Visualizzazione post con etichetta nuovo psi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta nuovo psi. Mostra tutti i post

lunedì 30 agosto 2021

Liberal Socialisti, nuovo simbolo elettorale (in verde) per il Nuovo Psi

Da pochi giorni in Rete è apparsa una nuova pagina Facebook denominata Liberal Socialisti NPsi, legata a un sito internet altrettanto nuovo. entrambi si distinguono con un simbolo inconfondibile - garofano rosso dentro corona circolare verde - che ha immediatamente messo in allarme vari #drogatidipolitica: è nato un nuovo soggetto politico nell'area socialista (l'ennesimo, per l'esattezza) di cui tenere conto, oppure si tratta semplicemente del Nuovo Psi con una veste grafica diversa? 
Uno sguardo più attento e qualche verifica diretta hanno consentito di sciogliere l'arcano: il soggetto politico è sempre il Nuovo Psi, che dal 2019 ha come segretario Lucio Barani e come presidente (ma fin dal 2011) Stefano Caldoro. Il garofano, del resto, è proprio lo stesso - nella stessa posizione - sfoggiato per la prima volta nel 2006: il Nuovo Psi - quello nato ufficialmente nel 2001 - era nel bel mezzo di una contesa giuridica sul "congresso - non congresso" dell'ottobre del 2005 (il quinto, straordinario) tra chi sosteneva che fosse stato eletto segretario per acclamazione Bobo Craxi e chi invece riteneva che - non essendosi individuata con certezza la base dei delegati - non si fosse celebrata alcuna assise e alla segreteria fosse rimasto Gianni De Michelis. Tra un'ordinanza e l'altra del tribunale di Roma (che prima diede ragione ai primi, poi ai secondi), c'era comunque da preparare il materiale per le elezioni politiche, contrassegno compreso (e condiviso con la Democrazia cristiana per le autonomie di Gianfranco Rotondi): nel simbolo spuntò così quel nuovo garofano rosso, realizzato "in emergenza" per l'occasione. Lo stesso fiore tornò utile nella seconda metà del 2007 quando, dopo l'ennesima scissione tra Gianni De Michelis e Mauro Del Bue da una parte e Stefano Caldoro e Lucio Barani dall'altra, questi ultimi fondarono una nuova associazione partito denominata "Nuovo Psi": come simbolo ripresero il garofano elaborato poco più di un anno prima e lo collocarono in una corona rossa che su di sé portava anche la denominazione scelta.
"Ricordo molto bene quella successione di simboli e la nascita di quel garofano in particolare - ricorda oggi Barani, interpellato espressamente sul punto da I simboli della discordia - perché il disegno di quel fiore lo commissionai proprio io a un grafico che conoscevo, Franco Pedroni, tra il 2004 e il 2005. Ricordo che mi presentò esattamente ventidue diversi disegni: tra quelle proposte scelsi proprio quel garofano quasi veritiero, che nella forma della corolla ricordava quello già usato dal Nuovo Psi. Per evitare che qualcuno potesse appropriarsene, lo tutelai con tanto di atto notarile e da allora è un mio simbolo. All'inizio non riuscii a farlo adottare come simbolo del partito mentre era segretario De Michelis e io avevo l'incarico di tesoriere, ma quando appunto ci fu la contesa giudiziaria sul congresso del 2005 e occorreva un simbolo sicuro per presentare le liste usammo quello e io stesso fui eletto deputato nel 2006 con quello. Nei mesi successivi tornò il simbolo precedente, fino a quando nel 2007 arrivò alla segreteria Caldoro e, non potendosi usare il vecchio emblema conteso, io proposi di adottare quello depositato da me: da allora è diventato il nostro simbolo ufficiale, a maggior ragione da quando Caldoro, diventato nel 2010 presidente della giunta regionale campana, non poteva più guidare anche il nostro partito e si è dimesso, per cui poi sono stato eletto io".
Tornando al simbolo rinnovato con garofano, corona verde e scritta "Liberal Socialisti", è sempre Barani a spiegarne l'origine: "Si tratta di un emblema che abbiamo lanciato in questi giorni, dopo averne deliberato l'uso a giugno in un ufficio di presidenza: il simbolo ufficiale del partito, così come consacrato nello statuto, resta quello consueto, ma nelle elezioni di ottobre in cui ci presenteremo useremo questo". Lo stesso emblema, come si diceva, sta iniziando a circolare sui social network (anche per pubblicizzare la nuova campagna di iscrizioni online), sul nuovo sito del partito e in altre iniziative, incluse quelle legate alla raccolta firme per i referendum sulla giustizia giusta proposti dal Partito radicale e dalla Lega e che il Nuovo Psi ha deliberato di sostenere.
"La base di questa variante simbolica - prosegue il segretario - è un contrassegno che avevamo già depositato in precedenza, con lo stesso garofano, che portava la dicitura 'Liberal socialisti' sulla corona". In effetti, scorrendo i simboli depositati per le elezioni politiche del 2013, si scopre che il Nuovo Psi aveva presentato al Viminale, oltre al proprio simbolo consolidato, anche la variante dei Liberal socialisti (sia pure solo per la circoscrizione Estero, cosa che permetteva il deposito di più emblemi senza particolari difficoltà). Allora non c'era alcun riferimento al nome ("Nuovo Psi" o in forma abbreviata) e la corona era rimasta rossa, mentre questa volta si è fatta un'altra scelta cromatica: "Abbiamo voluto dare in modo più tangibile l'idea del tricolore, unendo il verde della corona al bianco del fondo e al rosso della corolla del fiore. Questo è anche un modo per distinguerci da quelli che chiamerei 'pseudosocialisti', quelli che per anni hanno usato nel loro simbolo la rosa perché non volevano schierare il garofano, così come non lo volevano i partiti loro 'padroni' con cui erano alleati. Ora che anche da quelle parti si è deciso di adottare di nuovo un garofano come simbolo, noi abbiamo scelto il verde per distinguerci, per rimarcare che noi siamo sempre craxiani anticomunisti, lo siamo davvero: siamo l'originale, non un surrogato o una fotocopia". In effetti l'accordo stipulato - con scrittura privata - a metà del 2007 tra Barani e Caldoro da una parte e 
De Michelis e Mauro Del Bue dall'altra prevedeva che nessuna delle due nuove distinte formazioni politiche avrebbe potuto usare una corona circolare di colore verde (in modo che nessuno dei due gruppi politici fosse confondibile con il partito che fino a quel momento aveva operato in modo unitario); è passato però davvero molto tempo da allora ed è ben difficile che qualcuno possa lamentarsi di questo ritocco grafico (che, anzi, porta maggiore chiarezza perché si distingue dal bordo rosso spesso del simbolo del Psi guidato da Enzo Maraio).
Quanto al nuovo testo in evidenza, "Liberal Socialisti", "nessun altro usa quell'espressione ed è nostra da sempre, punto e basta. Noi eravamo e siamo liberal socialisti, lo dicevamo e ora lo scriviamo anche a chiare lettere sul contrassegno elettorale. D'altronde, nella rivoluzione post Tangentopoli, dopo vari anni di disastri e di fronte ai danni al Paese legati alla pandemia, per risollevare l'Italia si è preso un uomo della Prima Repubblica che era di fatto un collaboratore dei governi Craxi: Mario Draghi, infatti, era consulente economico di Giovanni Goria, che era appunto ministro del tesoro nei governi guidati da Craxi, così come lo è stato quando Goria è diventato a sua volta Presidente del Consiglio. Quando si è insediato, Draghi si è detto socialista liberale e io avevo sostenuto lo stesso in una mia intervista: insomma, per risollevare questo paese ci volevano e ci vogliono i liberal socialisti e noi lo mettiamo chiaro e netto nel nostro simbolo elettorale".
Il soggetto politico, come si diceva, continua a chiamarsi Nuovo Psi, nome che in questa nuova versione "ritoccata" del simbolo appare solo in forma abbreviata (NPsi): non c'è il rischio che qualcuno non si riconosca più, pensando che sia nato l'ennesimo partito dell'area socialista? "Diciamo che è una scoperta, come quelle che fanno i bambini quando crescono - risponde Barani sorridendo - si tratta di una scommessa per noi e di una scoperta per chi affronta la vita politica e, passo dopo passo, ne scopre pregi e difetti. Chi continuerà a riconoscerci anche con questa 'veste rinnovata' sarà un nostro fedelissimo: stiamo seminando e ci prepariamo a una semina diffusa in tutto il paese, avendo come obiettivo la partecipazione alle prossime elezioni politiche e avendo l'ambizione di un risultato a due cifre, sperando che la prima cifra non sia 1!"
Non sorprende affatto che Barani abbia proposto, come esperimento, il ritocco del nome ma non del garofano, e non solo perché quello - come ha spiegato forse per la prima volta - è depositato a suo nome: nel corso degli anni, infatti, l'attuale segretario si è distinto anche per il garofano sempre portato nel taschino della giacca (anche e soprattutto in Parlamento) e persino stampato sulla nota maglietta con lo slogan Je suis Craxi. "Ricordo bene un articolo di Giampaolo Pansa spiega Barani - in cui scriveva senza giri di parole che in un Parlamento in cui tutti rinnegavano la loro identità, c'era rimasta una persona che la manifesta in modo ideale e anche materiale, indossando il garofano o, prima ancora, concedendo a Bettino Craxi la cittadinanza onoraria in vita, come ho fatto quando ero sindaco di Aulla". Se si chiede a Barani se il garofano, per lui, rappresenti oggi soprattutto un simbolo socialista, liberal socialista o craxiano, non ha dubbi nella risposta: "Per me il garofano è innanzitutto e soprattutto un simbolo liberal socialista: va però dato a Cesare ciò che è di Cesare, quindi bisogna riconoscere che il primo a portarlo sulle schede elettorali con quella connotazione è stato Bettino Craxi". Il simbolo "ritoccato" del Nuovo Psi destinato alle elezioni, dunque, per Barani è soprattutto un modo per rimettere tutte le tessere ideali e grafiche al loro posto, per legare il garofano al primo uso massiccio nella storia repubblicana italiana e a chi lo ha scelto sin dalla fine degli anni '70 e confermato in seguito. Con il concorso essenziale di Ettore Vitale e di Filippo Panseca, come lettrici e lettori di questo sito sanno molto bene.

giovedì 19 agosto 2021

Toscana Futura alle regionali 2005: un "buco bianco" della democrazia?

