Lo si è visto prima: il
2004, con il doppio carico del turno più consistente di elezioni amministrative
e il rinnovo del Parlamento europeo, era un’occasione troppo ghiotta per gli
ambientalisti diversi dai Verdi perché se la lasciassero sfuggire. Le
amministrative, tutto sommato, erano alla portata delle formazioni in attività
fino a quel momento, ma per le europee ci sarebbe stato bisogno di raccogliere
molte, troppe firme: un traguardo praticamente impossibile da raggiungere. A
meno che…
C’era una possibilità, in effetti: sfruttare un comma della legge elettorale vigente, che permetteva a una lista di non procurarsi le sottoscrizioni richieste se avessero ospitato nel loro contrassegno una “pulce”, ossia un simbolo in miniatura di una formazione che aveva eletto almeno un parlamentare. Già, ma quale simbolo? Quale dei partiti avrebbe avuto interesse ad avallare la presentazione di una lista minoritaria? Forza Italia, per esempio, che aveva tutto da guadagnare da un indebolimento dei Verdi. Non avrebbe messo a disposizione il suo simbolo, ovviamente, ma quello della lista «Per l'abolizione dello scorporo e contro i ribaltoni»: si trattava della “lista civetta” che era stata utilizzata dal partito di Berlusconi nel 2001 per collegare i propri candidati deputati della quota maggioritaria, senza quindi che i loro voti fossero sottratti nella quota proporzionale in base al sistema dello “scorporo”.
Il simbolo, dunque, sarebbe stato a disposizione dei Verdi-Verdi di Maurizio Lupi e di Roberto De Santis, nonché dei Verdi Federalisti di Laura Scalabrini, invitati a riavvicinarsi sempre da ambienti forzisti. La prima decisione del gruppo riguardò la scelta del simbolo, non senza liti: se Lupi avrebbe voluto mantenere l’elemento grafico dell’orsetto (lasciando la dicitura Verdi Federalisti come elemento testuale), passò la linea di De Santis, che preferì lasciare la parte grafica alla Scalabrini, con il suo girotondo di bambini, per privilegiare invece il nome dei Verdi-Verdi («La denominazione era una scelta chiaramente identificativa della nostra collocazione e del nostro approccio e antitetica ai Verdi rossi» avrebbe raccontato in seguito proprio De Santis).
C’era una possibilità, in effetti: sfruttare un comma della legge elettorale vigente, che permetteva a una lista di non procurarsi le sottoscrizioni richieste se avessero ospitato nel loro contrassegno una “pulce”, ossia un simbolo in miniatura di una formazione che aveva eletto almeno un parlamentare. Già, ma quale simbolo? Quale dei partiti avrebbe avuto interesse ad avallare la presentazione di una lista minoritaria? Forza Italia, per esempio, che aveva tutto da guadagnare da un indebolimento dei Verdi. Non avrebbe messo a disposizione il suo simbolo, ovviamente, ma quello della lista «Per l'abolizione dello scorporo e contro i ribaltoni»: si trattava della “lista civetta” che era stata utilizzata dal partito di Berlusconi nel 2001 per collegare i propri candidati deputati della quota maggioritaria, senza quindi che i loro voti fossero sottratti nella quota proporzionale in base al sistema dello “scorporo”.
Il simbolo, dunque, sarebbe stato a disposizione dei Verdi-Verdi di Maurizio Lupi e di Roberto De Santis, nonché dei Verdi Federalisti di Laura Scalabrini, invitati a riavvicinarsi sempre da ambienti forzisti. La prima decisione del gruppo riguardò la scelta del simbolo, non senza liti: se Lupi avrebbe voluto mantenere l’elemento grafico dell’orsetto (lasciando la dicitura Verdi Federalisti come elemento testuale), passò la linea di De Santis, che preferì lasciare la parte grafica alla Scalabrini, con il suo girotondo di bambini, per privilegiare invece il nome dei Verdi-Verdi («La denominazione era una scelta chiaramente identificativa della nostra collocazione e del nostro approccio e antitetica ai Verdi rossi» avrebbe raccontato in seguito proprio De Santis).
