giovedì 28 luglio 2016

Statuti, regole e polemiche, verso il congresso radicale

I congressi dei partiti, per loro natura, non sono mai una passeggiata. Sono fatti per confrontarsi, discutere, anche in modo animato - la storia politica d'Italia è piena di urli, fischi e botte congressuali - ma celebrarli è lo snodo della democrazia. Se sono troppo frequenti può essere un problema (troppi litigi e troppi costi da sostenere), ma è molto più grave quando non si svolgono per lungo tempo. Già solo per questo, la notizia della convocazione del 40° congresso del Partito radicale nonviolento transnazionale transpartito dovrebbe essere classificata come buona: l'assise precedente si è svolta nel 2011, ma a norma di statuto l'assise si sarebbe dovuta svolgere nel 2013. 
Vari ostacoli avevano impedito il rispetto delle scadenze statutarie. Da una parte, il segretario eletto nel 2011, Demba Traore, si rese sostanzialmente irreperibile e in ogni caso l'assise non la convocò mai; dall'altra parte, a più riprese il Senato - organo che di fatto ha governato il partito in questo periodo - si è detto che i soldi per convocare un congresso degno di un partito transnazionale non c'erano, a meno probabilmente di chiudere bottega. Ora una soluzione sembra essere stata trovata, con la convocazione di un congresso straordinario da parte di 147 iscritti (primo firmatario è il tesoriere Maurizio Turco, ma nell'elenco i nomi noti sono molti): l'assise si terrà dall'1 al 3 settembre nel carcere di Rebibbia, luogo simbolo delle battaglie radicali per lo stato di diritto.
Dovrebbe essere una buona notizia, invece sembra avere dato fuoco alle polveri all'interno del Prntt e, soprattutto, della "galassia radicale". Se l'8 luglio è stata resa pubblica la convocazione del congresso, due giorni prima Riccardo Magi e Valerio Federico, segretario e tesoriere di Radicali italiani, avevano ribadito l'urgenza del "ripristino della legalità statutaria del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito", chiedendo di convocare il Senato per "la prolungata inadempienza degli obblighi statutari da parte, tra altri organi, del Segretario", l'elezione di un nuovo presidente dell'organo (in sostituzione di Marco Pannella) e l'avvio del percorso di convocazione del Congresso, preceduto da "una fase adeguata di preparazione politica". 
Dopo la convocazione, lo stesso Federico, con Michele Capano (altro iscritto al Pnrtt), ha scritto una lettera aperta dura, parlando di convocazione illegittima dell'assise straordinaria (che, in base all'art. 2.1.1 dello statuto, può essere convocata, oltre che dal segretario e dalla maggioranza assoluta del consiglio generale, da un terzo degli iscritti da almeno sei mesi al partito). Le firme sarebbero insufficienti, nel senso che il numero dei 147 richiedenti sarebbe "ampiamente inferiore" al 33,3% degli iscritti all'8 luglio; il riferimento agli "iscritti da almeno sei mesi" sarebbe riferito alla condizione dei richiedenti, ma non consentirebbe di restringere la platea dei potenziali convocatori del congresso (su cui calcolare il "terzo") rispetto al totale degli iscritti, per evitare che l'organo più importante del partito sia convocato da un numero troppo esiguo di persone
Nella lettera si contesta anche la sede scelta per l'assise, cioè Rebibbia: non garantirebbe una partecipazione aperta: all'interno del carcere non potrebbe entrare una persona senza documenti o senza preavviso, avendo scelto di partecipare all'ultimo minuto, come non si potrebbero prevedere sessioni notturne (ipotesi che nei congressi radicali precedenti si sono puntualmente verificate). Altre contestazioni riguardano la procedura seguita: non ci sarebbe - a norma dell'art. 2.4 dello statuto - il tempo per svolgere i congressi di area (che si devono svolgere tra i 7 e i 4 mesi prima del congresso transnazionale) e non spetterebbe agli iscritti stabilire ordine del giorno, data e luogo del Congresso (essendo ritenuta necessaria, a norma dell'art. 20.2 del codice civile, l'intermediazione degli organi interni, in particolare il Senato, o del presidente del tribunale competente per territorio in caso di loro inerzia, se non altro perché qualcuno dovrà poter controllare il numero dei richiedenti e la validità dei loro titoli). Anche per questo, si chiedeva che il Senato del Prntt si confrontasse con Maurizio Turco, anche per sanare i presunti vizi della convocazione.
Il 14 luglio si è riunito il Senato: oltre a eleggere un nuovo presidente (Paolo Vigevano, già tesoriere del Partito radicale nella seconda metà degli anni '70), ha deciso di "rinegoziare" la convocazione del congresso, nel rispetto dello statuto e della prassi radicale, visto pure il mancato coinvolgimento nell'iter di "buona parte dei responsabili dei Soggetti Costituenti del Partito Radicale", a partire da Radicali italiani. I firmatari della convocazione del congresso, per parte loro, hanno parlato di Senato convocato illegittimamente e Maurizio Turco ha parlato di "un manipolo di dirigenti di associazioni radicali spalleggiati da un manipolo di giornalisti" che sta "tentando di omologare l'alterità, rivendicata e riconosciuta, del Partito radicale e di Marco Pannella", aggiungendo: "il tempo dirà se abbiamo fatto bene o meno a tollerare la presentazione di liste 'radicali' da parte di quattro dirigenti di associazioni radicali senza che abbiano coinvolto nemmeno i loro iscritti", segno che la presentazione del simbolo con la parola "radicali" a Roma e Milano è ancora una ferita aperta.
Per semplificare le cose, quattro giorni fa - dopo che il comitato nazionale di Radicali italiani aveva auspicato che quella convocata a Rebibbia fosse solo la prima di due sessioni congressuali - è stata divulgata un'altra lettera aperta di Capano e Federico, con cui si lamentano di nuovo i vizi già ricordati, di natura giuridica ma soprattutto politica (i due si dolgono, ad esempio, del mancato coinvolgimento di Emma Bonino nella preparazione del congresso, così come del fatto che lo svolgimento dell'assise in carcere "consente ai "convocatori" (ma in realtà essenzialmente al primo firmatario Maurizio Turco) di conoscere in anticipo quali e quanti compagni parteciperanno"). Capano e Federico, per questo, rinnovano il sostegno alla linea uscita dal Senato, pur escludendo di promuovere personalmente azioni legali contro la convocazione del congresso (che, in ogni caso, potrebbero essere intentate da altri iscritti o decise dallo stesso Senato).
Proprio oggi, infine, si è tenuta una nuova riunione del Senato del Prntt, in cui Paolo Vigevano si è dimesso dal ruolo di presidente (ha detto di non avere accettato l'incarico consapevolmente e di non voler fare la "foglia di fico" tra un gruppo che prende iniziative discusse e un altro che critica ma agisce poco) e si è di nuovo discusso della situazione radicale. Non si è fatta attendere la replica di Maurizio Turco, che sempre oggi ha parlato di una "illegittima convocazione di un organo del Partito Radicale", elemento di quello che ha definito "l'ennesimo tentativo di golpe da parte di alcuni dirigenti contro gli iscritti al Partito radicale" che hanno convocato il congresso: la sua idea è che un gruppo di persone voglia "impossessarsi a meri fini elettoralistici della storia radicale" (alla quale hanno contribuito: Turco non fa nomi, ma pensa forse a Roberto Cicciomessere, attualmente vicino alla linea Magi-Federico e che aveva parlato di un congresso di "cinquanta sfigati" a Rebibbia), un'operazione condotta "con la violenza non dei carri armati ma della menzogna, guidati non da generali ma da dirigenti radicali felloni".
In ballo, per quanto si può capire, c'è la sopravvivenza stessa del Partito radicale (ne ha parlato Angiolo Bandinelli), ancora prima che l'unità del partito stesso o la coesione della "galassia". Stavolta non ci sono direttamente simboli in ballo (la rosa nel pugno e lo stesso emblema di Gandhi sarebbero stati ceduti nel 2011 alla Lista Pannella, di cui oggi è presidente Maurizio Turco), ma in futuro potrebbero aprirsi contenziosi sulla titolarità del termine "radical*", prospettarsi scissioni (evocate in qualche modo da Sergio D'Elia, nel momento in cui ha ricordato la non partecipazione del partito alle elezioni, invitando chi non era d'accordo a costruire altri soggetti) o altri scenari traumatici, legati al "diritto dei partiti".
Al momento, sorvolando sulle probabili criticità legate allo svolgimento del congresso all'interno di un carcere, viene da interrogarsi almeno per un attimo sulla procedura seguita per la convocazione. E, almeno a uno sguardo minimamente approfondito, sembra che la strada scelta da Turco e dagli altri firmatari sia corretta: se - prendendo i dati forniti da Capano e Federico - l'8 luglio gli iscritti al Prntt erano 912, 333 dei quali iscritti da almeno sei mesi, 147 firme sono effettivamente oltre un terzo di 333. Sembra difficile poter riferire la quota corretta a tutti gli iscritti: poteva essere così se lo statuto avesse richiesto "un terzo degli iscritti al partito, purché i richiedenti abbiano aderito da almeno sei mesi", mentre lo statuto richiede "un terzo degli iscritti da almeno sei mesi al partito", che è cosa diversa. Di più, trattandosi di congresso straordinario, si legge che può essere "convocato", non "richiesto": questo fa sì che, in mancanza di un dialogo anche informale all'interno dell'associazione, gli stessi richiedenti possano fissare l'ordine del giorno, il luogo e la data, senza dover passare da altri organi o dal presidente del tribunale. Non occorre, infatti, interpretare l'art. 2.1.1 dello statuto alla luce dell'art. 20 del codice civile: prevale, come è ovvio, la norma interna e speciale, rispetto a quella generale e cedevole. 
Nel periodo sempre più breve che separa dallo svolgimento del congresso, si spera che si possa trovare una soluzione non di compromesso, ma di "comprensione": per la sopravvivenza di un partito che ha contribuito a scrivere la storia politica di questo paese, sarebbe già molto.