Fu un anno rilevante il 2005 nella storia delle elezioni regionali
. Per la seconda volta, in seguito alla riforma costituzionale del 1999, il corpo elettorale poteva scegliere direttamente la persona che avrebbe presieduto la giunta regionale (anche se già nel 1995, alla prima applicazione della "legge Tatarella", si sapeva che il capolista del "listino" maggioritario di coalizione sarebbe stato indicato come futuro presidente). Soprattutto, però, nel 2004 si era dato avvio al "federalismo elettorale", consentendo a ciascuna Regione - una volta rivisto il proprio statuto - di dotarsi di proprie norme per regolare l'elezione del presidente e del consiglio regionale. 
La prima Regione a provvedere era stata la Toscana (con la legge regionale n. 25/2004), la stessa che in quell'occasione - con la l.r. n. 70/2004 - aveva introdotto un sistema di "primarie pubbliche" per la scelta delle candidature nelle circoscrizioni provinciali o per la presidenza della giunta. Proprio in Toscana, peraltro, elettrici ed elettori trovarono sulla scheda uno strano simbolo "vuoto", giustificabile solo in parte con l'immagine anonima che spesso caratterizza i contrassegni pensati per i "listini" o le candidature presidenziali (per evitare che elettrici ed elettori segnino quell'emblema, invece che uno dei contrassegni di lista, unico voto in grado di concorrere davvero alla ripartizione dei seggi). Quello legato al candidato presidente Renzo Macelloni, in effetti, più che un simbolo "vuoto" era un simbolo "svuotato", privo di ogni grafica riconoscibile e persino del nome originario del progetto, Toscana Futura, che pure doveva stare sulla fascetta bianca rimasta visibile sul cerchio in primo piano. Dietro a quell'emblema "svuotato" c'era una storia complessa, fatta di accordi, progetti mutati in corsa, primarie "ritirate" ma ugualmente svolte (perché le norme non consentivano altre soluzioni), simboli recuperati e ricorsi per impedirne l'uso. Si tratta di una vicenda poco nota, che merita di essere ricostruita e ripercorsa, carte alla mano.

I primi passi di Toscana Futura

La storia che si racconta iniziò ufficialmente l'8 novembre 2004
, quando i media diedero notizia di una riunione, tenutasi il giorno prima all'hotel San Gallo Palace di Firenze, che aveva posto le prime concrete basi di un possibile "terzo polo", come ormai c'era l'abitudine di chiamare quasi ogni proposta alternativa alle coalizioni di centrosinistra e di centrodestra. Il lavoro, tuttavia, era iniziato varie settimane prima, essenzialmente su impulso di due soggetti politici. 
Il primo era il Gruppo I Centouno, fondato e guidato da Nicola Cariglia (a lungo giornalista e dirigente Rai, vicesindaco di Firenze negli anni '80 e tuttora presidente della Fondazione Filippo Turati, fondata dal fratello Antonio Cariglia, già segretario del Psdi). Si trattava di un soggetto laico e votato alla libertà di pensiero (come testimoniava anche il sito a questo collegato, www.pensalibero.it, ancora attivo), attivo soprattutto nel fiorentino, cui facevano riferimento persone di area socialista, socialdemocratica, liberale e repubblicana (aderenti o meno a un partito): si trattava di un'aggregazione nata dal "profondo disagio [...] di chi si rende conto che tutta un'area liberale e laica, legata ai valori che sottendono la civiltà liberal-democratica e a quelli altrettanto importanti di equità sociale ('meriti e bisogni'), non trova più una efficace rappresentazione nei due 'poli' né sulle questioni interne, né sulle questioni internazionali" e con l'intenzione di cogliere le opportunità offerte da varie lacerazioni politiche a livello nazionale e da un numero consistente di elezioni in pochi anni. L'emblema, a suo modo, stilizzava la corolla di una rosa o di un garofano; quanto al numero - ancora non legato ai franchi tiratori che avrebbero impallinato Prodi nel 2013 nei voti per il Quirinale - questo era apparso sulla scheda elettorale delle amministrative a Firenze in quello stesso 2004, all'interno della lista Liberali Saldarelli Sgarbi, nella quale Cariglia era risultato il più votato dei candidati dopo il critico d'arte (la lista ottenne l'1,06%, con una propaganda elettorale e una "pubblicità" ridotta al minimo).
Il secondo soggetto politico promotore del "terzo polo" era rappresentato dalla Federazione dei Liberali, vale a dire la formazione che rappresentava la maggiore continuità politica (e in un certo senso giuridica) con il Partito liberale italiano, visto che si costituì il 6 febbraio 1994, al "congressificio" dell'hotel Ergife di Roma, da quasi tutte le stesse persone che poche ore prima - nello stesso albergo - avevano deciso lo scioglimento del Pli. Quella prima assemblea, che aveva indicato come presidente Alfredo Biondi, aveva eletto due vicepresidenti, uno dei quali era Raffaello Morelli (nato a Pisa ma da anni attivo a Livorno). Questi (già vicepresidente del Pli) sarebbe diventato in seguito coordinatore della Fdl (di cui era stata confermata l'iscrizione all'Internazionale liberale e all'Eldr), poi - dal secondo congresso del 1995 - segretario e più in là di nuovo presidente. Da alcuni anni l'attività della Federazione dei Liberali è decisamente ridotta, ma nel nel 1996 e nel 2001 il partito aveva sostenuto l'Ulivo (pur rimarcando l'idea che dovesse restare una coalizione senza mai diventare un partito unico, entrando dunque in frizione con chi sosteneva questa tesi), mentre proprio nel 2004 aveva stretto un accordo con il Patto Segno-Scognamiglio, in base al quali lo stesso Carlo Scognamiglio Pasini si sarebbe dovuto iscrivere al gruppo Eldr se fosse stato eletto (cosa che non avvenne).
Entrambi i gruppi, dunque, erano animati dall'idea di proporre un progetto convincente per l'area laica, ma soprattutto realmente alternativo sia al centrosinistra che aveva governato la regione, sia al centrodestra che - tra l'altro - aveva concorso all'approvazione della nuova legge elettorale con cui si erano abolite le preferenze, in favore delle liste "bloccate". I primi accordi tra Cariglia e Morelli avevano già prodotto, negli ultimi giorni di ottobre del 2004, un appello formalmente lanciato dal Gruppo I Centouno (il soggetto più radicato dei due nella società civile) per preparare "un incontro tra i partiti e le organizzazioni di ispirazione laica, liberale e socialista, allargato anche ai radicali e alle decine di liste civiche presentatesi un po’ dovunque, in Toscana, alle recenti elezioni amministrative", volto a concordare un programma competitivo per le regionali del 2005.
Oltre ai Centouno e alla Federazione dei Liberali, al primo incontro del 7 novembre 2004 parteciparono esponenti di varie forze politiche, interessate a vario titolo a rendere concreto quel progetto elettorale nei mesi che restavano prima dell'appuntamento con le urne. La più rilevante di tutte, anche per notorietà a livello nazionale e per organizzazione a livello regionale, era il Partito socialista - 
Nuovo Psi, che da pochi mesi esprimeva il sindaco di Villafranca in Lunigiana: non si trattava certo di un soggetto qualunque, rispondendo al nome di Lucio Barani, già sindaco di Aulla (dal 1990 al 2004), futuro segretario del partito e parlamentare ultracraxiano e a dir poco vulcanico nelle sue iniziative.
Oltre al Nuovo Psi, al "tavolo" c'erano anche il Partito liberale di Stefano De Luca (che nel giro di un mese avrebbe ripreso il nome originario del Pli), il Partito repubblicano italiano, il Psdi, nonché rappresentanti dell'area e delle associazioni radicali, delle altre forze socialiste che avevano partecipato alla lista dei Socialisti uniti per l'Europa pochi mesi prima alle europee (coloro, in particolare, che facevano riferimento a Claudio Signorile e Lino Formica) nonché di varie liste civiche operanti sul territorio regionale (quelle interessate erano, secondo i giornali, una sessantina); la stampa aveva segnalato anche la presenza di Pierluigi Piccini, già sindaco di Siena, dirigente di Mps in Francia ed espulso dai Democratici di sinistra.
Alle riunioni successive - senza i radicali - la costruzione del progetto continuò, anche se soprattutto il Nuovo Psi (cui faceva riferimento anche l'ex deputato Psi Ottaviano Colzi) cercava di prendere tempo, adducendo tra l'altro la necessità di aspettare il proprio congresso regionale - programmato per l'inizio di gennaio del 2005 - per decidere se partecipare o meno al "terzo polo". Le altre forze interessate, invece, premevano per accelerare i tempi, anche per avere la possibilità di partecipare alle primarie per la scelta del candidato alla Presidenza della giunta: la legge regionale che le prevedeva stava per concludere il suo iter (e tutte le norme elettorali regionali sarebbero state applicabili senza problemi, visto che la Corte costituzionale avrebbe respinto le censure mosse dal Governo al nuovo testo dello statuto regionale e la legge elettorale approvata pochi mesi prima sarebbe così stata pienamente valida) e cogliere l'opportunità di informare il corpo elettorale e coinvolgerlo avrebbe permesso al "terzo polo" di guadagnare in visibilità prima della vera campagna elettorale. Già a novembre, in ogni caso, circolava con sempre maggiore insistenza il nome per il progetto, cioè Toscana Futura: la denominazione - di cui Morelli rivendica la paternità - guardava espressamente ad alcune esperienze civiche fino ad allora soddisfacenti, a partire da Peccioli Futura, lista che aveva portato sulla poltrona del sindaco Renzo Macelloni. E proprio Macelloni - che, dopo essere stato sindaco del comune pisano dal 1988 al 2004, era diventato consigliere provinciale con la lista Pisa futura e, in ogni caso, nel 2014 e nel 2019 sarebbe stato eletto di nuovo sindaco dello stesso comune, sempre con Peccioli futura - era parso fin dall'inizio uno dei possibili candidati alla presidenza della Regione, dunque uno dei probabili concorrenti alle primarie cui c'era appunto l'idea di partecipare.

