martedì 31 dicembre 2019

Il 2019 finisce, la gratitudine no!

Oggi si chiude il 2019, anch'esso a suo modo un anno "simbolico". Anche senza il voto politico, si è fatta comunque abbuffata di emblemi grazie alle elezioni europee amministrative - tutte datate 26 maggio o giù di lì - e alle regionali che si sono tenute in vari momenti dell'anno (prima l'Abruzzo e la Sardegna, poi la Basilicatail Piemonte e per ultima l'Umbria). 
Almeno sul piano simbolico, le europee hanno dato meno soddisfazioni che in passato, se non altro perché il numero degli emblemi depositati al Viminale è calato notevolmente (a causa soprattutto della burocrazia, che ha reso meno avvincente la #MaratonaViminale); ciò inevitabilmente ha ridotto di molto anche i simboli bocciati e i ricorsi nel tentativo di farli riammettere (anche se la saga della Democrazia cristiana ha segnato nuove pagine imperdibili, in tutti i gradi di giudizio). Eppure, quella consultazione ha destato interesse soprattutto per gli stratagemmi utilizzati - e sperimentati, con audacia crescente - per evitare la raccolta firme, con la corsa al collegamento ai partiti europei rappresentati a Strasburgo e persino ai partitini nazionali con almeno un parlamentare europeo. 
Quest'anno poi è caduto il turno di elezioni amministrative (quello degli anni 4 e 9) in cui i comuni chiamati al voto sono più numerosi. Si è cercato di coprire il maggior numero possibile di capoluoghi, ma non si è arrivati ovunque: meritano però una menzione speciale Antonio Folchetti (sempre!), Arturo Famiglietti e Massimo Bosso (che quest'anno ha proposto anche un'analisi della presenza dei partiti maggiori alle amministrative, "a macchia di leopardo" nell'epoca delle liste civiche) per essersi occupati di alcuni dei comuni più rilevanti, contribuendo a una buona copertura; per il futuro si cercherà di essere più presenti, nei limiti delle forze disponibili (certo, se aumenteranno il compito sarà più lieve...).
Archiviate le amministrative, Massimo Bosso ha proposto nuovamente il suo viaggio nei comuni "sotto i mille" di tutta l'Italia, anche se questa volta c'era meno materiale da proporre (quindi le puntate sono state solo due, una per il Nord e una per il Centro-Sud). Soprattutto, però, le elezioni del 2019 hanno visto compiere il quarto di secolo di attività per la presentazione di liste senza firme nei comuni sotto i mille abitanti (introdotta nel 1993, solo dall'anno dopo si è iniziato a sfruttarla con consapevolezza) e l'anniversario meritava di essere celebrato, con riferimento alla terra che più ha dato soddisfazioni nel corso degli anni: il Piemonte. Così, dall'impegno di Massimo e del sottoscritto è nato M'imbuco a Sambuco!, libro che ripercorre tappa per tappa venticinque anni di vicende elettorali nei comunelli piemontesi, debitamente illustrato con i simboli che hanno contrassegnato le elezioni più salienti ed emblematiche (e in almeno due casi clamorosi hanno avuto luogo nel comune di Sambuco, motivo per cui è stato scelto per il titolo). Il libro si può trovare in vendita online in formato cartaceo, ma anche come pdf.  
Almeno quattro congressi di partito, poi, sono stati al centro dell'attenzione, sempre con rilevanza simbolica. All'inizio dell'anno si è dato spazio ai simboli delle liste che si sono confrontate nel percorso congressuale-fondativo di +Europa; in seguito si è data copertura al 41° congresso del Partito radicale nonviolento transnazionale transpartito, che ha modificato lo statuto e preso decisioni anche sull'emblema storico della rosa nel pugno (oltre che concentrarsi sulla battaglia per mantenere in vita Radio Radicale), ma già all'inizio dell'anno si era dato conto del tentativo non riuscito di riportare sulle schede la stessa rosa con la lista Stati Uniti d'Europa, che sarebbe dovuta nascere a partire dall'impegno della Lista Pannella e del Partito socialista italiano. Nel mezzo, si è parlato del congresso straordinario del Partito socialista italiano, provocato dalle dimissioni dalla segreteria di Riccardo Nencini, al quale è succeduto Enzo Maraio: proprio lui ha avviato il percorso di consultazione e ricerca culminato a novembre con l'adozione del nuovo simbolo, con il ritorno di un garofano legato alla sigla del Psi. Quasi a fine anno, infine, si è dedicato molto spazio al congresso straordinario della Lega Nord, al centro dell'attenzione soprattutto per le modifiche allo statuto, compresa quella sulla possibilità di concedere in tutto o in parte il simbolo leghista ad altre formazioni politiche affini (come la Lega per Salvini premier). 
Si è poi naturalmente seguita l'attualità, dai gilet gialli (registrati come marchio non una, ma due volte) all'onda delle madamìn, dalla nascita di Cambiamo! di Giovanni Toti alla costruzione del nome e del simbolo (con l'intervista al creativo Giovanni Sasso) del partito di Matteo Renzi, Italia Viva, nato pochi mesi dopo la nascita di un soggetto politico di sinistra dal nome molto simile, èViva (e il sito ha dato spazio al team dell'agenzia Moscabianca che ha lavorato alla nascita dell'emblema). Impossibile poi non occuparsi anche quest'anno di una delle saghe più ricorrenti di questo sito, quella della Democrazia cristiana: a parte il tentativo non riuscito di correre alle europee con lo scudo crociato e il simbolo del Ppe, hanno lasciato il segno la comparsa della rotondiana Fondazione Democrazia cristiana (con il nome della "sua" Dc, ricongelata meno di un anno dopo la sua riattivazione, e il simbolo del Cdu, ora ufficialmente sciolto), la sentenza della Cassazione su uno dei tanti contenziosi in materia di scudo crociato e, soprattutto, la doppia assemblea dei soci Dc convocata in due luoghi diversi di Roma e quasi contemporaneamente il 12 ottobre, con idee diverse su come procedere  per ridare vita al partito (magari in una Federazione popolare dei democratici cristiani, come il gruppo di Renato Grassi ha intenzione di fare). Una confusione notevole e destinata ad aumentare, al punto tale che è stato necessario mettere un po' di ordine, riassumendo tutte le puntate precedenti in tre post, debitamente documentati.
Sono poi aumentati i libri utili per leggere la politica di ieri e di oggi e con qualche risvolto simbolico rilevante, come si era fatto anche alla fine del 2018 con il monumentale Invano dell'impareggiabile miniaturista Filippo Ceccarelli: è il caso di Cattolici senza partito? (Giorgio Merlo), della carrellata di immagini offerte da Partito Radicale. Immagini per una storia 1955-1990 (Andrea Maori) e dai due libri "simbolici" su socialisti e comunisti di Paolo Garofalo; non potevano mancare poi le riflessioni amare sugli ultimi anni di politica italiana - con tanto di backstage simbolico di Liberi e Uguali - di Titanic (Chiara Geloni), lo sforzo enciclopedico di Piove governo ladro (Ettore Maria Colombo) e le osservazioni sui "vizi all'origine" del Partito democratico legati al suo statuto contenute in Un partito sbagliato (Antonio Floridia). Abbiamo poi dato a modo nostro gli addii a persone che, in modo diverso, hanno legato la loro vita a un simbolo, pur se in molte varianti: il garofano socialista per Gianni De Michelis e la rosa nel pugno per Laura Arconti
Last, but not least, le pagine storiche, che restituiscono dimensioni lontanissime dalle dinamiche dell'oggi. L'attenzione di chi tiene gli archivi hanno potuto restituire storie minori, dimenticate dai più ma da tenere in conto (quelle di Unità e democrazia socialista, gruppo di ex Psdi approdato nel 1989 al Psi e con una vita breve, del matrimonio mai celebrato nel 2008 tra Italia dei Valori e Rosa bianca - ma con prove simboliche conservate - oppure del Movimento Fascismo e libertà che nel 1996 riuscì a far ammettere il proprio simbolo con nome e fascio littorio alle regionali siciliane senza discussioni). La ricerca meticolosa di Samuele Sottoriva ha fatto emergere una pagina poco nota legata all'adozione della rose au poing - rieccola! - da parte del Partito radicale, con le reazioni poco accomodanti dei socialisti francesi: una pagina da approfondire, anche alla luce della causa civile intentata contro il Pr dall'autore del segno, Marc Bonnet. Sono state avventure complesse e arricchenti - in primo luogo per chi scrive - le ricerche relative alle elezioni amministrative del 1990 a Pisa (con il Delfino del litorale mangiato da falce e martello), Guastalla (con il Campanone che mise in crisi i vecchi militanti comunisti) e Pinerolo (con la Democrazia cristiana che si fece in due e fece finire la questione, come per Pisa, dritta al Tar).
Soprattutto, però, il 10 ottobre ho potuto pubblicare la mia conversazione con Bruno Magno, la persona che nel 1990 fu incaricata di disegnare il nuovo simbolo per il l'evoluzione del Partito comunista italiano. Si è trattato di un incontro davvero prezioso e denso, il più importante di quest'anno e uno dei più sentiti da quando il blog è nato, sette anni e mezzo fa; Bruno ha anche generosamente donato un suo bellissimo racconto - In alto a sinistra - che gira intorno al simbolo del Pci e su queste pagine ha piena cittadinanza. Nell'anno che si apre si partirà in qualche modo da qui, nel senso che si cercherà di raccogliere la testimonianza degli autori di altri simboli importanti nella storia politica italiana (come si era già fatto in passato con gli apporti, tra gli altri, di Andrea Rauch, Francesco Cardinali, Nicola Storto e Federico Dolce). Con quest'auspicio, che in parte è già una certezza, si chiude questo 2019, che ha visto la pubblicazione del post n. 1000 e il superamento del milione di visite: traguardi che all'inizio potevo solo sperare da molto lontano e che sono stati raggiunti grazie all'impegno di chi continua a visitare queste pagine, ma soprattutto di chi permette di riempirle di contenuti e di far crescere questo spazio. Per questo la lista che segue è sempre più lunga, ma non me ne vergogno affatto: anzi, ne sono felice. Buon 2020 e, davvero, GRAZIE!