sabato 23 luglio 2016

Scelta civica, sulla titolarità del nome pronta la resa dei conti

Il sospetto c'era dall'inizio: la situazione in Scelta civica per l'Italia era ed è molto delicata e non sarebbe certo bastata la decisione del segretario Enrico Zanetti di uscire dal gruppo alla Camera e fondarne un altro "ufficiale" con il nome in fieri del partito a dichiarare chiuso il caso. Perché, dopo che Zanetti, dubitando della validità della deliberazione sulle cariche del gruppo per mancanza del numero legale (senza però impugnare alcunché), riteneva di poter ritirare l'uso di nome e simbolo allo stesso gruppo (sulla base di un mandato da lui ricevuto dalla direzione del partito) e di assegnarlo alla nuova aggregazione di cui è parte anche Ala, è arrivata la risposta dei dirigenti del partito contrari a questa scelta. 
Rileva in particolare la lettera di sedici componenti della direzione nazionale (firmata tra l'altro dal confermato capogruppo alla Camera Giovanni Monchiero, dal sottosegretario Antimo Cesaro e dai deputati Stefano Dambruoso e Giovanni Palladino), di cui ha dato notizia due giorni fa Antonio Pitoni sulla Stampa. Il testo della lettera parla di decisioni del segretario "prese senza preavviso, senza motivazione e senza che venissero in alcun modo discusse o approvate dagli organi del partito". L'organo, in particolare, non si sarebbe espresso su "un'imminente integrazione con Ala" (per scelta del segretario e non dell'intera direzione), né sull'elezione del direttivo del gruppo parlamentare. 
Il punto più delicato, tuttavia, riguarda ovviamente l'uso del nome (e, a cascata, del simbolo che lo contiene) e - sempre secondo l'articolo di Pitoni - sarebbe stato aggiunto dopo che Zanetti ha detto (e scritto sul suo profilo Facebook il 15 luglio) di aver "comunicato alla Camera la revoca della affiliazione politica del gruppo esistente al partito Scelta Civica". Nella lettera si legge che "il mandato conferito a maggioranza al segretario Zanetti per l’eventuale revoca dell’uso del nome si fonda su presupposti del tutto diversi". Diversi, evidentemente, da quanto lamentato da Zanetti, ossia il verificarsi di "poco commendevoli casi di decisioni rilevanti nel rapporto tra gruppo e partito assunte con il comportamento attivo e il voto determinante dei componenti del gruppo ospiti 'indipendenti', in quanto non iscritti al partito" o della presenza nel gruppo di iscritti "sistematicamente inadempienti rispetto agli obblighi di contribuzione" verso il partito.
I firmatari della lettera hanno chiesto che si riunisca urgentemente la direzione nazionale, chiedendo a chiare lettere la "conferma che l’unico gruppo parlamentare di riferimento per il partito di Scelta Civica è quello costituito all'inizio della legislatura", con la "conseguente conferma del pieno diritto di tale gruppo di utilizzare il simbolo e la denominazione Scelta civica». Logica conseguenza dei primi due punti proposti sono gli altri due: "interruzione di qualsiasi attività diretta alla formazione di un nuovo gruppo parlamentare unitamente ai parlamentari di Ala" e "adozione di ogni altro provvedimento conseguente". Cosa che viene letta da Pitoni come "un vero e proprio avviso di sfratto per Zanetti", anche in vista probabilmente del congresso che si aprirà in autunno. 
Difficile ora fare previsioni sull'esito del voto in direzione (i membri sono 42), se e quando l'organo sarà riunito: secondo il presidente della Commissione Affari costituzionali Andrea Mazziotti Di Celso - intervista sempre dalla Stampa - "i voti contrari all’accordo con Ala sono molti più di 16, mentre i membri della direzione in carica sono, a quanto mi risulta, meno di 40, causa dimissioni varie", mentre molto più importante è aprire un dibattito "sull'operazione di unione coi verdiniani" e sulla "pretesa di Zanetti di 'licenziare' dalla sera alla mattina il gruppo di Scelta civica senza alcun motivo e promuoverne un altro senza nemmeno informare il partito".
A seconda dell'esito della riunione, non è impossibile che si apra un contenzioso sulla titolarità di nome e simbolo: l'uso di quest'ultimo, per inciso, è regolato dal comitato di presidenza (l'equivalente della segreteria vecchia maniera) e autorizzato (anche) dalla direzione nazionale, mentre l'eventuale modifica radicale o abbandono spetta all'assemblea nazionale su impulso della direzione. Lo stesso Zanetti, per la verità, ha prefigurato "schermaglie giuridiche [...] sull'improbabile diritto dell'ex gruppo del partito a mantenere la denominazione Scelta Civica anche in assenza di qualsivoglia collegamento con il partito politico", senza manifestare per queste interesse; la richiesta di convocare la direzione, tuttavia, sposta la disputa tutta all'interno del partito, o almeno di ciò che ne è rimasto. 

