In questo fine settimana, dal 5 al 7 luglio, si terrà il 41° congresso del Partito radicale nonviolento transnazionale transpartito, il secondo che si svolgerà senza la presenza in vita di Marco Pannella. Varie questioni saranno al centro delle discussioni, a partire dal futuro di Radio Radicale, ma certamente si dovrà discutere del futuro del partito, delle azioni da mettere in campo a livello nazionale e sovranazionale. Ognuna di queste discussioni non può prescindere dalla storia radicale, lunga, complessa (nel senso di ricca e non lineare) e che merita di essere conosciuta meglio, anche attraverso fotogrammi in grado di fermarne alcuni momenti fondanti. In questo senso, appare decisamente rilevante il contributo di Andrea Maori, archivista e ricercatore indipendente (con particolare interesse per la storia politica contemporanea), che da oltre vent'anni collabora con l'archivio di Radio Radicale: lui ha da pochi mesi pubblicato - per i tipi di Globalpress edizioni - il libro Partito Radicale. Immagini per una storia 1955-1990. Il titolo stesso contiene una chiave di lettura: non è una "storia per immagini", come se queste potessero esaurirla, ma sono "immagini per una storia", cioè scatti al servizio di una narrazione più ampia, di cui si vogliono fornire alcuni momenti notevoli, lasciando però al lettore la possibilità di integrare, informarsi, approfondire.
Scatti da scegliere
Lo stesso Maori spiega, nella sua premessa al volume, il senso di questo volume che cerca di dare conto delle tappe di un "viaggio, iniziato più di sessant'anni fa, come una nave corsara che attraversa l’oceano tempestoso della società italiana". Se la Rete brulica di foto legate all'attività del Partito radicale e di Marco Pannella, è impossibile trovarvi "il filo di una narrazione", spesso non hanno data o autore, senza nulla togliere alla passione di chi le ha rese disponibili. Il libro, dunque, è frutto, oltre che della raccolta e scelta del materiale disponibile online, della ricerca dell'autore tra gli archivi "di movimenti e di personalità, soprattutto del Partito Radicale agli esordi", oltre che tra i ricordi personali di vari attivisti e tra i patrimoni delle associazioni radicali locali.
La scelta, per ricostruire quella narrazione completa e fluida prima non esistente, è stata dettata da criteri precisi: "In prima battuta - spiega l'autore - ho scelto foto con data e luogo certo, poi quelle che mi hanno suscitato un’agitazione interiore, che mi hanno animato. In genere sono immagini che esprimono un forte messaggio politico ma nel contempo un senso di umanità e di coralità in cui l’individuo non è 'massa' ma è valorizzato per la sua singolarità". Non importa che si tratti di un leader, di un dirigente, di un militante noto, di un gruppo di "tavolinari" delle raccolte firme o di uno qualunque dei "radicali anonimi", cioè "persone che hanno vissuto la propria attività come volontariato politico, spesso isolate, ma con grande spessore di idee e determinazione": conta soprattutto che quelle immagini siano in grado di esaltare "il linguaggio che esprime il dimostrante che può essere dirompente se ripreso, fotografato e (persino!) pubblicato in qualche giornale".
Le stesse scritte - sui cartelli, sugli striscioni o io ciò che sta intorno - sono diventate un elemento chiave per la scelta delle immagini: l'autore le ha selezionate "perché attraverso di loro si potesse cogliere nell'immediato il contesto in cui lo scatto è stato fatto, il linguaggio scritto e particolari che potrebbero essere definiti biografici delle persone catturate dalla macchina fotografica (per esempio gli abiti o il cambiamento nel volto dei personaggi ripresi più volte nel corso degli anni)". Non mancano manifesti, estratti da giornali o documenti di pubblica sicurezza per completare la narrazione con ciò che quelle immagini non hanno colto o non potevano cogliere.
Si parte dall'inizio della storia, datato 9 dicembre 1955, con la decisione della sinistra del Partito liberale italiano di abbandonare il Pli e dare vita a una conferenza‒dibattito del nascente Partito Radicale dei liberali e democratici italiani, fondato ufficialmente due giorni dopo al cinema Cola di Rienzo a Roma. Tra i protagonisti di quei giorni, Bruno Villabruna, Nicolò Carandini, Mario Pannunzio, Leopoldo Piccardi, Leo Valiani, ma anche Leone Cattani e Mario Paggi, impegnati come gli altri contro l'occupazione clericale del Paese, i privilegi, i monopoli e le concentrazioni di imprese. Subito dopo arrivano - dal Mondo di Pannunzio - figure del livello di Ernesto Rossi, Eugenio Scalfari e Guido Calogero, ma anche di Marco Pannella, approdato nel partito nel gennaio 1956 dalla Giovane sinistra liberale.
