E' durato tre giorni e non è certo stato una passeggiata il 40° congresso (straordinario, perché convocato da oltre un terzo degli iscritti al di là della cadenza biennale) del Partito radicale nonviolento, transnazionale e transpartito: il primo senza Marco Pannella, il primo tenuto in un carcere. Delle polemiche e della tensione che l'hanno preceduto si è già scritto qui; la stessa tensione, assolutamente palpabile, è emersa di continuo nella tre-giorni (1-3 settembre) svoltasi nel penitenziario romano di Rebibbia, nonché nei commenti susseguitisi sui social network per tutta la sua durata.
Dall'assise esce un partito che continua sì a esistere, ma di fatto appare "congelato" nei suoi organi interni, sospesi e in parte sostituiti fino al 2018 da un organo collegiale atipico, la presidenza del congresso appena svolto (coordinata da Maurizio Turco, Rita Bernardini, Antonella Casu e Sergio D’Elia), mentre lo stesso Turco acquisisce la rappresentanza legale del partito, di norma spettante al segretario. E' questo l'effetto dell'approvazione a larga maggioranza della mozione generale a prima firma Turco, che fissa come obiettivo necessario il rientro dal debito accumulato negli anni, da ottenere arrivando a 3mila iscritti nel 2017 e nel 2018.
Regole interne, simboli "imboscata" e debiti pesanti
Le polemiche di cui si diceva prima sono chiaramente emerse dalla marea di interventi che si sono susseguiti dalla tribuna della sala di Rebibbia. A partire, ovviamente, dalla lunga e articolata relazione svolta da Maurizio Turco in qualità di tesoriere uscente, per dare conto di quanto è accaduto dopo il 39° congresso di Roma del 2011. Congresso che, come è noto, elesse segretario il maliano Demba Traoré, che però "di fatto, e quindi anche di diritto, non ha mai preso funzione": per questo le varie competenze del segretario (convocare l'assemblea dei legislatori, il consiglio generale, il congresso del partito e i congressi d’area) sono rimaste non esercitate. In compenso, non si è mai regolarmente costituito nemmeno il consiglio generale (eletto solo per metà dal congresso), organo che avrebbe dovuto tra l'altro approvare i bilanci - che dunque Turco non ha mai presentato, come da lui stesso dichiarato - nonché l'ordine del giorno e il regolamento congressuale.
A entrambi gli organi, limitatamente agli atti necessari a ripristinare la legalità statutaria, doveva subentrare il Senato - composto dalle due massime cariche di ciascun soggetto costituente del Prntt; segretario e tesoriere del partito non fanno parte del Senato ma sono invitati, senza diritto di voto - presieduto da Pannella, ma ciò non è accaduto (e, per Turco, che del non rispetto dello statuto si lamentino alcuni membri del Senato è cosa da "trecartari"). Secondo Turco sarebbe banale di parlare di "illegalità" in seno al partito, ma - posto che lo statuto è lo stesso del 1993 - fu Sergio Stanzani nel 2002 a dire che "in realtà lo Statuto del 1993 non è mai stato possibile attuarlo integralmente", dal 1995 al 2002 si è avuto un periodo di "sospensione statutaria" del Partito radicale e lo stesso Stanzani, in vista del congresso 2002 di Ginevra, suggerì una soluzione "capace di assicurare [...] l’indispensabile unità di governo e di immagine", con l'elezione di un presidente coordinatore del partito (con poteri di segretario e tesoriere) e l'istituzione un comitato dei Presidenti (quattro persone elette al congresso). Al congresso le cose andarono diversamente, ma la soluzione Stanzani sembra tornare nella mozione a prima firma Turco.
Gli eventi successivi hanno sempre visto un'attuazione dello statuto parziale, tardiva e difficoltosa; il Senato dal 2005 ha cercato di intervenire per ripristinare la legalità statutaria, fino alla convocazione del congresso del 2011 (con quali effetti lo si è già detto). Dopo quell'assise, peraltro, invece che almeno ogni due mesi, il Senato dovette aspettare due anni per essere convocato (su richiesta di Turco), alla fine del 2013, mentre la situazione economico-finanziaria si faceva sempre più grave. Tale è rimasta: lo stesso Maurizio Turco ha parlato di un debito del Prntt consolidato al 31 agosto di poco meno di 689mila euro, ridotto rispetto a quello ben più pesante di fine 2015 (1.270.000 euro), ma solo perché nove mesi fa è stato licenziato tutto il personale ed è stato disdetto il contratto d'affitto per la sede di Via di Torre Argentina: vantano crediti vari fornitori, gli ex lavoratori (131mila euro di Tfr), la Lista Pannella, la società Torre Argentina Servizi (proprietaria della sede), il centro di produzione e la consulente del lavoro del partito. Tutto ciò a fronte di 1080 iscritti del 2015 e di 983 nell'anno in corso (con le iscrizioni a pacchetto, cioè cumulativamente a tutti i soggetti della galassia radicale, pari a 231, in calo rispetto al passato: l'intero valore delle tessere a pacchetto è incassato dal Partito radicale, per far fronte alle spese comuni di tutta la galassia, comunque ben maggiori rispetto alle entrate).