venerdì 22 luglio 2016

M5S, il destino del simbolo

All'interno del MoVimento 5 Stelle, è cosa nota, il simbolo rappresenta uno strumento importante di attività: agli eletti come Giovanni Favia e Federica Salsi che non rientravano più nei canoni del M5S ne è stato inibito l'uso, in altre circostanze si è sentito il bisogno comunque di regolarne in modo esplicito l'impiego (non concedendolo ai Meetup, per esempio); ha fatto notizia la scelta di togliere il sito di Grillo dall'emblema, così come il sondaggio tra gli attiVisti su come sostituire quell'elemento del contrassegno. Non stupisce, dunque, che anche in questi giorni uno dei punti su cui si concentra l'attenzione dei media sia la titolarità del simbolo, che potrebbe passare di mano.
In molti hanno scritto dell'incontro che ieri si sarebbe svolto a Genova tra il direttorio del M5S (Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio, Roberto Fico, Carla Ruocco e Carlo Sibilia) e il nipote di Beppe Grillo, Enrico, uno dei tre fondatori dell'associazione MoVimento 5 Stelle, fondata con atto costitutivo - redatto come atto pubblico - il 14 dicembre 2012. Proprio il regime di quell'associazione sarebbe stato al centro della riunione, motivata tanto dal desiderio di Beppe Grillo - già espresso da tempo - di fare "un passo di lato", quanto dalla necessità di rispondere alle decisioni dei tribunali di Roma e Napoli che nelle settimane scorse (sia pure in via cautelare) hanno sospeso i provvedimenti disciplinari nei confronti degli espulsi, i quali sarebbero pronti a chiedere tra l'altro risarcimenti consistenti in primis al legale rappresentante del MoVimento. Cioè allo stesso Grillo.  
Sul piano dell'associazione - che, oltre ai tre fondatori, secondo i media aveva come socio anche Gianroberto Casaleggio - si starebbe pensando all'entrata dei componenti del direttorio come soci del soggetto collettivo: Grillo senior resterebbe garante, ma non sarebbe più il legale rappresentante (anche per evitare aggressioni patrimoniali). Sul piano delle regole, pare si sia parlato delle modifiche al "non statuto" e ad altri regolamenti interni (comprendenti anche la creazione di un comitato di disciplina, per rispondere alle censure mosse dai giudici), che comunque saranno rese note nei prossimi giorni e sulle quali si esprimeranno gli aderenti al MoVimento.
Più di una testata si sofferma però sulla questione legata al simbolo, di cui i parlamentari del direttorio, secondo Emanuele Buzzi del Corriere, "diverranno in qualche modo comproprietari": non è inutile ricordare, tra l'altro, che proprio a nome dell'associazione MoVimento 5 Stelle è stato registrato (giusto oggi) all'Ufficio per la proprietà intellettuale dell'Unione europea il simbolo attuale del M5S, mentre di quello precedente in Italia e in Europa risultava titolare Beppe Grillo. La tutela di marchio durerebbe dieci anni e ne sarebbe titolare, appunto, l'associazione M5S, di cui Grillo finora è stato legale rappresentante; dempre secondo Buzzi, peraltro, esisterebbe "anche l’idea di cedere la proprietà a Rousseau", cioè all'associazione creata dalla Casaleggio Associati, impegnata nel controllo della piattaforma-sistema operativo del MoVimento. 
La situazione, tuttavia, sarebbe piuttosto delicata: un lancio di quest'oggi di Adnkronos, infatti, parla di "braccio di ferro sulla proprietà del simbolo M5S". Il progetto da discutere in questi giorni comporterebbe, a quanto si legge, "far uscire nipote e commercialista di Grillo dall'associazione, dunque anche dalla proprietà del simbolo, e fare spazio ai parlamentari", senza alcun subentro da parte di Davide Casaleggio (mentre il simbolo dovrebbe restare tale e quale, in particolare senza "l'indicazione del candidato premier"). Sempre l'agenzia, tuttavia, parla di faccenda "piuttosto complicata", non risolta da precedenti incontri tra il direttorio e Grillo junior, al punto che per Adnkronos "sarebbe proprio lui, viene riferito, a frenare l'operazione sul marchio stellato".
Non è dato sapere quali possano essere i problemi via via insorti e non ancora risolti; fare supposizioni è per lo meno inopportuno. Di certo sarà interessante vedere come cambieranno innanzitutto il non-statuto (se continuerà a chiamarsi così) e il regolamento, vera manna per gli studiosi di diritto dei partiti: lo stesso Tribunale di Napoli pochi giorni fa è stato chiaro nel dire che "nonostante che il Movimento 5 Stelle nel suo statuto ('Non Statuto') non si definisca 'partito politico', ed anzi escluda di esserlo, di fatto ogni associazioni con articolazioni sul territorio che abbia come fine quello di concorrere alla determinazione della politica nazionale si può definire 'partito' (cfr. art. 49 Cost.)". Se nel frattempo si capirà meglio anche il destino del simbolo, meglio ancora.

