi che hanno portato dalla Dc al Partito popolare italiano e gli accordi che hanno attribuito al Cdu di Buttiglione lo scudo crociato nel 1995: la tutela ai partiti presenti in Parlamento, come disciplina speciale, prevale e quindi salva comunque l’Udc.
“I giudici hanno sentenziato che la Dc non è stata sciolta, questo significa che la Dc c’è ancora e il simbolo, come il patrimonio, deve tornare alla Dc – ci spiega Pellegrino – perché tutti questi che sono venuti nel frattempo e si dichiarano tutti cristiani non l’hanno restituito? Quanto al Ministero, continua a interpretare e applicare a piacimento il testo unico delle elezioni della Camera: come si fa a dire che l’Udc ha usato tradizionalmente lo scudo crociato, quando il vero uso tradizionale è quello della Dc?“. Per tutte queste ragioni, Pellegrino si opporrà alla decisione del Ministero, affidandosi all’Ufficio elettorale nazionale.
Bocciato per lo stesso motivo lo scudo stiracchiato e deformato del Cdu rimesso in pista da Mario Tassone. I Popolari italiani per l’Europa dell’europarlamentare uscente Peppino Gargani hanno invece passato l’esame: il loro scudo crociato appena sfumato può restare. Anche lo scudo con croce sfumata del Ppi, fatto depositare per precauzione da Pierluigi Castagnetti, è stato considerato ammissibile, essendo sempre stato il simbolo dei Popolari dl 1995.
Si fa poi notare l’ennesima bocciatura del Grillo parlante di Renzo Rabellino: nel 2008 non andava bene la scritta “Grillo” enorme con “parlante” piccola e leggerissima, per cui si dovette parlare di “Grilli parlanti”; l’anno scorso la dicitura al plurale ma con “Grilli” enormi era stata comunque bocciata, dovendo ingrandire di molto la seconda parola. Stavolta “Parlante” era ancora più grande, ma quel “Grillo” continua a non andare bene, anche se Rabellino è pronto da sempre a schierare in lista il “suo” Beppe Grillo, nato a Bra e non a Genova. Nel gruppo di Rabellino però è stata curiosamente bocciata anche Lega Padana, che l’anno scorso era stata ammessa esattamente con lo stesso segno.
Bocciata anche la fiamma tricolore delle Destre unite, per confondibilità con la fiamma (molto più piccola e dalla forma diversa) di An nel simbolo di Fratelli d’Italia. Non c’era l’intenzione di usare quell’emblema, ma certamente l’esclusione è arrivata inattesa per il depositante Massimiliano Panero.
“Una bocciatura del tutto inspiegabile – ci ha detto Panero – tanti altri simboli, specie con le falci e i martelli, sono simili tra loro e sono sopravvissuti, mentre è stato bocciato il nostro. Non avevamo dichiarato il nostro disegno come fiamma e, in ogni caso, la forma era ispirata a quella di Le Pen, non a quella usata da Fratelli d’Italia: mi domando cosa sarebbe accaduto se si fosse presentata anche la Fiamma tricolore”. Non ha ancora deciso se sostituire il contrassegno o fare opposizione: deciderà in queste ore.
Al momento sono stati bocciati anche i simboli del Movimento sociale per l’Europa e quello senza dubbio più chiacchierato, Forza Juve Bunga Bunga. Non è ancora chiaro cosa abbia provocato la ricusazione: domani se ne saprà qualcosa di più.
Da segnalare, poi, i cosiddetti contrassegni “senza effetti”: quelli cioè che non possono proseguire il loro cammino non perché violino qualche regola, ma perché la documentazione presentata era incompleta (ad esempio perché mancava il programma o l’indicazione dei delegati per il deposito delle liste). Di solito questo è il sistema adottato dai partiti ormai cessati che non vogliono partecipare alle elezioni, ma vogliono comunque poter contestare simboli troppo simili al loro. A questo giro è accaduto con Rifondazione comunista, i Comunisti italiani, il Partito delle Aziende e il Fronte dell’Uomo Qualunque.

Tratto e rielaborato dal pezzo scritto per Termometro Politico

sabato 22 marzo 2014

La fiamma delle Destre unite: Italia-Francia, andata e ritorno

Si era sostanzialmente fermato, il progetto del Movimento per Alleanza nazionale, dopo che la Fondazione An aveva detto che il simbolo dell'evoluzione del Movimento sociale italiano non potevano prenderselo Storace, la Poli Bortone e altri, ma soprattutto dopo che l'assemblea della stessa fondazione aveva attribuito l'uso dell'emblema - per quest'anno - a Fratelli d'Italia. Si era fermato, ma non era andato nel dimenticatoio: a destra c'è voglia di unità, almeno tra alcune forze, così la via che si era arrestata a novembre è stata silenziosamente proseguita e darà i suoi primi frutti in Piemonte.
Proprio oggi, infatti, è stato presentato l'emblema di un nuovo rassemblement, per ora solo elettorale, che in previsione del rinnovo del consiglio regionale del Piemonte - a causa della rinnovazione delle elezioni decisa dal Tar e dal Consiglio di Stato - vede schierati insieme La Destra, Futuro e libertà per l'Italia e la Destra sociale (ossia l'ampio gruppo di fuoriusciti dalla Fiamma tricolore, a partire dall'ex segretario Luca Romagnoli) sosterrà la candidatura unitaria di Gilberto Pichetto Frattin. A presentare l'emblema, in prima persona Francesco Storace, Adriana Poli Bortone di Io Sud (altra artefice dell'ex Movimento per An), Roberto Menia per Fli e lo stesso Romagnoli: non c'è ovviamente Fratelli d'Italia, che continua un progetto autonomo con la "pulce" di An sul fondo del contrassegno.
L'emblema recupera una fiamma coi colori italiani, però non è quella storica del Msi, né la stilizzazione inventata nel 2001-2002 per la Fiamma tricolore: è piuttosto la versione italica della nuova fiamma del Front National di Le Pen. C'è anche una spruzzata di centrodestra nel simbolo: in fondo, la dicitura "Destre unite", contenuta per metà all'interno di un quadrato color carta da zucchero, un po' il verso al Nuovo centrodestra di Alfano lo fa. 
La parte più interessante però è proprio la fiamma, perché di fatto chiude un cerchio o, se si preferisce, un viaggio andata e ritorno. Già, perché dall'inizio il Front aveva adottato la versione bleu della fiamma di Almirante, copiandone anche la forma; dagli anni 2000 però l'emblema in uso in Francia è una rivisitazione di quel tema a modo suo, con una fiamma meno "dentata" e più fluida. A distanza di oltre quarant'anni, l'emblema riattraversa le Alpi e sembra pronto per una nuova vita. A patto che gli elettori di destra, ovviamente, se ne accorgano.