Grazie a Martino Abbracciavento, Ignazio Abrignani, Giovanni Acquarulo, Mario Adinolfi, Guglielmo Agolino, Tiziana Aicardi, Tiziana Albasi, Mauro Alboresi, Alberto Alessi, Francesca Alibrandi, Alfonso Alfano, Antonio Angeli, Leoluca Armigero, Antonio Atte, Luca Bagatin, Laura Banti, Daniele Barale, Amedeo Barbagallo, Paolo Barbi, Mario Bargi, Enzo Barnabà, Giovanni Barranco, Chiara Maria Bascapè, Maruzza Battaglia, Americo Bazzoffia, Giovanni Bellanti, Pierpaolo Bellucci, Marco Beltrandi, Francesco Benaglia, Giulia Benaglia, Valentina Bendicenti, Pierangelo Berlinguer, Roberto Bernardelli, Rita Bernardini, Enrico Bertelli, Giuseppe Berto, Niccolò Bertorelle, Diego "Zoro" Bianchi, Laura Bignami, Raffaella Bisceglia, Mauro Biuzzi, Fabio Blasigh, Paolo Bonacchi, Enzo Bonaiuto, Ettore Bonalberti, Paola Bonesu, Andrea Boni, Mauro Bondì, Fabio Bordignon, Salvatore BorgheseMichele Borghi, Lorenzo Borré, Renzo Bortolot, Massimo Bosso, Carlo Branzaglia, Franco Bruno, Andrea Bucci, Giampiero Buonomo, Mario Cabeddu, Giovanni Cadioli, Luca Calcagno, Mauro Caldini, Stefano Camatarri, Elisabetta Campus, Aurelio Candido, Maria Antonietta Cannizzaro, Roberto Capizzi, Monica Cappelletti, Luca Capriello, Giovanni Capuano, Jacopo Capurri, Giuseppe Carboni, Vito Cardaci, Francesco Cardinali, Nicola Carnovale, Elena Caroselli, Robert Carrara, Cosimo Damiano Cartelli, Roberto Casciotta, Pierluigi Castagnetti, Marco Castaldo, Filippo Ceccarelli, Luigi Ceccarini, Mirella Cece, Luca Cenatiempo, Raffaele Cerenza, Cristiano Ceriello, Luciano Cheles, Gioia Cherubini, Giancarlo Chiapello, Luciano Chiappa, Giovanni Chiarini, Emanuele Chieppa, Beppe Chironi, Marco Chiumarulo, Pierpaolo Ciappetta, Giancarlo Ciaramelli, Angelo Ciardulli, Valerio Cignetti, Valentina Cinelli, Mauro Cinquetti, Giuseppe Cirillo, Roman Henry Clarke, Daniele Coduti, Antonia Colasante, Emanuele Colazzo, Emiliano Colomasi, Ettore Maria Colombo, Fabrizio Comencini, Daniele Vittorio Comero, Francesco Condorelli Caff, Carmelo Conte, Antonio Conti, Pietro Conti, Francesco Corradini, Carlo Correr, Antonio Corvasce, Andrea Covotta, Graziano Crepaldi, Vito Crimi, Francesco Crocensi, Natale Cuccurese, Emilio Cugliari, Francesco Cundari, Johnathan Curci, Salvatore Curreri, Francesco Curridori, Francesco D'Agostino, Nicola D'Amelio, Gabriele D'Amico, Michele D'Andrea, Roberto D'Angeli, Renato D'Emmanuele, Ferdinando D'Uva Cifelli, Alessandro Da Rold, Pierluca Dal Canto, Roberto Dal Pan, Paolo Dallasta, Marco "Makkox" Dambrosio, Fabrizio De Feo, Gianluca De Filio, Francesco De Leo, Pietro De Leo, Stefano De Luca, Pino De Michele, Carlo De Micheli, Mario De Pizzo, Giancarlo De Salvo, Roberto De Santis, Donato De Sena, Franco De Simoni, Mauro Del Bue, David Del Bufalo, Paola Dell'Aira, Maurizio Dell'Unto, Benedetto Della Vedova, Riccardo DeLussu, Alfio Di Costa, Dario Di Francesco, Roberto Di Giovan Paolo, Alberto Di Majo, Alfio Di Marco, Marco Di Nunzio, Alessandro Di Tizio, Antonino Di Trapani, Giovanni Diamanti, Ilvo Diamanti, Raffaele Dobellini, Federico Dolce, Alessandro Duce, Filippo Duretto, Daniele Errera, Filippo Facci, Leonardo Facco, Giuseppe Alberto Falci, Arturo Famiglietti, Giovanni Favia, Luigi Fasce, Paolo Ferrara, Emilia Ferrò, Antonio Fierro, Antonio Floridia, Antonio Folchetti, Gianni Fontana, Cinzia Forgione, Gianluca Forieri, Ciro Formicola, Gabriella Frezet, Iztok Furlanič, Massimo Galdi, Vincenzo Galizia, Vincino Gallo, Elisa Gambardella, Riccardo Gandini, Uberto Gandolfi, Luciano Garatti, Carlo Gariglio, Paolo Garofalo, Francesco Gasbarro, Marcello Gelardini, Chiara Geloni, Alessandro Genovesi, Tommaso Gentili, Mattia Giacometti, Alessandro Gigliotti, Marco Giordani, Michele Giovine, Carlo Gustavo Giuliana, Bruno Goi, Roberto Gremmo, Massimo Gusso, Vincenzo Iacovino, Vincenzo Iacovissi, Antonino Ingrosso, Paolo Inno, Matteo Iotti, Roberto Jonghi Lavarini, Luca Josi, Tommaso Labate, Piero Lamberti, Orione Lambri, Giacomo Landolfi, Piero Lanera, Calogero Laneri, Lisa Lanzone, Angelo Larussa, Michele Lembo, Pellegrino Leo, Raffaella Leonardi, Luca Leone, Ferdinando Leonzio, Raffaele Lisi, Max Loda, Dario Lucano, Nino Luciani, Maurizio Lupi (il Verde Verde), Bruno Luverà, Chiara Macina, Angela Maenza, Cesare Maffi, Mimmo Magistro, Bruno Magno, Lucio Malan, Alex Magni, Francesco Magni, Francesco Maltoni, Enzo Mancini, Pietro Manduca, Renato Mannheimer, Silvja Manzi, Andrea Maori, Gian Paolo Mara, Enzo Maraio, Roberto Marchi, Federico Marenco, Gherardo Marenghi, Marco Margrita, Luca Mariani, Marco Marsili, Carlo Marsilli, Dario Martini, Antonio Massoni, Angela Mauro, Angelo Mauro, Federico Mauro, Angelo Orlando Meloni, Marcello Menni, Stefano Mentana, Giorgio Merlo, Vincenzo Miggiano, Rosanna Montecchi, Nicolò Monti, Roberto Morandi, Raffaello Morelli, Matteo Moretto, Francesco Morganti, Mara Morini, Claretta Muci, Pietro Murgia, Paola Murru, Alessandro Murtas, Tomaso Murzi, Antonio Murzio, Cristiana Muscardini, Alessandro Mustillo, Paolo Naccarato, Donato Natuzzi, Ippolito Negri, Claudio Negrini, Davide Nitrosi, Gianluca Noccetti, Vincenzo Carmine Noviello, Enrico Olivieri, Matteo Olivieri, Oradistelle, Fabrizio Orano, Gabriele Paci, Libera Ester Padova, Andrea Paganella, Roberto Pagano, Pierluigi Pagliughi, Enea Paladino, Lanfranco Palazzolo, Paolo Palleschi, Carmelo Palma, Enzo Palumbo, Massimiliano Panarari, Max Panero, Margherita Paoletti, Federico Paolone, Fabio Pariani, Massimo Parecchini, Ottavio Pasqualucci, Gianluca Passarelli, Oreste Pastorelli, Alan Patarga, Ivan Pavesi, Lorenzo Pavoncello, Giacomo Peterlana, Rinaldo Pezzoli, Antonio Piarulli, Marco Piccinelli, Daniele Piccinin, Flavia Piccoli Nardelli, Francesco Pilieci, Marco Pini, Marco Piraino, Stefania Piras, Piero Pirovano, Irma Liliana Pittau, Candida Pittoritto, Elisa Pizzi, Marina Placidi, Vladimiro Poggi, Carlandrea Poli, Vittorio Polieri, Alfredo Politano, Mauro Polli, Aldo Potenza, Giuseppe Potenza, Cesare Priori, Giulio Prosperetti, Carlo Prosperi, Matteo Pucciarelli, Franco Puglia, Riccardo Quadrano, Renzo Rabellino, Andrea Rauch, Michele Redigonda, Maurizio Ribechini, Livio Ricciardelli, Egle Riganti, Francesco Rizzati, Giuseppe Rizzi, Marco Rizzo, Lamberto Roberti, Donato Robilotta, Luca Romagnoli, Federico Rossi, Giovanni Rossi, Giuseppe Rossodivita, Gianfranco Rotondi, Sergio Rovasio, Salvatore Rubbino, Roberto Ruocco, Giampaolo Sablich, Stefano Salmè, Elio Salvai, Angelo Sandri, Maurizio Sansone, Aldo Santilli, Ugo Sarao, Anna Sartoris, Alessandro Savorelli, Jan Sawicki, Gian Franco Schietroma, Francesco Sciotto, Renato Segatori, Roberto Serio, Oscar Serra, Gianni Sinni, Claudia Soffritti, Carlo Antonio Solimene, Catia Sonetti, Gigi Sordi, Simone Sormani, Samuele Sottoriva, Stefano Spina, Valdo Spini, Ugo Sposetti, Mario Staderini, Gregorio Staglianò, Anna Starita, Luigina Staunovo Polacco, Lorenzo Stella, Leo Stilo, Francesco Storace, Nicola Storto, Ivan Tagliaferri, Tiziano Tanari, Mario Tassone, Roland Tedesco, Edoardo Telatin, Antonio Tolone, Mauro Torresi, Luigi Torriani, Alvaro Tortoioli, David Tozzo, Roberto Traversa, Ciro Trotta, Lara Trucco, Fabio Tucci, Andrea Turco, Maria Turco, Maurizio Turco, Massimo Turella, Sauro Turroni, Marco Valtriani, Max Vassura, Margherita Vattaneo, Alessio VernettiEnrico Veronese, Fiodor Verzola, Michele Viganò, Lucia Visca, Ettore Vitale, Maria Carmen Zito, Mirella Zoppi, Roberto Zuffellato, Federico Zuliani, Piotr Zygulski. 