giovedì 21 luglio 2016

Centrodestra, Parisi vuol dare una mano, Fdi riflette

Difficile che Parisi esporti così
il suo progetto grafico milanese...
Non sembra davvero esserci pace nel centrodestra italiano. Chi non si accontenta delle liti, dei mal di pancia, delle scaramucce quasi quotidiane, può affidarsi alle discese in campo e alle autocandidature improvvise, anche solo al ruolo (quasi) inedito di "aggregatore". La parola è di Luca Ubaldeschi, che ha intervistato Stefano Parisi e, nel dialogo pubblicato oggi dalla Stampa annuncia l'idea di una "convention programmatica" a settembre in cui raccogliere idee e proposte, per "non disperdere l’esperienza fatta a Milano", con un centrodestra "portatore di una cultura di governo che merita di essere declinata a livello nazionale come linguaggio politico e piattaforma di contenuti". L'idea, per Parisi, è di "rigenerare il centrodestra con un programma politico liberale e popolare, alternativo al centrosinistra e concorrente con i Cinquestelle". 
Il progetto dell'ex city manager di Gabriele Albertini - al quale Berlusconi, a suo dire, potrebbe guardare "con interesse", potendo essere ancora "motore della parte più moderata dello schieramento, [...] da fondatore" - dovrebbe mettere in campo persone "di non lunga carriera politica, ma che abbiano dimostrato di avere capacità", che possano avere dalla loro "il valore dell’esperienza e dell’affidabilità" e si rivolgerebbe "all’opinione pubblica moderata", senza trascurare il "malessere reale" presente in chi vota Lega. Difficile dire, allo stato, cosa verrà fuori da questo percorso: una fucina di idee qualificate, un think tank o magari un vero partito. Che, nella mancanza di fantasia più assoluta, potrebbe chiamarsi addirittura "Corriamo per l'Italia" (adattando a livello nazionale il claim e il simbolo pensato per le amministrative meneghine); molto più probabile, invece, che si tratti di una sorta di esperimento per pensare a qualcosa di diverso in futuro, cercando di intercettare tutte le sensibilità del centrodestra. Magari con Stefano Parisi leader o con un'altra figura come lui (dovesse emergere), purché unisca e non divida.   
Mentre Parisi lancia la sua proposta per il centrodestra, nella stessa area riflette anche Fratelli d'Italia e lo fa sempre con uno dei suoi questionari interni e periodici, somministrati via web agli iscritti. Neanche un mese dopo la domanda sull'eventuale scioglimento di Fdi (con partecipazione a un eventuale nuovo soggetto politico), in questi giorni gli aderenti al partito sono stati invitati a esprimersi su più temi, compreso il futuro della loro formazione. 
In coda alle domande, infatti, si chiedeva un parere su cosa dovrebbe fare in futuro Giorgia Meloni: le alternative tra cui scegliere - con la possibilità di indicare anche una risposta diversa da quelle proposte - erano "proseguire il lavoro intrapreso rafforzando Fdi", "dare vita ad un nuovo soggetto politico, modello Pdl, con le parti migliori del centrodestra" e "costruire insieme a Matteo Salvini un soggetto politico sul modello del Front National francese". Tra le ipotesi sottoposte alla consultazione, dunque, non si parla (più?) espressamente di scioglimento, una scelta significativa da ogni punto di vista: certo, l'alternativa al cammino solitario (corroborato da nuovi ingressi più o meno di rilievo) è comunque la costituzione di un nuovo contenitore, ma senza necessariamente chiudere Fdi una volta per tutte. 
Costruire un nuovo soggetto politico, in effetti, non è esattamente sinonimo di fondare un partito: si può anche decidere di creare una federazione buona per l'Italicum con il premio alla lista, aperto alle "parti migliori del centrodestra" (quali? e chi decide chi è "migliore"?) o soltanto a Fdi e a chi si riconosce in Matteo Salvini. Il modello del Front National, in effetti, farebbe pensare a un nuovo partito, ma riesce obiettivamente difficile pensare a uno scenario del genere in pratica: Salvini non sarebbe mai disposto a sciogliere la Lega Nord in una nuova formazione, così come è praticamente impossibile immaginare Fdi pronto a confluire con Meloni in un altro contenitore senza che i "compagni di viaggio" facciano altrettanto. Quale simbolo dovrebbe avere il nuovo gruppo, poi, è impossibile da immaginare: difficile pensare che Alberto da Giussano e corde con fiamma tricolore possano stare nello stesso contrassegno, a meno che ovviamente non siano presenti all'interno dei rispettivi emblemi, riportati per intero. A quel punto, tuttavia, si sarebbe di fronte a una sorta di cartello elettorale, difficilmente allargabile rispetto alla base degli elettori dei due partiti di origine: qualcosa di molto diverso, insomma, dal modello lepeniano.

venerdì 15 luglio 2016

Scelta civica si sdoppia alla Camera?

Nessuno, forse, ci avrebbe creduto, ma in Parlamento - alla Camera - è questione di ore la coesistenza di due gruppi quasi con lo stesso nome, con il segretario di un partito che abbandona il proprio gruppo (ma non la propria formazione, almeno per ora) per fondarne un altro, ritenendolo ovviamente quello più autentico e originale. Il caso è ovviamente quello di Scelta civica per l'Italia, che giusto ieri ha visto traslocare nel gruppo misto quattro deputati, compreso il segretario del partito - e viceministro dell'economia nel governo Renzi - Enrico Zanetti (gli altri sono Mariano Rabino, Giulio Cesare Sottanelli e Angelo Antonio D'Agostino). Già questa situazione di "separati in casa" (ove la casa è il partito) meriterebbe di per sé attenzione, ma gli ultimi accadimenti di ieri hanno reso praticamente unica la situazione: il tutto è compendiato da una dichiarazione dello stesso Zanetti.