Il 1956 è anche l'anno della prima partecipazione elettorale alle amministrative (in 18 capoluoghi, con un bottino di 12 consiglieri e un 1,2% ottenuto a Roma), mentre alle politiche il debutto arriva due anni dopo, in una lista condivisa con il Partito repubblicano italiano, "il più giovane e il più antico fra i partiti democratici", come si legge sul materiale di propaganda; il risultato però è deludente e senza alcun eletto radicale, sebbene i risultati migliori siano arrivati proprio dove i radicali sono più forti). Il primo congresso si celebra nel 1959, ma non tardano nemmeno i primi contrasti seri, soprattutto tra ex liberali ed ex azionisti (ma il libro è molto più preciso), sulla linea che il partito avrebbe dovuto tenere: la prima scissione di rilievo (Rossi, Villabruna e Piccardi) si consuma nell'ultima parte del 1962, anche se poco dopo nasce Agenzia Radicale, uno degli strumenti più importanti per diffondere le idee e le campagne del partito (a partire da quelle contro il riarmo nucleare sotto l'egida della Nato e per il riconoscimento del diritto all'obiezione di coscienza al servizio militare).
Le grandi battaglie che impegneranno il partito negli anni a venire sono anticipate dalla costituzione della Lega per l'istituzione del divorzio nel 1966 (con Pannella segretario), ma nella storia radicale è un punto di svolta fondamentale il terzo congresso, svoltosi a Bologna dal 12 al 14 maggio 1967: lì si rifonda del tutto il partito, con un corpo dirigente quasi del tutto rinnovato rispetto alle origini e soprattutto un nuovo statuto (la base di quello attualmente in vigore), che prevede una struttura federale, l'assenza di disciplina di partito o di sanzioni, la sostanziale possibilità della "doppia tessera" (di fatto adottata come prassi dal 1972), i congressi a cadenza annuale, l'autofinanziamento da parte dei militanti.
La storia prosegue con Pannella e figure quali Gianfranco Spadaccia, Angiolo Bandinelli, Roberto Cicciomessere, Adele Faccio, Mauro Mellini, Massimo Teodori e molti altri, impegnate soprattutto nella battaglia a favore del divorzio e del controllo delle nascite, in quelle antimilitariste (assieme a Pietro Pinna e altri) e per l'abrogazione del Concordato, attuate anche attraverso lo strumento dello sciopero della fame. A queste si affianca, all'inizio degli anni '70, lo sforzo per ampliare la base del partito (e le sue risorse, umane ed economiche) per garantirne la sopravvivenza.
Arriva anche il tempo delle battaglie referendarie, che si apre nel 1974 con gli "8 referendum contro il regime" (anche se quella raccolta firme non riesce e si devono fare i conti tanto con i pochi e sbilanciati spazi informativi concessi da media quanto - a partire dal 1978 - con i limiti all'iniziativa posti dalla Corte costituzionale) e con la vittoria del fronte del No alla consultazione sul divorzio, alla quale i radicali hanno dato un contributo determinante; nel frattempo erano arrivate il Movimento di liberazione della donna, la Lega obiettori di coscienza, il Centro informazione sterilizzazione e aborto, il Fronte unitario omosessuali rivoluzionario italiano - Fuori!, identificando alcuni dei fronti principali di impegno per il futuro.
A cavallo tra gli anni '70 e '80 ci si mobilita soprattutto contro la criminalizzazione dell'aborto (con il referendum sulle disposizioni penali, avversando anche la legge n. 194/1978, ritenuta insufficiente, e proponendo un'abrogazione parziale per via referendaria della nuova normativa, bocciata dagli elettori come pure il quesito totalmente abrogativo del Movimento per la vita), contro lo stermino per fame e per la "legalizzazione" delle droghe leggere. Il tutto nel tentativo di trovare spazio sui media, non proprio pronti a dare uguale spazio a tutte le tesi.