E tributo a chi ha disegnato Insieme per Vanzaghello, da cui è stato tratto il simbolo di quest'anno.

lunedì 30 dicembre 2019

10 idee per la Calabria, salta la lista in appoggio a Callipo

Concluse le operazioni di deposito della documentazione per le liste intenzionate a partecipare alle elezioni regionali di Emilia-Romagna e Calabria che si svolgeranno il 26 gennaio, risulta - salvo errore - una sola esclusione. Attraverso la Rete si apprende che non sarebbero state ammesse le liste presentate dal movimento 10 idee per la Calabria, forza civica e della società civile che si era schierata a sostegno della candidatura di Filippo Callipo e ha come riferimento Domenico Gattuso, ordinario di Ingegneria dei Trasporti presso l'Università Mediterranea di Reggio Calabria e già candidato alla presidenza della regione nel 2014 per la lista L'Altra Calabria.
Va precisato subito che all'origine dell'esclusione delle liste in tutta la regione non c'è alcun vizio legato al simbolo, in cui su fondo rosso - oltre al nome scritto in bianco, unico elemento di continuità rispetto a L'Altra Calabria - spiccava una lampadina accesa, quasi trasformata in sole, con al centro la sagoma della regione (con tanto di filamento da lampadina) e intorno dieci raggi, come le idee. Si tratta, come spiegato da Gattuso in un'intervista rilasciata ad Alganews, di "un logo realizzato da un ragazzo costretto per affermare se stesso nel mondo del lavoro ad andare via subito dopo la laurea. Una lampadina con 10 raggi con un obiettivo di fondo: dare un messaggio. Dieci idee sono più che sufficienti ma devono essere dieci idee di alto valore, di qualità, idee che la gente riesca a percepire come fattibili e concrete. È vero che le idee possono essere molte di più ma abbiamo lanciato la sfida: andare oltre i programmi e presentare, invece realistici e realizzabili progetti".
Le liste di 10 idee per la Calabria (cui vari articoli online riconducono anche la partecipazione di esponenti verdi) sarebbero invece state escluse dalla competizione per una lacuna non rimediabile nella documentazione: a quanto si apprende, per le singole liste provinciali mancherebbe il collegamento con la candidatura alla presidenza di Callipo. La mancanza - anche se non è dato sapere esattamente cosa mancava: se - era stata rilevata già in sede di deposito delle liste, ma Gattuso sperava che il vizio di natura formale fosse in qualche modo sanabile. Evidentemente i giudici dell'Ufficio elettorale sono stati di diverso avviso, quindi il simbolo con la lampadina su fondo rosso non finirà sulle schede.
Il gruppo di 10 idee continuerà a sostenere Callipo nelle urne, cercando di reagire a suo modo alla mancanza di classe dirigente regionale lamentata nei mesi scorsi e di rafforzare lo "schieramento civico progressista" ricercato in queste settimane, antirazzista, contrario alla violenza e alla criminalità, nonché attento ai beni comuni e alla dignità delle persone. Dopo l'esclusione di questa lista, in ogni caso, sulla scheda calabrese finiranno 14 simboli, collegati a quattro candidature alla presidenza della regione. Nei prossimi giorni saranno analizzati uno per uno: il quadro, in ogni caso, ora è completo.

sabato 28 dicembre 2019

I democristiani, la Federazione nascente e un congresso in arrivo

Alcuni ne sono convinti: il 2020 sarà l'anno del XX congresso della Democrazia cristiana e, possibilmente, del ritorno sulla scena politica italiana di un soggetto politico cattolico che argini populismo e sovranismo e si ponga come alternativa alla sinistra. Questo secondo obiettivo dovrebbe essere assicurato mediante la Federazione popolare dei Democratici cristiani, della cui nascita si è dato conto nelle settimane scorse: la federazione ha un coordinamento provvisorio, costituito da Giuseppe Gargani, Lorenzo Cesa, Renato Grassi, Mario Tassone ed Ettore Bonalberti, che il 4 dicembre a Roma ha presentato pubblicamente la propria attività. 
Proprio Gargani in questa fase sembra avere un ruolo di guida - oltre che del comitato per il No al taglio dei parlamentari - di questo processo federativo che punta a far uscire dall'emarginazione e dall'irrilevanza degli ultimi vent'anni la cultura politica dei cattolici democratici e dei cristiano sociali. Un ritorno sulla scena, appunto, reso necessario - secondo i promotori - dal consolidarsi di "destra eversiva, pericolosa e anomala" resa possibile dalla crisi del centrosinistra, ma causata all'origine dal "superamento della legge elettorale proporzionale" (cosa che ha contribuito a togliere spazio al centro e ai democristiani) e dall'avvento di forze politiche di natura personalistica.
Ci sono pochissimi giorni ancora per aderire come soci fondatori alla Federazione popolare (versando 100 euro come quota) in chiave antinazionalista, antipopulista ed europeista. Tra i fondatori figura, come si è detto, anche Lorenzo Cesa, segretario dell'Udc: si tratta dell'unico partito presente in parlamento che negli ultimi anni abbia continuato a impiegare lo scudo crociato (non senza contestazioni, come i lettori di questo sito sanno bene) e la sua partecipazione mediante Cesa alla federazione sembra essere determinante perché quest'ultima possa utilizzare quel simbolo senza correre il rischio di vederselo impedire. Proprio Cesa ha sottolineato che l'Udc metterà a disposizione della federazione la struttura organizzativa dell'Udc ("senza alcuna velleità di ruoli preminenti, ma nel rispetto della collegialità assunta a metodo democratico come stabilito dalle norme del patto sottoscritto"), così come Gianfranco Rotondi "presterà" la Fondazione Democrazia cristiana, da lui guidata, come "strumento di approfondimento programmatico e di formazione". 
Un ruolo importante, sul piano dell'elaborazione del programma, dovrebbe averlo anche il gruppo di sottoscrittori del cosiddetto "manifesto Zamagni", a partire dalla "Rete Bianca" di Giorgio Merlo e Lucio D'Ubaldo (presente all'incontro del 4 dicembre). In quel manifesto anche i promotori della Federazione popolare dei Democratici cristiani si riconoscono: da quel dialogo potrebbe scaturire un progetto comune (di idee e priorità), pronto a strutturarsi sul territorio (a livello regionale, provinciale e comunale) anche facendo fronte comune - come sottolineato il 4 dicembre da Ettore Bonalberti - "con altre culture laiche, liberali e riformiste", così da poter preparare in seguito la partecipazione alle elezioni, prima comunali e regionali, ma anche politiche quando se ne presenterà l'occasione. 
Volendo appoggiarsi a una data simbolica, la più vicina sarebbe il 18 gennaio 2020: 101 anni prima don Luigi Sturzo aveva lanciato il suo appello "ai liberi e forti", quindi in quel giorno sarebbe l'ideale ritrovarsi - sempre parole di Bonalberti - "al convento della Minerva, a due passi dal luogo in cui Sturzo redasse il suo appello", per impegnarsi a "costruire il Partito Popolare Europeo in Italia, dando fine alla lunga e suicida stagione della diaspora, per un nuovo inizio e per dare, finalmente, una nuova speranza agli italiani". Ci sarebbe anche una bozza di regolamento, predisposta da Filiberto Palumbo (penalista cassazionista, già membro laico del Consiglio superiore della magistratura), in cui si punta sulla collaborazione delle forze politiche che collaborano nella federazione: ogni partito conserverà la sua organizzazione, mentre la federazione si configurerà come "nuovo soggetto politico" cui partecipano i leader dei gruppi concorrenti (ma si propone che gli statuti di quei partiti vengano integrati con il riferimento alla Federazione e alla necessità di raggiungere i suoi obiettivi comuni) questa realtà sia inserita negli statuti di ogni partito partecipante); a livello regionale ci sarà un coordinatore (prima indicato dall'Ufficio di Coordinamento provvisorio tra le figure suggerite dai partiti, poi dal Coordinamento che sarà nominato dal Comitato federale della federazione), come pure altre figure a livello territoriale inferiore. L'Assemblea federale (composta da tutti partiti e le associazioni che hanno firmato l'atto federativo) nominerà i 15 membri del Comitato federale, organo che dovrà - tra l'altro - "coordinare l'attività politica" della Federazione popolare.
Tra i membri del Coordinamento provvisorio, Mario Tassone partecipa anche come leader del Nuovo Cdu, da lui rimesso in piedi da pochi anni, mentre Renato Grassi siede nel coordinamento come segretario politico della Democrazia cristiana... o meglio, di quella parte di soci della Dc del 1993 che ha riconosciuto la correttezza del percorso giuridico che - dopo la nota vicenda processuale civile conclusa in Cassazione nel 2010, in base alla quale la Dc non è mai stata sciolta - ha portato al XIX congresso nel 2018 e alla sua elezione alla segreteria. 
Oltre che concorrere alla Federazione popolare dei Democratici cristiani (magari con l'idea di apportare alla futura formazione elettorale il nome della Dc, di cui il partito di Grassi ritiene di essere titolare) In questo periodo si sta completando il tesseramento al partito: versando 10 euro e consegnando compilato il modulo scaricabile dal sito sarà possibile aderire alla Dc, ma solo entro il 31 dicembre. Sulla base degli iscritti - si parla di almeno duemila tesserati - sarà determinato il numero dei delegati regionali che parteciperanno al congresso: il consiglio nazionale del 30 novembre ha infatti deciso che il XX congresso della Democrazia cristiana si svolgerà dal 22 al 23 febbraio 2020. Non è ancora dato sapere dove, è molto probabile invece che sulla legittimità di quell'assise non ci sarà accordo (per qualcuno - Dc-Sandri - il XX congresso è stato celebrato nel 2005 a Trieste; per altri - Dc-Cerenza e Dc-Luciani - il XIX è da ricelebrare): resta solo da capire chi si lamenterà per primo.