Verso le primarie, con nome e simbolo (e le prime difficoltà)

Quando si parla di primarie, qui, ci si riferisce ovviamente a quelle per scegliere il candidato presidente, sicuramente in grado di dare più visibilità al "terzo polo" rispetto a quelle per individuare i candidati delle liste (ugualmente previste dalla legge regionale in approvazione), magari meno conosciuti. La questione delle primarie, in ogni caso, per la nascente Toscana Futura era piuttosto delicata, per almeno due ragioni. Innanzitutto, gli esponenti del Nuovo Psi si erano dimostrati poco propensi a svolgere le primarie (che, del resto, non piacevano all'intera coalizione di centrodestra cui il partito si era legato da tempo a livello nazionale, pur con più di un malumore in varie occasioni), anche per le difficoltà legate alla tempestiva raccolta di firme prescritta dalla legge regionale. Secondariamente, l'eventuale scelta di svolgere le primarie per le candidature di lista (anzi, dei gruppi di liste) sarebbe stata strettamente legata alla decisione sul numero di liste da mettere in campo, a dicembre tutt'altro che definita.
Buona parte dei promotori del progetto politico, infatti, ragionava su uno schieramento "a tre punte", che sarebbero potute diventare quattro se Radicali italiani avesse scelto di presentare una propria lista (cosa che in quella fase sembrava già piuttosto improbabile, anche se ancora a gennaio si sarebbe demandata la scelta a decisioni del livello nazionale): un primo gruppo di liste avrebbe riunito le forze laiche (in particolare la Federazione dei Liberali, il Pli di De Luca, il Psdi, il Pri e parte del gruppo I Centouno), un altro sarebbe stato interamente socialista (guidato dal Nuovo Psi, ma comprendente anche le altre compagini di quell'area) e un terzo sarebbe stato espressione delle varie liste civiche coinvolte in Toscana Futura. Questa era, appunto, la posizione di Centouno, liberali, repubblicani e liste civiche; in casa socialista, invece, le posizioni erano più disomogenee. Se i sostenitori di Signorile e Formica erano incerti sulle primarie, ma concordavano con l'idea di organizzare tre liste distinte, il Nuovo Psi continuava ad avversare le primarie e - il 5 gennaio 2005, in un incontro pubblico tenuto a Firenze, a Villa Arrivabene (sede di una delle circoscrizioni) - disse esplicitamente di preferire la presentazione di una sola lista, chiaramente riconducibile al Nuovo Psi, pur aperta all'apporto di altre forze laiche e civiche; in questa opzione, anche il candidato alla presidenza della Regione sarebbe stato socialista, ma - come ricorda Morelli in un lungo post sul suo blog, dal quale qui si attinge in un buona parte per ricostruire la vicenda - il Nuovo Psi sarebbe stato disponibile a discutere con le altre forze della coalizione per individuare il nome più adatto.
Il fac simile della scheda pubblicato sul BURT
La scelta tra le due opzioni non era solo influenzata da ragioni e visioni politiche, ma era legata anche a valutazioni tecnico-tattiche sugli effetti della nuova legge elettorale: per approfondire il funzionamento ci si permette di rinviare a un contributo scritto nel 2017 con Antonio Folchetti per la rivista giuridica Diritti regionali, ma qui basterà richiamare alcuni dettagli importanti. 
La nuova legge elettorale prevedeva che si affrontassero candidati alla presidenza della giunta regionale, ciascuno dei quali poteva essere sostenuto da un unico gruppo di liste provinciali (distinte ovviamente dallo stesso contrassegno) oppure da una coalizione di gruppi di liste provinciali (ognuno dei quali distinto da un emblema diverso); lo stesso candidato alla presidenza era dotato di un proprio contrassegno (che, qualora fosse stato legato a un solo gruppo di liste provinciali, poteva anche essere uguale al simbolo di quella lista, ma non era certo un obbligo). Per partecipare alla distribuzione dei 63 seggi disponibili (prima della revisione dello Statuto erano 50; due, in ogni caso, erano riservati al Presidente e al suo miglior sfidante) era previsto un singolare sistema di soglie di sbarramento, diverso da quello stabilito dalla normativa nazionale "cedevole": se la persona candidata alla presidenza della giunta aveva raggiunto il 5%, le liste potevano accedere alla ripartizione dei seggi raggiungendo anche solo l'1,5% a livello regionale; in caso contrario, il gruppo di lista doveva aver raggiunto autonomamente il 4% per ottenere almeno un rappresentante in consiglio. 
La lista delle europee 2004
Traducendo in concreto questo meccanismo e seguendo la ricostruzione della vicenda proposta da Raffaello Morelli, gli esponenti del Nuovo Psi "puntavano al 4% con il loro solo simbolo ed erano sicuri di raggiungerlo se nella loro lista fossero entrate anche le altre componenti", senza dunque fare affidamento sul risultato del candidato alla presidenza (o su eventuali voti disgiunti che gli avrebbero potuto consegnare un risultato migliore rispetto a quello del gruppo di liste collegato); i socialisti vicini a Signorile e Formica, peraltro, si erano detti disponibili a entrare non in una lista del Nuovo Psi, ma solo in un'aggregazione simile a quella cui avevano partecipato alle elezioni europee del 2004. 
Le altre forze laiche e civiche, invece, insistettero sulla "scarsa possibilità di aggregare l'elettorato socialista con quello proveniente dalle civiche (quasi tutte di provenienza Ds e sinistra) e anche dai laici" (è sempre Morelli a ricordare) e sottolinearono che forse sarebbe stato più facile far arrivare al 5% il candidato presidente schierando tre liste (immaginando che quella laica potesse arrivare all'1%, mentre tanto quella socialista quanto quella civica avrebbero potuto aspirare almeno al 2%).
Nel frattempo, a quella stessa assemblea del 5 gennaio 2005 in cui erano comunque emerse due posizioni diverse quanto al modo di procedere, si era formalizzato il nome "Toscana Futura" per la coalizione, mentre si stava lavorando anche al simbolo: ricorda Morelli che "sulla parete, durante il dibattito, venivano di continuo proiettati [...] i vari loghi della coalizione tra i quali scegliere". Nei giorni successivi di gennaio si arrivò alla scelta definitiva del contrassegno della coalizione, di cui si fissò pure la descrizione, sempre riportata da Morelli: "corona circolare  color petrolio  con all'interno dita stilizzate intrecciate e multicromatiche di due mani, sullo sfondo di paesaggio collinare a colori e con una banda orizzontale nella parte inferiore riportante la scritta Toscana Futura in nero".

Primarie a tutti i costi, nonostante il ritiro

La scelta del simbolo era un tassello importante, anche perché il tempo stringeva: il 30 dicembre 2004, infatti, il presidente della giunta regionale toscana Claudio Martini aveva indetto le primarie "pubbliche", fissando come data il 20 febbraio 2005 e prevedendo la fine di gennaio come termine per la raccolta delle firme per presentare le candidature (in quella prima applicazione della legge servivano tra 2500 e 3500 sottoscrizioni per ogni coalizione interessata a partecipare alle primarie). Occorreva dunque sbrigarsi e non sembrava opportuno aspettare che il Nuovo Psi celebrasse il suo congresso alla metà di gennaio per decidere cosa fare: chi credeva nelle primarie doveva iniziare a raccogliere le firme subito.
Si mossero dunque il gruppo I Centouno, la FdL, il Pli, il Pri e le liste civiche, decidendo insieme di presentare un solo gruppo di liste: questo - è di nuovo Morelli a ricordare - si sarebbe chiamato Laici e Liste civiche "per avere tranquillità sulle firme e perché, stante la legge elettorale, se la coalizione avesse ottenuto il 5%, questo gruppo di liste avrebbe preso almeno due consiglieri regionali" (e altrettanti sarebbero andati all'eventuale altra lista socialista, con un risultato superiore al 2%) e avrebbe ripreso il simbolo della coalizione Toscana Futura, inserendo nel contrassegno il nome scelto per il gruppo di liste. Come anticipato, i candidati naturali alle primarie sarebbero stati due, cioè Nicola Cariglia per l'area laica e Renzo Macelloni per quella civica: in base a una regola interna, ricordata da Morelli, il secondo arrivato sarebbe stato comunque stato "recuperato" come "candidato regionale" alle elezioni, così da essere certamente eletto se Toscana Futura avesse ottenuto almeno un seggio.
Restava la possibilità di un terzo aspirante candidato alla presidenza, indicato dal Nuovo Psi (che peraltro insisteva, ritenendosi evidentemente più forte e strutturato, per evitare le primarie e far convergere tutti i voti del "terzo polo" su un proprio candidato e su un'unica lista con il garofano); il partito, nelle intenzioni di laici e civici, avrebbe comunque potuto presentare senza problemi una propria lista, fondamentale per il successo della coalizione. Morelli ricorda anche che si stava immaginando pure una terza lista, questa volta legata al Codacons, che pochi mesi prima alle europee aveva ottenuto lo 0,7% con la Lista Consumatori in Toscana, quindi poteva fare comodo perché la coalizione arrivasse al 5%: la trattativa fu portata avanti dallo stesso Morelli e da altri esponenti della FdL insieme ai rappresentanti regionali della Lista Consumatori (che aveva chiesto essenzialmente di essere aiutata a raccogliere le firme richieste dalla legge regionale in alcune province). Ovviamente, l'eventuale partecipazione anche dei radicali alla coalizione (insieme a socialisti e consumatori) per i promotori del gruppo di liste Laici e Liste civiche avrebbe facilitato di molto la corsa elettorale: lo misero nero su bianco, nell'accordo sottoscritto per far nascere la coalizione e il movimento che avrebbe presentato la lista.
Alla fine la richiesta per la partecipazione alle primarie fu presentata il 31 gennaio (da Morelli), con le firme raccolte solo per Cariglia e Macelloni; il giorno dopo, peraltro, Morelli e i due candidati alle primarie scrissero al presidente della Regione Claudio Martini e al presidente del consiglio regionale Riccardo Nencini, chiedendo di intervenire rapidamente per ridurre una tantum il numero delle firme necessarie per la prima applicazione della legge elettorale toscana (si era lamentato come chi avesse chiesto e ottenuto le primarie, potendo raccogliere le firme per le candidature solo dopo l'esito delle primarie stesse, avrebbe avuto meno di dieci giorni a disposizione per raccogliere le sottoscrizioni). Nencini investì della questione i capigruppo; se ne occuparono le commissioni competenti e poi il consiglio, ma non se ne fece nulla: pesarono, a quanto si sapeva, i veti di alcune forze politiche che non volevano in alcun modo favorire possibili concorrenti (in particolare è noto il veto di Alleanza nazionale, volto a non spianare la strada ad Alternativa sociale con Alessandra Mussolini: quel partito riuscì a presentare liste soprattutto grazie a molte firme autenticate da assessori provinciali dei Ds o della Margherita, con prevedibile corredo di polemiche).
Il Nuovo Psi, nel frattempo, aveva celebrato il famoso congresso regionale (eleggendo alla segreteria Ottaviano Colzi e alla presidenza Barani), aveva ribadito la propria intenzione di muoversi in alternativa ai due poli di centrodestra e centrosinistra, ma al tavolo del "terzo polo" - secondo quanto racconta ancora Morelli - aveva confermato tutte le sue richieste: il ritiro dalle primarie, la presentazione di un candidato Presidente del Nuovo Psi, la costruzione di una lista unica. Se sulle primarie e sulla candidatura a Presidente altre forze erano decisamente contrarie, qualche margine in più poteva esserci sulla questione della lista unica, ma con molti dubbi politici e tecnici, per i quali conviene lasciare la parola a Morelli (le considerazioni che seguono sono relative a un incontro dei laici con Macelloni del 9 febbraio 2005):
Quanto alla terza richiesta, eravamo tutti d’accordo che non poteva essere una lista del Nuovo Psi perché questo avrebbe avuto gravi controindicazioni politiche ed elettorali, tanto che non vi sarebbe stata neppure la disponibilità degli altri gruppi socialisti; si poteva se mai esaminare una possibilità di lista unica con il logo Toscana Futura sotto il quale inserire tre cerchietti uguali con simboli generici, bandiera, edera, garofano, per indicare le aree e non partiti precisi. 
Comunque io continuavo a ripetere quanto dicevamo da giorni come FdL e cioè che la lista unica aveva due gravi difetti. Primo, se anche si fosse riusciti ad avere un simbolo accettabile, sarebbe stato arduo escludere la sua successiva trasformazione in una lista Nuovo PSI di centrodestra, e ciò per la superiore forza mediatica nazionale di De Michelis. Secondo, una sola lista era un suicidio tecnico, perché se la lista unica fa il 4,01%  allora le due liste separate Laici-Civiche e Nuovo PSI farebbero almeno il 4,7/4,8 e dunque con i consumatori (i quali avevano nel frattempo dato l'assenso di massima) sarebbe stato agevole raggiungere il 5,0%; se la lista unica non fa il 4,00%, è impossibile sperare che il Codacons faccia più dell'1%. 
Nel giro di pochi giorni, tuttavia, la situazione mutò profondamente. Il 13 febbraio, in base al resoconto di Morelli, il Nuovo Psi si mostrò disponibile ad appoggiare Macelloni come candidato presidente (senza primarie), ma pretendeva di esprimere l'unico candidato regionale (Giuliano Sottani al posto di Cariglia) e manteneva ferma la richiesta di lista unica, il cui simbolo sarebbe stato da concordare (evidentemente con un certo rilievo per l'emblema del Nuovo Psi, che avrebbe avuto più peso anche nelle candidature); Cariglia, per parte sua, si sarebbe detto disposto a rinunciare alla posizione di candidato regionale (che, come detto, avrebbe dato maggiori garanzie di elezione, a patto ovviamente che si fossero superati gli sbarramenti previsti), ma non avrebbe mai accettato di "trasformarsi in Nuovo Psi". Morelli era invece convinto che, per rimarcare l'alterità dal centrodestra come dal centrosinistra, non si sarebbero potuti toccare né il contrassegno su cui si era raggiunto l'accordo e che aveva comunicato una certa immagine di novità (posto che la scelta della lista unica per lui restava profondamente sbagliata), né il candidato regionale (anche indicarne due, come pure la legge regionale permetteva di fare, per Morelli sarebbe stato un atto degno di "un altro disegno politico").
La scheda delle primarie di Toscana Futura
Il 14 febbraio iniziarono a circolare le prime voci di un ritiro di Toscana Futura dalle primarie
 (evidentemente per cogliere in concreto la disponibilità del Nuovo Psi ad accettare una candidatura espressa da altri), un'ipotesi fermamente respinta dalla Federazione dei Liberali, visto che tra l'altro al voto mancava meno di una settimana e la Regione aveva già fatto partire la campagna informativa, indicando espressamente i partecipanti. Dopo vari tentennamenti, il 17 febbraio Cariglia accettò di ritirarsi dalle primarie insieme a Macelloni, formalizzando il ritiro con una richiesta alla Regione perché le schede delle "loro" primarie non fossero consegnate ai seggi, adducendo anche ragioni legate a una scarsa informazione "personale" del corpo elettorale e a possibili violazioni della privacy nelle primarie così organizzate; Morelli, per parte sua, ritenendo che quel gesto togliesse molta credibilità al percorso di Toscana Futura, ribadì la propria contrarietà a quella decisione.
Sempre il 18 febbraio, tuttavia, il presidente Claudio Martini ritenne irricevibile la richiesta di ritiro di Cariglia e Macelloni: questa era stata presentata solo tre giorni prima dell'apertura dei seggi, quando "i termini di un procedimento elettorale hanno un carattere perentorio e quindi non possono essere prese in considerazione dichiarazioni di accettazione o di rinuncia di candidature presentate oltre i termini scaduti il 31 gennaio"; per il presidente della Regione l'obbligo informativo era stato ampiamente assolto e non c'erano i problemi di privacy lamentati da Cariglia e Macelloni (in effetti il Garante per la protezione dei dati personali aveva mosso alcuni rilievi informali, sia pure di altro tipo, su cui il consiglio regionale e il presidente della giunta erano però rapidamente intervenuti). 
Morale, alla fine le primarie si tennero ugualmente, tra le critiche dei due ex aspiranti candidati presidenti (che puntavano il dito contro i presidenti di seggio che ad elettrici ed elettori chiedevano se avessero voluto la scheda delle primarie dei Democratici di sinistra o quella di Toscana Futura, violando la riservatezza). Nonostante il ritiro "ufficioso", alle primarie di Toscana Futura votarono 35478 persone; le schede bianche furono un numero spaventoso (16041, pari al 45,2% delle schede votate), quelle nulle 2244, ma tra quelle valide prevalse nettamente Renzo Macelloni (9623 voti) rispetto a Nicola Cariglia (7570 voti). 