Le prime fasi della vicenda sono ricostruite soprattutto dal Fatto Quotidiano (in un articolo di Giulio Simeone e Giorgio Velardi). Premessa necessaria: solo a marzo, quando fu celebrato il matrimonio tra ciò che restava di Scelta civica e i Moderati di Giacomo Portas, fu proprio quest'ultimo - e sempre al Fatto - a dichiarare che "quando ci si sposa, di solito, al matrimonio si invitano i parenti e gli amici, non gli sconosciuti" come Verdini, appunto, sebbene nelle settimane precedenti si fosse vociferato proprio di una partecipazione di Ala - allora ancora senza simbolo - alla nascita del nuovo soggetto politico.
Mercoledì, invece, in una lunga direzione pomeridiana del partito, come sottolineato da Zanetti, sarebbe stato dato "mandato al Segretario di revocare la denominazione politica del partito al gruppo parlamentare, laddove il gruppo avesse proseguito con dinamiche tali da determinare una maggioranza di componenti iscritti al partito, ma sistematicamente inadempienti rispetto agli obblighi di contribuzione verso lo stesso, nonché una partecipazione dei componenti del gruppo non iscritti al partito attiva e determinante nell'assunzione di decisioni rilevanti nel rapporto tra partito e gruppo". Tradotto, o i deputati di Scelta civica pagano le quote (gli eletti devono contribuire di più dei semplici iscritti) e i non iscritti al partito hanno meno peso, o il gruppo deve mollare nome (e simbolo).
Subito dopo la direzione, tuttavia, si è riunito il gruppo dei deputati di cui il segretario fa parte, per eleggere il direttivo dello stesso. Zanetti aveva chiesto di rinviare l'adunanza, che però si è svolta ugualmente e, a detta dello stesso Zanetti, in mancanza del numero legale (avrebbero partecipato 10 deputati su 20, quando ne servivano 11): i presenti, compresi tutti i non iscritti a Sc (che appunto avrebbero dovuto essere depotenziati, stando alla decisione del vertice del partito), avrebbero eletto un direttivo i cui componenti - secondo Il Fatto - erano in gran parte contrari alla proposta di confluenza di Ala in Scelta civica (formulata da Zanetti - scrive il Fatto - probabilmente per avere più peso in maggioranza come gruppo e recuperare rappresentanza al Senato, mentre i verdiniani avrebbero potuto entrare ufficialmente in maggioranza e avere incarichi di governo). 
Il gruppo, dunque, ha confermato alla guida Giovanni Monchiero, antiverdiniano al pari di Gianfranco Librandi, Giovanni Palladino, Antimo Cesaro e Andrea Mazziotti Di Celso. Una "legittima, ma palese sfida a quanto poco prima deliberato dalla Direzione del partito", che ha indotto Zanetti a traslocare nel gruppo misto, assieme ad altri tre deputati, per evitare che "proseguisse la finzione giuridica di un gruppo espressione di un partito che invece è evidentemente un rispettabile gruppo misto senza alcuna base politica".
Il tutto si è compiuto ieri con la proposta di costituire il gruppo "Scelta Civica - Verso Cittadini per l'Italia", "in linea - scrive ancora Zanetti - con la prospettiva politica di denominazione deliberata dagli organi direttivi del partito e su cui ci sarà il futuro confronto congressuale": un gruppo che dovrebbe comprendere, oltre a Zanetti e agli altri fuoriusciti da Scelta civica, i deputati di Ala (tra cui Francesco Saverio Romano, Ignazio Abrignani, Luca d'Alessandro, Giuseppe Galati, Massimo Parisi, Giovanni Mottola, Monica Faenzi, Giorgio Lainati) e Marco Marcolin di Fare!; questo che dovrebbe essere il primo passo verso la nascita di "un nuovo soggetto politico che mira ad aggregare le forze del centro di ispirazione liberaldemocratica", come sezione italiana dell'Alde (anche se alle europee, come è noto, la lista Alde - Scelta europea era andata male). 
Ora, la novità di un segretario che, fermo nel suo incarico, abbandona un gruppo parlamentare e ha intenzione di fondarne un altro fa indubbiamente scalpore (quasi quanto il sostanziale ingresso in un gruppo di maggioranza dei verdiniani, cosa che secondo alcuni dovrebbe portare alle dimissioni da viceministro di Zanetti), ma la vicenda porta con sé varie questioni tecniche, tutt'altro che di poco conto. Con le ultime defezioni, per esempio, il gruppo di Scelta civica per l'Italia è sceso sotto i 20 membri e per rimanere in piedi, evitando lo scioglimento e la trasformazione in componente del gruppo misto, dovrebbe ricevere una deroga dall'Ufficio di presidenza di Montecitorio, secondo quanto previsto dall'art. 14.2 del regolamento della Camera: esso richiede che il gruppo rappresenti "un partito organizzato nel Paese", che questo abbia presentato col proprio simbolo liste in almeno 20 collegi (Scelta civica lo ha fatto) e che abbia eletto almeno un deputato direttamente, ottenendo almeno 300mila voti (ne sono arrivati oltre 2,8 milioni).
Zanetti però non si è dimesso da segretario di Scelta civica (partito che in autunno andrà a congresso: l'idea originaria era di trasformarsi nell'aggregazione di civiche Cittadini per l'Italia e di confluire nei Moderati, ma chissà se ora andrà così...) e, visto il deliberato della direzione, ha il potere di revocare il nome al gruppo parlamentare. Andrebbe in tale senso la proposta di costituire di un gruppo che contenga tanto il nome Scelta civica, quanto quello di Cittadini per l'Italia. Un gruppo che, se rimanesse sotto i 20 membri, dovrebbe essere costituito in deroga, utilizzando sempre i requisiti di presenza elettorale che Scelta civica ha dimostrato: difficilmente l'ufficio di presidenza di Montecitorio (in cui peraltro siede Stefano Dambruoso di Sc) potrebbe consentire la coesistenza di due gruppi sostenuti dalla stessa deroga, dovendo negare il beneficio a uno dei due. Quasi impossibile, a quel punto, che sia declassato a componente del misto il gruppo del segretario di Sc.
Sarebbe l'anticamera di una scissione di partito (visto che gruppi e partiti sono soggetti diversi)? Possibile, ovviamente. Figure chiave sono Zanetti, come segretario e titolare del potere di revoca del nome al gruppo, e Settimo Minnella, tesoriere e (salvo errore) in quanto tale legale rappresentante del partito. L'uso del simbolo, dunque, passa innanzitutto attraverso di loro, come anche attraverso il Comitato di presidenza, nel quale siedono anche altre 12 persone, compreso il capogruppo antiverdiniano Monchiero (ma rimarrà, dopo la nascita del nuovo gruppo?). Si vedrà in seguito che pieghe prenderà la vicenda; per ora, resta molta tensione e molta confusione. 