giovedì 26 dicembre 2019

Cent'anni fa, quando si taroccava il simbolo dei socialisti

Il simbolo falso del Ps
denunciato nel 1919 dall'Avanti!
D'accordo, l'adagio in base ai quali i tempi andati erano sempre migliori di quelli in corso è potentissimo ed è in grado di fregare chiunque: ci si casca che è una meraviglia anche in ambito elettorale, pensando che prima la politica fosse più seria e gli elettori pure, come se il passato grondasse e il trapassato avesse grondato di austerità e correttezza. Qualcuno potrebbe arrivare addirittura a pensare che, in questa imprecisata età dell'oro, a nessuno potesse venire in mente di vestire i panni del furbetto del simbolino nel tentativo di danneggiare l'avversario di turno, come tante volte ci è capitato di raccontare in questi anni. 
Manco a dirlo, non c'è pensiero più lontano dal vero: per fortuna ci sono le prove per dimostrarlo, anche se sono passati ben cent'anni. Eppure, anche dopo un secolo, si fanno trovare da chi è abituato a cercare nel posto giusto e arrivano persino via e-mail: così, in una serata quasi d'inverno, è stato bello ricevere un messaggio di posta elettronica da Roberto Gremmo, pioniere dell'autonomismo in Piemonte e da molti anni ricercatore storico assai attento, in più di un'occasione citato in questo sito per le sue esperienze politiche (con importanti ricadute "simboliche"). In pochissime righe, Gremmo suggeriva di consultare l'archivio online del quotidiano Avanti!, disponibile sulle pagine del Senato, e di guardare l'edizione del 14 novembre 1919 perché avrebbe contenuto "una piccola curiosità sui simboli". Com'era già avvenuto in altre occasioni, la macchina della ricerca - una volta attivata - è difficile da fermare perché la curiosità continua ad alimentarla; se poi, come in questo caso, per iniziare è sufficiente una brevissima ricerca su un sito internet, il bisogno di soddisfare le prime curiosità diventa irresistibile e l'idea di aspettare non passa nemmeno per l'anticamera del cervello.
Dopo una breve digitazione e qualche clic, è comparsa la pagina suggerita, con due miniature di contrassegni elettorali in apparenza molto simili (e il problema, in effetti, era proprio quello): le immagini, collocate al centro della sesta colonna, erano abbinate a un articolo intitolato (guarda caso!) La più volgare truffa - Hanno falsificato le schede del nostro Partito! Il testo, nemmeno troppo lungo, merita di essere riportato per intero (corsivi e grassetti sono presenti già nell'originale): chiunque, leggendolo, può immergersi nell'atmosfera di un secolo fa e capire meglio cos'era accaduto e cos'aveva innescato la segnalazione.


Il fatto, che denunciamo ai nostri lettori, non ci sorprende. Conosciamo la democrazia ed il liberalismo, sappiamo di che cosa sono capaci coloro che ad ogni ora ci gridano che in Italia il «popolo», il «cittadino» ha tutti i mezzi per far valere la sua volontà, senza ricorrere agli estremi mezzi della violenza. Costoro levano gli inni più entusiastici alla libertà, quando sperano che il «popolo» non sappia valersene; ma si fanno in quattro, usano ogni arma — dalla violenza alla frode — quando temono che il «popolo» abbia aperto gli occhi e si appronti a fare da sé i propri interessi, senza bisogno dei loro lumi. 
Cosi si palesa la vera essenza della democrazia borghese ed in tal modo vengono deluse le speranze di quei nostri compagni che — impenitenti utopisti del demoriformismo — ci invitano a non avere fiducia che nei mezzi «democratici». 
Bella «democrazia» quella che costringe il servo a votare pel padrone; che obbliga il partito del povero a subire la violenza corruttrice o sopraffattrice del partito del ricco; che permette il monopolio della carta, della stampa, della réclame; che avventa tonnellate di bugie ben vestite contro chi non ha che pochi chili di verità, nuda e cruda!
Bella libertà quella che permette si incarceri il poveraccio che — dopo quattro lunghi anni di silenziosa sofferenza — leva un grido di protesta o lancia un sasso contro chi ritiene corresponsabile del suo malanno, e lascia compiersi la peggiore delle violenze: la violenza della diffamazione o della calunnia, la violenza della frode. 
State tranquilli, operai, non fischiate, non urlate, non cacciate colla frusta i trafficanti della patria. Essi, in silenzio, nel buio delle loro animaccie venali, stanno giuocandovi il più turpe dei tiri; ma quando vi passano dinanzi pettoruti, pieni di vento e di democrazia, salutateli. Sono delle persone per bene, non fischiano, non urlano. Noi, sono ben educati, loro. Falsificano soltanto — o tentano di falsificare, se ci possono riuscire — il responso delle urne.
Hanno accusato il bolscevismo di avere violentata la Costituente, costoro hanno affermato che il «popolo», coi mezzi legali, può raggiungere la propria liberazione, costoro; e poi, di sotto mano — per dare ragione a noi, bolscevichi — tentano di defraudarlo dei tanto vantati mezzi pacifici e legali. Costoro lavorano per noi.
A Venezia — ci si scrive — gli avversari, a tutela delle sacrosante istituzioni, hanno falsificata la scheda socialista, diffondendone attorno una quantità con tre linee tratteggiate anziché con due (come deve essere in quel collegio). A Cremona l'hanno falsificata spostando la falce a sinistra e il martello a destra. A Genova hanno messo in circolazione una quantità di schede discentrate — cioè stampate in modo che il contrassegno del nostro Partito non si veda o si veda solo in parte quando il presidente del seggio apre la busta. Con tutta probabilità gli stessi sistemi liberali e democratici, degni di coloro che hanno voluto la guerra per ragioni ideali, saranno posti in opera in altri luoghi. 
Noi — mentre mettiamo in guardia i lavoratori onde si accertino, prima di votare, che la scheda che votano è proprio quella del nostro Partito e non quella dei truffaldini della democrazia e del liberalismo costituzionale — dichiariamo in pari tempo di essere assai lieti di queste continue prove che i nostri nemici danno al proletariato, perché si valga anch'esso, quando possa e gli giovi, della illegalità.
I borghesi lavorano per noi. Ogni loro inganno si muta in un nostro trionfo. Ciò significa che noi siamo indubbiamente l'avvenire o che avremo un giorno anche noi il «diritto» di man-darli al diavolo, loro, la legalità e la libertà.
 