L'immagine del Partito radicale emersa dalla relazione - accorata e a tratti molto aspra - di Maurizio Turco è quella di un soggetto politico che per anni si è retto (ed è rimasto in piedi) sulla base di un rapporto fiduciario innanzitutto verso Marco Pannella, nonché tra i vari "compagni di avventura". La fiducia, però, dal 2014 sarebbe scemata, sempre secondo Turco: lo mostrerebbero le moltissime assenze di "alcuni dirigenti radicali" alle riunioni quotidiane delle 12 a Torre Argentina, episodi di un dialogo duraturo dal quale è scaturita la convocazione del congresso straordinario. Da due anni, invece, altri avrebbero scelto "un altro percorso", la cui forma compiuta si sarebbe manifestata con la presentazione - il 1° aprile scorso - delle liste “radicali” alle elezioni di Roma e Milano, da parte di segretario, presidente e tesoriere di Radicali italiani. Quel passaggio rappresenta evidentemente un nervo scoperto per Maurizio Turco e coloro che sono stati accreditati più o meno correttamente come "ortodossi": se ad aprile il tesoriere del Prntt aveva bollato l'operazione come "banale [...] travestitismo elettorale" (riprendendo una vecchia citazione di Gianfranco Spadaccia), giovedì ha rincarato la dose e, parafrasando un discorso di Pannella del 1981, ha parlato di "un'imboscata, non a me, ma alla storia radicale" (e le liste, più che in onore di Pannella, a suo dire sarebbero state "in onore di Marco Pannella, della e sulla sua bara").
Già ad aprile, Turco aveva sostenuto che era mancata una reale condivisione di quella scelta nel contesto radicale (mentre la lista di scopo Amnistia giustizia libertà del 2013 seguì a diverse riunioni dei vari soggetti dell'area radicale) e aveva ritenuto scorretto politicamente e giuridicamente presentare una lista con il nome "Radicali", a fronte di previsioni statutarie che negavano la partecipazione alle elezioni del Prntt e di Radicali italiani "in quanto tal[i] e con il proprio simbolo". In un lungo saggio richiestomi dal prof. Fulco Lanchester per la rivista giuridica Nomos, ho spiegato come in quell'occasione non sia stato compiuto nessun atto giuridicamente illegittimo (il simbolo utilizzato era del tutto diverso da quelli del Prntt e di Radicali italiani, le liste non sono state formalmente presentate da quei soggetti politici - anche se tra i candidati e i promotori c'erano iscritti e dirigenti di Radicali italiani - e non ci sarebbero stati elementi per invalidare la partecipazione delle liste), pur riconoscendo che alla base c'era un problema politico, di scarsa discussione e condivisione della proposta.
Abbandonati gli argomenti giuridici - stavolta non sono emersi - Maurizio Turco ha condensato il suo giudizio di (in)opportunità politica nel chiedersi "non so se abbiamo mai scritto 'radicali' così grande in un simbolo elettorale noi, anzi lui", indicando l’immagine di Pannella sulla scenografia del congresso. Per inciso, il suo dubbio è fondato: la scritta "radicali" ha un corpo molto maggiore rispetto a quello utilizzato dal Partito radicale nella sua storia; unico precedente comparabile sembra essere il simbolo di Radicali italiani, disegnato nel 2007 da Aurelio Candido (la corolla della rosa era quella dei Riformatori del 1994), ma mai utilizzato in modo autonomo alle elezioni, al di là di una partecipazione alle elezioni amministrative del 2008, in particolare a Roma, in abbinamento alla Lista Bonino.
Sono soprattutto questi i punti della relazione del tesoriere interessanti da trattare, almeno dal punto di vista tecnico: i risvolti politici (a partire da quello legato al passaggio più ripreso, "Da questo contesto putrescente dobbiamo uscire e dobbiamo farlo in fretta: chi ha la fregola di inseguire Renzi col piattino in mano non sarà ostacolato da noi; noi continuiamo a perseguire quell'idea di forza alternativa al potere") hanno un peso, ma qui hanno meno cittadinanza rispetto ad altro.