Il 1976 è però soprattutto l'anno dell'approdo alla Camera dei primi quattro eletti del Partito radicale (Emma Bonino, Adele Faccio, Mauro Mellini e Marco Pannella), una "pattuglia radicale" che avrebbe fatto sentire a lungo la sua presenza, anche nell'applicazione e innovazione dei regolamenti parlamentari. Con il passare degli anni le battaglie, radicalmente provocatorie ma mai gratuite o immotivate, hanno anche i volti - tra gli altri, e accanto a quelli già visti, nonché a Sergio Stanzani, Paolo Vigevano, - di Toni Negri, Enzo Tortora (per la giustizia giusta), Domenico Modugno o Ilona Staller.
Nuove sfide, tuttavia, attendono il Partito radicale: non solo quelle del numero degli iscritti da raggiungere per garantire l'agibilità politica, ma l'attenzione per un nuovo sistema elettorale (di stampo maggioritario), per un'Europa davvero federalista, ma soprattutto la necessità di un partito di dimensione e sguardo non più solo nazionale. A sancire il passaggio fondamentale è un altro congresso, celebrato sempre a Bologna, stavolta dal 2 al 6 gennaio 1988: qui il partito rinuncia a partecipare "in quanto tale e con il proprio simbolo" alle competizioni elettorali, trovando altre forme di azione politica. La storia raccontata per immagini nel libro, non a caso, si chiude poco dopo l'inizio di questa fase, cercando di dare conto per intero dei primi due periodi della vita del Partito radicale, lasciando che chi ne ha proseguito l'attività politica continui a dare corpo a quel viaggio, con altri sguardi, altri messaggi, ma la convinzione e la passione di sempre.
Unica eccezione è rappresentata dalle elezioni politiche del 1958, quando - lo si è ricordato - i radicali presentano liste comuni con il Pri: in quell'occasione la prevalenza simbolica è tutta per la foglia d'edera dei repubblicani, mentre i radicali si limitano ad apportare il loro nome all'interno del contrassegno; si è già detto anche come, nonostante la visibilità grafica quasi nulla, i militanti radicali risultino essere i maggiori artefici del - pur non soddisfacente - risultato ottenuto alle urne. Ciò, in ogni caso, non accadrà più: il Partito radicale, nei tre appuntamenti elettorali politici successivi (1963, 1968, 1972) depositerà sempre il contrassegno con la Marianna - limitandosi a cambiare lo stile e la posizione del proprio nome - anche quando non depositerà poi le liste. Una scelta identitaria, dunque, rafforzata anche dal congresso straordinario del 1967: lì si decide, infatti, di inserire nello statuto il riferimento alla "testa di donna con berretto frigio recante la dicitura Partito Radicale", descrivendo il simbolo con cui partecipare alle competizioni elettorali di ogni livello.
Dal 1976 l'immagine del partito cambia profondamente: sui manifesti, nelle scenografie dei congressi e degli eventi radicali, come sui materiali di propaganda e - ovviamente - sulle schede elettorali, non c'è più la Marianna, ma la rosa nel pugno, direttamente mutuata dall'esperienza dei socialisti francesi, che avevano adottato il segno negli anni precedenti (ma sul passaggio tra Francia e Italia converrà tornare in un altro articolo, con un po' più di calma). Un segno forte e delicato, di certo ben riconoscibile, anche dagli elettori che scelgono di essere in numero sufficiente a mandare in Parlamento i primi eletti radicali.
Per quello stesso simbolo, tra l'altro, non è inutile ricordare - e il libro giustamente dà conto anche di questo - che i militanti radicali arrivano letteralmente alle mani con quelli del Partito comunista italiano: in quel 1976 i radicali si presentano quasi ovunque nelle corti d'appello con settimane di anticipo per depositare per primi le liste, in modo da ottenere la prima posizione sulla scheda, scontrandosi inevitabilmente con i delegati al deposito del Pci, arrivati con un anticipo di pochi giorni ma ben determinati a difendere la loro posizione "in alto a sinistra". Da allora i radicali chiedono con forza il sorteggio dell'ordine dei simboli sulla scheda, presentando una proposta di legge dopo l'altra, ma soltanto nel 1990 riesco a ottenere questa modifica alla legge elettorale; nel frattempo a ogni consultazione si attrezzano con bivacchi e cartelli.