Al di là del tono - evocativo e imperdibile - con cui l'articolo era stato scritto, è evidente che il suggerimento di Roberto Gremmo aveva colpito nel segno. L'articolo era uscito due soli giorni prima delle elezioni politiche del 16 novembre 1919 - note per essere state le prime con il suffragio maschile realmente universale: prima erano elettori tutti gli ultratrentenni e, a determinate condizioni, gli uomini superiori ai ventuno anni - ed era uno spaccato della furberia e della malizia elettorale già diffusa cent'anni fa, ma per apprezzarlo in pieno occorre avere ben presente come si votava allora, anche materialmente.
La legge n. 1401/1919, entrata in vigore in agosto, aveva da poco stabilito che le elezioni politiche si dovessero tenere con un sistema proporzionale e scrutinio di lista: si votava dunque per una forza politica e si potevano indicare una o più preferenze (oppure anche un solo candidato di una lista diversa: era l'istituto del panachage, che la legge allora consentiva). Il fatto che il nuovo sistema - a differenza di quello precedentemente in vigore, basato sulla competizione a doppio turno tra singoli candidati in collegi uninominali - prevedesse un confronto tra gruppi di persone e, contemporaneamente, prevedesse la partecipazione di un gran numero di elettori potenzialmente analfabeti rendeva assolutamente necessaria l'identificazione delle liste attraverso un emblema riconoscibile anche da chi non era in grado di leggere e, men che meno, di scrivere le preferenze: per questo, dal 1919 era diventato obbligatorio depositare presso le prefetture, assieme alle liste, anche "un modello di contrassegno stampato, anche figurato". Un contrassegno che, peraltro, poteva non essere uguale in tutte le circoscrizioni: non esisteva un primo deposito centrale degli emblemi, ma ogni gruppo politico locale poteva agire autonomamente sul territorio, senza alcun obbligo di adottare un simbolo uguale a quello utilizzato dalla stessa forza politica altrove. E, per giunta, visto che già allora fidarsi era bene ma non fidarsi era meglio, si era previsto che ogni Commissione elettorale provinciale, dopo la presentazione delle liste, dovesse respingere (senza possibilità di presentare emblemi alternativi) i contrassegni "identici o troppo facilmente confondibili con contrassegni di altre liste precedentemente presentate".
Modello di scheda tratto dalla Gazzetta Ufficiale
Il simbolo, tuttavia, trovava posto su una scheda ben diversa rispetto a quella cui siamo abituati ora. A dispetto del radicale cambio di sistema e di formula elettorale, la legge n. 1401/1919 continuava a rimandare al regio decreto n. 821/1913, con cui si era approvato il Testo unico della legge elettorale politica, basata - lo si diceva - su un sistema maggioritario a doppio turno in collegi uninominali. Quel sistema, in particolare, prevedeva che ogni candidato facesse stampare le proprie schede e ne predisponesse il modello (che dal 1913 poteva contenere "un contrassegno anche figurato o colorato" da abbinare al nome dell'aspirante deputato): per il testo unico la scheda doveva essere "di carta consistente bianca, non ripiegata" e avere la forma di un quadrato di 12 centimetri di lato, ma con i vertici stondati, mentre il nome del candidato e l'eventuale grafica dovevano stare al centro.
Dalla Gazzetta Ufficiale
Le schede per votare i candidati potevano essere distribuite agli elettori nei giorni che precedevano il voto, ma anche dentro lo stesso seggio, direttamente dai rappresentanti dei singoli candidati. Nel tentativo di garantire la segretezza del voto - non essendo sufficienti le cabine, pure introdotte di fatto nel 1912 - si era previsto che il voto si esprimesse inserendo solo la scheda prescelta per il voto in una busta "ufficiale", consegnata all'elettore dal presidente di seggio: la busta, essendo la sua introduzione stata sostenuta con veemenza dall'allora relatore della riforma elettorale, Pietro Bertolini, fu spesso ricordata - e non sempre in senso ironico - con il nome del suo stesso proponente (come ricorda Maria Serena Piretti nel suo saggio imprescindibile del 1995 Le elezioni politiche in Italia dal 1848 a oggi (Laterza). 
Quella busta quadrata, peraltro, oltre ad avere una sorta di "tagliando anti frode", era conformata in modo tale che in fase di espressione del suffragio non consentisse di indovinarne il contenuto (l'esterno della busta era bianco, ma l'interno era colorato), mentre in sede di scrutinio era possibile conoscere il voto espresso senza bisogno di aprire il lembo incollato: nella parte anteriore, infatti, una perforazione permetteva di strappare parte della busta, consentendo dunque di vedere attraverso la "finestrella" il contenuto della parte centrale della scheda che vi era contenuta, senza nel contempo rendere possibile sostituire la scheda stessa.  
Non è difficile capire che il nuovo sistema elettorale non si prestava molto all'uso di questo metodo di espressione del voto: per una competizione tra liste sarebbe stata molto più funzionale una "scheda di stato", predisposta in anticipo dall'amministrazione pubblica e magari con i nomi delle candidature prestampate, oltre che i contrassegni per distinguere le liste. Ne era consapevole anche la commissione che aveva studiato la riforma elettorale e in un primo tempo aveva effettivamente optato per la scheda di stato; tuttavia proprio quell'organo era piuttosto affezionato all'idea di mantenere la "busta Bertolini" (la si chiama proprio così anche nei resoconti delle sedute), ritenendo che avesse dato buona prova di sé nelle elezioni precedenti. Partendo da quel presupposto, tanto la commissione quanto il presidente del consiglio, Francesco Saverio Nitti, si erano convinti che l'uso della busta richiedesse per forza l'impiego di una "scheda di partito", predisposta dai singoli gruppi di candidati: si era sviluppato un dibattito ampio sul punto alla Camera tra luglio e agosto del 1919 e alla fine tanto la busta di stato quanto la "scheda di partito" erano state confermate.
A quel punto, ci si era limitati ad adattare quel modello di scheda al nuovo tipo di scelta. Il cerchio ricavato al centro della scheda in precedenza avrebbe dovuto contenere solo il nome del candidato che aveva fatto stampare le schede e il relativo, eventuale emblema; in base alle nuove norme, quell'area centrale dovette a quel punto ospitare tanto il contrassegno del gruppo di candidati, quanto le righe per scrivere le preferenze esprimibili nel singolo collegio. In quelle condizioni, il simbolo appariva piuttosto piccolo (alto al massimo due centimetri, l'altezza prescritta per il segmento circolare che lo doveva contenere) e, in ogni caso, la preparazione e la stampa delle schede diventava un momento davvero delicato, da vari punti di vista. 
Si può ora apprezzare meglio il campionario di trovate truffaldine che i socialisti avevano denunciato sull'Avanti!: si trattava sempre di schede elettorali non conformi a quelle predisposte dal partito, anche se la contraffazione aveva preso forme diverse. A Venezia l'aggiunta di una riga per le preferenze avrebbe potuto portare gli elettori a indicare un candidato in più (la cui preferenza, in base alla legge, sarebbe stata come non apposta) o addirittura avrebbe potuto minare l'intero voto (sempre la legge diceva che non potevano esserci altri segni oltre a quelli previsti); a Genova invece si erano inventati le schede "discentrate", per cui anche l'apertura della finestrella nella busta non consentiva di leggere il voto. L'operazione più subdola - e che qui interessa di più - fu tuttavia quella lamentata a Cremona, con un vero e proprio esempio di simbolo contraffatto, peraltro con una certa perizia: chi aveva elaborato il disegno falso, infatti, non si era limitato a spostare "la falce a sinistra e il martello a destra" (che, detto così, sembrava anticipare dei partiti trotzkisti, con la loro falce e martello "a specchio", anche se in realtà gli "arnesi" erano stati solo ruotati e non ribaltati), ma li aveva inseriti in modo praticamente perfetto nella composizione grafica. Il sole che sorgeva coi raggi era lo stesso, la corona di spighe pure; un occhio non troppo allenato alle differenze, in effetti, avrebbe potuto cadere nell'inganno, visto che gli ingredienti fondamentali dell'emblema c'erano tutti, anche se disposti diversamente.
L'Avanti! non dice espressamente se effettivamente più di qualcuno incappò nell'inganno e inserì nella "busta Bertolini" la scheda sbagliata (che quindi non sarebbe stata conteggiata a favore del Partito Socialista "ufficiale"); in compenso, sfogliando l'edizione di martedì 18 novembre, il giornale diede enorme rilevanza in prima pagina alla "travolgente vittoria del Partito Socialista", che in effetti risultò la forza politica in assoluto più votata, con 1.834.792 schede a proprio favore, trasformatesi in 156 seggi, mentre il Partito popolare italiano - alla sua prima partecipazione elettorale - si era fermato a 100 e il Partito liberale democratico (che peraltro si era presentato con simboli diversi sul territorio) si era dovuto accontentare di 96 eletti. Non ci si stupisce, dunque, nel trovare in quella stessa prima pagina una vignetta impagabile di Giuseppe Scalarini - la cui didascalia è "Dall'urna è uscito trionfante il Partito Socialista!" - in cui il simbolo (quello giusto, anche se con una certa interpretazione grafica) era l'ingrediente principale del disegno dell'illustratore satirico mantovano (che collaborava all'Avanti! dal 1911). 
Nella quarta pagina - che era anche l'ultima - poi si trova un pugno di righe davvero interessante: il giornale, infatti, dà notizia di una "Strepitosa vittoria a Cremona", con i socialisti che erano riusciti a conquistare tre dei cinque seggi disponibili in quel collegio plurinominale. Con 32.151 voti, infatti, il Partito Socialista "ufficiale" elesse alla Camera Costantino Lazzari (quasi 9.400 preferenze personali), Ferdinando Cazzamalli e Giuseppe Garibotti; il Ppi, con i suoi 20.528 voti allo scudo crociato di Sturzo, vide eletto soltanto Guido Miglioli (che comunque aveva ottenuto oltre 10.600 preferenze). L'ultimo seggio andò al Blocco democratico - che aveva come emblema un aratro e riuniva, come scrive l'Avanti!, "tutte le sfumature dei partiti borghesi, dai riformisti agli ultra conservatori" - che non andò oltre i 15.839 voti; il candidato più votato contò su 3700 preferenze, ma queste bastarono per assicurare il rientro in Parlamento a Leonida Bissolati (che pure venne trattato come un traditore dei lavoratori dal giornale che lui stesso aveva fondato nel 1896). Restò fuori invece il leader dei radicali e già ministro Ettore Sacchi, anch'egli presente in quella lista; entrò alla Camera solo nel 1920, dopo la morte di Leonida Bissolati e grazie alle proprie 3.561 preferenze. Le schede contraffatte, insomma, avevano avuto pochi effetti: probabilmente l'allarme lanciato dall'Avanti! e diffuso dai militanti socialisti locali aveva colto nel segno.

Grazie di cuore a Roberto Gremmo per la segnalazione, che ha permesso questo tuffo nella storia. Una specie di regalo di Natale, per i lettori di questo sito. 

lunedì 23 dicembre 2019

Le modifiche allo statuto della Lega Nord, una per una

Dopo aver dato l'attenzione che meritava al Congresso federale straordinario della Lega Nord, tenutosi sabato scorso, è ora opportuno passare puntualmente in rassegna le modifiche statutarie che l'assise di due giorni fa ha approvato all'unanimità. La delicatezza della questione, infatti, meritava che non ci si fermasse alle spiegazioni - pur utili e necessarie - di Roberto Calderoli (pur espertissimo, suo malgrado, di queste questioni) e di altre persone intervenute al congresso e in questi giorni, ma era necessario avere proprio il testo e ragionare su ogni singolo intervento. 
Non si pretende naturalmente di avere centrato il senso di tutte le modifiche (e si è pronti ad accogliere indicazioni e correzioni fondate), ma si è cercato di riflettere su ciò che è stato sottoposto al voto e alle sue ricadute in termini pratici.

L'indipendenza della Padania

Per iniziare, è il caso di mettere subito in luce un elemento che non cambia. Come è già stato sottolineato da più parti, il nome del partito (o "Movimento", come lo statuto preferisce dire) resta "Lega Nord per l'Indipendenza della Padania" e, sempre all'art. 1, resta ferma la "finalità": "il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana". 
Giusto per completezza, l'art. 1 dello statuto della Lega per Salvini premier indica invece come fine "la pacifica trasformazione dello Stato italiano in un moderno Stato federale attraverso metodi democratici ed elettorali", promuovendo e sostenendo al contempo "la libertà e la sovranità dei popoli a livello europeo". Anche solo per questo, si comprende perché, come detto sabato da Roberto Calderoli, non ci sarà alcun automatismo nell'iscrizione ai due soggetti politici: un militante potrebbe condividere gli obiettivi di entrambi, ma non è scontato che questo avvenga e si potrebbe restare anche solo soci della Lega Nord o diventarlo solo della Lega per Salvini premier (ovviamente il problema non si pone per i militanti delle "nazioni" che continuano a non essere previste dallo statuto della Lega Nord: questi continueranno a poter aderire solo alla Lega per Salvini premier).

Regioni e nazioni

A proposito di "nazioni", il loro elenco non cambia, ma un paio di piccole modifiche interessano l'art. 2 dello statuto. Innanzitutto le "nazioni" (con la minuscola, non più la maiuscola": non è cosa da poco...) sono espressamente qualificate come "articolazioni territoriali regionali", mentre prima si parlava di "Nazioni costituite a livello regionale". In più, il Consiglio federale della Lega Nord non ha più il potere di "approvare la costituzione di altre Nazioni, riconoscendone ufficialmente l’adesione alla Lega Nord", definendone pure i confini (l'elenco, modificato nel 2002 con l'accorpamento di Friuli e Trieste nel Friuli - Venezia Giulia, non sarà più dunque modificabile); può ancora, invece, far aderire altre associazioni al partito e far aderire la Lega Nord ad altre associazioni e organismi internazionali.