Gli eventi successivi hanno sempre visto un'attuazione dello statuto parziale, tardiva e difficoltosa; il Senato dal 2005 ha cercato di intervenire per ripristinare la legalità statutaria, fino alla convocazione del congresso del 2011 (con quali effetti lo si è già detto). Dopo quell'assise, peraltro, invece che almeno ogni due mesi, il Senato dovette aspettare due anni per essere convocato (su richiesta di Turco), alla fine del 2013, mentre la situazione economico-finanziaria si faceva sempre più grave. Tale è rimasta: lo stesso Maurizio Turco ha parlato di un debito del Prntt consolidato al 31 agosto di poco meno di 689mila euro, ridotto rispetto a quello ben più pesante di fine 2015 (1.270.000 euro), ma solo perché nove mesi fa è stato licenziato tutto il personale ed è stato disdetto il contratto d'affitto per la sede di Via di Torre Argentina: vantano crediti vari fornitori, gli ex lavoratori (131mila euro di Tfr), la Lista Pannella, la società Torre Argentina Servizi (proprietaria della sede), il centro di produzione e la consulente del lavoro del partito. Tutto ciò a fronte di 1080 iscritti del 2015 e di 983 nell'anno in corso (con le iscrizioni a pacchetto, cioè cumulativamente a tutti i soggetti della galassia radicale, pari a 231, in calo rispetto al passato: l'intero valore delle tessere a pacchetto è incassato dal Partito radicale, per far fronte alle spese comuni di tutta la galassia, comunque ben maggiori rispetto alle entrate).
L'immagine del Partito radicale emersa dalla relazione - accorata e a tratti molto aspra - di Maurizio Turco è quella di un soggetto politico che per anni si è retto (ed è rimasto in piedi) sulla base di un rapporto fiduciario innanzitutto verso Marco Pannella, nonché tra i vari "compagni di avventura". La fiducia, però, dal 2014 sarebbe scemata, sempre secondo Turco: lo mostrerebbero le moltissime assenze di "alcuni dirigenti radicali" alle riunioni quotidiane delle 12 a Torre Argentina, episodi di un dialogo duraturo dal quale è scaturita la convocazione del congresso straordinario. Da due anni, invece, altri avrebbero scelto "un altro percorso", la cui forma compiuta si sarebbe manifestata con la presentazione - il 1° aprile scorso - delle liste “radicali” alle elezioni di Roma e Milano, da parte di segretario, presidente e tesoriere di Radicali italiani. Quel passaggio rappresenta evidentemente un nervo scoperto per Maurizio Turco e coloro che sono stati accreditati più o meno correttamente come "ortodossi": se ad aprile il tesoriere del Prntt aveva bollato l'operazione come "banale [...] travestitismo elettorale" (riprendendo una vecchia citazione di Gianfranco Spadaccia), giovedì ha rincarato la dose e, parafrasando un discorso di Pannella del 1981, ha parlato di "un'imboscata, non a me, ma alla storia radicale" (e le liste, più che in onore di Pannella, a suo dire sarebbero state "in onore di Marco Pannella, della e sulla sua bara").
Già ad aprile, Turco aveva sostenuto che era mancata una reale condivisione di quella scelta nel contesto radicale (mentre la lista di scopo Amnistia giustizia libertà del 2013 seguì a diverse riunioni dei vari soggetti dell'area radicale) e aveva ritenuto scorretto politicamente e giuridicamente presentare una lista con il nome "Radicali", a fronte di previsioni statutarie che negavano la partecipazione alle elezioni del Prntt e di Radicali italiani "in quanto tal[i] e con il proprio simbolo". In un lungo saggio richiestomi dal prof. Fulco Lanchester per la rivista giuridica Nomos, ho spiegato come in quell'occasione non sia stato compiuto nessun atto giuridicamente illegittimo (il simbolo utilizzato era del tutto diverso da quelli del Prntt e di Radicali italiani, le liste non sono state formalmente presentate da quei soggetti politici - anche se tra i candidati e i promotori c'erano iscritti e dirigenti di Radicali italiani - e non ci sarebbero stati elementi per invalidare la partecipazione delle liste), pur riconoscendo che alla base c'era un problema politico, di scarsa discussione e condivisione della proposta.
Abbandonati gli argomenti giuridici - stavolta non sono emersi - Maurizio Turco ha condensato il suo giudizio di (in)opportunità politica nel chiedersi "non so se abbiamo mai scritto 'radicali' così grande in un simbolo elettorale noi, anzi lui", indicando l’immagine di Pannella sulla scenografia del congresso. Per inciso, il suo dubbio è fondato: la scritta "radicali" ha un corpo molto maggiore rispetto a quello utilizzato dal Partito radicale nella sua storia; unico precedente comparabile sembra essere il simbolo di Radicali italiani, disegnato nel 2007 da Aurelio Candido (la corolla della rosa era quella dei Riformatori del 1994), ma mai utilizzato in modo autonomo alle elezioni, al di là di una partecipazione alle elezioni amministrative del 2008, in particolare a Roma, in abbinamento alla Lista Bonino.
