venerdì 19 luglio 2019

Scudo crociato, botta e risposta infinito

Chi è abituato a frequentare questo sito se n'è probabilmente accorto: poche vicende sono in grado di autogenerare nuove puntate come quella legata allo scudo crociato e, più in generale, alla Democrazia cristiana. Gli ultimi due episodi, curiosamente contemporanei essendo datati entrambi 12 luglio 2019 (vale a dire lo scioglimento del Cdu e il varo della Fondazione Democrazia cristiana, da una parte, e la sentenza di Cassazione che ha messo fine a una delle tante liti giudiziarie sorte nel corso degli ultimi anni, dall'altra) sono state al centro di un botta e risposta tra due personaggi di primo piano di quell'area  - entrambi membri dell'attuale Parlamento - e c'è da giurare che non sarà l'ultimo.
Tutto è iniziato con una videointervista che Alfonso Raimo dell'agenzia Dire ha registrato ieri con Antonio De Poli, senatore dell'Udc, a margine di un'assemblea del partito. Nel ricordare che quello alle spalle del politico era "un simbolo storico", il giornalista ha detto che si era recentemente appreso che "sarebbe stato consegnato a una fondazione e quindi che uscirebbe di scena dalla politica", chiedendo a De Poli se fosse effettivamente così. De Poli, ovviamente non si è fatto pregare: 
Mah, alle fake news ormai siamo abituati tutti i giorni: assolutamente no. Lo scudo crociato è chiaramente in uso all'Udc. Appena due giorni fa la Corte di Cassazione ha ribadito questo aspetto, per cui noi siamo molto tranquilli. Dopo di che lasciamo che gli amici facciano la loro parte rispetto ai percorsi. Ma nella realtà dei fatti lo scudo crociato è in utilizzo all'Udc.
La dichiarazione è stata diffusa con un cappello ben preciso: "Lo scudo crociato non va in soffitta. E non viene consegnato alla Fondazione Sullo, come annunciato da Gianfranco Rotondi e Rocco Buttiglione, meno di una settimana fa", con le parole di De Poli presentate come una contestazione di quanto detto da Rotondi.
Tanto è bastato perché Rotondi replicasse:
Stupisce che il senatore De Poli colleghi il simbolo dell'Udc - che comprende lo scudo crociato, e viene legittimamente usato - alla decisione mia e di Buttiglione di consegnare alla fondazione Fiorentino Sullo i simboli dei nostri movimenti, ossia il Cdu fondato nel 1995 e la Dc del 2004. Cosa c'entri il simbolo dell'Udc non è chiaro. Ci sono altri 67 partiti che si rifanno alla Dc e nessuno va a contestare i loro diritti. Resta il fatto che il simbolo originale difeso dai militanti del 1995 oggi è consegnato alla fondazione Sullo presieduta dall'ultimo segretario del Ppi ossia il prof. Buttiglione.
Inevitabile che, leggendo queste cose, il lettore comune, curioso o anche mediamente esperto di queste vicende, provi un grande senso di confusione e cerchi un colpevole per tutto questo. Ebbene, in parte lo sono (lo siamo?) tutti, in fondo non lo è nessuno. E alla base di tutto c'è il desiderio legittimo non tanto di chiarire, ma di semplificare e ridurre una vicenda che non è né semplice né riducibile, perché a tentare di farlo si perdono pezzi importanti che finiscono - anche non volendolo - per distorcere la realtà.