Naturalmente la
Federazione dei Verdi fece debitamente ricorso in tutte le sedi, tanto alle
elezioni amministrative (comune per comune), quanto a quelle europee. Protestò con
veemenza Paolo Cento in Parlamento, sentendosi dire dal forzista Gregorio
Fontana che «i movimenti Verdi Federalisti e Verdi Verdi da molti anni si
presentano a consultazioni elettorali […] e rappresentano, com'è noto, l’ambientalismo
non schierato a sinistra, non integralista e che, a livello politico nazionale,
sostiene la Casa delle libertà. Nessuna truffa, quindi, nessun imbroglio
riguardo alla presentazione di questo simbolo per le elezioni europee», mentre
i Verdi avrebbero solo voluto estromettere un potenziale concorrente dalle
elezioni.
In prima battuta, tra l’altro,
a essere escluso dalla consultazione più importante fu proprio il simbolo del
sole che ride, perché era stata inserita dicitura «con l’Ulivo» senza che i
Verdi facessero parte dell’alleanza: il tempo per i Verdi-Verdi di distribuire
alla stampa una nota dal titolo memorabile («Caro Alfonso non fare il Pecoraro»)
e il contrassegno fu debitamente modificato e accettato, ma l’offensiva presso
le corti di tutta l’Italia continuò. In qualche modo la strategia pagò: i Verdi
riuscirono a far considerare confondibile quasi ovunque – per colpa dei colori
e della parola «Verdi» in particolare evidenza – il contrassegno composito
della nuova formazione ambientalista, estromettendola dalle elezioni. Alle
europee, invece, andò diversamente, ma la vicenda fu se possibile ancora più
complessa.
Dopo che l’ufficio
elettorale presso la Cassazione aveva riconosciuto che «la parola “verdi”, […]
appartenendo ad una vasta area politico-culturale a livello sia nazionale che
europeo, non è in sé fattore individualizzante decisivo» e che i due emblemi
non erano a ben guardare confondibili, in una manciata di giorni il Consiglio
di Stato praticamente ribaltò il verdetto: non solo i giudici di palazzo Spada
ritennero che i due contrassegni si potessero in effetti confondere, ma
aggiunsero che ciò si sarebbe potuto evitare ingrandendo a dovere il simbolo
della “lista antiscorporo”, anche perché proprio grazie a questo è stata
evitata la raccolta delle firme.
La decisione, piuttosto
inconsueta per il contenzioso noto fino a quel momento, avrebbe comunque
permesso alla lista ambientalista di partecipare alle elezioni, ma solo ingigantendo
la “pulce”. La soluzione, a dirla tutta, non soddisfò comunque i Verdi, che presentarono
un’interrogazione urgente, lamentando di non aver avuto la possibilità di ricorrere
contro l’ammissibilità di un emblema ritenuto ancora troppo confondibile. Soprattutto,
però, a masticare molto amaro fu la lista “ammessa su condizione”, un po’ perché
il potenziale dell’operazione politico-elettorale era stato inevitabilmente
ridotto, un po’ per alcuni fatti accaduti in quegli stessi giorni: il racconto
è di nuovo di Roberto De Santis, nel suo libro Da una “grigia” a una “verde” politica: «Era chiaro che eravamo stati abbandonati al nostro destino, anche
perché i Verdi del sole che ride misero in atto una serie di manifestazioni
attaccando pesantemente il premier
Berlusconi e a bordo di gommoni circondarono la sua villa in Sardegna, oggetto
di recenti e profonde ristrutturazioni. La villa era stata trasformata in un bunker di tutta sicurezza e i Verdi del
sole che ride minacciarono azioni e denunce per opere realizzate in totale
violazioni di leggi ambientali. Per Forza Italia poteva essere un’arma a doppio
taglio e dal Ministero degli Interni, dove sedeva un esponente dello stesso
partito, ci arrivò questa insolita richiesta [di modificare il simbolo, ndb]».
Alle elezioni la lista,
senza mezzi e senza manifesti, sfiorò lo 0,5%; la Fiamma tricolore, con lo 0,8%
ottenne un parlamentare, Verdi-Verdi e Verdi federalisti niente, con varie
recriminazioni in fase di scrutinio («Si scoprì che in molte sezioni, dove il
voto era attribuito ai Verdi Verdi, veniva diversamente assegnato ai “cugini”
del sole che ride – racconta ancora De Santis – furono circa diecimila le
schede contestate che, se attribuite correttamente, avrebbero probabilmente
coronato il nostro progetto»). I Verdi, ovviamente, respinsero categoricamente ogni accusa di broglio o indebito vantaggio,
ma si sentivano comunque tranquilli: con quell’ordinanza nel carniere, da lì in avanti sarebbe
stato più facile evitare altre grane “simboliche”. Manco a dirlo, ci avevano
preso.