Sono soprattutto questi i punti della relazione del tesoriere interessanti da trattare, almeno dal punto di vista tecnico: i risvolti politici (a partire da quello legato al passaggio più ripreso, "Da questo contesto putrescente dobbiamo uscire e dobbiamo farlo in fretta: chi ha la fregola di inseguire Renzi col piattino in mano non sarà ostacolato da noi; noi continuiamo a perseguire quell'idea di forza alternativa al potere") hanno un peso, ma qui hanno meno cittadinanza rispetto ad altro.
La mozione approvata
La mozione generale approvata, che si apre nel nome e nella continuità "[d]ella visione e [d]el vissuto di Marco Pannella", si diffonde ampiamente sulle battaglie - molto pannelliane - per la transizione verso lo stato di diritto e l'affermazione del diritto alla conoscenza, per gli Stati uniti d'Europa, nonché - sul fronte italiano - per l’amnistia e l’indulto ("quale riforma obbligata per l’immediato rientro dello Stato nella legalità costituzionale italiana ed europea"), per una giustizia giusta e per il superamento di trattamenti "crudeli e anacronistici" come il regime del "carcere duro" e l'ergastolo. La parte che qui più interessa, tuttavia, riguarda il fronte interno al partito, del quale vengono riaffermati "principi e prassi, le regole fondamentali e i connotati essenziali costitutivi", unici nel panorama politico italiano (adesione individuale diretta, iscrizione aperta a chiunque, impossibilità di essere espulsi, connotato nonviolento come da Preambolo, connotato transnazionale e transpartitico, "secondo il principio della libertà di associazione e la prassi della doppia tessera").
Nella mozione c'è l'ennesima presa d'atto della situazione fallimentare "sul piano delle risorse, umane e di mezzi" in cui il Prntt è ridotto (a causa di "ostracismi, mistificazioni, uso antidemocratico dei poteri statali e privati, compresi quelli dell’informazione"), una situazione che non garantisce l'esistenza e l'attività del partito: condizione "minima, tecnica e politica" perché questa garanzia ci sia è il rientro dal debito. Se, per fare questo, occorrono risorse, che possono venire solo dagli iscritti (il Partito radicale transnazionale non riceve danaro dallo stato, né può riceverne), è stato individuato l'obiettivo di 3mila iscritti che dovrà essere raggiunto tanto nel 2017, quanto nel 2018: un obiettivo per nulla facile da raggiungere, considerando sia il numero attuale di iscritti (poco meno di mille), sia l'elevata quota d'iscrizione richiesta (minima 200 euro, consigliata 500).
La difficoltà della sfida richiede un impegno continuo, che la mozione più votata ha ritenuto di affidare a un organo atipico, non previsto dallo statuto (in modo stabile), ossia la Presidenza del 40° Congresso Straordinario, organo composto da una decina di persone - ne facevano parte Maurizio Turco, Rita Bernardini, Antonella Casu, Antonio Cerrone, Sergio D'Elia, Elisabetta Zamparutti, Matteo Angioli, Angiolo Bandinelli, Marco Beltrandi, Maurizio Bolognetti, Deborah Cianfanelli, Maria Antonietta Farina Coscioni, Mariano Giustino, Giuseppe Rossodivita, Irene Testa e Valter Vecellio - con il coordinamento di quattro dei suoi membri, ossia Rita Bernardini, Antonella Casu, Sergio D’Elia e Maurizio Turco. A costoro spetterà "la responsabilità di assumere tutte le iniziative necessarie", mentre Turco, oltre ad avere la rappresentanza legale del partito nelle attività economico-finanziarie (cosa che già deteneva prima in qualità di tesoriere), dalla stessa mozione risulta insignito della rappresentanza legale tout court (compresa quella processuale), per cui "ha espressa facoltà di proporre ogni azione giudiziaria per la tutela dei diritti e degli interessi del Partito, di nominare avvocati e procuratori". A ciò si accompagna la decisione, assunta sempre con la mozione, di sospendere gli organi di cui all'articolo 2 dello Statuto (assemblea dei legislatori, consiglio generale, congressi di area, comitato di coordinamento, presidente d'onore, ma soprattutto segretario, tesoriere, senato e collegio dei revisori): unico organo che rimarrebbe non sospeso sarebbe "il congresso ordinario biennale", a differenza di quello straordinario, sospeso con gli altri organi.
