sabato 16 febbraio 2019

Pisa, A.D. 1990: un Delfino mangiato da falce e martello (post n. 1000)

Alle volte una distrazione costa cara: passi quando nessuno la nota, ma se solo qualcuno se ne accorge, altri saranno pronti a scatenare l'inferno. Lo sanno bene gli abitanti di Pisa, almeno quelli con la memoria lunga: a maggio dell'anno prossimo, con lo spirito che li distingue, potrebbero festeggiare il trentesimo anniversario di uno degli scivoloni più clamorosi della storia elettorale. Più di loro, in realtà, avrebbero potuto festeggiare - con il ghigno stampato in viso - a Livorno, opposta a Pisa da una rivalità storica: c'è da stupirsi che il Vernacoliere, insostituibile fustigatore degli abitanti delle terre "pisesi" e di "Politicanti, politiconi e altrettante rotture di coglioni" (come recita il titolo di una raccolta delle sue locandine più irriverenti), non abbia preso spunto per un articolo, per una vignetta tagliente o per una battuta al vetriolo. Eppure la materia prima per farli ci sarebbe stata tutta: qualcosa di sobrio, magari un taglio basso in locandina come ULTIME DA PISA. I pisani 'un sanno fa manco l'elezioni. Noi livornesi creiamo 'r Piccì e quelli sbagliano 'r simbolo. L'elettori s'incazzano: "Con codeste schede ci puliamo 'r culo!".
La locandina del Vernacoliere poteva essere così...
Ci volle addirittura un triplo intervento del giudice amministrativo per sbloccare una questione nata per errore, ma maledettamente complicata, anche se in fondo riguardava solo una parte della città di Pisa, per la precisione le frazioni di Tirrenia e Marina, che costituivano la circoscrizione del litorale. E proprio le elezioni di quel consiglio circoscrizionale furono al centro di un caso che era stato dimenticato quasi da tutti, tranne da chi aveva avuto parte nella vicenda. Quella volta, la falce e il martello del Partito comunista italiano "fecero sparire" addirittura un delfino, come se lo avessero mangiato; la colpa, tuttavia, non era degli "arnesi", ma di chi aveva stampato le schede e di chi non le aveva controllate abbastanza. In questa storia si mescolano incidenti, sbadataggine, stupore, tattica politica, cavilli giuridici e, soprattutto, il caso che si è divertito a far riemergere la vicenda, facendola finire nelle mani di chi cercava tutt'altro ma è stato pronto ad apprezzare quel tesoro insperato, la cui scoperta ha impiegato quasi sette anni - e ha richiesto il contributo di memoria di molte persone - per compiersi del tutto. Anche per questo, è giusto che il post n. 1000 di questo blog, che va verso i sette anni di vita, racconti scena e retroscena di quell'antico incidente ai seggi elettorali.



