Oggi, un quarto di secolo fa, nelle intenzioni dei dirigenti della Democrazia cristiana il nome storico varato nel 1943 sarebbe dovuto finire in soffitta, per sottrarlo a nuovi schizzi di fango. Il 29 gennaio 1994, infatti, si riunì - presso il Centro studi Alcide De Gasperi alla Camilluccia - il consiglio nazionale della Dc, presieduto da Rosa Jervolino Russo: l'ultimo, che avrebbe dovuto eseguire il deliberato dell'assemblea del Partito popolare italiano, svoltasi il 18 gennaio (e sostituire il segretario amministrativo dimissionario, Emilio Rubbi, con Alessandro Duce). Nell'ordine del giorno approvato all'unanimità dei presenti, c'era pure il cambio di denominazione in Partito popolare italiano, nonché la previsione di un nuovo congresso per il mese di maggio: si sarebbe svolto a luglio, ma non si votò mai il cambio di nome in un'assise congressuale, con tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate.
Nel corso degli anni, ormai è cosa nota, ci avrebbero provato in tanti a tenere viva la fiamma della Dc, possibilmente nel tentativo di presentare candidature, anche solo a livello locale: si sono succeduti i nomi di Andreino Carrara, Angelo Larussa, Flaminio Piccoli, Clelio Darida, Pellegrino Leo, Alessandro Duce, Carlo Senaldi, Angelo Sandri, Giuseppe Pizza, Raffaele Lisi, Gianni Fontana, Raffaele Cerenza, Renato Grassi e molti altri, ma non tutte le storie hanno avuto lo stesso rilievo. Una delle più singolari e meno raccontate è legata al nome di Graziano Crepaldi, classe 1934, nato in provincia di Reggio Calabria ma da tempo radicato in Liguria: proprio lì lui, "agente d'affari e pubblicista", volle far nascere un pezzo di Democrazia cristiana.
Il 23 agosto 2000, infatti, presso il notaio Valentino Elpidio di Alassio, Crepaldi e altre tredici persone costituirono il partito Nuova Democrazia cristiana ligure, con sede a Genova. Una formazione politica che aveva la sua ragion d'essere regionale all'interno del nome: nello statuto il partito si definiva "democratico, autonomista e federalista" e definiva come suo obiettivo principale "la tutela del territorio Ligure, del suo Popolo, della sua cultura, della sua lingua e delle sue antiche tradizioni"; in quel territorio, il partito aveva "piena totale autonomia" e toccava agli iscritti ogni decisione su eventuali alleanze e convergenze politico-elettorali. Nonostante questo, il partito aveva velleità nazionali: sempre lo statuto precisava che l'iscrizione era aperta a "tutti i cittadini italiani", pagando 30mila lire; a livello più generale, il partito voleva operare "di comune accordo con tutte le forze federaliste ed autonomiste europee nel rispetto della diversità e delle specifiche esigenze di ciascun popolo" (magari con un patto federativo tra partiti federalisti europei) per l'affermazione dell'Europa dei popoli, andando oltre l'unione monetaria.
Nello statuto c'era un'altra indicazione di rilievo: tra le "finalità", all'articolo 10, si legge che il partito "è parte integrante, a tutti gli effetti, del Partito democratico cristiano", vale a dire il soggetto politico - con sede in piazza del Gesù, proprio a Palazzo Cenci Bolognetti - fondato all'inizio del 2000 da Flaminio Piccoli (che però nel frattempo era morto, l'11 aprile, oltre quattro mesi prima della costituzione della Nuova Dc Ligure) per essere in condizione di agire politicamente, senza rischiare nuovi attacchi da Ppi e Cdu per l'uso del nome e del simbolo della Dc. Il partito, nel frattempo, era passato nelle mani di Alfredo Vito, che nel 2001 sarebbe stato eletto alla Camera sotto il simbolo di Forza Italia.
Il legame con il partito fondato da Piccoli emergeva anche dalla costruzione grafica del simbolo: il nome scritto con la font Twentieth Century, con le iniziali D e C più grandi ed evidenziate in rosso (che caso...) e il motto "Difendi la tua libertà" erano mutuati dall'emblema del Pdc, come pure le stelle d'Europa, che nel simbolo di Crepaldi invece erano disposte ad arco su una corona blu; lo scudo, a differenza del simbolo di Piccoli, conteneva la croce rossa.
Il simbolo del partito era l'elemento più visibile, anche per ragioni concrete: "Noi ci riteniamo parte integrante della Democrazia cristiana originale, quella del 1943, mai sciolta - ricorda ora Crepaldi - per cui a ogni elezione locale cui ci siamo presentati abbiamo sempre depositato per primo il simbolo storico con lo scudo crociato. Quasi sempre però quell'emblema ci veniva inibito, magari su istanza del Cdu prima e dell'Udc poi: a quel punto, avendo solo qualche manciata di ore per sostituire il contrassegno, tiravo fuori quello del partito che avevo fondato e a quel punto non c'erano più problemi". Per stare più tranquillo, nell'eventualità che per le commissioni elettorali anche il suo simbolo fosse stato troppo confondibile con quello del Cdu o dell'Udc per a causa dello scudo, Crepaldi aveva fatto preparare anche un simbolo sostitutivo, anch'esso allegato allo statuto: su tutto, spiccava la diversa forma dello scudo, tipica degli stemmi comunali.
Il partito presieduto da Crepaldi non è mai stato sciolto, dunque è ancora in grado di presentare il proprio simbolo alle elezioni, a livello locale ("stiamo valutando se partecipare alle elezioni di Sanremo") ma volendo anche nazionale, magari sostituendo la parola "ligure" con "autonomista federalista". Nelle varie campagne elettorali cui ha partecipato, Crepaldi ha cercato di contribuire alle forze di centrodestra, magari con una lista all'interno della coalizione. A livello nazionale, tuttavia, il suo gruppo partecipa al progetto di riattivazione della Democrazia cristiana attualmente guidato da Renato Grassi: il 26 febbraio 2017, all'Ergife di Roma, tra le persone presenti all'assemblea disposta dal Tribunale di Roma (che aveva eletto come presidente Gianni Fontana) c'era anche Crepaldi, fiero di mostrare il suo simbolo a chi non lo conosceva, come segno di una battaglia combattuta con convinzione, senza stancarsi.