La difficoltà della sfida richiede un impegno continuo, che la mozione più votata ha ritenuto di affidare a un organo atipico, non previsto dallo statuto (in modo stabile), ossia la Presidenza del 40° Congresso Straordinario, organo composto da una decina di persone - ne facevano parte Maurizio Turco, Rita Bernardini, Antonella Casu, Antonio Cerrone, Sergio D'Elia, Elisabetta Zamparutti, Matteo Angioli, Angiolo Bandinelli, Marco Beltrandi, Maurizio Bolognetti, Deborah Cianfanelli, Maria Antonietta Farina Coscioni, Mariano Giustino, Giuseppe Rossodivita, Irene Testa e Valter Vecellio - con il coordinamento di quattro dei suoi membri, ossia Rita Bernardini, Antonella Casu, Sergio D’Elia e Maurizio Turco. A costoro spetterà "la responsabilità di assumere tutte le iniziative necessarie", mentre Turco, oltre ad avere la rappresentanza legale del partito nelle attività economico-finanziarie (cosa che già deteneva prima in qualità di tesoriere), dalla stessa mozione risulta insignito della rappresentanza legale tout court (compresa quella processuale), per cui "ha espressa facoltà di proporre ogni azione giudiziaria per la tutela dei diritti e degli interessi del Partito, di nominare avvocati e procuratori". A ciò si accompagna la decisione, assunta sempre con la mozione, di sospendere gli organi di cui all'articolo 2 dello Statuto (assemblea dei legislatori, consiglio generale, congressi di area, comitato di coordinamento, presidente d'onore, ma soprattutto segretario, tesoriere, senato e collegio dei revisori): unico organo che rimarrebbe non sospeso sarebbe "il congresso ordinario biennale", a differenza di quello straordinario, sospeso con gli altri organi.
Questo stato di "sospensione statutaria" (per riutilizzare le parole di Stanzani) è destinato a durare, potenzialmente, fino al 2018. Se il risultato dei 3mila iscritti sarà raggiunto in entrambi gli anni, si è già scelto di convocare il congresso ordinario "entro 90 giorni dal raggiungimento dell'obiettivo", in caso contrario saranno "attivate tutte le procedure atte alla liquidazione dell'attività del partito". In pratica, sembra di ritrovarsi davanti lo slogan di qualche anno fa "I radicali o li scegli o li sciogli", anche se caricato di una maggiore drammaticità rispetto al passato, anche e soprattutto per l'assenza della figura di Marco Pannella.
La mozione sconfitta e le polemiche
La mozione approvata, a prima firma Turco, ha ottenuto 178 voti, ben di più dei 79 raccolti dalla mozione n. 2, a prima firma di Marco Cappato. Il testo, decisamente più breve, puntava a trasformare l'appuntamento di Rebibbia da 40° congresso a prima sessione dello stesso, prevedendone una seconda - come era già avvenuto in passato - da svolgersi successivamente (la mozione suggeriva "entro otto mesi"), così da preparare nel frattempo la costituzione di un vero "partito degli 'oppressi di tutto il mondo', soggetto transnazionale e transpartito". L'idea era stata sostenuta soprattutto da Gianfranco Spadaccia e sostenuta da altri radicali storici, oltre che dal gruppo che dopo l'ultimo congresso guida Radicali italiani. Alla base c'era anche la convinzione - espressa al congresso soprattutto da Roberto Cicciomessere - che un vero partito transnazionale, come vorrebbe essere dal nome, non c'è e occorre darsi tempo e spazio per crearlo davvero, senza veder pendere sulla testa la mannaia della liquidazione, e affidarsi nel frattempo agli organi del partito che - pur a ranghi decisamente ridotti - comunque ci sono.
In questo senso, la mozione Cappato si presentava soprattutto come elenco di cose da fare, dalla predisposizione di "un progetto di partito che ne indichi non solo le linee d'azione politica, ma anche le modalità di vita, di organizzazione, di reperimento delle necessarie risorse economico-finanziarie" all'azione affidata agli organi del partito in carica (campagna di iscrizione allargata a membri non solo italiani, adozione di un modello adeguato "di organizzazione, di struttura e di reperimento delle necessarie risorse economiche e finanziarie", apertura di un confronto sul modello di partito "che fornisca a ciascun iscritto gli strumenti per intervenire in modo pieno ed effettivo nel merito di proposte e scelte alternative già note con un adeguato anticipo").