Prologo: il delfino rispunta dal mare della memoria

Il simbolo del Pdci a Pisa (1998)
Correva l'anno di scarsa grazia 2010, nel quale aveva iniziato a prendere forma l'idea di una ricerca che, in un paio d'anni, si sarebbe trasformata nel libro che ha generato questo sito, I simboli della discordia. In un'estate padana molto afosa, un losco figuro cercava di districarsi tra i contenziosi legati ai simboli a base di falce e martello di fine anni '90: il neonato Partito dei comunisti italiani di Oliviero Diliberto e Armando Cossutta voleva usare un simbolo bianco con la doppia bandiera al vento senza aste, per correre alle elezioni amministrative di novembre del 1998 e alle europee e alle amministrative del 1999, con la costante opposizione di Rifondazione comunista che lamentava la confondibilità con il suo emblema; in vari comuni e alle europee si riconobbe la confondibilità e il contrassegno del Pdci mutò (il fondo divenne blu e la scritta "Comunisti italiani" si fece bianca); in qualche comune, invece, la commissione competente respinse l'opposizione del Prc, ritenendo che vi fossero elementi sufficienti per distinguere i due emblemi sul piano grafico.
L'unica immagine presente in rete del potenziale simbolo presto archiviato a favore della versione a fondo blu, peraltro, non convinceva il citato figuro, che pensò di rivolgersi ai comuni in cui l'emblema a fondo bianco era stato ammesso. L'unico che gli offrì collaborazione totale fu quello di Pisa, i cui servizi elettorali erano retti da una persona con il pallino delle ricerche e della memoria. Lei promise che avrebbe fatto ricerche, ma si premurò di aggiungere una manciata di parole: "Pensi che, quando mi ha parlato di un contenzioso elettorale sui simboli comunisti, ero convinta che lei mi parlasse di una vicenda di vari anni prima...". Una frase in apparenza insignificante, per molti, ma che non poteva sfuggire a un #drogatodipolitica, sempre attivo anche alla metà di agosto: inevitabilmente incuriosito, lui volle saperne di più e lei non si fece pregare. 
La funzionaria spiegò che nel 1990, quando lei era da poco segretaria della Commissione elettorale circondariale di Pisa - incarico che, vent'anni dopo, continuava a ricoprire - in un'elezione circoscrizionale il Pci aveva scelto di non presentarsi con il suo simbolo tradizionale, ma di inserirlo in miniatura in un contrassegno dominato dalla raffigurazione di un delfino: quel simbolo, però, sulle schede non ci arrivò mai e si dovette rivotare un anno più tardi per questo. Il figuro padano restò colpito da quel breve racconto, abbastanza da chiederle di aggiungere, al materiale relativo alla disputa tra Pdci e Prc, almeno quel simbolo sparito, se fosse stato conservato: in una manciata di ore, tutti i documenti richiesti - estratti dalle raccolte degli atti della commissione, perfettamente conservati dalla donna - arrivarono a destinazione, compreso il contrassegno perduto, anche se era un po' difficile riconoscere un delfino in quella raffigurazione così particolare. 