Cos'è successo davvero

Quindi, andiamo per punti: è vero che qualcuno - nella fattispecie Rotondi - aveva detto che lo scudo crociato sarebbe stato sottratto alla competizione politica? Non proprio. Leggendo in filigrana le dichiarazioni del deputato forzista e soprattutto badando a ciò che è stato detto il 12 luglio durante l'evento alla Camera dei deputati, si capisce che, in seguito allo scioglimento del Cdu - terminata, a quanto pare di capire non disponendo dei documenti originali, la sua liquidazione - il simbolo dello stesso Cdu è stato trasmesso alla Fondazione Fiorentino Sullo, che è stata ribattezzata Fondazione Democrazia cristiana (o forse sta per esserlo, non si dispone ancora dello statuto ufficiale), anche grazie al conferimento del diritto all'uso di quel nome da parte della Dc-Rotondi (poi Democrazia cristiana per le autonomie). 
Il 12 luglio - ma anche nell'intervista rilasciata a questo sito - Rotondi ha chiarito che l'uso "culturale" di quel simbolo da parte della fondazione (che potrà sostenere dei partiti ma non potrà presentarsi alle elezioni) non impedirà alle formazioni che già utilizzano lo scudo crociato e hanno acquisito diritti su di esso di continuare nel loro uso: il riferimento all'Udc è chiaro. Certo, è innegabile che tanto per il Cdu quanto per l'Udc l'elemento centrale del simbolo è costituito dallo scudo crociato, dunque per qualcuno era facile pensare che consegnare il simbolo e toglierlo dall'arena politica volesse dire consegnare anche lo scudo (e forse non è nemmeno troppo malizioso credere che Rotondi, nei giorni precedenti l'incontro romano del 12 luglio, non abbia corretto questi pensieri non corretti, visto che hanno richiamato per l'ennesima volta l'attenzione sull'ennesima puntata della saga democristiana); si tratta però di simboli diversi di partiti diversi, mai in disputa giuridica tra loro.


Le parole di De Poli

Certo è che, se si chiede a un dirigente dell'Udc - che per giunta in più occasioni (anche nel 2018, per conto di Noi con l'Italia) si è occupato di depositare il simbolo al Viminale prima delle elezioni - se sia vero che lo scudo crociato viene tolto dalla competizione politica con la consegna a una fondazione, non potrà che negare, sostenendo che "nella realtà dei fatti lo scudo crociato è in utilizzo all'Udc". Non spetta a De Poli, ne ad altre figure di vertice dell'Unione di centro, spiegare che Rotondi non ha tolto dalla scena politico-partitica il simbolo dell'Udc, ma quello del Cdu, che hanno in comune l'ingrediente fondamentale (anzi, l'Udc utilizza lo scudo proprio perché il Cdu lo aveva apportato): su questo può limitarsi a dire "lasciamo che gli amici facciano la loro parte rispetto ai percorsi" (in altre parole: lasciamo che il Cdu concluda la sua storia come meglio crede). 
Ciò che gli interessa davvero è mettere in chiaro che l'uso dello scudo crociato resta là dove è rimasto fin dal 2002, cioè a casa dell'Udc, anche solo per evitare che a qualcun altro - magari uno degli "altri 67 partiti che si rifanno alla Dc" di cui parla Rotondi - venga voglia di approfittare di una supposta dismissione dell'emblema da parte del partito guidato da Lorenzo Cesa, provocando nuovi contenziosi: quell'interesse viene perseguito, tra l'altro, citando a proprio favore una pronuncia fresca fresca della Cassazione. Tutto bene, se si sorvola sul fatto che la pronuncia in questione - l'ordinanza n. 18746/2019 - non può aver detto nulla sull'uso dello scudo crociato fatto dall'Udc, sia perché non è entrata nel merito (si è limitata a dire che il ricorso della Dc-Sandri non era stato fatto secondo quanto previsto dalla legge), sia perché l'Udc non era nemmeno tra le parti di questo grado di giudizio (basta leggere la decisione per rendersene conto). 
Ovviamente - va aggiunto subito - le parole di De Poli hanno un fondamento: l'Udc non era (più) parte del processo semplicemente perché, già in secondo grado, la Corte d'appello di Roma aveva dichiarato improcedibile il gravame nei confronti del partito di Cesa (e del Ccd), visto che la notifica dell'atto d'appello non era andata a buon fine e, pur avendo ottenuto la possibilità di rinnovarla, la Dc-Sandri aveva poi rinunciato. In primo grado, tuttavia, il giudice aveva rilevato che "il simbolo dello scudo crociato, [...] relitto da Ppi e Cdu, è dal 2002 utilizzato da Udc, col consenso del medesimi partiti" di ispirazione "cattolica", raggruppanti persone che avevano avuto significative esperienze politiche in seno alla Dc: essendo stato dichiarato improcedibile l'appello, il rigetto della domanda della Dc-Sandri nei confronti dell'Udc è passato in giudicato. Non si è espressa la cassazione, insomma, ma in effetti in quella vicenda giudiziaria un giudice aveva detto che l'uso dello scudo crociato da parte dell'Udc era stato sostanzialmente accettato dagli altri principali partiti post-diccì. In effetti almeno un altro giudice - la Corte d'appello di Roma nel 2009 - aveva detto anche qualcosa di diverso e leggermente meno favorevole all'Udc, ma ora non è il caso di complicare le cose.