La guerra sui simboli, anche in tribunale

La situazione, peraltro, era già del tutto sfuggita di mano da alcuni giorni. Il pomeriggio del 16 febbraio, infatti, a Morelli era stato annunciato un accordo per modificare il simbolo di Toscana Futura, "con scritta socialisti e Macelloni, previa aggiunta [...] dei tre simboletti generici" (cioè un garofano, un'edera e una bandiera tricolore) e per indicare due candidati regionali, entrambi del Nuovo Psi (in seguito ridotti al solo Sottani); già questo per Morelli era inaccettabile ("una follia") e chiese un incontro immediato per ristabilire i termini degli accordi precedenti (un incontro che non si tenne mai). 
Il tavolo saltò però del tutto quando, il 18 febbraio, in una conferenza stampa venne presentata la coalizione Toscana Futura - Laici, Civiche e Nuovo PSI con Macelloni Presidente: il simbolo del gruppo di liste provinciali portava la scritta Socialisti e laici - Liste civiche; graficamente si presentava come una variante del simbolo del Nuovo Psi e sotto al garofano conteneva le miniature dei simboli di Pri e Pli. Non c'era praticamente alcun rilievo grafico per le formazioni civiche locali, visto che il simbolo era frutto di un accordo nazionale tra Gianni De Michelis (Nuovo Psi), Francesco Nucara (Pri) e Stefano De Luca (Pli): non a caso, il contrassegno era quasi identico a quello che sarebbe stato presentato pochi giorni dopo in Abruzzo e comunque simile a quello di "Socialisti e liberali" che sarebbe finito sulle schede di Piemonte e Abruzzo. 
Per contraddistinguere la propria candidatura a presidente, invece, Renzo Macelloni avrebbe voluto usare il simbolo di Toscana Futura, sia pure leggermente rielaborato: nella corona color petrolio, in particolare, avrebbe inserito le stesse diciture - "Socialisti e laici" e "Liste civiche" - presenti nel contrassegno di lista, ma eliminando i riferimenti grafici ai partiti (che naturalmente restavano però nell'altro emblema). 
A quel punto la Federazione dei Liberali, attraverso un comunicato di Fabrizio Prosperi (tra i fondatori di Toscana Futura), lanciò un segnale netto, che suonava come un avviso di guerra: diffidò Macelloni affinché non usasse il simbolo di Toscana Futura "per operazioni politiche difformi da quanto pattuito nell'atto costitutivo", che prevedeva l'impegno a presentare alle regionali "una lista comune con proprio simbolo per avviare il cambiamento superando i compromessi deteriori tra centrosinistra e centrodestra" (e non certo una lista legata a un accordo tra forze collocate nella Casa delle Libertà); mise poi in luce di nuovo l'errore di una "farsesca rinuncia" alle primarie e all'apertura ai cittadini "essenzialmente per compiacere il Nuovo Psi" e rilevò che anche varie liste civiche erano decisamente contrarie al nuovo corso del progetto politico di Toscana Futura. Se la diffida fosse caduta nel vuoto, la Federazione dei Liberali si sarebbe riservata di agire a tutela degli accordi precedenti.
Tempo qualche giorno e sfumò anche la possibilità di una seconda lista curata dal Codacons: secondo il racconto di Morelli, gli organizzatori non erano più disposti, vista la presenza di un'unica altra lista, ad assumersi lo sforzo di partecipare alla campagna elettorale - che verosimilmente non avrebbe dato risultati - senza contare su un rimborso spese (che però dal candidato di Toscana Futura, a quanto si apprende, non c'era disponibilità a riconoscere). Con il passare del tempo, infine, parte delle liste civiche e delle forze politiche (incluse alcune articolazioni del Pri) finivano per allontanarsi dal progetto di Toscana Futura, per il suo progressivo snaturamento e il concreto avvicinamento al centrodestra. 
il 1° marzo Raffaello Morelli - in qualità di legale rappresentante della Federazione dei Liberali, ma di fatto anche quale rappresentante di Toscana Futura, avendo lui provveduto a depositare la richiesta di elezioni primarie - presentò al tribunale civile di Firenze un ricorso ex art. 700 del codice di procedura civile. Al suo interno si rilevava, tra l'altro, che nell'accordo del 31 gennaio 2005 che aveva costituito Toscana Futura (e che anche Cariglia e Macelloni avevano sottoscritto) si subordinava l'ampliamento della coalizione all'accordo unanime dei contraenti, senza prevedere l'allargamento del gruppo di liste; la scelta di presentare il gruppo di liste Socialisti e laici - Liste civiche aveva invece violato i patti e l'accostamento a quel contrassegno di lista del simbolo di Toscana Futura - tra l'altro depositato presso la Regione Toscana, per le primarie, proprio da Morelli - era considerato un'ulteriore, indebita violazione. Considerando che le candidature si sarebbero dovute presentare tra il 4 e il 5 marzo, in sede cautelare il ricorrente aveva chiesto di inibire immediatamente a Macelloni l'uso del nome e del simbolo alle elezioni e in tutto il procedimento preparatorio, onde evitare danni all'immagine del ricorrente (per l'accostamento al simbolo del Nuovo Psi) e non far credere ad elettrici ed elettori che Macelloni fosse sostenuto da tutti coloro che avevano preso parte a Toscana Futura.
Il giorno dopo un decreto della seconda sezione civile del tribunale di Firenze inibì inaudita altera parte a Macelloni l'uso del nome "Toscana Futura" e del simbolo (o di un emblema con esso confondibile), fissando l'udienza di comparizione per il 22 marzo (cioè poco più di dieci giorni prima delle elezioni, con il quadro delle candidature ovviamente già cristallizzato); Morelli, per parte sua, nello stesso giorno si rivolse insieme a Prosperi all'Ufficio centrale regionale presso la Corte di Appello di Firenze (che avrebbe dovuto esaminare i documenti legati alle candidature), ricordando la partecipazione di Toscana Futura alle primarie e ritenendo inammissibile un uso del simbolo impiegato in quell'occasione (o di un emblema con questo confondibile) "per operazioni politiche difformi" dagli accordi che avevano portato a partecipare a quelle primarie. 
A quel punto mancavano solo poche manciate di ore alla presentazione delle candidature. Il 4 marzo, alle 10 e 40, Ottaviano Colzi - che, come gli altri esponenti della lista Socialisti e laici - Liste civiche, nulla sapeva del provvedimento del giudice fiorentino - depositò i documenti relativi alla candidatura di Macelloni, contrassegno incluso; nello stesso giorno Morelli fece depositare in Corte d'appello il decreto di inibizione emesso dal tribunale di Firenze. Proprio sulla base di questo, il contrassegno legato a Macelloni fu ritenuto inammissibile nel pomeriggio del 5 marzo. Si può immaginare la sorpresa con cui Macelloni, Colzi e altri accolsero la notizia della ricusazione, non avendo avuto notizia dell'inibizione pronunciata inaudita altera parte
Colzi ovviamente presentò ricorso contro quell'esclusione, rivendicando innanzitutto di essere presentatore della candidatura per conto dello stesso gruppo politico che aveva partecipato alle primarie con il simbolo ritenuto non ammissibile: quell'emblema avrebbe dovuto essere usato anche alle elezioni proprio per rispettare l'esito delle primarie e tutelare l'affidamento del corpo elettorale. Colzi negò poi che il decreto del giudice civile potesse avere effetto nei confronti di Macelloni, al quale non era stato notificato e che dunque riteneva di poter legittimamente usare quel contrassegno (tanto più che l'Ufficio centrale regionale non era parte di quel giudizio), o che potesse comunque interferire con il procedimento elettorale regionale, regolato da norme speciali e "imperative di diritto pubblico" improntate al favor voti e sottoposto alla giurisdizione amministrativa; rivendicava poi come Morelli e la Federazione dei Liberali non avessero mai impiegato il simbolo, non potendosi parlare di un preuso da tutelare (quello sarebbe anzi il primo impiego elettorale, al di là delle primarie).
Come extrema ratio (forse sperando che non ce ne fosse bisogno o magari temendo che fosse l'unica possibilità concretamente praticabile), Colzi chiese di poter essere ricevuto dall'Ucr e di poter ritoccare il contrassegno, togliendo ogni riferimento al nome e alla grafica di Toscana Futura, allegando già le copie dell'emblema sostitutivo. Si trattava di una vera e propria operazione chirurgica, come se qualcuno con un cutter avesse tagliato via il nome "Toscana Futura" dalla fascetta bianca e la grafica a colori del vecchio simbolo dal cerchio centrale. Il 6 marzo, riunitosi di nuovo, l'Ucr ritenne ammissibile il nuovo simbolo (precisando che quello precedente avrebbe avuto bisogno di una "sostanziale modifica") e quindi Macelloni rientrò regolarmente in corsa per le regionali.

