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lunedì 16 gennaio 2017

I Cattolici liberali, ovvero Michelangelo prima di Sgarbi

Che poi, a bocce ferme, le rotelle si rimettono in moto e si cerca di recuperare le puntate perdute. Per esempio, una volta passati lo stupore e l'emozione per il nuovo (e forse non ultimo) simbolo di Vittorio Sgarbi, che per il suo Rinascimento ha voluto il dettaglio più famoso della Creazione di Adamo di Michelangelo, tratto direttamente dalla Cappella Sistina, ti viene in mente (o c'è chi ti suggerisce) che quelle due dita che stanno per sfiorarsi, nell'attimo che precede la trasmissione della vita, qualcuno aveva già avuto l'idea di utilizzarle come emblema politico qualche anno prima, ma l'uso era stato talmente fugace da non lasciare quasi traccia.
A quel punto si va a scartabellare un po' per aiutare la memoria a ricordare, finché - eureka! - la risposta che si cercava appare davanti agli occhi. Perché già in una delle prime elezioni suppletive per la Camera dei deputati - tra il 1994 e il 1995 - tra i contrassegni depositati appare quello dei Cattolici liberali. E le dita che si sfiorano sono proprio quelle, prese giusto da un po' più vicino; a emergere più di ogni altra cosa, tuttavia, è la precarietà del simbolo, disegnato anche con una certa cura, ma da tre pennarelli in tutto. Tocca a loro stendere il verde e il rosso della bandiera italiana sul fondo (in modo irregolare e frastagliato) e tracciare in blu il contorno delle mani, la circonferenza e la scritta in maiuscolo inclinato (evidentemente senza un normografo). 
I Cattolici liberali erano legati ad Alberto Michelini, giornalista, già volto noto del Tg1: nella XII legislatura fu eletto a Montecitorio con il Patto Segni, ma al momento della scelta dei gruppi si iscrisse semplicemente al misto, senza aderire alla componente dei pattisti (al pari, per dire, di Giulio Tremonti ed Ernesto Stajano). Già in quell'occasione, appunto, creò i Cattolici liberali, un movimento - lo spiegò lo stesso Michelini alla prima convention nazionale del partito tenutasi quasi un anno dopo, il 24 febbraio 1995 - che poneva "al centro della propria azione la persona e le sue libertà; valori comuni a laici e cattolici", convinto che gli alleati dovessero essere cercati "sulla base delle affinità ideali e culturali con l'obiettivo di raggiungere un'unità sui valori" (senza per questo rifare la Dc o qualcosa di simile).
A livello parlamentare, in realtà, i Cattolici liberali non ebbero mai visibilità diretta: Michelini, infatti, già a dicembre del 1994 contribuì a creare alla Camera il gruppo dei Federalisti e liberaldemocratici, che alle elezioni suppletive del 9 aprile 1995 - quelle indette per stabilire chi dovesse subentrare a Emma Bonino, nuova commissaria europea - finirono persino sulle schede, accanto al nome di Giovanni Negri, candidato "imposto" al centrodestra dalla Lista Pannella - Riformatori (ma sconfitto da Giovanni Saonara). 
Che quella compagine fosse lontana, lontanissima dall'essere un partito, lo dimostrava il simbolo, uno dei più bianchi e più anonimi di sempre; in seguito, all'inizio del 1996, si sarebbe tentato di mettere in piedi i Federalisti liberali, con il loro elefante tricolore simil-repubblicano, ma i tempi non erano maturi. 
Nel frattempo, il 10 ottobre 1995, Michelini aveva annunciato la confluenza dei Cattolici liberali in Forza Italia: da quel momento il simbolo con le mani michelangiolesche non si vide più sulle schede, dopo aver partecipato a un numero ridottissimo di competizioni elettorali, nemmeno troppo visibili. Chissà se Sgarbi - che nel 1994 aveva presentato un suo emblema, SI con Sgarbi, con cui poi avrebbe tentato di contestare i Socialisti italiani di Enrico Boselli sull'uso della sigla "Si" - ricordava quel fugace precedente, quasi da meteora, anche solo per distaccarsene nettamente mentre faceva progettare il simbolo per il suo nuovo progetto politico... 

Grazie a Mario Cinquetti per avermi ricordato questo episodio.

sabato 17 maggio 2014

Vercelli, l'ultrasimbolo rovinato dal sorteggio

Bisogna ammetterlo: l'avevano pensata proprio bene in quel di Vercelli. Perché a sinistra, due liste erano riuscite a guardare oltre il loro simbolo. E non lo si dice per dire. Sono due i raggruppamenti che sostengono la candidatura a sindaco di Remo Bassini, scrittore e giornalista (pubblica sul Fatto quotidiano e per anni ha diretto La Sesia, testata storica di Vercelli).
Uno, Voce libera, aveva già corso nel 2009 candidando a sindaco Mariapia Massa, che stavolta figura come capolista. Allora il simbolo era quasi bucolico, con due rondinelle volanti in un curioso cielo bianco sopra i colli verdi; questa volta invece è rimasto solo il verde di base, con l'arancione nel fondo alto. 
A dividere e unire i colori, una fascia bianca piegata a forma di V. V come Voce, ovviamente, seguendo anche un po' la curva della pipa che Bassini frequenta spesso e volentieri. Niente segni figurativi espliciti, insomma, ma il tentativo di richiamare un'idea coi soli colori.
L'altra lista, sempre di sinistra ed espressione di Sel – almeno a dar retta alle notizie circolate sui media – ha fatto una scelta simile, rinunciando a ogni simbolo tradizionale o riconoscibile. E, già che c'era, il grafico (verosimilmente lo stesso per i due emblemi, a giudicare dall'idea e dalla font utilizzata per il nome del candidato sindaco) ha lanciato una sfida spaziale, pur se del tutto innocua. Perché, preso in sé, non stupisce nemmeno tanto il contrassegno della Sinistra per Bassini, con una mezza freccia che divide il campo arancione da quello rosso (due colori senz'altro di sinistra, almeno in Italia) e che punta naturalmente a gauche.
A mettere in fila i due simboli, però, il trucco diventa improvvisamente chiaro. Perché a giocare con le spilline, improvvisamente la freccia si dipana da un emblema all'altro e corre veloce da destra a sinistra, dopo aver fatto il gomito in basso, lasciando l'arancione in alto e alternando verde e rosso in basso. Come un tricolore ribaltato, come una radice quadrata allo specchio. Praticamente un ultrasimbolo, il primo in assoluto, un contrassegno cui stanno stretti i dieci centimetri di diametro del manifesto e chiede solo di poter proseguire nel tondo vicino, per trovare compimento.
Tutto geniale, tutto perfetto. Ma il grafico ha fatto i conti senza l'oste. O meglio, senza i bigliettini che si usano per il sorteggio dell'ordine delle liste sul manifesto. Perché poteva anche andar bene finire ultimi nel foglione delle candidature (e pazienza se voleva dire stare tutti a destra), ma una mano birichina ha estratto prima la V come Voce libera e poi la freccia della Sinistra. Morale, il giochino ben apparecchiato si è rotto proprio alla fine, quando la freccia poteva campeggiare in bella vista sui muri e sulle plance elettorali di Vercelli. Il sorteggio, insomma, ha rovinato tutto. E prendersela con Pannella, che più di chiunque altro ha voluto mandare in pensione le vecchie file davanti agli uffici elettorali, è perfettamente inutile.