Giocando sul Ponte, tra Pisa, Friuli e Livorno

Quella prima curiosità in quel momento fu appagata e messa da parte (in fondo non era quella l'informazione che serviva), in attesa di tornare buona in seguito: nacque il primo libro sui simboli, poi il secondo e quella storia pisana non aveva trovato spazio, un po' perché le notizie a disposizione erano ben poche, un po' perché a un certo punto i file non si trovavano più. Già, passando da un computer all'altro e scaricando la posta elettronica per liberare la casella, il citato figuro non era in grado di dire in quale anfratto della sua memoria informatica si fossero cacciate le scansioni ricevute. Quando la curiosità di saperne di più si rafforzò, venne nuovamente in soccorso la funzionaria pisana, che quattro anni dopo era ancora al suo posto: l'archivio non era più facilmente raggiungibile, ma incredibilmente le scansioni fatte quasi 1600 giorni prima erano ancora al loro posto sullo stesso computer - sentire "Oh bellina, ci sono ancora!" fu fonte di un'indicibile soddisfazione - così lei gliele reinviò, con infinita pazienza. Lei non lo sapeva, ma quell'inatteso regalo natalizio - era pur sempre la vigilia di Santa Lucia - aveva messo in moto la macchina della ricerca, destinata a non spegnersi anche per anni interi.
Magistratura dei Delfini, bandiera
Intanto bisognava sapere qualcosa di più su quel delfino, che gli occhi del presente faticavano a vedere come tale: il disegno appariva antico, anche per il tocco dato dal bianco e nero. Una rapida ricerca su Internet, tuttavia, diede una prima risposta: quella raffigurazione del delfino, infatti, era tratta - pure se nella versione ribaltata a specchio - dalla bandiera della Magistratura dei Delfini, una delle squadre che ogni anno animano una nuova edizione del Gioco del Ponte a Pisa. Si trattava di una festa che si ripete uguale dal 1935, ma ha radici ben più antiche, con certezza dal '500. Il momento culminante è la battaglia, che si svolge - nell'ultimo fine settimana di giugno - sul Ponte di Mezzo che attraversa l'Arno e vede opporsi in sei sfide a due le dodici Magistrature corrispondenti ad altrettanti quartieri della città, sei della parte di Tramontana e sei di quella di Mezzogiorno: le due squadre rivali si affrontano in una prova di forza, spingendo contemporaneamente e dai lati opposti un carrello scorrevole su rotaia, con l'obiettivo di farlo arrivare (con tutta la squadra avversaria) dalla parte opposta rispetto alla propria. Tra le magistrature di Mezzogiorno, c'era e c'è tuttora quella dei Delfini, che si estende appunto sui quartieri di Marina di Pisa, Tirrenia e sul Calambrone "fino al confine con il comune di Livorno" (così si legge nel sito della manifestazione). Non stupisce troppo, dunque, che una parte dei cittadini di quella circoscrizione si sia voluta identificare in quel simbolo molto sentito da quelle parti.
Anche così, però, era ben difficile ricostruire la vicenda, visto che in Rete non ce n'era traccia. Anzi, in realtà ce n'era giusto una, perché a cercare bene nel sito della Guida alle elezioni amministrative della Regione Friuli Venezia Giulia, curato da un preparatissimo servizio elettorale regionale, si trovava il riferimento a una sentenza del 1990 del Tribunale amministrativo regionale di Firenze, chiaramente riferita al caso in esame, ma che non aiutava molto a capire: nella massima si leggeva anzi che "l'Ufficio elettorale centrale non può negare la proclamazione degli eletti, avendo riscontrato difformità grafiche in un contrassegno tra il manifesto e la scheda di votazione". Non si parlava dunque di ripetizione del voto, eppure così era avvenuto: la memoria della funzionaria pisana non poteva essersi sbagliata. Occorreva cercare di capirne di più, magari con l'aiuto di chi qualcuno che era sul posto: una telefonatina alla redazione pisana del Tirreno - già, perché la testata dei nemici livornesi ha comunque un punto di riferimento anche a Pisa - poteva essere una mossa utile. La memoria dei redattori, però, in quel dicembre del 2014 non arrivava fino ad allora e nemmeno le loro raccolte cartacee del giornale: per poter vedere le pagine pisane del 1990-1991, bisognava per forza andare all'archivio di Livorno, aperto solo il giovedì pomeriggio; là peraltro non c'erano fotocopiatrici o scanner, per cui ciascuno doveva arrangiarsi, magari con una fotocamera digitale. 
Non restavano dunque altre possibilità: un giorno di marzo del 2016 un'auto partì, macinò qualche centinaio di chilometri tra andata e ritorno e portò a casa un discreto carico, anche se le speranze erano rimaste in parte insoddisfatte. Perché, nelle uniche tre ore settimanali di apertura dell'archivio livornese, c'era stato giusto il tempo di approfondire il periodo delle elezioni "sbagliate" del 6 e 7 maggio 1990 e di appurare che in effetti, sedici mesi dopo quell'incidente, si era rivotato il 24 e 25 novembre 1991: non era stato possibile, invece, consultare i giornali tra dicembre del 1990 e giugno del 1991, dunque se una nuova decisione del Tar toscano c'era stata - e doveva esserci, altrimenti non si sarebbe potuto rivotare - doveva collocarsi proprio in quel periodo.