Altre carte bollate

Quella sostituzione, tuttavia, non fu affatto indolore: "Toscana Futura - iniziava così una nota diffusa il 7 marzo - è stata espropriata del suo simbolo attraverso una serie di provvedimenti adottati senza che sia stato consentito ad alcuno dei suoi esponenti di esprimere le proprie ragioni". L'aver tolto il riferimento al simbolo che aveva corso alle primarie (le stesse primarie da cui Macelloni si era peraltro ritirato) era, secondo i presentatori delle liste Socialisti e laici - Liste civiche collegate a Macelloni, un modo per "subire, senza condividere l'oscumento" di quell'emblema causato da quei provvedimenti. Si denunciava l'esistenza in Toscana di "zone grigie che rendono difficoltoso, talvolta, l'esercizio dei più elementari diritti di democrazia" e della volontà di togliere di mezzo "la vera ed unica novità" di quelle elezioni regionali, intenzionata a rompere un "equilibrio di interessi" in essere da tempo. "Il simbolo del candidato presidente Renzo Macelloni - concludeva la nota - sarà una corona circolare con [...] l’interno completamente bianco, a sottolineare non solo lo scippo del logo e della scritta di Toscana Futura; lo spazio vuoto intende anche significare la volontà ferma di riappropriarci rapidamente di quanto ci appartiene, in ragione del fatto che lo abbiamo creato e utilizzato ormai da molti mesi [...]. Tale riappropriazione avverrà quando, finalmente, ci saranno forniti un modo ed una sede per esprimere le nostre ragioni". 
Rincarò la dose Marco Cecchi, di Radicali italiani - LiberaPisa: "L'amara constatazione dei radicali circa l'impraticabilità democratica per chi si trova collocato al di fuori dei Poli della partitocrazia italiana si è dimostrata in Toscana quanto mai azzeccata". Nel passare in rassegna varie storture ricondotte alla nuova legge elettorale e alla sua applicazione pratica, Cecchi definì un episodio "ancora più surreale" quello relativo al contrassegno di Macelloni: "Accogliendo il ricorso di due esponenti di una fantomatica Federazione dei Liberali il Tribunale di Firenze, a liste ormai depositate e senza ascoltare i diretti interessati dal provvedimento, ha inibito l'uso del nome (Toscana Futura) e del simbolo del Terzo Polo toscano. Cosicché i cittadini toscani che andranno a votare il 3 e 4 aprile si troveranno sulla scheda elettorale, accanto al nome del candidato presidente, un simbolo fantasma: alcune parole in cerchio [...] attorno ad un vuoto bianco [...]. Emblematica rappresentazione di quella Toscana che da oggi sarà più corretto definire 'buco bianco' della democrazia". 
Buco bianco o no, la strada della carta bollata non era ancora esaurita. Innanzitutto Macelloni e Colzi si rivolsero al Tar della Toscana, per chiedere l'annullamento della decisione dell'Ufficio centrale regionale che non aveva ammesso il simbolo del candidato presidente, ma anche di quella successiva che aveva ammesso il contrassegno sostitutivo dopo una "sostanziale modifica". Ribadendo che il decreto regionale che aveva approvato l'esito delle primarie di Toscana Futura faceva identificare senza dubbi agli occhi del corpo elettorale l'emblema con Renzo Macelloni, Colzi lamentava come l'Ucr non avesse in alcun modo esaminato i motivi di diritto del suo ricorso, dunque ribadì le medesime censure fatte valere davanti ai magistrati della Corte d'appello, chiedendo di consentire a Macelloni di partecipare alle elezioni con il simbolo originario (che aveva corso alle primarie), sospendendo in via cautelare le due decisioni dell'Ucr fondate sul provvedimento del tribunale fiorentino (di cui, peraltro, i ricorrenti non erano ancora riusciti ad avere copia). Morelli, per parte sua, ribadì come il simbolo di Toscana Futura potesse essere usato solo con il consenso unanime di tutti coloro che avevano costituito il soggetto politico-giuridico, aggiungendo comunque che fino a che fosse stato efficace il decreto emesso inaudita altera parte dal tribunale di Firenze, Macelloni non avrebbe potuto usare nome e simbolo di Toscana Futura, mentre era stato salvaguardato il suo diritto di partecipare alle elezioni con l'emblema sostitutivo (ma proprio per questo non ci sarebbe stato motivo di sospendere entrambe le decisioni dell'Ucr). 
Il 17 marzo la terza sezione del Tar respinse la domanda cautelare, ritenendo che le decisioni dell'Ufficio centrale regionale non avessero impedito a Macelloni di partecipare alle elezioni e che fosse solo ipotetico il calo di voti che il candidato avrebbe potuto accusare per il mancato impiego del simbolo usato per la prima volta alle primarie. I giudici amministrativi negarono poi che si potesse escludere "la rilevanza del collegamento funzionale, sul proposto thema decidendum, tra la vicenda contenziosa in esame ed il provvedimento cautelare ante causam adottato dal tribunale di Firenze, in base al quale, allo stato, il ricorrente non è legittimato ad utilizzare il simbolo contestato". La sentenza di primo grado arrivò solo alla fine di maggio (a voto passato da quasi due mesi), limitandosi a dire che il ricorso era improcedibile, visto che i ricorrenti non avevano più interesse a coltivarlo.
L'11 aprile, invece, si era già espresso il tribunale civile di Firenze (sia pure solo con ordinanza), accogliendo il ricorso di Raffaello Morelli e confermando il decreto emesso inaudita altera parte all'inizio di marzo. In particolare, l'ordinanza precisò che non si era di fronte a una lite elettorale (dunque iniziata davanti al giudice sbagliato), ma a una controversia di diritto privato, "antecedente e soltanto eventualmente prodromica ad ogni successiva operazione elettorale" (e per dimostrare che di controversia giusprivatistica si trattava, tra soggetti collettivi comunque dotati di diritto al nome ex art. 7 c.c., il giudice citava anche l'ordinanza del tribunale di Roma relativa al contenzioso tra la futura Rifondazione comunista e il Pds - ex Pci). Per l'ordinanza, poi, l'accordo stipulato ufficialmente il 31 gennaio in forma di scrittura privata per creare il gruppo di liste Laici e Lite civiche (sottoscritto da Centouno, Federazione dei Liberali, liste civiche toscane rappresentate da Macelloni, Pli e Pri), con cui si era deciso che il simbolo avrebbe rappresentato la coalizione Toscana Futura, prevaleva su ogni uso o accordo precedente. Del simbolo era titolare l'associazione Toscana Futura: se era venuto meno il comune intento di presentare liste col nome di Toscana Futura nel modo che si era concordato, nessuna parte di quell'accordo poteva usare unilateralmente quel nome e quel simbolo e ciascun'altra parte contraente poteva reagire contro quell'uso indebito.

