domenica 7 luglio 2019

Partito radicale, 41° congresso con nuovo statuto (e una questione simbolica)

Quante volte si può rinascere? Domanda delicata, con la risposta destinata a cambiare a seconda delle credenze. Di sicuro il Partito radicale è rinato almeno tre volte - a volerle contare per difetto - e oggi, in questo conteggio per difetto, si è compiuta la terza rinascita (dopo quella del 1967, che trasformò il partito nato nel 1955 in un soggetto politico federale, senza disciplina di partito o sanzioni e congressi annuali, e quella del 1988-1989, con cui si decise la rinuncia alla partecipazione elettorale diretta e l'evoluzione in un soggetto inedito, con azioni a livello internazionale e sovranazionale). Questa volta, a conclusione del 41° congresso ordinario (svoltosi a Roma dal 5 luglio a oggi, sullo slogan "Alzare tutte le bandiere, rilanciare tutte le lotte"), il partito esce con uno statuto e una struttura rinnovati, oltre che con un corpo di iscritti decisamente ampliato rispetto all'assemblea congressuale precedente: quella - straordinaria - del 2016, celebratasi sempre a Roma, nel carcere di Rebibbia.

Gli obiettivi e la relazione

Quell'appuntamento di tre anni fa, arrivato pochi mesi dopo la morte di Marco Pannella - quello che si è appena concluso è il primo congresso ordinario senza di lui - aveva posto al Partito radicale nonviolento transnazionale transpartito obiettivi a dir poco ambiziosi: nel 2017 e nel 2018 avrebbe dovuto raggiungere la quota minima di 3mila iscritti, ritenuta la minima indispensabile per poter avere agibilità politica e soprattutto economico-finanziaria. Oggettivamente l'asticella era molto alta, come ha ricordato nella sua relazione di apertura il tesoriere e legale rappresentante uscente del Prntt Maurizio Turco: "Abbiamo chiuso il 2016, l’anno nel quale è scomparso Marco, con 1.104 iscritti, ma, giusto per capirci, l’ultima volta che abbiamo avuto oltre 2.500 iscritti italiani al Partito Radicale è stato tra il 2004 e il 2005, con risorse economiche ed umane assolutamente non paragonabili alle attuali".
Per arduo che fosse, l'obiettivo è stato raggiunto (3.211 nel 2017, 2.626 residenti in Italia e 585 all'estero; 3.208 nel 2018, 2.568 residenti in Italia e 740 all'estero), a dispetto di una sostanziale sparizione - salvo rare eccezioni - dell'attività del Partito radicale dall'informazione dei media. Attività che in ogni caso sono continuate e dovranno continuare, anche se alcune non hanno avuto l'effetto sperato, a partire dalle "otto proposte di legge contro il regime" (amnistia e indulto, revisione di misure di prevenzione, interdittive antimafia e procedure di scioglimento dei comuni per mafia, riforma di ergastolo ostativo e carcere duro, riforma della Rai, riforma delle leggi elettorali politica ed europea, abolizione degli incarichi extragiudiziari dei magistrati): "abbiamo l'obbligo di riprovarci perché - ha sottolineato Turco - sono tutte riforme urgenti, al punto che prima della politica è intervenuta la giurisdizione", in particolare la condanna dell'Italia da parte della Corte Edu sull'ergastolo ostativo (quello che non prevede permessi, benefici e liberazione condizionale) in quanto trattamento inumano e degradante.
La lunga relazione di Maurizio Turco ha evidenziato - dati alla mano - i fronti di lotta che il Partito radicale dovrebbe presidiare in futuro, a partire dalla lotta per la vita e lo sviluppo (evoluzione della lotta allo sterminio per fame intrapresa da Pannella nel 1979, coinvolgendo anche vari premi Nobel), da perseguire combattendo la speculazione finanziaria sui generi di prima necessità, la concentrazione delle imprese nel settore agro-alimentare e l'accaparramento della terra, facendo pressioni a livello nazionale e internazionale. "Credo che nella società attuale la povertà sia la più grave minaccia alla sicurezza intesa in senso lato - ha detto Turco - e non potranno certo essere i poveri a disinnescare questa spirale che oggi è senza via d’uscita": questo fa sì che la lotta in questione non sia qualificata come "lotta alla povertà" (vista come una sorta di stabilizzazione dei poveri nella loro condizione", ma lotta "per la vita e per lo sviluppo", in modo che le persone possano essere portate realmente fuori da quella condizione. 
Se questo fronte è soprattutto straniero, quello italiano per il Partito radicale non è meno impegnativo: l'Italia incarna infatti il caso "di una democrazia che non sboccia ma che sin dalla sua nascita è per alcuni aspetti prosecutrice del regime precedente e per altri negatrice, cioè in violazione dei principi fondamentali e fondanti della Costituzione". Nel corso degli anni i radicali hanno cercato di dare un contributo soprattutto con un programma riformatore espresso soprattutto attraverso i 110 referendum "tra bocciati dalla Corte costituzionale, che non hanno raggiunto il quorum e traditi dal Parlamento", come sottolineato da Turco. Tra i punti fondamentali del "caso Italia", oltre che quello rappresentato dall'informazione (su cui è intervenuto a lungo Marco Beltrandi), c'è sicuramente la giustizia. I problemi sono quelli noti, non risolti e anzi aggravati: l'eccessiva durata dei processi (da almeno quarant'anni, il che si traduce per Turco in una "patente violazione dello Stato di Diritto") e il sovraffollamento delle carceri.
Altre battaglie da continuare saranno quelle per il federalismo e gli Stati Uniti d'Europa ("unica risposta concreta contro protezionismi economici e nazionalismi politici") e contro il proibizionismo: per Turco "non c’è fenomeno sociale, riprovevole o meno, che possa essere governato più efficacemente con la repressione che con la legalizzazione", ma occorre guardarsi da "un antiproibizionismo di maniera, conformista, fine a se stesso, senza alcun obiettivo che non sia quello della propaganda per la propaganda".
Il congresso ha ospitato anche alcune relazioni tematiche - in particolare quella di Giuliomaria Terzi di Sant'Agata sulla situazione cinese; quella di Fabio Pistella (fisico nucleare, già direttore generale dell'Enea) su ambiente, ecologia e sostenibilità per il pianeta; quella dell'economista Mario Baldassarri sulle conseguenze economiche negative dell'assenza degli Stati Uniti d'Europa; di Carla Rossi, delegata radicale alla commissione internazionale sul controllo delle droghe; di Giuseppe Di Federico, professore emerito di ordinamento giudiziario; dell'ex viceministro dell'interno del Regno Unito Norman Baker nonché di vari esponenti delle camere penali (compreso il presidente nazionale Gian Domenico Caiazza).