Il simbolo resta sostanzialmente identico fino alla sua dismissione e alla rinuncia alle competizioni elettorali (1988), ma il volume ripercorre anche un altro passaggio della storia, che fa seguito all'inserimento nel preambolo dello statuto del riferimento allo sterminio per fame e guerra: nel 1980, infatti, viene inserita una barra nera, per farlo apparire "abbrunato in segno di lutto", in segno di pietà verso le vittime e di protesta contro la sordità ottusa della classe politica. Così sui manifesti e sulle schede elettorali da quell'anno in poi - soprattutto agli appuntamenti di livello nazionale del 1983 (a dispetto dello "sciopero del voto"), 1984 e 1987 - il cerchietto con la rosa stretta nel pugno, ancora rigorosamente in bianco e nero come tutte le foto del libro, si riempie di quella banda che non può sfuggire allo sguardo anche dell'elettore più distratto. Che, se anche non vota radicale, un paio di domande dovrebbe farsele ugualmente.
Nel 1988, in coincidenza con la trasformazione del Partito radicale nel soggetto nonviolento transnazionale transpartito che è ora, si decide di cambiare il simbolo, adottando la rappresentazione di Gandhi formata dalla versione multilingue di "Partito radicale", realizzata dall'architetto Paolo Budassi: una delle ultime immagini del volume mostra quell'emblema ottagonale, ma riprende anche l'ultimo episodio "simbolico" rilevante di quel periodo, datato 1989. Alle elezioni europee di quell'anno, sulla spinta della mozione congressuale del 1988 (che, posta la scelta di non presentare più liste col simbolo radicale, consegnava ai militanti radicali "la responsabilità di perseguire con il massimo di iniziativa la promozione di nuovi soggetti politici riformatori e di aggregazioni politiche ed elettorali capaci di prefigurare una forza laica di alternativa che possa governare la trasformazione democratica delle istituzioni"), esponenti di spicco del partito scelgono di "disseminarsi" in quattro liste diverse: quella del Psdi, quella della Federazione laica Pli-Pri, quella dei Verdi Arcobaleno e quella degli Antiproibizionisti sulla droga, con un riferimento alla rosa concessa proprio dal Partito radicale.
La fotografia rappresenta un esempio eloquente di dove sia arrivata la "fantasia come necessità" (espressione pannelliana, rinvigorita da Alessandro Di Tizio) che ha caratterizzato tutti gli anni della vita del Partito radicale e che emerge bene - nella genialità e negli eccessi - anche da queste "immagini per una storia" proposte da Andrea Maori: meritavano di essere raccolte, ordinate, esplicate e viste una dopo l'altra. Per chi c'era, per chi si ritrova, per chi è arrivato dopo, per chi si è dimenticato (ma non è troppo tardi per recuperare).
Si ringrazia Andrea Maori per la collaborazione e la disponibilità. Tutte le immagini pubblicate, tratte dal libro, restano di proprietà dei rispettivi autori e titolari, non essendone autorizzata la diffusione.
Per acquistare copie del libro, ci si può rivolgere direttamente all'autore, scrivendo alla sua e-mail andreamaori(at)gmail.com.
Le stesse scritte - sui cartelli, sugli striscioni o io ciò che sta intorno - sono diventate un elemento chiave per la scelta delle immagini: l'autore le ha selezionate "perché attraverso di loro si potesse cogliere nell'immediato il contesto in cui lo scatto è stato fatto, il linguaggio scritto e particolari che potrebbero essere definiti biografici delle persone catturate dalla macchina fotografica (per esempio gli abiti o il cambiamento nel volto dei personaggi ripresi più volte nel corso degli anni)". Non mancano manifesti, estratti da giornali o documenti di pubblica sicurezza per completare la narrazione con ciò che quelle immagini non hanno colto o non potevano cogliere.