Le battute finali

La scheda elettorale della circoscrizione di Firenze
Quella decisione, in ogni caso, era arrivata una settimana dopo l'esito delle elezioni regionali. Il 3 e il 4 aprile 2005, dunque, Renzo Macelloni e il suo simbolo "svuotato" finirono sulla scheda elettorale: questi ottennero 30062 voti (l'1,5%), mentre la lista Socialisti e laici - Liste civiche dovette accontentarsi di qualcosa di meno (23379, l'1.3%); a tenere basso il risultato del gruppo di liste contribuì il non essere riusciti a presentare la lista nella provincia di Grosseto, a causa di contrasti tra il Nuovo Psi e l'articolazione locale del Pri (dal Tirreno si apprende che i rappresentanti dei due partiti di fatto avevano raccolto le firme su due liste diverse - i primi su candidati solo socialisti, come si era deciso in un primo tempo, i secondi su due candidati socialisti e due repubblicani, come si era deciso in seguito - e le firme raccolte sulle due liste non potevano certo sommarsi. 
I numeri forse non erano del tutto insoddisfacenti: gli oltre 30000 voti ottenuti da Macelloni erano sicuramente meno rispetto alle oltre 35000 schede ritirate alle primarie di febbraio (che nelle intenzioni dei due sfidanti nemmeno si sarebbero dovute tenere), ma erano comunque ben di più degli oltre 17000 voti validi e degli oltre 9600 andati allo stesso Macelloni ed erano arrivati nonostante il "simbolo svuotato". Di certo però l'1,5% dei consensi raccolto dal candidato presidente era lontanissimo dal 5% che avrebbe garantito l'accesso alla ripartizione dei seggi; allo stesso modo il risultato delle liste provinciali trainate dal Nuovo Psi era lontano dalla soglia del 4%, ma anche dal 2,44% ottenuto un anno prima dalla lista Socialisti uniti per l'Europa (in cui il Nuovo Psi aveva certo parte rilevante, ma c'erano anche i gruppi di Signorile e Formica), nonostante la lista delle regionali potesse contare anche sull'apporto di Pli, Pri e civiche.
Difficile dire se e quanto lo "svuotamento" del simbolo di Macelloni abbia influito sul risultato finale del voto; di certo non ha aiutato, in generale, a stabilire o mantenere un clima di serenità che avrebbe potuto portare più voti alle candidature in campo. La situazione oggettivamente era complessa e delicata: è vero che Macelloni era stato votato alle primarie sotto al simbolo di Toscana Futura, che dunque dagli elettori poteva essere ricondotto a lui; è altrettanto vero però che quelle primarie di fatto erano state "disconosciute" dai candidati con la loro scelta di ritirarsi (e di questo, nei vari ricorsi di Macelloni e Colzi, curiosamente non c'era traccia). Allo stesso modo, era difficile negare che il simbolo di Toscana Futura fosse nato come emblema comune di varie componenti politiche (di cui il Nuovo Psi non faceva parte) e in seguito l'uso era stato rivendicato sì dal vincitore delle primarie, ma per associarlo a un emblema elettorale profondamente diverso nella forma e nella sostanza. 
Finivano per confliggere due concezioni diverse: quella consensuale che aveva mosso la nascita del progetto di Toscana Futura (e che non poteva tollerare, secondo l'idea portata avanti da Raffaello Morelli, che l'emblema fosse usato in modo diverso rispetto a quanto concordato in precedenza) e quella leaderistica-monocratica, assai più vicina al vigente assetto statutario-elettorale delle Regioni, per cui il leader che si era già in qualche modo legato a un emblema aveva diritto di continuare a usarlo per distinguersi, anche nel rispetto degli elettori che con quell'emblema l'avevano conosciuto (magari senza sapere che il progetto politico nel frattempo si era trasformato). I giudici diedero maggior peso alla tesi consensuale, certamente aiutati dal fatto che esisteva un accordo scritto tra varie parti (incluso il futuro candidato presidente) e che questo sembrava non essere stato pienamente rispettato da uno dei sottoscrittori. Certamente nulla sarebbe accaduto se nessuno si fosse opposto all'uso dell'emblema in questione: proprio perché Macelloni aveva partecipato (suo malgrato) alle primarie sotto quel simbolo, l'Ucr avrebbe ritenuto verosimilmente legittimo che il candidato presidente continuasse a fregiarsene alle regionali, senza (poter) valutare il grado di rispetto dei patti precedenti. Qualcuno, invece, proprio in virtù di quei patti cui aveva partecipato, ha ritenuto di potersi opporre all'uso indebito del simbolo e le cose sono andate diversamente.
Ogni tentativo di sminuire la legittimazione della Federazione dei Liberali, ritenendola un soggetto marginale o "fantomatico", appare infondato, vista la storia che quel gruppo aveva avuto (e solo un paio di anni dopo avrebbe cercato di impedire a Silvio Berlusconi di usare per il suo nuovo soggetto politico l'espressione "Partito della libertà"); resta però, certamente, l'anomalia del decreto inaudita altera parte, della cui esistenza Macelloni apprese solo in sede di bocciatura del proprio contrassegno e di cui non ebbe contezza nemmeno all'atto del ricorso al Tar. Infine, è vero che le norme sui diritti delle associazioni e quelle elettorali sono diverse e tendenzialmente le prime non dovrebbero influire sulle seconde; è però altrettanto vero che sarebbe difficile non tenere conto in sede elettorale di alcune decisioni valide in ambito civile, specie quando si tratta di decisioni inibitorie (certo, possibilmente seguenti a un accertamento meno sommario di quello che precede un provvedimento reso inaudita altera parte).
Sembra difficile, dunque, avallare in pieno l'immagine di "buco bianco della democrazia" coniata nel 2005 per questo caso e per l'intera vicenda elettorale toscana: alla base c'era, senza dubbio, un accordo in parte sconfessato e in parte snaturato e non può stupire che qualcuno abbia preteso che chi non aveva rispettato i patti non avesse vantaggi indebiti. Questo non significa che tutti i passaggi siano stati gestiti nel modo migliore o più condivisibile: il buco (bianco) forse non c'era, qualche ombra obiettivamente sì. Oltre, come al solito, a tanta confusione, ma chi appartiene alla schiera dei #drogatidipolitica ci ha fatto l'abitudine. E, in fondo, mentre tenta di farsi largo in quel caos si diverte pure.

Per le indicazioni e il materiale che hanno consentito la stesura di questo articolo ringrazio soprattutto Antonio Floridia e Lucia Bora (Regione Toscana); ringrazio pure di cuore l'ottimo Antonio Folchetti, con il quale nel 2017 ho approfondito le evoluzioni e le applicazioni delle norme elettorali toscane, tra una disquisizione su come spiegare correttamente il funzionamento del "metodo Adams" (ammesso che in Toscana si fosse applicato proprio quello per distribuire i seggi), un video del miglior Fiorello che imitava Mike e una puntata da Frontoni per rifornirci di pizza al sesamo.

lunedì 10 agosto 2020

Campania, lista Caldoro e Udc nello stesso contrassegno (strapieno)

Tre giorni fa era arrivata la notizia ufficiale, attraverso una nota diffusa da Ciro Falanga, attualmente coordinatore dell'Unione di centro per la Campania (ma già parlamentare e sotto molti occhi nella scorsa legislatura: eletto nel 2013 con il Pdl-Fi, transitato nei Conservatori e riformisti e approdato fino a fine legislatura in Ala). "Per evitare inutili frammentazioni e, peggio ancora, quell'accozzaglia di liste che caratterizza lo schieramento pro De Luca, con il grave rischio di confondere l’elettorato, l'Udc ha deciso, di comune accordo con Stefano Caldoro, di puntare su una sola proposta politica. Presenteremo pertanto, in Campania, una lista unica, insieme con quella del nostro candidato governatore, nella quale potranno trovare spazio tutti quei candidati che condividono i nostri stessi principi liberali e di democrazia".
Concretamente, dunque, con la decisione di costituire il cartello Caldoro presidente - Udc, lo schieramento di Caldoro perde almeno una lista.  Al di là della volontà dichiarata di contenere il livello di frammentazione (che in effetti formalmente diminuisce), anche solo per evitare di creare simboli non in grado di eleggere alcun rappresentante, sembra che la prima ragione alla base della contrazione delle liste sia legata all'indisponibilità di molte persone a candidarsi, al punto da non riuscire a coprire tutti i posti nelle varie circoscrizioni. Il problema, a dire il vero, riguarderebbe anche altre formazioni: se ne parla da giorni, per esempio, con riferimento ad Alleanza di centro per la Campania, formazione fondata e guidata da Francesco Pionati, anche se lui si dice tuttora convinto di riuscire a presentare liste autonome, senza doversi aggregare ad altre formazioni. Appare poi assai probabile che, nelle liste Caldoro-Udc sia ospitato anche qualche candidato di Cambiamo!: non è per nulla scontato, difatti, che il gruppo di Giovanni Toti riesca a costituire proprie liste, non tanto per il numero di firme da raccogliere ma per mancanza di persone disponibili a presentarsi (il che significa anche, peraltro, sostenere spese per la candidatura, questione non di poco conto per una forza politica di nuovo conio). 
In tutto ciò, se la frammentazione sembra diminuire, aumenta al contrario il grado di complicazione delle proposte in campo; in più, a subire le prime conseguenze nefaste della decisione di costruire un cartello elettorale sembra essere il contrassegno di lista e, in particolare, la parte destinata al gruppo Caldoro presidente: il risultato grafico finale, infatti, appare decisamente pieno, ammassato e poco efficace. Si può cercare di comprendere il risultato, frutto peraltro - a quanto si apprende - di una non facile mediazione tra le componenti politiche coinvolte, ma è impossibile mettere da parte le perplessità. 
Alla fine il cerchio risulta equamente diviso, ma la grafica legata all'ex presidente Caldoro esce piuttosto male, soprattutto per quella striscia tricolore visibilmente tagliata e nemmeno a livello del diametro orizzontale, ma più in basso: è probabile che ciò sia stato fatto per cercare di dare un po' più di visibilità al gruppo di Caldoro (e per ricordare che, nel simbolo originario, la stessa striscia copriva anche lo spesso bordo del cerchio), ma all'occhio dà piuttosto l'effetto di un simbolo i cui elementi sono "azzeccat' c''a sputazzella" (tanto per offrire una citazione recente di Marisa Laurito); nel semicerchio superiore, poi, il livello di compressione è altissimo perché subito sotto la scritta è stato inserito anche il garofano del Nuovo Psi, dando così visibilità al partito che cinque anni fa aveva comunque partecipato alla stessa lista (come testimoniava, tra l'altro, la presenza nella lista di Napoli di Guido Marone, membro del coordinamento nazionale del partito).
Miglior trattamento sembra essere stato riservato alla grafica dell'Udc, con le vele e lo scudo crociato ridotti di dimensione per stare integralmente nel semicerchio inferiore e il nome assai ridotto di dimensioni. Già, le vele e il nome. Perché - incredibile a dirsi - nemmeno in Campania è stato usato il simbolo dei Popolari - Unione democratici cristiani che un mese fa era stato diffuso, tra l'altro proprio nella versione pensata per la Campania. Ci sono dunque le vele, che allora non erano state riportate per non sporcare lo scudo, il nome resta "Unione di centro" invece che "Unione democratici cristiani" (che avrebbe segnalato una realtà comunque a trazione Udc, ma almeno in parte diversa) e nessuna traccia dei Popolari. Il che è ancora più curioso, se si considera che sui Popolari sembrava aver insistito molto Giuseppe Gargani nelle settimane scorse, anche solo per evitare che quella parola fosse usata solo dai De Mita nella loro lista schierata con De Luca.
Se il simbolo dell'alleanza Nuovo Psi - Udc presentato per la Puglia aveva già fatto pensare a una battuta d'arresto del progetto della Federazione popolare dei democratici cristiani, l'emblema campano sembra aver tolto ogni dubbio su questo. Anche nelle Marche resteranno le vele e il nome "Unione di centro", ma nel segmento superiore rosso, in effetti, si legge "Popolari Marche", come nel simbolo esemplificativo che la Federazione guidata da Gargani aveva diffuso. Compromesso grafico? Probabilmente no: il contrassegno, infatti, è proprio lo stesso che aveva partecipato alle scorse elezioni regionali, anche se allora era parte del centrosinistra che aveva sostenuto Luca Ceriscioli, mentre questa volta l'Udc ha aderito alla coalizione che appoggia la corsa di Francesco Acquaroli (Fdi). Nessuna traccia del progetto politico nuovo, dunque, ma solo un elemento dal passato.
Lo stesso, peraltro, può dirsi anche per la Liguria, dove peraltro l'Udc schiera una lista insieme al Nuovo Psi, richiamato questa volta con il suo simbolo integrale, anche se ridotto alle dimensioni di una "pulce" e costretto all'interno del segmento rosso superiore, tra il confine del cerchio e la scritta "Liguria", ridotta per l'occasione. Cinque anni fa la lista non era presente, perché l'Udc aveva concorso con il Nuovo centrodestra alle candidature sotto il simbolo di Area popolare; questa volta invece il partito di Cesa torna, anche se nella sola Liguria non usa il nome completo, ma solo la sigla Udc, che può stare per Unione di centro, ma anche per Unione democratici cristiani (che poi, come si è ricordato più volte, altro non è che la prima parte del nome del partito). In Liguria, insomma, qualcosa forse del progetto originario si è salvato. Chissà. 