martedì 12 luglio 2016

La nuova Destra (nazionale?) che ha in mente Storace

E se qualcuno lo volesse così?
Tra i soggetti che non si sono mai rassegnati, negli ultimi anni, a un'irrilevanza politica della destra in Italia c'è sicuramente Francesco Storace. Lo ha dimostrato in varie occasioni, da quando - alla fine del 2013 - aveva cercato di riportare sulla scena Alleanza nazionale, fino ai tentativi successivi di costruire assi più o meno solidi con Forza Italia e con Fratelli d'Italia (un rapporto che non ha mai dato frutti soddisfacenti). Ora, dopo la conferenza nazionale di aprile a Orvieto, Storace cerca di preparare una nuova pagina: assieme agli altri iscritti al movimento la Destra, si prepara a costruire "un nuovo, grande, inclusivo e plurale soggetto di destra da offrire agli italiani", anche grazie all'apporto di Azione nazionale, associazione nata lo scorso anno dopo la battaglia condotta dai "quarantenni" nella Fondazione An e alla quale è legato pure Gianni Alemanno.
Il 9 luglio il comitato centrale della Destra ha approvato le linee guida del cammino: l'organo ha indetto il congresso, da svolgere entro il 2016, e formato la segreteria generale del congresso. Ad essa spetterà definire data, luogo e regolamento dell'assise: punto particolarmente delicato, in quelle regole si dovrà prevedere "in caso di mancata presentazione di candidature o di non raggiungimento del quorum per la presentazione di candidature valide, il meccanismo per lo scioglimento del movimento o la confluenza in altri movimenti politici già esistenti o da costituirsi". E' questo, dunque, l'orizzonte che Storace ha immaginato per la Destra - movimento che, tra l'altro, per bocca del suo leader versa in "una fase delicata, soprattutto per quel che riguarda la situazione economica e l’esposizione debitoria" - e, potenzialmente, per altri soggetti che si riconoscano nella destra italiana. 
Il punto di approdo dovrebbe essere, come si diceva, "un nuovo, grande, inclusivo e plurale soggetto di destra da offrire agli italiani". Già dalla prima parola d'ordine appare chiaro che, per Storace, nessun soggetto politico esistente appare soddisfacente per l'elettorato di destra, a partire da Fratelli d'Italia. E' lo stesso segretario a parlare di "voglia di egemonizzare a destra e distruggere qualsiasi altra forma di sopravvivenza" da parte di Fdi, come sarebbe dimostrato dalle vicende dal 2014 in poi.
In un sistema "malato", a lungo forzatamente bipolare, in cui centrodestra e centrosinistra hanno finito per somigliarsi (e scontentare allo stesso modo gli elettori), facendo crescere il peso degli astenuti e il consenso per il MoVimento 5 Stelle ("ma costoro si affermano solo perché manca una destra seria"), l'eredità della destra "galleggia" e si trova fuori da gran parte dei consigli comunali: ha dunque bisogno, secondo Storace, di "essere ricostruita da soggetti adeguati allo scopo. E magari puntare ad ampliarsi, senza escludere". Sarebbe l'unica salvezza per un centrodestra "ridotto a brandelli", improntato all'incomunicabilità tra un fronte "lepenista" (di Meloni e Salvini, "che non appaiono in grado di spingersi più avanti del piccolo orticello") e uno più moderato. 
La strada del rilancio, o forse della rinascita, dovrebbe ripartire da quel terzo degli elettori "che non si riconosce né nel grillismo né nel renzismo" e può costituire una base per una destra unita. A patto, però, che si lascino al passato i personalismi di buona parte della classe dirigente politica (affetta da rancori ed eccessivo attaccamento alle poltrone, mentre energie e competenze presenti non vengono valorizzate a dovere) e che si torni a un'azione politica quotidiana, profondamente legata al territorio, per crescere, conoscere e farsi conoscere. Questo dovrebbe essere un buon viatico per costruire un soggetto di destra con idee chiare sull'Europa, sulle banche, sul terrorismo, così come sui temi interni. 
"Nella vastissima destra nazionale che non si riconosce né in Fdi né ancora in noi - si legge sempre nella relazione di Storace - c'è un ampio spazio da coprire, per un movimento plurale patriottico, cristiano, sociale". Passaggio necessario per arrivare al risultato sarebbe "la confluenza de La Destra in un nuovo soggetto politico" (ammesso che la maggioranza non preferisca affidarsi a un nuovo leader). Primo soggetto interessato al nuovo percorso è indubbiamente Azione nazionale: non a caso, proprio Gianni Alemanno, alla fine del comitato centrale, ha sottolineato che Storace "rilancia la sfida di costruire una destra forte all'interno del centrodestra" e che il 16 luglio - data in cui a Napoli sarà lanciato il Comitato per il No al Referendum costituzionale - "Azione nazionale e La Destra si confronteranno per costruire un percorso di convergenza e di unità per non lasciare l'Italia al Movimento 5 Stelle e alla sinistra". 
Alla fine del percorso avviato in questi giorni, dunque, potrebbe nascere un nuovo partito, che - essendo frutto dell'impegno dei due gruppi appena citati - potrebbe anche cercare di combinare in una crasi i nomi esistenti. E se Storace ha parlato di una "vastissima destra nazionale", probabilmente qualcuno è stato tentato di chiamare il nuovo soggetto "la Destra nazionale", riprendendo il nome del partito in via di scioglimento, ma aggiungendo l'aggettivo "nazionale" che rimanda agli ultimi vent'anni del Movimento sociale italiano. "Destra nazionale", non a caso, era anche il nome che campeggiava in uno dei simboli che lo stesso Storace aveva presentato a sostegno della propria candidatura a sindaco di Roma, almeno fino al suo ritiro in favore di Alfio Marchini (una scelta poco gradita dai suoi elettori). 
Una decisione simile potrebbe pagare molto sul piano identitario, ma porterebbe con seé qualche problema. Certamente scatenerebbe le ire del Movimento sociale italiano di Gaetano Saya e Maria Cannizzaro, che rivendicano la titolarità dell'espressione, anche in seguito alla registrazione del loro simbolo-marchio; secondo qualcuno non sarebbero nemmeno da escludere azioni della Fondazione Alleanza nazionale, qualora ritenesse di voler tutelare l'uso del vecchio nome del Msi, cioè del soggetto giuridico che nel 1995 cambiò nome in An (e il cui patrimonio ora viene gestito proprio dalla fondazione). Al momento non girano idee concrete o bozzetti grafici, del resto non c'è nemmeno la certezza dell'approdo finale; qualcuno, tuttavia, si sente di escludere che l'opzione "(la) Destra nazionale" sia stata radicalmente esclusa da tutti i soggetti interessati?

sabato 9 luglio 2016

Per Lara Comi, Siamo Italiani (ma non è un partito)

Non è un partito. A occhio e croce probabilmente non ha intenzione di diventarlo. Eppure Siamo italiani, l'associazione fondata dagli europarlamentari di Forza Italia Lara Comi, Salvatore Cicu e Aldo Patriciello ha già un simbolo potenzialmente spendibile, anzi, ne ha due.
L'associazione esiste almeno da quasi due mesi (l'inserimento del simbolo nella pagina risulta datato 12 maggio), anche se il sito - www.siamo-italiani.it - è stato acquistato il 7 settembre 2015, registrato a nome dell'Unione italiana di Gianfranco Librandi, saronnese come Lara Comi - certamente il nome più noto dei tre europarlamentari fondatori - ma attualmente deputato per Scelta civica (dopo avere militato in Forza Italia e nel Pdl).
Nel sito, a dire il vero, non c'è molto: si trova giusto una terzina come claim ("L'italia in cui credere / L'Italia in cui investire / L'Italia in cui rinascere) e un testo appena più lungo per illustrare nome e finalità: "E’ questo il cammino che scegliamo. Un percorso che mette al centro l’identità dei nostri comuni, i nostri saperi locali, l’energia che costruisce il domani. Siamo oltre i traumi della crisi economica, oltre la disgregazione sociale, oltre le fragilità delle divisioni. Siamo un popolo che cresce, che guarda avanti. Siamo Italiani". C'è poi l'indicazione dell'evento di lancio, datato 15 luglio: la presentazione sarà a Pozzilli, in provincia di Isernia.
Qualcosa di più, in realtà, si legge nello statuto dell'associazione, caricato sul sito anche se - a quanto pare - non è direttamente visibile sulla home page"L'Associazione - si legge all'art. 4, comma 1 - è una libera aggregazione di cittadine e di cittadini, che si riconoscono nei valori fondanti della Costituzione italiana e dei princìpi ispiratori dell’Unione Europea, nella scia della tradizione religiosa giudaicocristiana, del pensiero liberale e democratico sviluppatosi nel mondo occidentale per il rispetto dei diritti universali di libertà, giustizia, solidarietà, circolazione delle idee, moderna economia di mercato, preminenza della persona, competenza e professionalità, sana concorrenza, trasparenza, lealtà nei rapporti interpersonali, tutela della salute e dell’ambiente".
La stessa Comi, in un'intervista a Vincenzo Coronetti della Prealpina, ha parlato di un'associazione "diversa dalle altre, sia nei contenuti sia nell’azione", perché "non ha temi rigidi, non usa le stesse modalità dei partiti, si vuole differenziare e dare priorità al merito di ciascuno. Non ci interessano né i posti, né il potere, né le solite beghe romane". A suo dire, dell'associazione sono parte "molti giovani, alcuni eletti, la maggioranza senza appartenenze. Perché non ne vogliono avere". Racconta che Siamo Italiani e Forza Italia sono "due entità diverse ma non in antitesi" e che Berlusconi le è parso "entusiasta" dell'iniziativa, concordando "sulla necessità di ricreare il Sistema Italia oggi in caduta libera".
L'invito di Comi è a tutti coloro - persone e forze politiche - che sono collocati nel centrodestra: "Forza Italia, Lega nord, Fratelli d’Italia, Nuovo centrodestra sono i benvenuti. Ma alle nostre regole". E sarà pure vero che, sempre secondo lei, "i giovani stanno alla larga dai simboli dei partiti, vogliono discutere, capire, decidere in libertà", ma qui di simboli ce ne sono già due, depositati per la registrazione presso l'Ufficio italiano brevetti e marchi già a febbraio, tra l'altro sempre a nome di Gianfranco Librandi. Uno è quello che appare nel sito e su Facebook, con il nome bianco su fondo blu e con una striscia/fascia tricolore verticale nel mezzo (interrotta proprio dal nome). Il secondo, più complesso, è così descritto: "marchio figurativo composto di un cerchio con bordo di colore grigio chiaro, con sfondo sfumato da grigio chiaro a bianco da sinistra verso destra, caricato da una riproduzione della penisola italiana e delle isole di sicilia e di sardegna, di colore grigio chiarissimo, in rilievo. Nel terzo inferiore, di un tricolore italiano verde, bianco ingrigito e rosso. nella fascia mediana, le parole 'Siamo italiani', di colore blu, su due righe, composte la prima di una 's' maiuscola ingrandita e di lettere minuscole, la seconda di una 'i' minuscola molto grande e dalle altre lettere minuscole del calibro identico alla parola '(s)iamo'. La 'i' minuscola si eleva, a sinistra, sino alla metà della lettera maiuscola potenziata 's', che segue sulla riga superiore. Dopo la parola 'italiani', a destra, un piccolo tricolore italiano verde, bianco e rosso, di forma rettangolare, allineato a destra con la lettera 'o' della parola 'siamo'".
Al di là della descrizione in stile araldico, molto complessa, si è fatta la scelta - almeno per ora - di accantonare questo emblema. Quello a fondo blu è di più facile lettura, senza dubbio; si potrebbe dire che, vista la disposizione delle lettere più grandi, il rischio che qualcuno sul simbolo leggesse "IS", sigla più corretta di ciò che normalmente (e scorrettamente) viene chiamato "Isis", era concreto, a dispetto della "i" lasciata in minuscolo; anche leggerlo come sigla "Si", del resto, poteva riportare a emblemi del passato o a una pericolosa lettura "referendaria". Pure supposizioni, ovviamente, nessuna pretesa di verità o di "retroscena"; chissà, però, se qualcuno ci ha pensato davvero...