La caccia al tesoro del Litorale in archivio

Il Tirreno - Edizione di Pisa, 13 aprile 1990
La gita a Livorno, in ogni caso, qualche frutto l'aveva dato. In primis, aveva fatto luce sulle ragioni che avevano portato il Pci a scegliere per quelle elezioni circoscrizionali un emblema che non poteva passare inosservato. La lista presentata, che pure conteneva la miniatura del simbolo comunista, non portava il nome del partito, ma era stata battezzata "Per il Litorale" e voleva essere "una lista fuori dal comune, perché il Litorale non sia fuori dal Comune" (come invece era sostanzialmente accaduto fino a quel momento, almeno secondo i promotori dell'iniziativa che lamentavano l'emarginazione del territorio nelle politiche comunali). Benché parte dei candidati fosse comunque espressione del Pci, la maggior parte di loro (13 su 20) era indipendente: l'idea di contrassegnarsi con il Delfino doveva servire a "dimostrare tutta l'apertura possibile al contributo di tutti", come segnalava il capolista del Pci alle comunali, Severino Zanelli. Poco importava che quel mare mosso su cui era stato posato il simbolo del Pci sembrasse parente stretto di quello da cui nasceva il sole del Psdi: quello che contava era dare l'idea del mare, in cui idealmente il Delfino poteva trovare la sua collocazione naturale.
Il Tirreno - Edizione di Pisa, 7 maggio 1990
Il Pci locale e le forze civiche che aveva raccolto intorno a sé dovevano aver puntato davvero molto sul valore di quel simbolo: si può dunque immaginare la sorpresa di alcuni elettori che, dopo aver visto regolarmente sui manifesti delle candidature il simbolo del Delfino e aver ricevuto le schede per votare (ben quattro, tra regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali), in cabina elettorale si accorsero che sulla scheda dedicata alla circoscrizione c'era il simbolo tradizionale dei comunisti e non il contrassegno della lista "Per il Litorale". "Piccolo" particolare: dell'errore non si era accorto nessun componente del seggio durante la vidimazione delle schede, ma a quanto pare nemmeno i funzionari di prefettura che avrebbero dovuto controllare le schede - a quel punto sbagliate - predisposte dalla tipografia (la commissione elettorale che aveva ricevuto le liste, invece, aveva ammesso e trasmesso il contrassegno giusto); stando a quanto dichiarato al Tirreno da alcuni presidenti di seggio, persino alcuni candidati della lista avrebbero votato senza problemi senza accorgersi dell'errore.
Quando però, verso le 11 - come riporta l'articolo che Roberto Galli dedicò alla vicenda sul quotidiano locale -  un elettore chiamò la federazione provinciale del Pci in via Fratti (attualmente sede dell'unione provinciale Pd) per segnalare quell'anomalia, la bomba fu pronta a scoppiare: il presidente uscente della circoscrizione Fabiano Corsini e il segretario Pci di Marina Roberto Marchi fecero mettere a verbale ai componenti dei seggi una dichiarazione in base alla quale l'errore di stampa sul simbolo costituiva un grave vizio alla regolarità delle elezioni, mentre la federazione comunista provinciale scrisse in un comunicato che dalla mancanza del Delfino il Pci, gli elettori e i candidati nella lista subivano "danni evidenti", poiché tutta la campagna elettorale era stata impostata sull'impegno diretto dei cittadini in una formazione più civica che politica, dunque l'uso sulle schede di un simbolo tutto politico aveva disorientato più di un cittadino. Non sembrava un caso, tra l'altro, che la circoscrizione con il più alto tasso di astensione fosse stata proprio quella del Litorale: vari elettori, saputa la notizia dell'errore sulle schede, avevano scelto di disertare completamente i seggi in segno di protesta, mentre qualcuno aveva rifiutato di votare per la circoscrizione o - come si è detto - aveva fatto mettere a verbale i propri rilievi.
A dire il vero, la stessa scelta del Delfino non doveva essere andata bene a tutti: nello stesso articolo di Galli, infatti, si legge che si era creata "qualche polemica da parte degli organizzatori del gioco del ponte", visto che la raffigurazione dell'animale era "copiata" dal simbolo della Magistratura dei Delfini (come si è detto, era stato semplicemente riprodotto "a specchio" e in bianco e nero, come del resto è stato prassi fino alla fine del 1991); non era improbabile, dunque, che qualcuno avesse contestato l'opportunità o la legittimità dell'uso di un segno di tutto il territorio, e comunque legato a una manifestazione apolitica, come segno di parte. 
Il Tirreno - Edizione di Pisa, 8 maggio 1990
Al di là di ciò, il Pci aveva ovviamente annunciato il proprio ricorso al giudice amministrativo per far annullare le elezioni, ma in prima battuta aveva chiesto all'Ufficio elettorale centrale di bloccare lo scrutinio delle elezioni circoscrizionali (previsto in coda a quello di regionali, provinciali e comunali): "quali provvedimenti ad hoc sarebbero stati adottati - si domandava il comitato promotore della lista Per il Litorale - se nella scheda rosa fosse mancato il simbolo del Psi o della Dc?". Le schede, tuttavia, vennero regolarmente scrutinate, perché nessun presidente di seggio volle prendersi la responsabilità di fermare la macchina elettorale.
Il Tirreno - Edizione di Pisa, 10 maggio 1990
A fermarsi, invece, dopo l'istanza di Roberto Marchi e di un altro candidato della lista, Corsino Vinicio Corsini, il 9 maggio 1990 fu l'Ufficio elettorale centrale di Pisa, proprio per l'incertezza su come procedere nel modo migliore per gestire una situazione a dir poco delicata. Niente conteggi, dunque, e niente proclamazione degli eletti di quella singola circoscrizione per mancanza dei "legittimi presupposti per procedere alla proclamazione stessa": il tutto con evidente scorno della Dc che - lo si sarebbe saputo dopo - aveva ottenuto 1307 voti (a fronte dei 1269 del Pci senza Delfino) e, volendo, anche del Psi che in quella consultazione era riuscito a portare a casa 1002 voti.
A dispetto del contenzioso annunciato dal Pci (che era temporaneamente soddisfatto con la mancata proclamazione degli eletti), il primo ricorso al giudice amministrativo fu presentato dalla Democrazia cristiana - il 6 giugno - attraverso uno dei candidati, Adriano Pianu: per lui e per la Dc all'ufficio elettorale spettava solo la ripartizione dei seggi e la proclamazione degli eletti, senza poter operare alcuna correzione ai risultati, compreso il blocco della macchina elettorale. Il Tar di Firenze, con la sentenza n. 582/1990, pur concordando con l'ufficio elettorale che la difformità tra il simbolo dei manifesti e quello delle schede poteva provocare "confusione in materia di contrassegni di lista, peraltro unico elemento di riferimento e di individuazione in particolari e sia pure eccezionali casi (si pensi all'elettore analfabeta)", rilevò che in quella fase all'ufficio toccava solo tirare le somme delle operazioni elettorali, senza modificare in alcun modo i dati, né si poteva parlare di nullità radicale di dette operazioni, perché non potevano dirsi mancanti "i requisiti minimi indispensabili" per far parlare di esistenza delle elezioni (l'errore c'era, ma non era tale da rendere impossibile le operazioni di voto o il prodursi di qualunque esito elettorale). I giudici amministrativi, con la loro decisione del 19 ottobre 1990 - pubblicata però il 12 novembre - annullarono dunque il primo provvedimento dell'ufficio elettorale, che a quel punto dovette procedere regolarmente con la proclamazione degli eletti