giovedì 6 agosto 2020

Puglia, lista comune Nuovo Psi - Udc, tra ritorni, assonanze e dissonanze

Non più tardi di due giorni fa è stata presentata una delle liste che correranno in Puglia a sostegno di Raffaele Fitto, che quindici anni dopo la sconfitta contro Nichi Vendola cerca di tornare alla guida della regione per il centrodestra, anche se da esponente di Fratelli d'Italia e non più di Forza Italia. Le candidature in questione sono quelle del cartello che unisce il Nuovo Psi e l'Unione di centro, attraverso un simbolo che unisce le grafiche dei due partiti.
A dare notizia della decisione sono stati il segretario nazionale dell'Udc Lorenzo Cesa e quello del Nuovo Psi Michele Simone: "Questo accordo -  hanno spiegato - nasce dall'esigenza di porre al centro del governo della Regione un progetto d'insieme, coerente e soprattutto realizzabile, che ponga rimedio alla gestione personalistica ed improvvisata dell'amministrazione uscente, abituata ad inseguire demagogicamente i problemi, piuttosto che a proporre soluzioni. E il Presidente Fitto è l’uomo giusto per farlo, anche e soprattutto con il nostro contributo". Proprio Fitto, oltre a ringraziare come da prassi e ad aver ricordato che il suo scopo è vincere, ha sottolineato che tutte le liste concorrono per superare la soglia di sbarramento e ottenere rappresentanza, volendo così sottintendere che non serviranno solo a raccogliere voti che non si trasformano in seggi ma possono far vincere la coalizione.
In teoria la notizia finisce qui, ma il drogato di politica deve andare necessariamente oltre, anzi, guardare indietro, che sia a un passato prossimo o remoto. Partendo da quest'ultimo, non ci si può esimere dal notare che questo contrassegno elettorale segna il ritorno sulla scena politica - almeno di livello regionale - del Nuovo Psi. Se ne erano perse le tracce per un po' di tempo, in effetti, anche se nel 2018 il suo simbolo era finito regolarmente al Viminale, ma di candidature non si è avuta sostanzialmente notizia; in più, l'ultima volta che il partito aveva corso alle regionali pugliesi era stato proprio nel 2005, quando aveva sostenuto Caldoro insieme ai repubblicani.
A chi ha visto il simbolo e ha buona memoria, tuttavia, è tornato quasi subito in mente un episodio che risale all'anno dopo, dunque alle elezioni politiche del 2006, solo a parti quasi invertite e almeno in parte simili. Difficile, infatti, non pensare al contrassegno elettorale che aveva unito in un'unica lista la Democrazia cristiana per le autonomie e, appunto, il Nuovo Psi guidato da Gianni De Michelis: il simbolo, tra l'altro, fu presentato al Ministero dell'interno proprio nei giorni in cui il gruppo legato a De Michelis credeva di non poterlo utilizzare sulla base di un'ordinanza del tribunale di Roma (ma pochi giorni dopo una nuova ordinanza gliel'avrebbe restituito). La maggior parte del cerchio era occupata dal partito di Gianfranco Rotondi, mentre il Nuovo Psi (che schierava per la prima volta quel garofano) si accontentava del segmento inferiore.
Ora, si può avere la tentazione di parlare di parti invertite, se non altro perché nel nuovo contrassegno pugliese il Nuovo Psi occupa lo spazio che di norma è dedicato al segmento rosso (con l'indicazione Italia o del candidato appoggiato) nel simbolo dell'Udc, dunque nella parte superiore. Certo, se c'è sostanziale continuità politica tra il Nuovo Psi di allora e quello attuale (guidato da Lucio Barani), non è del tutto corretto sovrapporre l'Udc alla Dca di Rotondi, che aveva appunto abbandonato l'Udc nel 2004 per costruire il suo partito (che nel simbolo non ha mai avuto lo scudo crociato). Non è tuttavia un mistero che, negli ultimi mesi, Rotondi abbia auspicato e avviato un dialogo tra varie componenti di estrazione democratica cristiana e popolare, con l'idea di poter costituire un soggetto ispirato agli stessi valori della Dc e del quale sia parte rilevante anche l'Udc di Cesa.
A questo proposito, tuttavia, c'è l'ultima osservazione da fare: che fine ha fatto l'Unione democratici cristiani, di cui si era parlato solo un mese fa? L'idea che era circolata era che alle varie regionali si sarebbe presentata ogni volta che fosse stato possibile la lista con lo scudo crociato in uso all'Udc, ma senza le vele al di sotto, con l'indicazione "Popolari" e soprattutto la denominazione "Unione democratici cristiani", che metteva d'accordo molti tra coloro che avevano partecipato al tavolo neo-democristiano (e non scontentava del tutto chi riteneva essenziale cambiare nome rispetto a Unione di centro, per non avere l'impressione di essere stati fagocitati). In questo caso, invece, il simbolo è quello consueto dell'Udc, con le vele e con il nome normalmente utilizzato. 
La notizia del simbolo, manco a dirlo, non ha fatto piacere a coloro che speravano nell'appuntamento delle regionali per ottenere un po' di visibilità per il progetto federativo dei popolari e dei democratici cristiani. Da settimane, peraltro, si sa che a sostegno della candidatura di Michele Emiliano potrebbe esserci il simbolo della Democrazia cristiana - Puglia, con una lista cui sta lavorando Cosimo Tramonte. La sua partecipazione alla conferenza stampa di Emiliano, peraltro, aveva scatenato varie reazioni negative, a partire da quella di Emilio Cugliari (che all'inizio sarebbe stato eletto presidente facente funzione della Dc dopo la sfiducia a Nino Luciani, avvenimento contestato da quest'ultimo) e di Angelo Sandri (che a sua volta si qualifica segretario della Democrazia cristiana dal 2003 e da allora ha sempre utilizzato per le sue attività politiche lo scudo con il bordo superiore arcuato che si vorrebbe schierare in Puglia), i quali hanno contestato a Tramonte di non essere legittimato a disporre del simbolo e di non volere alcuna alleanza con Emiliano e il centrosinistra; per parte sua, Tramonte ha rivendicato la guida della Dc-Puglia, ha ricordato i suoi usi precedenti dell'emblema e ha confermato il sostegno a Michele Emiliano. Se però il simbolo dovesse essere ammesso - il che non è facile, considerando la presenza dello scudo dell'Udc - i componenti della Federazione popolare Dc potrebbe masticare amaro nel vedere sulle schede un simbolo con la dicitura "Democrazia cristiana" non presentato da loro e nel sapersi esclusi dalla competizione.
Come è capitato molte altre volte, insomma, di confusione ce n'è tanta, probabilmente troppa e c'è da sospettare che anche nei prossimi giorni ci saranno interventi e prese di posizione su chi è tornato, chi non si è presentato e su chi non avrebbe titolo per farlo.

giovedì 26 marzo 2020

Socialisti, "Due simboli a disposizione per liste autonome e identitarie"