Va segnalato che Cappato come primo firmatario aveva proposto anche un emendamento alla mozione Turco (respinto da 121 voti contro 98 e una decina di astenuti), dal contenuto identico alla propria mozione: l'intento era di sostituire i punti della mozione in cui si indicava di fatto nella presidenza del congresso il nuovo gruppo dirigente radicale e in Maurizio Turco il nuovo rappresentante legale, sospendendo le altre cariche previste dallo statuto. Al di là delle ragioni politiche, la proposta aveva ragioni giuridiche precise e interessanti, messe bene in luce da Mario Staderini: a suo dire, quella parte che loro volevano emendare doveva essere dichiarata irricevibile, perché "una mozione non può modificare uno statuto" (e perché, di fatto, incide sulla votazione degli organi dirigenti a scrutinio segreto), con il rischio che - in caso di approvazione della mozione Turco senza modifiche - ogni atto del partito compiuto secondo la mozione ma al di fuori dello statuto potrebbe essere invalidato. Era subito intervenuto contro l'emendamento Marco Beltrandi, sostenendo che "un congresso straordinario non si può concludere in modo ordinario" (quindi con l'elezione, in tutto o in parte, degli organi statutari); di certo è legittimo chiedersi se il procedimento seguito sia rispettoso dell'art. 21 del codice civile, in base al quale, se nello statuto non è scritto nulla di diverso (e sul punto quello del Prntt non contiene nulla), per modificare lo statuto occorre la presenza di almeno il 75% degli associati e il voto di almeno la metà dei presenti. Nessuno, è vero, ha pensato di modificare lo statuto, ma allora la stessa mozione dovrebbe rispettare la "legge fondamentale" dell'associazione, cioè lo statuto...
Tra i motivi di polemica, del resto, c'è stata anche - lo ha sottolineato Marco Cappato - la sospensione persino del congresso straordinario, cioè della stessa formula congressuale utilizzata per celebrare l'assise appena terminata, l'unica che consente l'autoconvocazione da parte degli iscritti (i quali, secondo lo stesso Turco, restano gli unici padroni del Partito radicale). I sostenitori della mozione risultata vincitrice, tuttavia, sostengono che essa abbia in sostanza già convocato (o almeno pre-convocato) il congresso biennale, la cui convocazione "materiale" spetterebbe a Maurizio Turco come rappresentante legale facente funzione, a patto che sia raggiunto l'obiettivo di "sopravvivenza" fissato dalla mozione; in ogni caso, resterebbe intatto il potere di un decimo degli iscritti che, ex art. 20, comma 2 del codice civile, potrebbero chiedere a Turco la convocazione, per poi rivolgersi (qualora lui non provveda) al presidente di un tribunale civile, come avverrebbe per un'associazione qualunque.
Sulla questione della Lista Pannella, peraltro, era intervenuto all'inizio del congresso - non senza sarcasmo - anche Maurizio Turco, specificando che questa "è un'associazione e non una società, non ci sono quote azionarie personali", anche se possiede il 51% delle quote di Centro di produzione (società proprietaria di Radio Radicale) e il 75% della Torre Argentina Società di Servizi (proprietaria dell'immobile di via di Torre Argentina). Turco ha ricordato come l'associazione Lista Pannella sia stata fondata con atto notarile il 21 febbraio 1992 e i soci fondatori furono quelli (più Marco Taradash e Vittorio Pezzuto, poi decaduti) e non altri perché "altri non si fecero avanti, anche perché non c'erano soldi, l'iniziativa che aveva preso Marco per fondare la Lista Pannella era rischiosa [...] chi si chiede 'perché noi e non lui o qualche' altro penso che la risposta possa trovarla nella regione per cui siamo noi quattro e non altri. Forse si deve porre il problema che già nel 1992 Marco – e devo dire che alla luce dei fatti ci sono stati alcuni casi eclatanti – non si fidava".
Come si è ricordato nei giorni scorsi, la Lista Pannella rileva anche perché dal 2011 è il soggetto titolare dei simboli che negli anni hanno caratterizzato la storia radicale: il Gandhi disegnato da Paolo Budassi e la storica rosa nel pugno mutuata dai socialisti francesi. Nessuno, tuttavia, ha praticamente nemmeno accennato al tema della titolarità degli emblemi, che pure l'anno scorso avevano sollevato particolari dubbi e obiezioni da parte di alcuni iscritti. Eppure solo il 1° agosto, nel corso di una riunione pre-congressuale promossa dai convocatori del 40º congresso, Roberto Cicciomessere aveva paventato un congresso "più o meno clandestino nel quale si possa fare un colpo di mano e impossessarsi non solo del patrimonio radicale, ma anche del brand, dell'etichetta 'radicale'", con riferimento innanzitutto al nome.
In questo senso, la mozione Cappato si presentava soprattutto come elenco di cose da fare, dalla predisposizione di "un progetto di partito che ne indichi non solo le linee d'azione politica, ma anche le modalità di vita, di organizzazione, di reperimento delle necessarie risorse economico-finanziarie" all'azione affidata agli organi del partito in carica (campagna di iscrizione allargata a membri non solo italiani, adozione di un modello adeguato "di organizzazione, di struttura e di reperimento delle necessarie risorse economiche e finanziarie", apertura di un confronto sul modello di partito "che fornisca a ciascun iscritto gli strumenti per intervenire in modo pieno ed effettivo nel merito di proposte e scelte alternative già note con un adeguato anticipo").