Le parole di Rotondi

Quanto alla replica di Rotondi, essa si basa non tanto sulla dichiarazione reale rilasciata da De Poli, quanto sul lancio di agenzia che parla di contestazione da parte del dirigente dell'Udc. Ovviamente il deputato eletto con Forza Italia ha buon gioco nel ricordare la legittimità dell'uso dello scudo crociato da parte dell'Udc (all'interno del proprio simbolo composito, che ancora mantiene in filigrana le vele di Ccd e De), come pure la legittimità della scelta del Cdu e della Dc-Rotondi di consegnare i rispettivi emblemi alla Fondazione Sullo (o Fondazione Dc). "Cosa c'entri il simbolo dell'Udc non è chiaro", si domanda Rotondi: non c'entra nulla, se non per il fatto che bisognerebbe mettersi d'accordo se per simbolo si intenda lo scudo crociato in sé (come ha fatto De Poli, il giornalista che lo ha intervistato e probabilmente la maggior parte delle persone che hanno seguito e seguono da lontano la vicenda) o l'intera raffigurazione grafica che identifica il partito Cdu e che "incidentalmente" contiene anche lo scudo crociato (come ha fatto Rotondi e, più modestamente, il sottoscritto). Per quanto possa sembrare una questione strana o di lana caprina, non è la stessa cosa: se si adotta la seconda lettura tra quelle proposte, l'uso elettorale dello scudo fatto dall'Udc e quello culturale fatto dalla Fondazione Dc grazie al Cdu possono convivere senza problemi. 
Non è un caso che, per capire esattamente quale emblema avesse adottato la Fondazione Sullo-Dc (ed evitare di scrivere qualcosa di impreciso o di scorretto), l'amministratore di questo sito abbia ritenuto opportuno informarsi direttamente alla fonte, apprendendo dallo stesso Rotondi che la fondazione avrebbe utilizzato il simbolo del Cdu, con tanto di denominazione integrale (compreso il riferimento al Ppe utilizzato alle europee del 1999, vale a dire nell'unica competizione di livello nazionale cui abbia partecipato da solo, senza unirsi ad altre forze) e che solo "nell'uso pratico" si sarebbe aggiunta sotto o accanto l'etichetta "Fondazione Democrazia cristiana". L'uso per la fondazione di un simbolo che reca un nome diverso può sembrare in parte spiazzante, ma - a pensarci bene - la legge non obbliga la fondazione ad avere un simbolo né, ove se ne dia uno, la obbliga a inserire quel nome all'interno dell'emblema (la stessa Dc, fino al 1992, non ha messo il suo nome nel contrassegno elettorale).
Tutto chiarito ora? In sostanza sì, ma resta un ultimo dettaglio da analizzare, perché le note diffuse da Gianfranco Rotondi non possono essere lette con superficialità. Questa infatti si conclude con "il simbolo originale difeso dai militanti del 1995 oggi è consegnato alla fondazione Sullo presieduta dall'ultimo segretario del Ppi ossia il prof. Buttiglione". Il riferimento alla difesa dei militanti del 1995, ovviamente, è a coloro che - come lo stesso Rotondi - nella "guerra di Piazza del Gesù" (che a tratti apparve piuttosto una guerriglia) si schierarono a favore della linea del segretario eletto dal congresso del 1994, vale a dire Rocco Buttiglione: il "simbolo originale" è verosimilmente lo scudo crociato ottenuto in uso in seguito agli "accordi di Cannes" del 24 giugno 1995 e allegato agli accordi confermativi del 14 luglio dello stesso anno. 