Il simbolo e la sua concessione

Il simbolo descritto all'art. 3 e allegato allo statuto della Lega Nord è esattamente lo stesso allegato allo statuto del 2015: "un cerchio racchiudente la figura di Alberto da Giussano, così come rappresentato dal monumento di Legnano; sullo scudo è disegnata la figura del Leone di San Marco, il tutto contornato, nella parte superiore, dalla scritta LEGA NORD. Nella parte inferiore è la parola 'Padania'. Alla destra del guerriero è posizionato il 'Sole delle Alpi', rappresentato da sei petali disposti all'interno di un cerchio". Accanto ad Alberto da Giussano, dunque, restano tanto il nome integrale "Lega Nord", quanto il riferimento alla Padania e il "Sole delle Alpi" (e, con esso, quel tocco di verde che ha comunque dominato l'ambientazione congressuale di sabato).
Al di là dell'appartenenza esclusiva del simbolo alla Lega Nord, lo statuto modificato ribadisce sempre all'art. 3 che lo stesso emblema "è anche contrassegno elettorale" (sparisce il riferimento alle elezioni politiche ed europee: qualcuno potrebbe trarre da questo la volontà di non presentare più candidature a quei livelli, ma in realtà si tratta semplicemente di una parte non essenziale dello statuto). Rimane anche la possibilità che ciascuna nazione modifichi il simbolo per le regionali e le amministrative, "fermo restando il parere preventivo vincolante del Consiglio Federale", ma dev'essere il Segretario federale ad autorizzare nello specifico ogni uso elettorale del simbolo da parte delle nazioni; il Consiglio federale "per tutti i tipi di elezione, può apportare al simbolo ed al contrassegno, le modifiche ritenute più opportune nel rispetto delle disposizioni di legge in materia", ma sparisce il riferimento alla possibilità di aggiungere al nome "Lega Nord" le varianti regionali. Cancellato pure il regolamento di concessione del simbolo alle nazioni (che doveva essere deliberato dal Consiglio federale), mentre si introduce uno dei commi più discussi in questi giorni (il 4): "Il Consiglio Federale può concedere, anche ai fini elettorali, l’utilizzo del simbolo, in tutto o in parte, alle nazioni regolarmente costituite ai sensi del presente Statuto, nonché ad altri Movimenti politici le cui affinità con gli obiettivi di Lega Nord sono rimesse alla valutazione del Consiglio Federale. La concessione del simbolo può essere revocata dal Consiglio Federale". 
Dunque la concessione del simbolo, totale o parziale e comunque revocabile dallo stesso organo che l'ha decisa (dunque il Consiglio federale), può riguardare - oltre che le nazioni - anche "altri Movimenti politici le cui affinità con gli obiettivi di Lega Nord sono rimesse alla valutazione del Consiglio Federale". Ciò significa che proprio il Consiglio federale, l'organo che "determina l'azione generale della Lega Nord, in attuazione della linea politica e programmatica stabilita dal Congresso Federale (art. 12, comma 1: si vedrà poi chi ne fa parte), potrà concedere anche solo parte del simbolo - nello specifico, per esempio, la parola "Lega" scritta in font Optima e la figura di Alberto da Giussano con il leon da guèra di San Marco sullo scudo - a un altro soggetto politico, ove ritenga che i suoi obiettivi siano affini ai propri. La concessione può anche non avere fini elettorali, dunque può valere pure per l'uso del simbolo nell'attività ordinaria del partito. 
Resta poi la clausola finale - più di stile che effettiva - per cui "Tutti i simboli usati nel tempo dal Movimento o dai movimenti in esso confluiti, o che in esso confluiranno, anche se non più utilizzati, o modificati, o sostituiti, nonché qualunque altro simbolo contenente la dicitura Lega Nord, sono di proprietà esclusiva della Lega Nord". Si conferma poi che sono ricondotte esclusivamente al patrimonio della Lega Nord anche le denominazioni utilizzate nel corso del tempo dai partiti fondatori della Lega Nord stessa (compresa la Liga Veneta) e dalle nazioni; ciò, com'è noto, non ha tuttavia impedito la sopravvivenza di formazioni come la Liga Veneta Repubblica, il cui emblema è sempre stato ritenuto ammissibile dal Viminale e dall'Ufficio elettorale centrale nazionale della Cassazione, a dispetto delle opposizioni della Lega Nord.

Sede, padri fondatori della Padania e scioglimento del partito

Nulla cambia per la sede del partito, che - per l'art. 5 - resta nel palazzone di via Carlo Bellerio 41, a Milano (lo stesso vale per la Lega per Salvini premier, almeno dopo la modifica statutaria del 2018, che ha modificato la precedente sede, sempre milanese, di Via privata delle Stelline 1). Resta anche il riferimento ai "padri fondatori della Padania", cioè coloro che hanno concorso all'atto costitutivo della Lega Nord (4 dicembre 1989) e i soci ordinari militanti "che il 15 settembre 1996, dal palco di Venezia, hanno proclamato l’indipendenza della Padania": tutti questi, in base all'art. 6, sono membri di diritto del Congresso federale (ma ora si precisa che devono essere in regola con il tesseramento e, dunque, anche con le regole sull'incompatibilità per l'iscrizione: tra i fondatori del 1989, per dire, c'è anche Franco Rocchetta, storico esponente della Liga Veneta, che aveva lasciato il Carroccio da tempo). Sparisce invece il comma che recitava: "I provvedimenti sanzionatori, nei confronti dei Padri Fondatori, sono di esclusiva competenza del Comitato Disciplinare e di Garanzia. È ammesso il ricorso in appello al Presidente Federale".
Lo statuto poi all'art. 7 prevede le procedure di scioglimento della Lega Nord, applicate anche alla "trasformazione", cioè il passaggio dall'associazione non riconosciuta ad altre forme giuridiche (come la fondazione): la competenza tocca sempre al Congresso federale, ma si abbassa la maggioranza richiesta (prima occorreva quella dei quattro quinti dei presenti, ora basta la maggioranza assoluta dei presenti, non riferita dunque all'intera platea degli aventi diritto). Resta invece, per obbligo di legge, la devoluzione del patrimonio ad "altra associazione con finalità analoghe o a fini di pubblica utilità" ove lo scioglimento diventi realtà.

L'organizzazione del partito

Come anticipato nell'articolo sul congresso (e come spiegato da Roberto Calderoli), la modifica statutaria ha ampiamente semplificato il quadro degli organi della Lega Nord, prevedendo solo gli organi strettamente necessari perché richiesti dalla legge n. 13/2014 come requisiti di democraticità interna del partito. Resta ovviamente, come richiesto dalla legge, il limite per ciascun sesso dei due terzi nelle candidature agli organi collegiali, al fine di promuovere la parità.
L'art. 9 continua a disciplinare il Congresso federale, che resta "l'organo rappresentativo di tutti i Soci della Lega Nord" (prima si diceva "associati", ma poco cambia) e competente a modificare lo statuto, nonché (art. 10) a eleggere il segretario federale e altri membri del Consiglio federale. Il congresso ordinario è previsto ogni cinque anni e non più ogni tre (si allunga dunque la durata degli organi del partito, probabilmente per la minor urgenza di sottoporli a verifica), mentre quello straordinario si continua a convocare su richiesta della maggioranza dei membri del consiglio federale o ove lo richieda il segretario federale (ora si precisa "in qualsiasi momento"). Quanto alla composizione (art. 11), i delegati delle varie nazioni continuano a essere determinati nel numero in proporzione ai voti ottenuti dalla Lega Nord "nelle ultime elezioni politiche o europee precedenti al congresso" (il che peraltro dovrebbe significare che, se per ventura la Lega Nord non presentasse più liste ma lo facesse solo la Lega per Salvini premier, continuerebbero a valere i risultati delle elezioni europee 2019); spariscono tra i delegati di diritto e votanti i presidenti e i segretari provinciali delle Nazioni con almeno 50 Associati Ordinari Militanti i consiglieri regionali (mentre entrano i Presidenti di Regione: in effetti ora la Lega ne ha due, mentre non ne aveva alcuno nel 2002, quando la norma fu scritta).
Si allunga a cinque anni anche la durata del Consiglio federale, la cui composizione invece non cambia (art. 12): ne fanno parte il Presidente federale (dunque Umberto Bossi), il Segretario federale (attualmente Matteo Salvini), l'Amministratore federale, i Segretari di ciascuna nazione con almeno 50 Soci Ordinari Militanti e tredici membri eletti dal Congresso federale assegnati alle nazioni (sempre determinati in proporzione ai voti ottenuti alle ultime elezioni politiche o europee prima del congresso). Resta la tutela delle minoranze e il diritto di parola e di voto per il candidato alla segreteria sconfitto (o comunque al miglior perdente); non è più previsto che possano partecipare (ma senza diritto di voto) altri soggetti, mentre il Consiglio federale "può estendere la partecipazione alle proprie riunioni anche ad altri appartenenti alla Lega Nord" (senza che lo statuto precisi più altro sulla natura di quella partecipazione, quasi sicuramente senza diritto di voto). Si è introdotta, infine, la possibilità di partecipare in videoconferenza. 
Tra le competenze del Consiglio federale (art. 13), accanto a quelle tradizionali (deliberare sulle questioni più importanti non affidate ad altri organi, approvare il rendiconto e i regolamenti interni, nominare i membri del Comitato disciplinare e di garanzia, stabilire l'entità delle quote associative, nonché "vigilare sul comportamento politico delle nazioni") compaiono la concessione dell'uso del simbolo nei termini detti prima e l'interpretazione autentica dello statuto, nonché la verifica dei requisiti dei soci previsti dallo statuto; non spetta più al Consiglio nominare il Coordinatore federale dei Giovani Padani o dare un parere sulle modifiche agli statuti delle nazioni (ma delibera sull'adesione o revoca delle nazioni alla Lega Nord). Il Consiglio federale diventa poi organo d'appello per i provvedimenti disciplinari di tutti i soci (non solo quelli con oltre dieci anni di militanza), continua a deliberare la composizione delle liste e le eventuali alleanze per le elezioni politiche ed europee (nonché gli eventuali accordi per le regionali) e a ratificare le decisioni delle nazioni sulle candidature per le regionali e le comunali dei capoluoghi di regione; la selezione delle candidature, però, è normata da un regolamento. Si allungano infine i tempi per convocare il Congresso federale ove più della metà dei membri del Consiglio federale si dimetta: i poteri dell'organo sono sempre assunti dal Segretario federale, ma il termine per convocare l'assise passa da 120 giorni a 18 mesi (se il segretario si è dimesso o non può, a convocare il congresso straordinario provvede l'Amministratore federale, come rappresentante legale, entro 180 giorni).
L'art. 14 continua a prevedere, al comma 1, che "il socio Umberto Bossi è il padre fondatore della Lega Nord e viene nominato Presidente Federale a vita, salvo rinuncia". Egli continua a essere garante dell'unità della Lega Nord (ma non si prevede più che promuova "con ogni idoneo mezzo, l'identità padana in collegamento con il Parlamento della Padania e di intesa con il Consiglio Federale", anche per la sparizione del Parlamento padano) e a essere membro di diritto del Consiglio Federale e del Comitato Disciplinare e di Garanzia (non più della Segreteria politica federale, soppressa), ma non ha più il potere di convocare il congresso straordinario in caso di dimissioni di oltre la metà del Consiglio federale e impedimento o dimissioni del segretario (come si è visto, il compito ora spetta all'Amministratore federale).
Rimane ovviamente (art. 15) il Segretario federale, che ha la rappresentanza politica ed elettorale della Lega Nord (non più quella legale, affidata all'Amministratore): i suoi poteri sono sostanzialmente invariati, ma non è più previsto che riscuota "i finanziamenti pubblici ed i rimborsi elettorali per la Lega Nord" (frase che non ricompare da nessuna parte nello statuto modificato) e il suo parere sulle candidature alle cariche elettive non risulta più vincolante. In conformità alla più distante cadenza del Congresso federale, il Segretario federale dura in carica cinque anni; continua a poter nominare tre vicesegretari (tra cui uno vicario, cosa che prima non era prevista), ma non è più tenuto a sceglierli tra tre nazioni diverse. In caso di morte, impedimento permanente o dimissioni del Segretario federale, spetta al Consiglio federale nominare un Commissario "con pieni poteri" (prima si parlava di "segretario pro tempore"), che cura la celebrazione del congresso straordinario entro 120 giorni.
Sul piano amministrativo, l'art. 16 continua a regolare il Comitato amministrativo federale, cui spetta "la gestione amministrativa ed economico-finanziaria della Lega Nord", precisando che l'organo può essere composto - ed era già previsto così, anche se il nome fa pensare sempre a un collegio - da uno o da tre membri, nominati dal Segretario federale tra i soci con almeno dieci anni di militanza; ora si precisa anche la durata quinquennale, mentre prima si diceva solo che il Segretario federale poteva revocarne i membri in qualunque momento (ma è tuttora così). Se il comitato è un collegio, questo elegge l'Amministratore federale (che evidentemente coincide anche con il Comitato stesso, ove sia composto da una sola persona), al quale spetta la rappresentanza legale. Le competenze originarie del Comitato sono state redistribuite tra l'organo collegiale (ove ci sia) e l'Amministratore federale: al primo spetta decidere "l'ammontare della spesa per le campagne elettorali; la possibile erogazione di apporti a favore di una o più nazioni e alle delegazioni territoriali; - la gestione della contabilità della Lega per Nord, la tenuta dei libri contabili, la redazione del rendiconto e l'adempimento di tutte le formalità conseguenti, in conformità alle leggi vigenti in materia; ogni altro adempimento previsto a suo carico dalla legge" (è sparita, tra l'altro, la precisazione che questi compiti devono essere esercitati "nel rispetto delle linee guide assunte dal Consiglio Federale", ma all'art. 21 è previsto, come nel vecchio statuto, che "Le risorse sono utilizzate secondo le modalità stabilite dal Consiglio Federale"); tra i compiti dell'Amministratore federale, invece, sparisce "la riscossione di somme a qualunque titolo spettanti alla Lega Nord, ad esclusione del finanziamento pubblico ai partiti". Nessun controllo, infine, è più previsto sugli atti e sulla contabilità delle nazioni.
All'art. 17 è ancora ovviamente previsto - lo richiede la legge - il Comitato Disciplinare e di Garanzia come "organo che assume provvedimenti disciplinari nei confronti dei soci" (tutti, senza spazi per altri organi di livello nazionale): dura cinque anni e lo compongono, oltre al Segretario federale, il Presidente federale e almeno tre membri (erano sei) del Consiglio federale. Ciò comporta che la composizione dell'organo di seconda e ultima istanza - lo stesso Consiglio federale - sia almeno in parte simile a quella dell'organo di prima (ma era così anche prima, anzi, forse lo era di più).
Soppressi organi ritenuti non necessari, come il Responsabile Federale Organizzativo e del Territorio, la Segreteria Politica Federale e l'Ufficio Legislativo Federale, resta la Commissione Statuto e Regolamenti (art. 18), nominata dal Consiglio federale su proposta del Segretario federale (prima era l'inverso); ora si precisa che dura in carica cinque anni ed è composta da almeno cinque Soci Ordinari Militanti con una militanza di oltre cinque anni. Soppressi il Responsabile dei Regolamenti e del Tesseramento e il Coordinamento federale del Movimento dei Giovani Padani, resta il Titolare del trattamento dei dati personali (art. 19), che però si fa coincidere con il rappresentante legale (dunque con l'Amministratore federale).