Una trama di parole e immagini
Fin dalle prime pagine emerge con nettezza la struttura del volume. Ogni capitolo copre uno o più anni (mai più di tre, per non avere un racconto troppo rarefatto) e si apre con una pagina di testo, per ricostruire il contesto politico in cui si inseriscono le vicende radicali; seguono poi fotografie e immagini con didascalie compilate con cura, inframezzate da descrizioni più lunghe, quando sono necessarie per contestualizzare meglio una foto o un altro documento.Si parte dall'inizio della storia, datato 9 dicembre 1955, con la decisione della sinistra del Partito liberale italiano di abbandonare il Pli e dare vita a una conferenza‒dibattito del nascente Partito Radicale dei liberali e democratici italiani, fondato ufficialmente due giorni dopo al cinema Cola di Rienzo a Roma. Tra i protagonisti di quei giorni, Bruno Villabruna, Nicolò Carandini, Mario Pannunzio, Leopoldo Piccardi, Leo Valiani, ma anche Leone Cattani e Mario Paggi, impegnati come gli altri contro l'occupazione clericale del Paese, i privilegi, i monopoli e le concentrazioni di imprese. Subito dopo arrivano - dal Mondo di Pannunzio - figure del livello di Ernesto Rossi, Eugenio Scalfari e Guido Calogero, ma anche di Marco Pannella, approdato nel partito nel gennaio 1956 dalla Giovane sinistra liberale.
Il 1956 è anche l'anno della prima partecipazione elettorale alle amministrative (in 18 capoluoghi, con un bottino di 12 consiglieri e un 1,2% ottenuto a Roma), mentre alle politiche il debutto arriva due anni dopo, in una lista condivisa con il Partito repubblicano italiano, "il più giovane e il più antico fra i partiti democratici", come si legge sul materiale di propaganda; il risultato però è deludente e senza alcun eletto radicale, sebbene i risultati migliori siano arrivati proprio dove i radicali sono più forti). Il primo congresso si celebra nel 1959, ma non tardano nemmeno i primi contrasti seri, soprattutto tra ex liberali ed ex azionisti (ma il libro è molto più preciso), sulla linea che il partito avrebbe dovuto tenere: la prima scissione di rilievo (Rossi, Villabruna e Piccardi) si consuma nell'ultima parte del 1962, anche se poco dopo nasce Agenzia Radicale, uno degli strumenti più importanti per diffondere le idee e le campagne del partito (a partire da quelle contro il riarmo nucleare sotto l'egida della Nato e per il riconoscimento del diritto all'obiezione di coscienza al servizio militare).
Le grandi battaglie che impegneranno il partito negli anni a venire sono anticipate dalla costituzione della Lega per l'istituzione del divorzio nel 1966 (con Pannella segretario), ma nella storia radicale è un punto di svolta fondamentale il terzo congresso, svoltosi a Bologna dal 12 al 14 maggio 1967: lì si rifonda del tutto il partito, con un corpo dirigente quasi del tutto rinnovato rispetto alle origini e soprattutto un nuovo statuto (la base di quello attualmente in vigore), che prevede una struttura federale, l'assenza di disciplina di partito o di sanzioni, la sostanziale possibilità della "doppia tessera" (di fatto adottata come prassi dal 1972), i congressi a cadenza annuale, l'autofinanziamento da parte dei militanti.
La storia prosegue con Pannella e figure quali Gianfranco Spadaccia, Angiolo Bandinelli, Roberto Cicciomessere, Adele Faccio, Mauro Mellini, Massimo Teodori e molti altri, impegnate soprattutto nella battaglia a favore del divorzio e del controllo delle nascite, in quelle antimilitariste (assieme a Pietro Pinna e altri) e per l'abrogazione del Concordato, attuate anche attraverso lo strumento dello sciopero della fame. A queste si affianca, all'inizio degli anni '70, lo sforzo per ampliare la base del partito (e le sue risorse, umane ed economiche) per garantirne la sopravvivenza.
Arriva anche il tempo delle battaglie referendarie, che si apre nel 1974 con gli "8 referendum contro il regime" (anche se quella raccolta firme non riesce e si devono fare i conti tanto con i pochi e sbilanciati spazi informativi concessi da media quanto - a partire dal 1978 - con i limiti all'iniziativa posti dalla Corte costituzionale) e con la vittoria del fronte del No alla consultazione sul divorzio, alla quale i radicali hanno dato un contributo determinante; nel frattempo erano arrivate il Movimento di liberazione della donna, la Lega obiettori di coscienza, il Centro informazione sterilizzazione e aborto, il Fronte unitario omosessuali rivoluzionario italiano - Fuori!, identificando alcuni dei fronti principali di impegno per il futuro.