lunedì 4 luglio 2016

Forza Italia pronta a tornare in soffitta?

Sarà così il nuovo partito
di Silvio Berlusconi?
Meno di tre anni. Sembra essere questo l'orizzonte di vita per Forza Italia, riesumata alla fine del 2013 e, a quanto si dice con insistenza, destinata a finire di nuovo in naftalina (non si sa se per un po' o per sempre) in autunno. E' questo lo scenario delineato da vari "retroscena" che si sono rincorsi in queste settimane, ricostruzioni così simili a quelle lette tra il 2011 e il 2013, quando a più riprese si dava per moribondo il simbolo del Popolo della libertà perché, secondo Silvio Berlusconi, "non scaldava il cuore".
Uno dei retroscena più seguiti e ripresi l'ha proposto sulla Stampa Francesco Bei tre giorni fa, ambientandolo nella degenza di Berlusconi al San Raffaele dopo l'intervento che ha subito. Secondo Bei, "nel gergo commerciale del fondatore, Forza Italia è ormai 'un brand logorato'. Da qui l’idea che si è trasformata giorno dopo giorno in convinzione, in attesa di diventare presto decisione: rottamare Forza Italia, rimetterla nell’album dei ricordi da cui era stata tirata fuori nel 2013 dopo la batosta subita dal Pdl alle amministrative e la scissione di Alfano. E lanciare sul mercato un nuovo soggetto politico". 
La road map sarebbe stata condivisa con la cerchia ristrettissima che ha visitato l'ex capo del governo in ospedale. Il progetto contemplerebbe la costruzione di un soggetto politico nuovo "realmente competitivo con i Cinque Stelle e con Renzi", da lanciare ufficialmente con un congresso da svolgere dopo il referendum costituzionale d'autunno e da affidare a un soggetto forte (Bei fa i nomi di Giovanni Toti e Mariastella Gelmini): Berlusconi, non potendo più guidare direttamente la macchina per motivi di salute, si riserverebbe il ruolo di padre nobile e, comunque, di riferimento.  
Con il partito nuovo, ovviamente, un segno di discontinuità arriverebbe anche da una denominazione diversa e, di conseguenza, da un simbolo diverso. La partita del nome, tuttavia, sarebbe delicatissima e per nulla scontata: dal 2013 in poi, infatti, la girandola dei nomi ha partorito di tutto. Varie ipotesi, per dire, sono state sfornate da Affari Italiani, in una serie di articoli puntualmente firmati Alberto Maggi che parlavano dei nuovi partiti berlusconiani o dei cartelli pensati per l'interno centrodestra: così, volta dopo volta, si è parlato di Partito repubblicano (con replica piccata di Francesco Nucara e di ciò che resta del Pri), Italia liberale, L'Altra Italia, Legalitalia, fino a il Centrodestra - Uniti per l'Italia. Naturalmente la scelta dell'uno o dell'altro non sarebbe indifferente: molto dipenderebbe dalla legge elettorale con cui si voterà. Se l'Italicum resterà com'è, si punterebbe a un nome adatto per un centrodestra più ampio possibile; se invece Renzi accettasse di ritoccare la legge, attribuendo il premio di maggioranza alla coalizione più votata e non più alla prima lista (ipotesi decisamente negata dalle voci ufficiali del Pd, ma richiesta da tempo da più parti), ci sarebbe spazio per una corsa solitaria, anche nel nome. 
Qualche spunto interessante, da questo punto di vista, lo ha offerto già a marzo Franco Bechis, uno tra i più attenti osservatori delle questioni economiche e, tra l'altro, frequente consultatore della banca dati dei marchi europei. In un suo articolo per Libero, infatti, Bechis aveva fatto sapere che Silvio Berlusconi aveva depositato presso l'Ufficio per l'armonizzazione del mercato interno di Alicante due segni distintivi verbali, "Centrodestra unito" e "Centrodestra per la libertà", oltre che le loro varianti con "il" davanti. La notizia torna almeno in parte di attualità ora perché, se il deposito era stato effettuato lo scorso 16 febbraio, dal 23 giugno i quattro marchi sono registrati a tutti gli effetti, dunque Berlusconi ne è pienamente titolare. Nella domanda di deposito non c'era alcuna immagine, riguardando la richiesta soltanto i nomi citati. Di certo, comunque, anche senza grafica "Centrodestra unito" e "Centrodestra per la libertà" (che ricorda un po' alcuni vecchi nomi di area berlusconiana: nel 1996 in campo c'era appunto il Polo per le libertà) sarebbero etichette pronte all'uso, il primo per un sistema di federazioni di partiti stile Italicum, il secondo più per un contesto di premio alla coalizione
Bechis, nel suo articolo, aveva sottolineato l'eccezionalità di questo passaggio: "solo due volte Berlusconi aveva bussato alla porta dell'ufficio marchi europeo per depositare il nome di due sue creature politiche". All'inizio del 2008 in effetti l'ex presidente del Consiglio fece depositare alcune varianti del nascente Pdl (soprattutto pensando di cautelarsi dalla Federazione dei liberali che già nel 2004 aveva registrato il dominio partitodellaliberta.it), mentre nel 2012 depositò un'altra infornata di marchi verbali, "Grande Italia", "L'Italia che lavora" e "Centrodestra italiano" (anche questi in diverse varianti): per Bechis "alla vigilia della scissione di Angelino Alfano, Berlusconi provò a indovinare il nome del nuovo partito", ma il deposito dei nomi tra ottobre e dicembre del 2012 permette di ritenere poco credibile questa tesi. In ogni caso, la scelta di depositare i marchi in Europa piuttosto che in Italia sembra dettata dalla volontà di proteggere comunque quei segni, ma con meno clamore rispetto alla registrazione fatta in Italia (seguita con più attenzione).
Bechis notava a marzo che la scelta di non depositare anche le grafiche, oltre ai nomi, potrebbe essere dettata proprio dall'incertezza sulla legge elettorale con cui si dovrebbe votare (rectius: sulla possibilità che ci sia il tempo di modificare il premio di maggioranza) e dal fatto che il contrassegno "andrà discusso con gli alleati, e [...] probabilmente dovrà contenere al suo interno anche i marchi tradizionali dei partiti di provenienza (Lega, Fdi e Fi)". Quei marchi, in ogni caso, ora sono registrati e - come segnalava già allora il giornalista - l'uso è protetto per un numero notevole delle classi previste dal Protocollo di Nizza: "si va dagli 'acceleratori di vulcanizzazione' a tutti i prodotti alcolici, a quelli alimentari, ai profumi, agli accendini, fino agli abbronzanti e creme, ai coltellini, alle pietre preziose, agli alberi di Natale, fino ai prodotti alimentari e non per animali di affezione (il marchio del nuovo partito potrebbe essere utilizzato perfino per 'abiti per animali' magari pensati per Dudù e famigliola)...". Che intenzioni avesse Berlusconi è difficile dire; per capire qualcosa di più, servirà comunque qualche settimana; difficile, però, che una crema solare sia marchiata "Centrodestra unito"...