La parte più interessante, tuttavia, è il finale della dichiarazione (in cauda venenum?), quando dice che Buttiglione è stato "l'ultimo segretario del Ppi". Qualcuno potrebbe pensare a una svista di Rotondi, visto che i popolari in seguito sono stati guidati, oltre che da Gerardo Bianco, anche da Franco Marini e Pierluigi Castagnetti. Può darsi che sia così, ma per chi lo conosce bene riesce difficile credere che le parole di Rotondi siano frutto di un errore: seguendo questa pista, si dovrebbe arguire che per il deputato campano davvero Buttiglione è stato l'ultimo segretario del Ppi e qualche maligno di professione sarebbe tentato di dare a ciò una spiegazione giuridica. 
Alcuni di quelli che sostengono la tesi di una Dc "dormiente" per anni, infatti, lo fanno dicendo che nel 1995 i già citati "accordi di Cannes" avevano parlato espressamente di "due distinte formazioni politiche", entrambe eredi politicamente e moralmente della Dc e del Ppi (accordo del 24 giugno) ma da considerarsi "parti separate del Partito popolare italiano" (accordo del 14 luglio). Su questa base, costoro sostengono che ciascuno dei due partiti che hanno operato dopo i patti del 1995 è un partito nuovo e distinto rispetto al Ppi che fino all'inizio del 1994 si era chiamato Dc: ciò varrebbe senz'altro per il Cdu (costituito con atto notarile il 4 ottobre 1995), ma anche per il Ppi guidato da Bianco (e poi da Marini e Castagnetti), perché comunque nel 1995 cambiò - oltre al simbolo, come previsto dagli accordi, adottando lo scudo nel gonfalone - anche il codice fiscale, dunque non ci sarebbe continuità tra il Ppi-scudo e il Ppi-gonfalone.
La tentazione di credere a quest'ipotesi maliziosa, però, va respinta subito. A dispetto del cambio di simbolo, non si è mai avuta traccia di un atto costitutivo del Ppi-gonfalone, dunque si deve presumere che quello che ha operato dall'estate del 1995 al 2002 sia lo stesso soggetto giuridico che aveva agito come Partito popolare italiano (e prima come Dc). Soprattutto, c'è anche la firma di Rotondi (quale tesoriere, legale rappresentante del Cdu e procuratore di Buttiglione) sulla transazione che nel 1999 ha estinto una delle cause nate nel 1995 tra le fazioni legate a Bianco o a Buttiglione per capire quale delle due rappresentasse correttamente il Ppi: in questa transazione, tra l'altro, si parla di "Ppi [...] meglio identificato come Ppi-gonfalone", il che significa che il soggetto giuridico è lo stesso, pur avendo cambiato il proprio segno identificativo. Rotondi, insomma, probabilmente voleva dire proprio quello che ha detto, cioè che Buttiglione è stato l'ultimo segretario del Ppi. Di quel Ppi, beninteso, cui Rotondi apparteneva, firmando gli editoriali del Popolo come condirettore politico e ostentando una fede incrollabile nello scudo crociato e nella Dc (anche se non si chiamava più così). Simbolo e nome che, in un modo o nell'altro, ora sono arrivati a riunirsi, anche se non in un partito (e senza ostacolare l'Udc).

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