A cavallo tra gli anni '70 e '80 ci si mobilita soprattutto contro la criminalizzazione dell'aborto (con il referendum sulle disposizioni penali, avversando anche la legge n. 194/1978, ritenuta insufficiente, e proponendo un'abrogazione parziale per via referendaria della nuova normativa, bocciata dagli elettori come pure il quesito totalmente abrogativo del Movimento per la vita), contro lo stermino per fame e per la "legalizzazione" delle droghe leggere. Il tutto nel tentativo di trovare spazio sui media, non proprio pronti a dare uguale spazio a tutte le tesi.
Il 1976 è però soprattutto l'anno dell'approdo alla Camera dei primi quattro eletti del Partito radicale (Emma Bonino, Adele Faccio, Mauro Mellini e Marco Pannella), una "pattuglia radicale" che avrebbe fatto sentire a lungo la sua presenza, anche nell'applicazione e innovazione dei regolamenti parlamentari. Con il passare degli anni le battaglie, radicalmente provocatorie ma mai gratuite o immotivate, hanno anche i volti - tra gli altri, e accanto a quelli già visti, nonché a Sergio Stanzani, Paolo Vigevano, - di Toni Negri, Enzo Tortora (per la giustizia giusta), Domenico Modugno o Ilona Staller.
Nuove sfide, tuttavia, attendono il Partito radicale: non solo quelle del numero degli iscritti da raggiungere per garantire l'agibilità politica, ma l'attenzione per un nuovo sistema elettorale (di stampo maggioritario), per un'Europa davvero federalista, ma soprattutto la necessità di un partito di dimensione e sguardo non più solo nazionale. A sancire il passaggio fondamentale è un altro congresso, celebrato sempre a Bologna, stavolta dal 2 al 6 gennaio 1988: qui il partito rinuncia a partecipare "in quanto tale e con il proprio simbolo" alle competizioni elettorali, trovando altre forme di azione politica. La storia raccontata per immagini nel libro, non a caso, si chiude poco dopo l'inizio di questa fase, cercando di dare conto per intero dei primi due periodi della vita del Partito radicale, lasciando che chi ne ha proseguito l'attività politica continui a dare corpo a quel viaggio, con altri sguardi, altri messaggi, ma la convinzione e la passione di sempre.
Un viaggio di simboli
In questo percorso di parole e immagini, è inevitabile che si compia anche un "cammino simbolico", nel senso che la carrellata di fotografie e manifesti dà conto anche del cambiamento dei simboli adottati dai radicali nel corso della parte di storia raccontata nel volume. Ed è inevitabile che il primo a essere ritratto sia la donna con il berretto frigio, identificata con la Marianna francese, che figura nel contrassegno usato alle elezioni amministrative del 1956 e che accompagnerà i primi vent'anni di vita del Partito radicale, anche al di fuori delle occasioni elettorali.Unica eccezione è rappresentata dalle elezioni politiche del 1958, quando - lo si è ricordato - i radicali presentano liste comuni con il Pri: in quell'occasione la prevalenza simbolica è tutta per la foglia d'edera dei repubblicani, mentre i radicali si limitano ad apportare il loro nome all'interno del contrassegno; si è già detto anche come, nonostante la visibilità grafica quasi nulla, i militanti radicali risultino essere i maggiori artefici del - pur non soddisfacente - risultato ottenuto alle urne. Ciò, in ogni caso, non accadrà più: il Partito radicale, nei tre appuntamenti elettorali politici successivi (1963, 1968, 1972) depositerà sempre il contrassegno con la Marianna - limitandosi a cambiare lo stile e la posizione del proprio nome - anche quando non depositerà poi le liste. Una scelta identitaria, dunque, rafforzata anche dal congresso straordinario del 1967: lì si decide, infatti, di inserire nello statuto il riferimento alla "testa di donna con berretto frigio recante la dicitura Partito Radicale", descrivendo il simbolo con cui partecipare alle competizioni elettorali di ogni livello.
Dal 1976 l'immagine del partito cambia profondamente: sui manifesti, nelle scenografie dei congressi e degli eventi radicali, come sui materiali di propaganda e - ovviamente - sulle schede elettorali, non c'è più la Marianna, ma la rosa nel pugno, direttamente mutuata dall'esperienza dei socialisti francesi, che avevano adottato il segno negli anni precedenti (ma sul passaggio tra Francia e Italia converrà tornare in un altro articolo, con un po' più di calma). Un segno forte e delicato, di certo ben riconoscibile, anche dagli elettori che scelgono di essere in numero sufficiente a mandare in Parlamento i primi eletti radicali.