La soluzione tra avvocati e tribunali

La situazione, dopo la proclamazione forzata degli eletti, era diventata inaccettabile per il Pci: la via del ricorso, dopo il primo stop da parte dell'Ufficio elettorale centrale, era di nuovo quella da perseguire, stavolta contro l'effettiva proclamazione degli eletti fatta dall'ufficio elettorale. Quel passaggio, in ogni caso, produsse conseguenze, in particolare la formazione di una maggioranza tra Dc e Psi, con l'elezione a presidente del democristiano Carlo Cirri (pure capolista): sarebbe toccato a lui reggere la circoscrizione, almeno fino a quando il Tar di Firenze non si fosse pronunciato.
Il Tirreno - Edizione di Pisa, 23 novembre 1991
Alla fine la decisione dei giudici amministrativi arrivò: il 24 e il 25 novembre 1991, infatti, la sola circoscrizione 1 di Pisa fu chiamata di nuovo al voto, per la ripetizione delle elezioni precedenti. La consultazione, come prevedeva la legge, vide partecipare esattamente le stesse liste in corsa al voto di sedici mesi prima, anche a costo di riportare indietro le lancette della storia: all'inizio del 1991, infatti, il Partito comunista italiano si era trasformato nel Partito democratico della sinistra, con il quale il contrassegno della lista "Per il Litorale" aveva in comune solo la miniatura del simbolo Pci, senza che l'albero-quercia della sinistra disegnato da Bruno Magno potesse trovare spazio nell'emblema destinato alle schede (nel frattempo, alcuni candidati della lista del Delfino, prima legati al Pci, avevano aderito a Rifondazione comunista, che non era sulle schede; c'era invece Democrazia proletaria, che era frattanto confluita in Rc).
Già, ma quale decisione del Tar aveva provocato la ripetizione delle elezioni? Questa era un'informazione imprescindibile per un #drogatodipolitica di formazione giuridica. Purtroppo le tre ore trascorse in archivio a Livorno non erano state sufficienti per trovare notizie più precise, visto che, come detto, non c'era stato il tempo di consultare i giornali tra dicembre del 1990 e giugno del 1991: un arco di tempo troppo lungo per poter avere informazioni più precise che permettessero di continuare la ricerca della decisione. L'unica sentenza facilmente rintracciabile - ma non certo la più importante della vicenda - era quella del 1990, che non aveva portato a ripetere le elezioni ma solo a proclamare gli eletti originari: come si poteva fare allora?
Proprio quella sentenza, in realtà, finì per suggerire l'unica via che poteva portare da qualche parte. Nel testo integrale della pronuncia, gentilmente ottenuto settimane prima, si potevano trovare i nomi degli avvocati delle parti coinvolte, sperando che qualche informazione potesse arrivare da loro: nessuna reale speranza che avessero ancora le carte del processo (troppi anni e troppi fascicoli nel mezzo per sperare che quei documenti fossero stati conservati, anche dallo studio più meticoloso che non avesse mai fatto traslochi), ma qualcuno forse non aveva dimenticato del tutto l'episodio. Nella sentenza del 1990, dunque, c'erano due nomi di avvocati: quello della lista Per il Litorale ricordava vagamente l'episodio ma nulla di più, quello della Dc invece aveva un ricordo più netto, anche se purtroppo non riuscì a trovare nulla tra le sue carte.
Quella strada sembrava esaurita, ma un nuovo sguardo più attento agli articoli di giornale fotografati una decina di giorni prima fece emergere un particolare interessante. Il Tirreno, infatti, faceva i nomi di due avvocati incaricati di seguire la vicenda elettorale per la lista Per il Litorale: uno era già stato contattato, perché figurava nella sentenza del 1990 come difensore di Marchi (intervenuto per opporsi alla richiesta della Dc), l'altro invece suonava del tutto nuovo. Era quella, forse, l'unica strada rimasta da provare. Lui, classe '39, calabrese di nascita ma da decenni trapiantato a Pisa, ricordava la vicenda seguita oltre un quarto di secolo prima: non aveva più le carte, in compenso aveva buona memoria. Disse infatti che ricordava quell'episodio curioso anche perché, la sera prima dell'udienza davanti al Tar, nella rada del porto di Livorno il traghetto Moby Prince si era scontrato con la petroliera Agip Abruzzo: impossibile dimenticare un fatto simile. Lo scontro avvenne il 10 aprile 1991: sarebbe bastato poter consultare il ruolo delle udienze di quel periodo per trovare i dati necessari a identificare il ricorso e la sentenza che l'aveva definito.