Tensioni radicali

I risultati ottenuti sugli iscritti, per Turco, smentiscono le tesi di coloro che avevano sostenuto che l'apparentemente impossibile traguardo fosse stato fissato allo scopo, non dichiarato, di chiudere il partito. Il riferimento, nemmeno troppo velato, è ai dirigenti di Radicali italiani, il cui comportamento degli ultimi tre anni è stato oggetto di duri attacchi da parte dello stesso Turco, con riguardo a episodi già più volte analizzati in questo sito in passato: la presentazione di liste "radicali" alle amministrative di Roma e Milano nel 2016, poche settimane prima della morte di Pannella; la federazione tra Radicali italiani e Forza Europa, denominata +Europa e riuscita a partecipare alle elezioni politiche solo grazie all'esenzione dalla raccolta firme concessa da Centro democratico di Bruno Tabacci, pur fallendo l'obiettivo del 3%; la trasformazione di +Europa in partito con la partecipazione del gruppo dello stesso Tabacci (finita con l'elezione a segretario di Benedetto Della Vedova ai danni di Marco Cappato, "con i pullman e i ricorsi ai probiviri"); la partecipazione di +Europa alle europee di maggio - "con un'immagine radicale, ma l'identità delle liste è un'altra" - di nuovo senza superare la soglia di sbarramento. 
In base a questi episodi e comportamenti, il gruppo dirigente di Radicali italiani è stato accusato di aver voluto contendere "non il Partito Radicale, ma solo il brand", per presentarsi alle elezioni di ogni livello: "Un po’ misero come programma, quasi che la partecipazione elettorale costituisse di per se iniziativa politica, mentre il Partito ha sempre colto l’occasione delle elezioni per fare iniziativa politica".
Anche vari interventi congressuali si sono concentrati sul punto; tra gli intervenuti va segnalato Michele Capano, dirigente di Radicali italiani e iscritto al Prntt, che dopo un apprezzamento negativo su quella parte della relazione di Turco ("Se qualche compagno di strada fa una brutta fine, credo che si dovrebbe pensare a cosa non si è fatto perché andasse così, non 'gioire' perché non si è superato lo sbarramento, ammesso che questo sia fare una brutta fine. Credo invece che sia stato un errore dell'attuale gruppo dirigente del Partito radicale aver fatto mancare una presenza che avrebbe potuto evitare una certa evoluzione verso quella 'brutta fine'"; in seguito qualcuno - come Diego Sabatinelli - ha contestato questa ricostruzione dei fatti, ritenendo tra l'altro che fosse difficile darsi una mano su punti che non si condividevano, come "Europa, sì anche così"), ha detto di essere venuto al congresso perché "nell'ampio mondo per la battaglia per i diritti ci sono specifiche questioni su cui solo il Partito radicale è in grado di svolgere un ruolo" (al punto da presentare una motivazione sulla coercizione farmacologica dei pazienti psichiatrici). 
Non è mancata, l'ultimo giorno, la presenza di Benedetto Della Vedova, segretario di +Europa, venuto a portare un saluto: posto che +E non nasce "come esperienza tout court radicale, ma con i Radicali [italiani] che hanno voluto partecipare e con la presenza potente della radicale Emma Bonino, della sua storia e della sua capacità di interpretare l'ideale europeista", per Della Vedova la lista aveva comunque conquistato "un voto europeista, liberale, democratico e progressivo", che punta a valori "in buona parte anche radicali", anche se "non c'è alcuna pretesa di essere una forza radicale", tutt'al più "anche di radicali". A fine congresso è arrivata anche la risposta di Maurizio Turco, che ha ringraziato Della Vedova per il saluto ("da 13 anni non condividiamo più strategie e tattiche, ma ha portato il suo contributo come persona iscritta in questi due anni") e gli ha riconosciuto correttezza nei comportamenti, "l'unica cosa che ci ha diviso in questi anni, non quella di pensiero ma dei comportamenti, che in politica non si possono non valutare".