Per quello stesso simbolo, tra l'altro, non è inutile ricordare - e il libro giustamente dà conto anche di questo - che i militanti radicali arrivano letteralmente alle mani con quelli del Partito comunista italiano: in quel 1976 i radicali si presentano quasi ovunque nelle corti d'appello con settimane di anticipo per depositare per primi le liste, in modo da ottenere la prima posizione sulla scheda, scontrandosi inevitabilmente con i delegati al deposito del Pci, arrivati con un anticipo di pochi giorni ma ben determinati a difendere la loro posizione "in alto a sinistra". Da allora i radicali chiedono con forza il sorteggio dell'ordine dei simboli sulla scheda, presentando una proposta di legge dopo l'altra, ma soltanto nel 1990 riesco a ottenere questa modifica alla legge elettorale; nel frattempo a ogni consultazione si attrezzano con bivacchi e cartelli.
Il simbolo resta sostanzialmente identico fino alla sua dismissione e alla rinuncia alle competizioni elettorali (1988), ma il volume ripercorre anche un altro passaggio della storia, che fa seguito all'inserimento nel preambolo dello statuto del riferimento allo sterminio per fame e guerra: nel 1980, infatti, viene inserita una barra nera, per farlo apparire "abbrunato in segno di lutto", in segno di pietà verso le vittime e di protesta contro la sordità ottusa della classe politica. Così sui manifesti e sulle schede elettorali da quell'anno in poi - soprattutto agli appuntamenti di livello nazionale del 1983 (a dispetto dello "sciopero del voto"), 1984 e 1987 - il cerchietto con la rosa stretta nel pugno, ancora rigorosamente in bianco e nero come tutte le foto del libro, si riempie di quella banda che non può sfuggire allo sguardo anche dell'elettore più distratto. Che, se anche non vota radicale, un paio di domande dovrebbe farsele ugualmente.
Nel 1988, in coincidenza con la trasformazione del Partito radicale nel soggetto nonviolento transnazionale transpartito che è ora, si decide di cambiare il simbolo, adottando la rappresentazione di Gandhi formata dalla versione multilingue di "Partito radicale", realizzata dall'architetto Paolo Budassi: una delle ultime immagini del volume mostra quell'emblema ottagonale, ma riprende anche l'ultimo episodio "simbolico" rilevante di quel periodo, datato 1989. Alle elezioni europee di quell'anno, sulla spinta della mozione congressuale del 1988 (che, posta la scelta di non presentare più liste col simbolo radicale, consegnava ai militanti radicali "la responsabilità di perseguire con il massimo di iniziativa la promozione di nuovi soggetti politici riformatori e di aggregazioni politiche ed elettorali capaci di prefigurare una forza laica di alternativa che possa governare la trasformazione democratica delle istituzioni"), esponenti di spicco del partito scelgono di "disseminarsi" in quattro liste diverse: quella del Psdi, quella della Federazione laica Pli-Pri, quella dei Verdi Arcobaleno e quella degli Antiproibizionisti sulla droga, con un riferimento alla rosa concessa proprio dal Partito radicale.
La fotografia rappresenta un esempio eloquente di dove sia arrivata la "fantasia come necessità" (espressione pannelliana, rinvigorita da Alessandro Di Tizio) che ha caratterizzato tutti gli anni della vita del Partito radicale e che emerge bene - nella genialità e negli eccessi - anche da queste "immagini per una storia" proposte da Andrea Maori: meritavano di essere raccolte, ordinate, esplicate e viste una dopo l'altra. Per chi c'era, per chi si ritrova, per chi è arrivato dopo, per chi si è dimenticato (ma non è troppo tardi per recuperare).
Si ringrazia Andrea Maori per la collaborazione e la disponibilità. Tutte le immagini pubblicate, tratte dal libro, restano di proprietà dei rispettivi autori e titolari, non essendone autorizzata la diffusione.
Per acquistare copie del libro, ci si può rivolgere direttamente all'autore, scrivendo alla sua e-mail andreamaori(at)gmail.com.
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