venerdì 1 luglio 2016

Quale futuro per Fratelli d'Italia e il centrodestra?

Se il Pd dopo le ultime amministrative può piangere, di certo il centrodestra in Italia non è nelle condizioni di ridere sul serio. Alcune città sono state (ri)conquistate, ma certe sconfitte bruciano (a partire da Milano, Varese e Latina) e il livello di frammentazione raggiunto qua e là (come a Roma e Torino) è pesante. Tra le poche certezze, il fatto che nessun partito del centrodestra potrà rimanere tale quale ad ora: se Forza Italia sta iniziando una mutazione al proprio interno (Alfredo Messina come amministratore straordinario al posto di Maria Rosaria Rossi, Valentino Valentini a capo della segreteria di Berlusconi), qualcosa si sta muovendo anche all'interno di Fratelli d'Italia.
Era stata proprio la leader, Giorgia Meloni, dopo il primo turno delle elezioni romane che la vedevano impegnata come potenziale sindaca, a riflettere sui dati usciti dalle urne. In un'intervista fatta due settimane fa da Daniele Di Mario per Il Tempo, commentando il 12% di Fdi (cui occorreva aggiungere il 4% della "sua" lista Con Giorgia), aveva tracciato questo quadro futuro: "È chiaro che il partito dovrà evolversi, bisognerà raccogliere a partire da Roma l’enorme potenziale di un movimento ancora inespresso. Certo, in alcune zone non siamo andati bene, in altre meglio. Dobbiamo ripartire dal territorio. Dovremo darci degli appuntamenti, ci sto riflettendo. L’obiettivo è avviare un’evoluzione di FdI per ricostruire il centrodestra con una proposta politica importante in vista delle politiche".
Ciò che ha detto Meloni non dovrebbe essere una novità assoluta: già dopo l'assemblea degli aderenti della Fondazione Alleanza nazionale (quella che aveva confermato a Fdi l'uso del simbolo di An), lo scorso ottobre, la futura candidata sindaca aveva annunciato - intervistata da Carlantonio Solimene, sempre per Il Tempo - nel giro di pochi mesi la celebrazione di "un congresso rifondativo che segnerà un’evoluzione", per cui l'evoluzione di cui ha parlato pochi giorni fa potrebbe coincidere con quella ipotizzata lo scorso ottobre (il congresso previsto all'inizio del 2016, del resto, non c'è stato). Si tratterebbe, a ben guardare, di una seconda evoluzione del partito: già l'attuale assetto di Fratelli d'Italia è frutto di un processo costituente iniziato alla fine del 2013 dopo l'esperienza di Officina per l'Italia e proseguito dopo che la Fondazione An aveva concesso per la prima volta l'uso dell'emblema di An (per il 2014).
Quale forma debba avere quell'evoluzione, tuttavia, non è ancora chiaro: probabilmente anche all'interno del partito si stanno vagliando varie ipotesi, anche piuttosto drastiche. Lo proverebbe un sondaggio somministrato via mail ai militanti e ai dirigenti di Fdi: un appuntamento periodico per loro, che peraltro già in passato fu utilizzato per saggiare gli umori della base sull'eventuale impegno politico della Fondazione An proposto dalla "mozione dei quarantenni". Ragionando sulle attività future, gli iscritti erano chiamati anche a riflettere sull'opportunità di sciogliere Fdi, fondando in parallelo un nuovo soggetto politico. La domanda, in sé, ovviamente non implica nulla, ma rende lecito pensare che qualcuno sullo scioglimento abbia riflettuto, almeno per un secondo.
Tutto questo, in ogni caso, si inserisce nel problema legato agli schieramenti alle prossime elezioni politiche, legati a doppio filo alla legge elettorale con cui si voterà. La questione è chiara: se si voterà con l'Italicum così com'è ora - e nessuno, a tutt'oggi, può garantire che non ci saranno ritocchi, voluti da molti, o che la Corte costituzionale a ottobre certamente non interverrà - non ci sarà spazio per le coalizioni e si dovrà cercare di presentare liste unitarie sotto un solo simbolo. Escludendo quasi con certezza che al quartier generale di Fratelli d'Italia si pensi a una corsa solitaria, occorrerebbe studiare nuove soluzioni, di alleanze ma anche di grafica: meglio un simbolo nuovo per tutto il centrodestra (o, magari, per un eventuale progetto da condividere con la Lega di Salvini) oppure un emblema-vetrina, che contenga le "pulci" dei vari partiti, a costo di affollare terribilmente il cerchio?
Nei prossimi mesi si dovrà lavorare molto per sciogliere il nodo; nel frattempo, qualcuno tra gli iscritti coglie l'occasione per chiedere di rinunciare definitivamente alla fiamma nel simbolo di Fdi. I sostenitori di questa posizione fanno notare che, alle ultime elezioni, si è avuta la conferma definitiva che i "vecchi" simboli non attirano più come un tempo, per cui è meglio archiviarli piuttosto che esporli a nuovi, sfortunati test elettorali. E se ancora ad ottobre Meloni puntualizzava che "il simbolo [di An, ndb] è servito a far capire chi siamo, ha reso chiaro che Fratelli d’Italia era l’unica strada per non far sparire la destra italiana dal Parlamento", altri dirigenti di Fratelli d'Italia - a partire da Fabio Rampelli - hanno mostrato dall'inizio scarso entusiasmo per quel riferimento al passato nel contrassegno. La fiamma tricolore continuerà a bruciare?