Va segnalato che Cappato come primo firmatario aveva proposto anche un emendamento alla mozione Turco (respinto da 121 voti contro 98 e una decina di astenuti), dal contenuto identico alla propria mozione: l'intento era di sostituire i punti della mozione in cui si indicava di fatto nella presidenza del congresso il nuovo gruppo dirigente radicale e in Maurizio Turco il nuovo rappresentante legale, sospendendo le altre cariche previste dallo statuto. Al di là delle ragioni politiche, la proposta aveva ragioni giuridiche precise e interessanti, messe bene in luce da Mario Staderini: a suo dire, quella parte che loro volevano emendare doveva essere dichiarata irricevibile, perché "una mozione non può modificare uno statuto" (e perché, di fatto, incide sulla votazione degli organi dirigenti a scrutinio segreto), con il rischio che - in caso di approvazione della mozione Turco senza modifiche - ogni atto del partito compiuto secondo la mozione ma al di fuori dello statuto potrebbe essere invalidato. Era subito intervenuto contro l'emendamento Marco Beltrandi, sostenendo che "un congresso straordinario non si può concludere in modo ordinario" (quindi con l'elezione, in tutto o in parte, degli organi statutari); di certo è legittimo chiedersi se il procedimento seguito sia rispettoso dell'art. 21 del codice civile, in base al quale, se nello statuto non è scritto nulla di diverso (e sul punto quello del Prntt non contiene nulla), per modificare lo statuto occorre la presenza di almeno il 75% degli associati e il voto di almeno la metà dei presenti. Nessuno, è vero, ha pensato di modificare lo statuto, ma allora la stessa mozione dovrebbe rispettare la "legge fondamentale" dell'associazione, cioè lo statuto...
Tra i motivi di polemica, del resto, c'è stata anche - lo ha sottolineato Marco Cappato - la sospensione persino del congresso straordinario, cioè della stessa formula congressuale utilizzata per celebrare l'assise appena terminata, l'unica che consente l'autoconvocazione da parte degli iscritti (i quali, secondo lo stesso Turco, restano gli unici padroni del Partito radicale). I sostenitori della mozione risultata vincitrice, tuttavia, sostengono che essa abbia in sostanza già convocato (o almeno pre-convocato) il congresso biennale, la cui convocazione "materiale" spetterebbe a Maurizio Turco come rappresentante legale facente funzione, a patto che sia raggiunto l'obiettivo di "sopravvivenza" fissato dalla mozione; in ogni caso, resterebbe intatto il potere di un decimo degli iscritti che, ex art. 20, comma 2 del codice civile, potrebbero chiedere a Turco la convocazione, per poi rivolgersi (qualora lui non provveda) al presidente di un tribunale civile, come avverrebbe per un'associazione qualunque.
La questione della Lista Pannella e i simboli
Staderini e Valerio Federico, peraltro, avevano espresso dubbi sulla coesistenza dei ruoli che Maurizio Turco avrebbe dopo l'approvazione della mozione (discorso che varrebbe anche, in misura minore, per Rita Bernardini). Come è noto, Turco e Bernardini sono anche tra i pochi soci (rimasti), oltre ad Aurelio Candido e Laura Arconti, dell'associazione Lista Pannella - Notizie radicali, di cui anzi Turco è diventato presidente dopo l'assemblea dei soci convocata successivamente alla morte di Marco Pannella. Per Staderini, Bernardini e Turco sarebbero contemporaneamente amministratori del patrimonio radicale (mediante la Lista Pannella) e "tenutari del Partito Radicale col potere di liquidazione" (parole di Staderini), con una "concentrazione di potere" inedita e che Pannella formalmente aveva sempre evitato. In effetti l'approvazione dell'emendamento Cappato alla mozione Turco non avrebbe cambiato di molto questa cosa: l'amministrazione del patrimonio sarebbe rimasta nelle mani del tesoriere uscente, dunque lo stesso Turco, ma avrebbe evitato potenziali contestazioni giuridiche (o, per dirla con Staderini, "senza alzare quella polveriera che porterà al nulla di fatto e al casino").Sulla questione della Lista Pannella, peraltro, era intervenuto all'inizio del congresso - non senza sarcasmo - anche Maurizio Turco, specificando che questa "è un'associazione e non una società, non ci sono quote azionarie personali", anche se possiede il 51% delle quote di Centro di produzione (società proprietaria di Radio Radicale) e il 75% della Torre Argentina Società di Servizi (proprietaria dell'immobile di via di Torre Argentina). Turco ha ricordato come l'associazione Lista Pannella sia stata fondata con atto notarile il 21 febbraio 1992 e i soci fondatori furono quelli (più Marco Taradash e Vittorio Pezzuto, poi decaduti) e non altri perché "altri non si fecero avanti, anche perché non c'erano soldi, l'iniziativa che aveva preso Marco per fondare la Lista Pannella era rischiosa [...] chi si chiede 'perché noi e non lui o qualche' altro penso che la risposta possa trovarla nella regione per cui siamo noi quattro e non altri. Forse si deve porre il problema che già nel 1992 Marco – e devo dire che alla luce dei fatti ci sono stati alcuni casi eclatanti – non si fidava".