Il primo simbolo depositato
Sono passati vent'anni dalla morte di Bettino Craxi e oltre un quarto di secolo dalla fine dell'unità dei socialisti in Italia sotto le insegne della medesima forza politica. Il congresso che il 12 novembre 1994 deliberò lo scioglimento del Partito socialista italiano mise solo ufficialmente la parola "fine" a una storia che da almeno diciotto mesi aveva conosciuto un progressivo sfaldamento, con varie fuoriuscite tra il 1993 e il 1994; in seguito, la tendenza alla frammentazione avrebbe fatto premio su vari tentativi di riunificazione, in genere non molto fortunati sul piano elettorale. 
I risultati non sono stati buoni, specie a livello nazionale, neanche quando sono state presentate liste o candidature del Partito socialista (2008) o che comprendevano il simbolo del Psi (2018): anche per questo, è capitato più di frequente che il Psi - soggetto che fin dal nome si richiama direttamente alla storia che si era interrotta nel 1994 - partecipasse ad altre liste, inserendo propri candidati al loro interno, convinto che corse solitarie sarebbero state deleterie. Qualcuno, però, preferisce altre strade: un mese fa (esattamente il 23 febbraio) a San Lazzaro di Savena, in provincia di Bologna, si sono ritrovate - anche per ricordare gli anniversari della nascita di Craxi e della morte di Sandro Pertini, entrambi datati 24 febbraio - è stata fondata la Federazione italiana socialisti autonomisti, un gruppo che non mette da parte l'idea di poter presentare liste socialiste autonome, per marcare la persistenza di quelle idee. 
Non si tratta di un partito, ma in effetti un simbolo a disposizione c'è, anzi: ce ne sono due. Cosa sia stato deciso in quell'occasione e di quali simboli si stia parlando ce lo facciamo spiegare da Giuliano Giuseppe Romani, sindaco di Pavullo nel Frignano (Mo) dal 1988 al 1993 (prima ancora presidente della locale comunità montana) e anche in seguito consigliere comunale nello stesso comune e assistente di parlamentari socialisti: nel 2001 aderì al Nuovo Psi e all'inizio di novembre del 2005 ne era diventato segretario regionale, pochi giorni dopo il "congresso - non congresso" della Fiera di Roma, che il segretario uscente Gianni De Michelis - tra gazzarre di fischietti, insulti vari, sputi e poltrone saltate - aveva chiuso anzitempo ritenendolo invalido, mentre i suoi avversari lo avevano dichiarato decaduto e avevano eletto al suo posto Bobo Craxi (la lite finì in carta bollata e tra la fine del 2005 e l'inizio del 2006 vide succedersi due decisioni opposte del tribunale di Roma).  
"Quando era nato il Nuovo Psi - ricorda Romani - si era percorsa una strada identitaria, dichiaratamente socialista, a partire dal recupero del garofano, una scelta diversa da quella fatta dallo Sdi, collocato chiaramente nel centrosinistra." In effetti nel 2001 il Nuovo Psi aveva chiesto "asilo politico" al centrodestra, ma nel 2004 aveva scelto di presentarsi alle europee, costruendo la lista "Socialisti uniti per l'Europa" che aveva messo insieme più componenti e aveva eletto due eurodeputati. La crisi scoppiata alla fine del 2005 terminò con la conferma giudiziale di De Michelis alla segreteria; Romani mantenne il suo incarico di segretario regionale, ma poi nella primavera del 2007 arrivò un'altra frattura nel Nuovo Psi. In quell'occasione De Michelis, e con lui l'allora deputato reggiano Mauro Del Bue, erano interessati a cogliere l'appello lanciato da Boselli per una Costituente socialista; Stefano Caldoro, Lucio Barani e altri, invece, non volevano assolutamente lasciare Silvio Berlusconi e la Casa delle libertà.
Anche in quel caso volarono gli stracci (assieme a spintoni, botte e microfoni) e si arrivarono a celebrare due congressi uno dopo l'altro, ma per lo meno si evitò la trafila del tribunale: con una scrittura privata le due parti si accordarono per dirimere la "insanabile divergenza" creatasi sul piano politico. In base a quell'atto, il nome "Nuovo Psi" sarebbe rimasto a Caldoro e Barani, la dicitura "Partito socialista" fu assegnata al gruppo di Gianni De Michelis e Mauro Del Bue e ciascun gruppo avrebbe dovuto rinunciare alla parte di denominazione assegnata all'altro. Quanto al simbolo, entrambi i nuovi partiti avrebbero potuto impiegare l'immagine di un garofano rosso, a patto che fosse diverso da quello fino ad allora usato dal Nuovo Psi (vale a dire quello disegnato da Ettore Vitale per il congresso di Torino del 1978) e ovviamente da quello adottato dalla controparte: Caldoro, confermato per primo dal "suo" congresso a giugno, scelse di adottare per il Nuovo Psi il garofano "pennellato" utilizzato alle elezioni del 2006 nella lista presentata con la Democrazia cristiana per le autonomie (si era preferito coniare un'immagine nuova perché il contenzioso tra De Michelis e Craxi avrebbe potuto avere altri strascichi ed era meglio evitare sorprese). A quel punto, dovendo scegliere un'altra versione del garofano per il proprio emblema, all'inizio di luglio del 2007 il congresso del Partito socialista - che al congresso elesse Del Bue segretario e De Michelis presidente - nel simbolo piazzò l'altro garofano disegnato da Ettore Vitale, quello più regolare che nel 1979 era diventato simbolo ufficiale del Psi (assieme alle miniature di falce, martello, libro e sole che non figuravano invece nel nuovo emblema); la doppia corona, infine, era tornata a essere tutta rossa, senza alcun tocco di verde (che del resto, in base all'accordo con la controparte, non si poteva usare).
Con quel simbolo, il Ps di Del Bue e De Michelis si preparava a un percorso comune con lo Sdi e altre forze politiche verso la nascita di un nuovo soggetto politico socialista, unitario e identitario; qualcuno, tuttavia, ritenne opportuno mettere al sicuro quanto era stato ottenuto da eventuali nuove tempeste. "Io allora facevo parte della segreteria nazionale - ricorda Giuliano Romani - e avevo la delega ai 'problemi istituzionali'; in quelle settimane c'era un certo sfilacciamento e, dopo un ragionamento comune, decidemmo di tutelare il simbolo del Ps, per proteggere la titolarità che avevamo ottenuto con l'accordo di qualche mese prima. Il fatto è che in Italia non si ha mai la certezza del diritto, per cui ci rivolgemmo a un notaio di Bologna: andammo dal dottor Federico Stame, molto apprezzato in città e vicino a Romano Prodi, certi che lui ci avrebbe consigliato per il meglio. Alla fine depositammo il simbolo presso di lui e ottenemmo rassicurazioni sul fatto che, anche se in seguito non avessimo presentato liste contrassegnate da quell'emblema, nessuno avrebbe potuto contestare i nostri diritti su quel segno."
Non si è trattato, dunque, del deposito del simbolo come richiesta di marchio, come oggi in molti sono abituati a fare. In teoria, però, i simboli dei partiti non dovrebbero avere una logica commerciale (e il Viminale, quando è stato interpellato, ha sempre dato parere negativo alla registrazione come marchio dei simboli di partito con un look elettorale, almeno quando non erano ancora noti per il loro uso): "In effetti lo stesso notaio ci sconsigliò di intraprendere quella strada - spiega Romani - e noi gli demmo ascolto".
Il secondo simbolo depositato
Come si tutelò dunque il Ps? Romani esibisce un atto notarile, datato 27 marzo 2008, in base al quale lui stesso ha depositato presso il notaio il simbolo del Ps di De Michelis e Del Bue. Contestualmente è stata depositata anche una seconda grafica, variante del simbolo del Nuovo Psi in uso dal 2001: il garofano è quello disegnato da Ettore Vitale per il congresso del 1978 a Torino, inserito nella corona verde a sua volta circondata da una circonferenza rossa, ma se la corona continua a riportare in alto la dicitura "Partito socialista", in basso al posto di "Nuovo Psi" è stato inserito il riferimento all'Emilia-Romagna. 
Entrambi i simboli, debitamente descritti, per il notaio risultano "depositati ai miei rogiti", senza dunque che nessuno possa mettere in dubbio che da quella data sono stati rivendicati da Romani. "Il depositante sono io - spiega - ma ho depositato il simbolo a nome dell'intera federazione regionale del partito; così si può spiegare anche la decisione di depositare contestualmente il simbolo con il riferimento all'Emilia-Romagna".
Quando Romani parla del "partito", si riferisce al Partito socialista di De Michelis e Del Bue. Questo soggetto giuridicamente esisterebbe ancora, pur avendo avuto una visibilità politica limitata: essenzialmente al tempo necessario per convergere nel progetto di "Costituente socialista", lanciato alla metà di aprile di quel 2007 ma che il 5 e il 6 ottobre 2007 ebbe uno slancio più deciso alla manifestazione "Le primarie delle idee" a Roma. In quell'occasione ci fu la convergenza ufficiale del gruppo di De Michelis e Del Bue, assieme ad altre figure; erano già arrivati Gavino Angius, Valdo Spini, Rino Formica, Lanfranco Turci, Saverio Zavettieri e altri. 
Guardando alle date, non sembra un caso che il 4 ottobre 2007 il consiglio nazionale del Ps (già Nuovo Psi) che faceva capo a De Michelis e Del Bue si fosse riunito, deliberando di modificare lo statuto nelle parti relative al nome (cancellando l'espressione "Nuovo Psi") e al simbolo (inserendo la descrizione del nuovo emblema). Il 20 ottobre si riunì poi il consiglio regionale del Partito socialista dell'Emilia-Romagna: lì si decise di conferire al segretario regionale del Ps il mandato a modificare lo statuto regionale, ma soprattutto "a depositare o/e registrare il simbolo regionale e il relativo statuto a termini di legge": il verbale, firmato dal presidente dell'organo Luciano Zacchini e dal segretario verbalizzante Ugo Lenzi, consentì poi il deposito presso il notaio alcuni mesi dopo.
C'era ovviamente un disegno politico in quell'operazione. Il consiglio emiliano del Ps aveva ribadito la necessità di riunire in una nuova formazione "tutte le forze che si richiamano all'identità liberal socialista e socialdemocratica riassunte nella tradizione del Partito socialista europeo" (e intanto si apriva il tesseramento per il nuovo anno, prevedendo la possibilità di "convertire" la tessera in quella per il soggetto uscente dalla Costituente socialista); allo stesso tempo, però, rivendicava per il partito nascente (il Ps che all'inizio sarebbe stato guidato da Enrico Boselli) "il carattere di una forte AUTONOMIA POLITICA - scritto proprio in maiuscolo, ndb - come necessaria ed ineluttabile conseguenza della propria identità". 
Con quello spirito, in effetti, il Ps di Del Bue e De Michelis avrebbe partecipato alle elezioni amministrative per un paio d'anni in qualche comune ("Capitava - ricorda Romani - che le sottocommissioni elettorali circondariali ci chiedessero di dimostrare che eravamo titolari del simbolo: mostravamo copia dell'atto notarile del marzo 2008 e non c'era alcun problema"). Intanto, però, tra il 4 e il 6 luglio del 2008 si era celebrato a Montecatini Terme il primo congresso del Partito socialista che aveva eletto Riccardo Nencini alla segreteria: molti esponenti del Ps già guidato da De Michelis e Del Bue (ma non tutti) avevano scelto di partecipare a quel nuovo inizio, soprassedendo sul fatto che nel simbolo - peraltro quadrato - non ci fosse alcuna traccia di garofani (c'era solo la rosa del socialismo europeo) e si fosse evitato accuratamente di usare il nome intero "Partito socialista italiano" (Angius e altri ex Ds non lo volevano proprio: dopo che abbandonarono il partito, fu ripristinata la denominazione completa). "Io allora partecipai al congresso sostenendo la candidatura alla segreteria di Pia Locatelli - continua Romani - entrai nell'assemblea nazionale, ma mi dimisi il 30 ottobre 2010, in polemica con la guida nazionale del partito; affettivamente, però, ho continuato a rinnovare la tessera del Psi e ancora oggi sono un iscritto. Resto con le mie idee, tutti sanno come la penso, ma ogni anno rinnovo la mia tessera online il 14 agosto, giorno in cui nel 1892 si aprì a Genova il congresso che fondò il Partito socialista."
Proprio perché mantiene le sue idee, Romani ha promosso l'incontro del 23 febbraio a San Lazzaro di Savena: lì, lanciando la Federazione italiana socialisti autonomisti, si è convenuto sulla necessità di "riunire i socialisti ovunque dispersi, qualunque sia stato, in questi anni, il loro voto, per costituire il Partito Socialista autonomo e identitario, alternativo alla destra e distinto e distante da questa sinistra". I risultati delle liste socialiste, a livello nazionale e talvolta locale, finora sono stati scarsi, ma secondo i presenti a San Lazzaro l'unica strada seria da percorrere è quella dell'autonomia e dell'identità socialista, facendo appello "alle idee forti, ai programmi chiari, ed ai valori del socialismo per tornare sulla scena politica" e restituendo ai socialisti "dispersi e demoralizzati" una casa comune. Si dovrebbe lasciare alle spalle, dunque, la politica dei patti federativi con altri soggetti politici, con relativa ospitalità nelle loro liste sperando di eleggere qualcuno: "continuare la strada delle alleanze con altri soggetti politici, come fatto negli ultimi vent'anni, continuerebbe a mantenere il consenso elettorale dei socialisti a livello di prefisso telefonico".
La costituzione della Federazione italiana socialisti autonomisti dovrebbe rispondere proprio a questo scopo: non è - come si diceva - un partito, difatti non si chiede a nessuno di abbandonare i soggetti politici in cui eventualmente ora milita o cui si sente vicino. Si tratta piuttosto di unire in una federazione il maggior numero di persone singolarmente interessate e di associazioni, circoli, club, leghe e sezioni socialiste, nonché gruppi social. E se l'idea è di favorire in ogni modo proprio la nascita di liste con una chiara identità socialista, slegate dai partiti attualmente in attività, Romani ha scelto di mettere a disposizione delle varie realtà interessate proprio i due simboli depositati nel 2008 presso il notaio (con la possibilità di personalizzare il simbolo regionale con il nome di un altra regione o del comune chiamato al voto), purché si vogliano realmente costruire liste chiaramente socialiste e autonome.
Il percorso ovviamente è solo iniziato, ci saranno in futuro altre occasioni per incontrarsi e decidere più nel dettaglio come muoversi; l'assai probabile rinvio, a causa della pandemia del coronavirus, delle elezioni comunali e regionali previste per maggio potrebbe dare più tempo per costruire qualcosa soprattutto a livello locale.