La vita di Radio Radicale

Il dibattito generale è stato molto ricco di interventi di figure conosciute tra gli iscritti come di discorsi di "radicali ignoti", che però hanno portato comunque le loro storie nell'auditorium dell'Antonianum di Roma, non ricevendo meno applausi dei loro compagni più noti (su tutti, l'intervento profondo e commovente di Andrea Consonni). 
Era inevitabile che durante il congresso molto spazio fosse dedicato alla battaglia per la vita di Radio Radicale (cui era stato dedicato il congresso italiano a febbraio), il cui destino non è ancora del tutto definito: non si è ancora concluso l'iter di conversione del "decreto Crescita" all'interno del quale è stata aggiunta una disposizione che assicura 3 milioni di euro nel 2019 per le radio che hanno svolto attività di interesse generale per "favorire la conversione in digitale e la conservazione degli archivi multimediali", in attesa di una gara per un nuovo affidamento del servizio di trasmissione delle sedute parlamentari (che però al momento resta un'intenzione).
Turco ha insistito molto sul punto: Radio Radicale è riuscita nel corso degli anni a porsi come "servizio pubblico puro", garantendo al cittadino il diritto di conoscere per deliberare attraverso il servizio di trasmissione dei lavori parlamentari e di molti altri eventi politici e culturali di interesse generale (per questo "è falso, perché tecnicamente errato, parlare di 'finanziamento' anziché 'corrispettivo'", anche se questo non permetterebbe più di parlare di lotta agli sprechi).
Gli interventi al congresso - ricchi tra l'altro di gratitudine per Massimo Bordin, voce storica della radio, scomparsa pochi mesi fa, dopo il congresso italiano del partito - si sono concentrati in gran parte sul destino della radio, nella convinzione che debba arrivare una gara vera, per mettere pienamente in sicurezza il servizio d'interesse generale svolto dall'emittente. Su questo sono intervenuti, tra gli altri, anche i parlamentari che avevano annunciato la loro presenza, come i dem Roberto Giachetti e Filippo Sensi (firmatari dell'emendamento che dovrebbe salvare transitoriamente la radio), che hanno messo in guardia pure dal rischio - assieme al senatore ex M5S Gregorio De Falco - che qualcuno voglia limitarsi a salvare l'archivio, scorporandolo dal resto del servizio, che a quel punto finirebbe per "spegnersi". Sul ruolo imprescindibile di Radio Radicale, come organo di informazione di interesse generale è intervenuto anche Antonio Nicita, commissario Agcom (autorità che in aprile aveva inviato una segnalazione al governo proprio a difesa dell'emittente); tra gli interventi anche quello di Giuseppe Basini, eletto con la Lega in quota Pli, di Enza Bruno Bossio (Pd) e degli ex parlamentari Vincenzo Vita (Pd) e Fabrizio Cicchitto.