Patrimonio e rendiconto

Sparisce tra le entrate previste dallo statuto (art. 21) l'espressa menzione del "contributo dello Stato e dai rimborsi elettorali a norma di legge, fatta salva rinuncia o diversa deliberazione del Consiglio Federale che ne determina la suddivisione", anche se ovviamente resta il riferimento a "qualsiasi altra entrata consentita dalla legge". Si precisa poi che "Sono destinati alle nazioni e alle delegazioni territoriali, qualora da esse raccolti, i proventi di manifestazioni o partecipazioni, le quote associative, le donazioni volontarie dei cittadini secondo la normativa vigente, il contributo volontario dei rappresentanti in organismi elettivi ed enti". Nulla cambia, in sostanza, per le uscite (art. 22).
Nessuna modifica sostanziale riguarda pure il rendiconto della Lega Nord (predisposto, a norma dell'art. 23, dal Comitato amministrativo federale, approvato dal Consiglio federale e debitamente pubblicato con altri documenti sul sito, oltre che sottoposto a una società di revisione, come richiesto dalla legge). Lo statuto continua poi a prevedere (art. 23) un Organo Federale di Controllo sull'Amministrazione, i cui membri (tre) sono "nominati dal Consiglio Federale ovvero da una società di revisione o da un revisore unico" e durano in carica per tre esercizi.

Le nazioni e le delegazioni territoriali

Lo statuto continua a prevedere (art. 26) l'istituto delle nazioni. Esse ora sono obbligate a rispettare i principi e le norme dello statuto e dei relativi regolamenti (prima si parlava di un semplice impegno e non è più previsto che ciascuna nazione adotti un proprio statuto); l'adesione e ora anche la revoca delle nazioni alla Lega Nord è deliberata dal Consiglio federale, mentre spetta alla Commissione Statuto e Regolamenti della Lega Nord (come prima) predisporre il testo dei regolamenti delle nazioni e modificarli (anche sulla base di testi proposti alla commissione), con parere vincolante del Segretario federale e approvazione definitiva dei rispettivi Consigli nazionali. Si semplificano gli organi che ogni nazione deve avere (solo Congresso, Consiglio, Segretario, Presidente e Amministratore, niente più Organo di Controllo sull'Amministrazione, Responsabile Organizzativo e Collegio dei Probiviri).
L'art. 26 cita anche le eventuali delegazioni territoriali delle nazioni, cioè le articolazioni al loro interno. Prima si parlava di Sezioni Provinciali, Circoscrizionali e Comunali, ora invece si dice solo che "Ogni nazione si articola al suo interno in “delegazioni territoriali” sulla base della delibera del Consiglio Federale", senza prevedere altro. Di fatto, non essendo più previste, queste articolazioni sono soppresse, "ma - ha sottolineato Calderoli durante il congresso - è nella disponibilità della singola nazione, col beneplacito ovviamente del Consiglio federale, mantenerle o meno a seconda delle esigenze di quel territorio". Lo statuto invece ora precisa che "ogni nazione deve avvalersi di una società di revisione o di un revisore contabile unico [...] a cui è affidato il controllo periodico della gestione contabile e finanziaria della nazione" (del resto la legge richiede di presentare un rendiconto consolidato, con anche le articolazioni "regionali").

Gli iscritti

Rimane nello statuto la distinzione (posta all'art. 27 e specificata in seguito) tra "Soci Ordinari Militanti" e "Soci Sostenitori" (prima si parlava di "associati", ma nulla cambia), continuando a prevedere che, per la struttura confederale del Movimento, essere soci della Lega Nord comporta in automatico essere soci "della nazione che ha rilasciato la tessera". Le modifiche statutarie rendono la quota associativa eventuale (anche se tra le entrate sono previste ancora le quote associative, sia pure tra gli introiti "qualora raccolti" e si può ancora decadere dalla qualità di socio per il mancato versamento nei tempi prescritti) e la determinazione spetta sempre al Consiglio federale (che potrebbe dunque decidere di non prevederla); la tessera è rilasciata dalle nazioni e delegazioni territoriali, autorizzate dal Consiglio federale anche "alla eventuale riscossione della quota associativa". In base all'art. 28, è sempre un regolamento della Lega Nord a stabilire i requisiti per ottenere la tessera da Socio Ordinario Militante (evidentemente relativi all'anzianità di tesseramento, senza i quali si è solo Soci sostenitori) e avere il diritto di intervento e di elettorato attivo e passivo all'interno del Movimento. 
Particolarmente interessante è analizzare, sempre all'art. 28 (lettera a), il passaggio che dovrebbe consentire il doppio tesseramento a Lega Nord e Lega per Salvini premier: se prima si diceva che "La qualifica di Associato Ordinario Militante è incompatibile con l'iscrizione o l'adesione a qualsiasi altro Partito o Movimento Politico, associazione segreta, occulta o massonica, a liste civiche non autorizzate dall'organo competente o ad enti no profit ricompresi tra quelli preclusi dalla Lega Nord", ora si legge che "La qualifica di Socio Ordinario Militante è incompatibile con l’iscrizione o l’adesione a qualsiasi altro Partito o Movimento Politico, o lista civica non autorizzati, nonché l’adesione ad associazione segreta, occulta o massonica, o ad enti no profit ricompresi tra quelli preclusi dalla Lega Nord". A prima vista cambia poco, ma in realtà questa disposizione va letta in combinato con l'art. 12, per cui il Consiglio federale verifica "i requisiti dei soci ai sensi dell’art. 27" e concede l'uso del simbolo in base al disposto dell'art. 3 (per cui spetta al Consiglio federale valutare "le [...] affinità con gli obiettivi di Lega Nord" di "altri Movimenti politici"): sembra dunque naturale che sia il Consiglio federale a dover autorizzare l'adesione a partiti e movimenti (oltre che liste civiche: l'uso del "maschile non marcato di gruppo" suggerisce di considerare complessivamente queste realtà, a differenza di quanto prevedeva il testo precedente), con riferimento dunque alla Lega per Salvini premier.