La notizia era importante, ma mancava il tempo per verificarla e approfondirla, così fu lasciata a riposo per oltre un anno. Quando capitò finalmente l'occasione, la ricerca scattò: fu un'emozione scorrere quei registri coperti di polvere, nella speranza di scorgere qualche nome noto; quando, nello spazio delle udienze dell'11 aprile 1991, apparve il nome di Roberto Marchi, scritto con una grafia elegante, la speranza che l'informazione avuta fosse giusta si trasformò in certezza. Tempo mezz'ora e spuntò un altro librone, stavolta quello delle sentenze del 1991: le decisioni così a lungo cercate erano proprio lì dentro. Sì, perché ad annullare e a far ripetere le elezioni del 1990 non era stata una sola sentenza, ma due, anzi due coppie: i ricorsi presentati per invalidare la tornata elettorale precedente erano stati due, presentati dai citati Corsino Vinicio Corsini e Roberto Marchi. In quegli atti gemelli si era lamentato l'eccesso di potere "per illogicità e difetto dei presupposti" nella proclamazione degli eletti (perché a ciascuno dei ricorrenti sarebbero stati attribuiti voti di una lista diversa da quella con cui entrambi avevano accettato di candidarsi), ma soprattutto la violazione della disciplina del procedimento elettorale: la difformità tra il simbolo presente sui manifesti (e usato in campagna elettorale) e quello stampato sulle schede avrebbe violato la legge elettorale, non permettendo all'elettore di individuare la lista per la quale durante la campagna elettorale si è determinato a votare.
L'11 aprile, effettivamente, il Tar di Firenze emise due sentenze (rispettivamente nn. 115/1991 e 116/1991, pubblicate il 18 aprile 1991) nelle quali rilevò però che l'eventuale annullamento delle elezioni avrebbe leso la posizione di coloro che erano stati eletti consiglieri circoscrizionali, dunque ordinò che i due ricorsi fossero notificati anche agli altri eletti nel consiglio della circoscrizione n. 1 di Pisa (e non solo ad Adriano Pianu, individuato perché si era rivolto per primo ai giudici). Integrato il contraddittorio, nell'udienza del 6 giugno il collegio prese la sua decisione definitiva, emettendo due sentenze (rispettivamente nn. 146/1991 e 147/1991, pubblicate il 12 giugno 1991) con cui accolse i ricorsi di Corsini e Marchi, annullando la proclamazione degli eletti e "disponendo la rinnovazione del procedimento elettorale a partire dalla fase in cui si è verificato l'errore", dunque dalla stampa delle schede a cura della prefettura. 
Per i giudici del Tribunale amministrativo regionale della Toscana, una volta verificato che effettivamente sulle schede utilizzate a maggio del 1990 non era stato impresso il contrassegno della lista "Per il Litorale" (riprodotto correttamente nei manifesti), ma quello del Pci e che "lo stesso errore è stato riscontrato anche nella matrice utilizzata per la stampa delle schede", risultava vera sia l'attribuzione ai candidati di voti dati a un simbolo diverso da quello per il quale questi avevano accettato la candidatura (e a nulla valeva il fatto che l'emblema finito sulle schede fosse presente, in miniatura, anche nel fregio effettivamente presentato con la lista: la sentenza rileva semplicemente la loro diversità), sia soprattutto la "turbativa delle operazioni elettorali" dovuta alla difformità tra i due contrassegni e provata, come si è visto, dai contenuti dei verbali delle sezioni.
Si arrivò così, oltre un anno dopo le elezioni viziate dall'errore nella stampa delle schede, all'annullamento del voto e ci vollero altri cinque mesi abbondanti per tornare alle urne con gli stessi concorrenti di allora. L'esito, in quel caso, fu ben diverso: l'affluenza calò ancora (ed era prevedibile, visto che non si svolsero altre elezioni di livello superiore in quella circostanza), ma soprattutto la lista Per il Litorale fu la più votata, battendo di due voti (850 contro 848) una Democrazia cristiana in decisa flessione, mentre i socialisti seguivano a brevissima distanza (833 voti) e il Partito repubblicano italiano si dimostrava in ottima forma, unica forza in grado di aumentare sensibilmente i suoi voti (519 contro i 416 del 1990) in una situazione di astensionismo crescente. La scelta del Delfino, insomma, era stata davvero vincente e determinante (anche per Marchi e Corsini, che furono eletti in consiglio): un vero peccato che falce e martello se lo fossero mangiato così, quasi senza che nessuno se ne accorgesse...