La mozione generale

La mozione generale approvata - l'unica presentata - oltre ad approvare il contenuto della relazione di Maurizio Turco e ad accogliere le relazioni tematiche presentate nel corso del congresso e a salutare "le relazioni dei compagni cambogiani, venezuelani, tibetani, inglesi, catalani, kosovari e di San Marino che ci richiamano in particolar modo all'importanza e alla centralità della lotta lanciata da Marco Pannella per la riaffermazione dei principi dello stato di diritto democratico federalista e laico conto ogni ragione di Stato che cerca di sovrapporsi alla piena affermazione dei diritti fondamentali e universali di ogni singolo individuo" - insiste sul tema della dignità umana violata dai fattori che costringono 736 milioni di persone in condizioni di povertà estrema (mentre comunque il 46% della popolazione mondiale vive con meno di 5,5 dollari al giorno, anche in paesi "insospettabili", Italia compresa), individua la via degli Stati Uniti d'Europa "come unica alternativa all'attuale assetto istituzionale dell'Unione Europea intergovernativa" e ribadisce la necessità "che il diritto alla conoscenza entri a pieno titolo nel sistema dei diritti umani fondamentali", perché solo così le persone possono autodeterminarsi liberamente. 
Non manca ovviamente un riferimento alla battaglia per la vita di Radio Radicale (con un riferimento alle oltre 170mila persone che, accanto alle istituzioni e ai parlamentari, si sono mobilitate per evitarne la chiusura) e al più generale "caso Italia", che pone l'estrema necessità e urgenza di "ripristinare i principi e le regole dello Stato di diritto in settori cruciali per la vita democratica come quelli dell'informazione, dei sistemi elettorali, dell'amministrazione della giustizia, del carcere e della lotta alla criminalità". 
Per questo si rilancerà il manifesto appello dei premi Nobel contro lo sterminio per fame nel mondo redatto nel 1981; si interloquirà e agirà con soggetti istituzionali, politici, sociali e religiosi "in una lotta per lo sviluppo impedito dalle speculazioni finanziarie del mercato dei beni alimentari, dalla concentrazione dell'impresa nel settore agroalimentare e dall'accaparramento delle terre"; si rafforzerà la campagna per il riconoscimento del diritto umano e civile alla conoscenza da parte dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite come "condicio sine qua non per l'affermazione dello stato di diritto, democratico, federalista, laico", con azioni anche a livello del Parlamento europeo e dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa; si proseguirà la lotta per gli Stati Uniti d'Europa e per ripristinare valori e regole dello stato di diritto in Italia.