Controlli, sanzioni e garanzie

Poco cambia per i controlli sugli organi delle nazioni e delle delegazioni territoriali (che seguono sempre il principio per cui "gli organi di livello superiore controllano gli organi di livello inferiore"), ma le regole dell'art. 30 sono più scarne rispetto al testo dello statuto precedente, sia per la soppressione delle articolazioni territoriali inferiori, sia per la previsione di un regolamento per impugnare le decisioni degli organi superiori, mentre non sono appellabili quelle del Consiglio federale (che, ora si precisa, "può agire, ai sensi del presente articolo, nei confronti di organi di qualsiasi livello").
Quando al controllo sul comportamento dei singoli soci, si precisa innanzitutto che comporta la cancellazione d’ufficio del socio da tutti i libri sociali non solo "l'adesione a gruppi diversi da quelli indicati da Lega Nord da parte di soci eletti alla carica di Parlamentare, di Europarlamentare e di Consigliere, Presidente di Provincia e Sindaco, comprovata da documenti ufficiali", ma anche la semplice candidatura "in una lista non autorizzata", sempre comprovata da documenti ufficiali. Come anticipato, poi, per tutti i provvedimenti disciplinari l'organo giudicante è il Comitato Disciplinare e di Garanzia (mentre prima la situazione cambiava a seconda dell'anzianità e del tipo di provvedimento) e lo statuto disciplina il procedimento; l'organo d'appello, come si diceva, è il Consiglio federale.

Considerazioni finali

Lo statuto si conclude qui: rispetto alla precedente versione, quindi, spariscono i "Principi generali per coloro che ricoprono cariche elettive" (qualcuno può pensare che sia perché la Lega Nord non avrà più cariche elettive, ma in effetti si tratta di parti che la legge non richiede), così come non ci sono disposizioni transitorie e sono ridotte al minimo le disposizioni finali (e tra queste, per esempio, non si legge più che "Lega Nord sostiene e promuove il Parlamento della Padania", com'era rimasto scritto anche nel 2015)
Tra queste ultime si precisa che spetta al Consiglio federale "apportare le modifiche allo Statuto richieste dalla Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici, salvo poi informare il Congresso Federale alla prima convocazione utile", dunque qualora l'organo di controllo muova rilievi al testo appena approvato (anche se è probabile che ciò non avvenga, visto che è prassi che i partiti già avviati sottopongano informalmente alla Commissione una minuta e su quella siano fatte valutazioni). Si precisa anche che "Fino allo svolgimento del successivo Congresso Federale, il Segretario Federale, su conforme delibera del Consiglio Federale, ha il potere di modificare la sede della Lega Nord, fermo restando l’osservanza dell’art. 4, comma 4 del decreto legge n. 149 del 2013": non significa peraltro che sia previsto un trasferimento a breve, visto che la stessa disposizione era prevista tra le transitorie dello statuto previgente (rispetto ad allora si precisa solo che, in caso di modifica della sede, si deve modificare per atto pubblico lo statuto e sottoporlo di nuovo alla Commissione; a occuparsi della modifica sarà, evidentemente, il Consiglio federale, comunicando poi la modifica al congresso). 
Cosa succederà da qui in avanti non è semplice da dire. Sabato Calderoli ha ricordato che ovviamente la Lega Nord continuerà a esistere, anche solo per l'impegno assunto con la procura di Genova per pagare a rate i quasi 49 milioni di euro di cui è stato ordinato il sequestro (relativi ai contributi ritenuti non spettanti per i tre bilanci irregolari presentati) e per poter comunque contestare quell'obbligo nelle sedi giurisdizionali non ancora interpellate. Guardando le modifiche statutarie, si può immaginare che si tratti di una Lega Nord "smart", sia perché lo statuto è stato alleggerito degli organi e delle parti non essenziali, sia perché è probabile che l'operatività del partito sarà ridotta, da vari punti di vista. Le osservazioni che seguono, naturalmente, sono frutto solo di supposizioni fondate sui testi noti: non costituiscono accuse né mirano a diffamare alcuno.
Da una parte, sul piano elettorale è probabile che la possibilità che il Consiglio federale della Lega Nord valuti come affine ai propri obiettivi quelli della Lega per Salvini premier, concedendo dunque sia il doppio tesseramento, sia l'uso del proprio simbolo, anche parziale e anche a fini elettorali, serva affinché in futuro a presentare le candidature sia soltanto la Lega per Salvini premier, sia pure con il simbolo impiegato dal 2018 in avanti
In effetti, a depositare presso il Ministero dell'interno il contrassegno per le elezioni politiche del 2018 era stata la Lega Nord: lo dimostra tanto la dicitura presente sopra al contrassegno esposto in bacheca, quanto lo statuto della stessa Lega Nord caricato nella pagina del sito del Viminale dedicata alle Elezioni trasparenti del 2018; evidentemente, in quell'occasione, l'emblema - e le candidature contrassegnate da questo - era stato attribuito alla Lega Nord, probabilmente con un'ulteriore dichiarazione (di cui non si dispone, ma che potrebbe anche non esistere, visto che alle elezioni politiche poteva comunque riportarsi un'indicazione relativa al potenziale Presidente del Consiglio) con cui la Lega per Salvini premier concedeva l'uso di parte del proprio nome e della propria grafica (sebbene all'inizio di gennaio 2018 quel partito avesse già visto il proprio statuto riconosciuto dalla Commissione e pubblicato in Gazzetta Ufficiale). E' appena il caso di precisare che, anche se la legge elettorale impone (d.lgs. n. 361/1957, art. 14, comma 2) che i partiti che notoriamente fanno uso di un determinato simbolo presentino le loro liste "con un contrassegno che riproduca tale simbolo", ciò non obbliga i partiti a utilizzare esattamente il proprio simbolo, restando padroni di modificarlo, purché sia riconoscibile: certamente la presenza della parola "Lega" e di Alberto da Giussano sono stati ritenuti sufficienti per ritenere adempiuto l'obbligo (la norma, peraltro, serve solo a evitare cambi improvvisi di simboli da parte di partiti che vogliano adottare solo per le elezioni insegne troppo simili a quelle di altri partiti già esistenti e magari più noti).
La stessa pagina della trasparenza relativa alle elezioni europee del 2019, invece, nella parte relativa ai contrassegni riporta la denominazione "Lega Salvini premier", due titolari (Matteo Salvini e Giulio Centemero) e gli statuti di entrambe le formazioni. Ciò fa pensare che la lista sia stata presentata da entrambi i partiti: ciò, peraltro, è sufficiente perché da quest'anno la Lega per Salvini premier possa fare richiesta per accedere alla ripartizione dei fondi del 2 per mille e alle agevolazioni per il finanziamento privato (basta anche l'aver eletto un rappresentante al Parlamento Europeo). Se, in futuro, le candidature saranno presentate solo dalla Lega per Salvini premier, che - modificando il proprio statuto e indicando l'atto di concessione di Alberto da Giussano da parte del Consiglio federale della Lega Nord - adotterà come proprio simbolo quello usato dalla Lega Nord alle elezioni politiche del 2018 e dalle due Leghe alle europee del 2019, certamente le risorse assicurate dall'elezione di rappresentanti in Parlamento potranno essere ricevute regolarmente (solo) dalla Lega per Salvini premier, senza il rischio che possano essere sequestrate

Ulteriori osservazioni (fantapolitiche ma non infondate)

Se questo è facilmente immaginabile - e segue di fatto una dichiarazione fatta dal procuratore della Repubblica di Genova Francesco Cozzi, per il quale non erano aggredibili i soldi versati a qualunque titolo a un soggetto giuridico diverso dalla Lega Nord ma a questa affine - in futuro potrebbe accadere - non è affatto scontato che vada così, ma ci si conceda un po' di fantapolitica verosimile - perfino un'altra cosa, in un certo senso uguale e contraria a quello che era avvenuto nel 2017, con l'uscita di Roberto Calderoli dal gruppo della Lega Nord e la costituzione della componente al Senato "Lega per Salvini premier"
I nomi dei gruppi presenti alla Camera e al Senato, proprio in virtù della doppia presenza simbolica nel contrassegno delle elezioni politiche, si potrebbero trasformare da "Lega - Salvini premier" in "Lega per Salvini premier": si tratterebbe di una continuità assoluta dei gruppi (sarebbe sempre lo stesso soggetto parlamentare, senza alcuno scioglimento) e non si porrebbe nemmeno il problema se fosse invece la Lega per Salvini premier a modificare il proprio statuto e cambiare il nome in "Lega - Salvini premier". A quel punto, uno o due senatori potrebbero anche uscire dal gruppo e costituire la componente denominata "Lega Nord": per inciso, è vero che ufficialmente al Senato le componenti del gruppo misto non esistono, ma ormai di fatto è consentito anche a una sola persona eletta di fregiarsi di una propria etichetta (lo fanno già ora Emma Bonino e Adriano Cario, rispettivamente con +Europa e Maie, e trattandosi di una forza politica che ha partecipato alle elezioni non ci sarebbe nessun ostacolo formale alla nascita di quella componente). 
A cosa servirebbe tutto questo? Essenzialmente a consentire anche alla Lega Nord di accedere comunque ai benefici previsti dalla legge per i partiti "cui dichiari di fare riferimento un gruppo parlamentare costituito in almeno una delle Camere secondo le norme dei rispettivi regolamenti, ovvero una singola componente interna al Gruppo misto". Se infatti la Lega Nord si è impegnata a pagare 100mila euro ogni due mesi ed è possibile che la quota di adesione alla Lega Nord non sia più prevista (per non far pagare gli associati del Nord anche quell'iscrizione, oltre a quella alla Lega per Salvini premier), farebbe comunque comodo poter comunque fruire non tanto del 2 per mille (si tratta di soldi che è bene che non vengano aggrediti), ma anche solo delle donazioni a regime agevolato di chi volesse contribuire espressamente al pagamento di quanto alla Lega Nord si chiede di pagare. 
Magari non andrà affatto così (e non è affatto detto che qualcuno ci abbia pensato: non è il caso di pensar male a tutti i costi), ma la strada potrebbe non essere del tutto campata in aria. Proprio al congresso di sabato, in fondo, Roberto Calderoli aveva insistito sul fatto che si inizia a esistere come partito "avendo collegato almeno un parlamentare", visto che per la legge è un partito chi ha presentato candidature (e la Lega Nord certamente lo ha fatto fino a pochissimo tempo fa) e chi è presente con la propria denominazione visibile in Parlamento: avere almeno una componente al Senato (meno brigosa e impegnativa di una componente del misto alla Camera) sarebbe un modo per continuare a esistere in modo più compiuto, senza far sparire dalle aule parlamentari un nome che vi era entrato dal 1992, quando la Lega Nord fu in grado di formare un proprio gruppo.