Il primo grazie di questa storia è diretto a Laura Banti, a lungo responsabile dei servizi elettorali del comune di Pisa, che nel 2010 ha fatto riemergere il delfino dal mare della memoria (e nel 2014 l'ha ripescato persino dal suo hard disk). Una menzione va a Francesco Loi, redattore del Tirreno che mi ha suggerito dove cercare, a Federico Lischiarchivista del Tirreno (sede di Livorno) che a marzo del 2016 mi ha aiutato nella ricerca e ad Alberto Compagno che già alla fine del 2014 con la sua macchina digitale mi aveva consentito la prima scoperta; grazie anche a Roberto Marchi, tra i candidati del Delfino del 1990, ancora oggi al lavoro per il comune di Pisa e con la memoria viva dei fatti di allora. Un ringraziamento va poi agli avvocati che si sono occupati di questa vicenda, Aldo Santilli, Carmelo D'Antone e soprattutto - per il fondamentale ricordo della Moby Prince che ha fornito l'ultimo tassello per definire la ricerca - Michele Teti. Infine, sento di dover ringraziare il personale del Tar di Firenze, in particolare Ester Padova (che mi ha sopportato - davvero! - a più riprese) e Tiziana Aicardi, che grazie ai suoi libri magici (dei ruoli d'udienza e delle sentenze) mi ha permesso di ritrovare traccia cartacea di una storia simbolica minore, ma che non meritava l'oblio.

1 commento:

  1. Bravo Gabriel
    Avessero imparato....
    E oramai tra baccalà e ceci... un posto al Vernacoliere non te lo leva nessuno !

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