Nuovo statuto, nuove cariche

Tra gli adempimenti del congresso, si è votata e approvata quasi all'unanimità dei presenti la proposta di un nuovo statuto, che parte evidentemente da quello vigente, ma lo ha modificato in alcune parti significative. Il cambiamento più evidente riguarda la periodicità dei congressi: se prima era fissata una cadenza annuale, ora l'intervallo diventa di cinque anni, "il tempo minimo necessario per iniziare a incardinare una qualsiasi campagna che abbia come obiettivo quello di ricorrere alle istanze internazionali", ma anche qualcosa di piuttosto vicino a quello che è accaduto negli ultimi anni (il 39° congresso si è svolto nel 2011, il 40° nel 2016, il 41° ora), vista l'onerosità di organizzare un congresso di livello internazionale a scadenze ravvicinate.
Subisce poi una trasformazione rilevante il Consiglio generale, organo esecutivo, che prima era composto da 25 membri eletti dal congresso, altri 25 dall'assemblea dei legislatori (organo non più previsto, già incaricato di tradurre in proposte di legge i contenuti della mozione congressuale) e altri membri eletti dai congressi d'area o indicati da gruppi o associazioni aderenti al partito. Il nuovo Consiglio generale è composto da 50 membri eletti dal Congresso che durano in carica 5 anni, mentre gli altri 25 - che durano in carica un anno - sono indicati "dal Segretario di concerto con il Tesoriere, fra gli iscritti al Partito Radicale, che per provenienza geografica, incarichi istituzionali in essere o pregressi, specifiche competenze e/o interessi, possano fornire un importante e valido apporto teorico/operativo all'attuazione della mozione congressuale". Una disposizione transitoria, peraltro, ha previsto che per questa prima applicazione il congresso eleggesse 25 membri (in quest'occasione sono state presentate tre liste, guidate da Rita Bernardini, Maurizio Turco e Michele Capano, che hanno eletto rispettivamente 11, 9 e 5 componenti), mentre gli altri 25 saranno eletti dal Congresso italiano annuale.
Già, perché la stessa disposizione transitoria, "in considerazione dell’ancora importante contributo degli iscritti italiani", in particolare (come si legge negli "appunti" sulla proposta di statuto illustrati da Antonella Casu) per "l'importanza dell'insediamento italiano per la natura e la durata delle lotte del Partito Radicale e per la vita stessa del Partito", prevede un congresso annuale italiano che organizzi le lotte del Prntt sul territorio nazionale.
Sul piano organizzativo, poi, sparisce anche il Senato del Partito, cioè l'organo formato dalle cariche di vertice dei "soggetti costituenti" del Prntt, per il semplice motivo che - come è stato spiegato - non ha più senso di esistere, visto che quei soggetti (che in realtà erano stati costituiti dal partito) o hanno di fatto cessato la loro attività, o agiscono in piena sintonia, o hanno preso altre strade, anche in conflitto col partito stesso (non a caso c'è chi ha parlato di "soggetti destituenti"). Le stesse associazioni di radicali avranno meno peso, anche se - sempre per le disposizioni transitorie - "il Segretario del Partito Radicale, d’intesa con il Tesoriere, può proporre al Consiglio Generale la costituzione di Comitati tematici, anche a durata temporale definita, per il perseguimento di specifici obiettivi contenuti nella mozione congressuale o deliberati dal Consiglio Generale" e lo stesso segretario, previo accordo col tesoriere, potrà concludere "accordi, anche a tempo determinato, con associazioni, partiti, organizzazioni nazionali e internazionali che perseguono finalità politiche, culturali o altro, affini agli obiettivi del Partito Radicale".
Con il 41° congresso cessa poi la governance transitoria del Prntt. Se il 40° congresso di Rebibbia aveva affidato la guida del partito - sospendendo gran parte dello statuto - alla presidenza di quello stesso congresso, con il coordinamento di Rita Bernardini, Antonella Casu, Sergio D’Elia e Maurizio Turco per "assumere tutte le iniziative necessarie", il congresso ordinario appena concluso ha eletto i nuovi vertici del partito. In continuità con l'attività svolta finora, la segreteria del partito è stata affidata a Maurizio Turco, (prevalsa sull'unica altra candidatura registratasi, quella di Gianni Rubagotti); Irene Testa - da tempo attiva nel partito soprattutto sulle battaglie per la condizione carceraria e contro l'autocrinia e l'autodichia, vale a dire quei regimi speciali in base ai quali le Camere decidono autonomamente quali norme si applicano all'interno delle loro sedi e, assieme ad altri organi costituzionali di vertice, sono giudici delle cause intentate dai loro stessi dipendenti - è invece la nuova tesoriera, incarico che Turco aveva svolto dal 2005 fino ad ora. 
Lo stesso congresso ha eletto anche quattro componenti della presidenza d'onore - che prima della riforma statutaria era composta da una sola persona - in particolare Laura Arconti (inossidabile e lucidissima a 94 anni, Presidente del Tribunale delle Libertà "Marco Pannella"), Giuliomaria Terzi di Sant'Agata, Rainsy Sam (cofondatore e presidente del Partito della salvezza nazionale della Cambogia) e Ben Hassen (presidente dell'Istituto arabo per i diritti umani della Tunisia).