Come si è ricordato nei giorni scorsi, la Lista Pannella rileva anche perché dal 2011 è il soggetto titolare dei simboli che negli anni hanno caratterizzato la storia radicale: il Gandhi disegnato da Paolo Budassi e la storica rosa nel pugno mutuata dai socialisti francesi. Nessuno, tuttavia, ha praticamente nemmeno accennato al tema della titolarità degli emblemi, che pure l'anno scorso avevano sollevato particolari dubbi e obiezioni da parte di alcuni iscritti. Eppure solo il 1° agosto, nel corso di una riunione pre-congressuale promossa dai convocatori del 40º congresso, Roberto Cicciomessere aveva paventato un congresso "più o meno clandestino nel quale si possa fare un colpo di mano e impossessarsi non solo del patrimonio radicale, ma anche del brand, dell'etichetta 'radicale'", con riferimento innanzitutto al nome.
Di simboli, come detto, si è parlato ben poco, eppure una proposta sui generis è stata fatta da Luigi Crespi, già sondaggista demiurgo di Datamedia: "In politica, nella vita i simboli determinano i valori su cui poi si costruiscono le idee: io chiedo che questo congresso voti [...] che quel simbolo da dopo questo congresso non riporti più l'effigie di Gandhi, ma quella del nostro Gandhi, che è quella di Marco Pannella". Nessuna tentazione idolatrica per Crespi, ma una scelta valoriale: "Sono poco interessato - ha spiegato - al destino del nome 'radicale', del suo marchio. Io credo che chiunque abbia il diritto di usarlo come meglio preferisce e che qualunque discussione sul brand sia una discussione assolutamente insensata [...] chiunque si vuole definire radicale nel mondo [...] lo faccia in rapporto con la propria coscienza e con i propri comportamenti". Pannella invece non è alla portata di chiunque: lui, che delle regole della relazione e della comunicazione "se n'è altamente sbattuto i coglioni in modo sistematico e volontario", è riuscito a diventare un modello nella costruzione del consenso, interessato a non mollare sui suoi principi piuttosto che a ottenere consenso a tutti i costi.
"Marco è sopravvissuto a se stesso e sopravviverà a ognuno di noi ed è giusto metterlo là in quella cornice come punto di riferimento perché lui rappresenta più di quanto per tutti noi possa rappresentare per le nostre vite lo stesso Gandhi". Il motto del congresso radicale, per Crespi, poteva essere "da qui dobbiamo uscire più pannelliani di come siamo entrati", e forse anche più pannelliani di Pannella: nemmeno lui, nel 1992, era arrivato a osare fino al punto di mettere il suo ritratto sul simbolo di lista (anche se, stando a quanto aveva scritto Pierluigi Battista sulla Stampa il 9 febbraio 1992, un po' doveva averci pensato). Lo aveva fatto giusto Armando Piano Del Balzo, il futuro Giustiziere d'Italia da Valguarnera Caropepe: chissà quanti, tra quelli che stavano a Rebibbia, l'avevano sentito nominare...
"Marco è sopravvissuto a se stesso e sopravviverà a ognuno di noi ed è giusto metterlo là in quella cornice come punto di riferimento perché lui rappresenta più di quanto per tutti noi possa rappresentare per le nostre vite lo stesso Gandhi". Il motto del congresso radicale, per Crespi, poteva essere "da qui dobbiamo uscire più pannelliani di come siamo entrati", e forse anche più pannelliani di Pannella: nemmeno lui, nel 1992, era arrivato a osare fino al punto di mettere il suo ritratto sul simbolo di lista (anche se, stando a quanto aveva scritto Pierluigi Battista sulla Stampa il 9 febbraio 1992, un po' doveva averci pensato). Lo aveva fatto giusto Armando Piano Del Balzo, il futuro Giustiziere d'Italia da Valguarnera Caropepe: chissà quanti, tra quelli che stavano a Rebibbia, l'avevano sentito nominare...
Bravo Gabriele, sempre preciso.
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