Questioni simboliche

Non è cambiata invece la scelta di non partecipare direttamente agli appuntamenti elettorali: "Il Partito Radicale - si legge all'articolo 1, comma 3 del nuovo statuto - per ribadire il proprio carattere transpartitico e transnazionale, non si presenta in quanto tale e con il proprio simbolo a competizioni elettorali. Il Segretario e il Tesoriere si impegnano a non candidarsi a qualsiasi competizione elettorale, pena la decadenza". Il nuovo testo aggiunge la precisazione che la non partecipazione al cimento elettorale è conseguenza dell'essenza transpartitica e transnazionale, come pure il divieto per i vertici del Prntt di partecipare personalmente alle elezioni sotto qualunque insegna (nemmeno in caso dei citati "accordi, anche a tempo determinato, con associazioni, partiti, organizzazioni nazionali e internazionali che perseguono finalità politiche, culturali o altro, affini agli obiettivi del Partito Radicale").
Si tratta di uno dei pochi riferimenti simbolici emersi durante il congresso: quasi nessuno, infatti, ha fatto cenno a questioni simboliche, a parte una mozione di Gianni Rubagotti (poi non presentata) che invitava a sostituire l'emblema di Paolo Budassi raffigurante Gandhi con un'immagine simile di Marco Pannella e un intervento di Ilary Valbonesi che faceva notare l'assenza di descrizione del simbolo nel nuovo statuto (descrizione che però non è mai stata presente nella storia del Prntt).
Un punto, tuttavia, merita probabilmente un po' di attenzione in più. Nel bilancio del partito relativo al 2018 - che si chiude con un patrimonio netto di 289.708 euro, un utile di esercizio di 757.079 euro e, escludendo le poste straordinarie, un avanzo di gestione di 47.884 euro - sotto la voce "Proventi straordinari", si trova un attivo di 735.023 euro, giustificato nella nota integrativa come "rilevazione del valore di realizzo per la cessione del simbolo 'la Rosa nel pugno'". In particolare, durante il suo intervento illustrativo del bilancio, Maurizio Turco ha spiegato così quel punto: 
C'è una cosa che abbiamo deciso fosse necessario fare proprio per rientrare dal debito, rimettere il partito nelle condizioni di ripartire, ma è una decisione che questo congresso può smentire e quindi riprendersi in carico un debito reale di 735mila euro: li abbiamo compensato con la cessione del simbolo della rosa nel pugno alla Lista Pannella. Intanto c'è da dire una cosa: il Partito radicale dall'89 non ha mai usato la rosa nel pugno: è un simbolo che stava lì e che utilizzava la Lista Pannella, quindi la cessione della rosa nel pugno per 735mila euro non è una partita di giro, perché quei sette centotrentacinque mila euro che la Lista Pannella si è accollata di debiti la Lista Pannella dovrà pagarli. Quindi questa è una decisione secondo me importante, sulla quale riflettere: il Congresso può dire 'no, preferiamo avere 735mila euro di debito', allora apprestiamo subito una mozione e chiudiamo il partito. Perché fare la simulazione, mentire ai compagni, che sia possibile ancora provare a costruire il partito con un debito di quel genere chiaramente, ancora una volta, vorrebbe dire prenderli in giro.
Al di là delle ragioni politiche, la faccenda appena illustrata, per chi ha una certa conoscenza della storia radicale, può apparire strana. Nella prima sessione del 39° congresso del Prntt a Chianciano, infatti, nella giornata di apertura (17 febbraio 2011) Maurizio Turco, nella sua relazione da tesoriere, segnalò la grave situazione finanziaria del partito e, dopo avere spiegato che negli ultimi anni si era fatto fronte alle spese e ai debiti grazie ai contributi della Lista Pannella (che, in quel modo, di fatto aveva impegnato la maggior parte delle proprie entrate, fino a quando le aveva avute), aggiunse: "Nel contempo [il Prntt] ha ceduto alla Lista Pannella i diritti relativi a simboli elettorali nella disponibilità del partito, essendo peraltro in base allo Statuto inutilizzabili dal partito in quanto tale". 
A una specifica domanda sul punto (cioè sul perché si fosse fatta quell'operazione ora se nel 2011 era già stata compiuta), Turco conferma che è stato fatto "uno scambio di beni, debiti contro emblema", ma precisa che l'operazione del 2011 "era stata contestata, mentre ora è stata rifatta". Il che probabilmente significa che - senza voler travisare il senso delle parole dell'interlocutore, dette mentre era in corso un dibattito - l'operazione è stata resa visibile ed evidenziata a bilancio, oltre che detta nella relazione, anche in ossequio alle norme che nel frattempo sono entrate in vigore in materia di bilanci dei partiti. Nessuno, in ogni caso, durante il congresso ha posto domande sulla questione e il bilancio è stato regolarmente approvato. E se la rosa nel pugno tornerà sulle schede, sarà per decisione della Lista Pannella (come sarebbe accaduto con la lista Stati Uniti d'Europa, naufragata non certo per volontà radicale).

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