martedì 29 marzo 2016

Quando un aquilone rischiò di essere il nuovo simbolo liberale

Tanti pensavano fosse
il nuovo simbolo dei liberali...
Qual è stato nel decennio del '90, l'annus horribilis per i partiti italiani? Molti risponderebbero il 1992, anno di Tangentopoli, dell'impasse assurda sul Quirinale, delle morti di Falcone e Borsellino e così via. In realtà, però, la risposta più giusta sarebbe il 1994: quell'anno, infatti, non solo vide accantonare il nome Democrazia cristiana (che non si sciolse, come sanno bene i frequentatori di questo sito) e la sostanziale fine politica del Psdi e del Pri (ai numeri di prima non sarebbero più tornati), ma registrò la fine giuridica di due partiti storici della Repubblica italiana
Chiusero i battenti a Roma, un po' per debiti, un po' per lasciarsi alle spalle una storia per alcuni ingombrante, ma per altri del tutto irrinunciabile. Il 12 novembre 1994 al Palacongressi dell'Eur si aprì la liquidazione del Partito socialista italiano, ma il 4 febbraio nel "congressificio" (così lo chiamano molti notisti politici di lungo corso) dell'hotel Ergife era iniziata la ventiduesima assise nazionale del Partito liberale italiano; due giorni dopo, si seppe con certezza che era stata l'ultima. Qualcuno voleva questo, altri avevano fatto di tutto per evitarlo. 
I dirigenti del partito avevano negato fino all'ultimo che l'idea fosse di chiudere il partito: lo fece anche Alfredo Biondi, in apertura del congresso da lui presieduto. "Qualcuno ha scritto, ha pensato [...] che ci fossero in qualcuno di noi [...] come formazione politica intenti o istinti liquidatori - disse -. Il Partito liberale si muove per rinnovarsi e per continuare la sua battaglia, nella quale fino a ora è stato spesso troppo solitario e ora si apre perché in compagnia di altri si possa fare, da liberali che sopraggiungono con i liberali che restano tali, una battaglia comune, più aperta". "Rinnovarsi" era un verbo ambiguo, potendo riguardare tanto la forma del partito quanto la sua compagine interna, ma presupponeva un minimo di continuità: rinnovamento, in fondo, è meno di rivoluzione.
Il primo cambiamento visibile, in realtà, emergeva dalla sede del congresso, ben più spoglia rispetto al passato. Lo aveva riconosciuto Raffaele Costa, segretario dopo le dimissioni di Renato Altissimo (e contemporaneamente a capo del progetto politico parallelo dell'Unione di centro): lui si era riconosciuto l'unico compito di "contribuire a tirare fuori il partito dalle secche in cui alcune iniziative giudiziarie [...] l'avevano precipitato", come avrebbe poi detto nella relazione di apertura, seguita alle parole di Biondi; questo doveva avvenire nel bel mezzo di "una situazione finanziaria difficilissima, per molti versi paralizzante". Si trattò dunque di un "congresso organizzato in francescana semplicità" e Costa chiese scusa agli ospiti e perfino ai giornalisti: "si troveranno privi di molti di quegli strumenti e anche di quegli orpelli consueti in qualsiasi congresso", lasciando intendere che loro non avrebbero ricevuto neanche una penna, un portachiavi o un gadgettino qualunque.
Che però qualche altro cambiamento fosse all'orizzonte dovevano averlo pensato in molti, anche solo guardando alla scenografia - pur spartana - del congresso. "Il colore di fondo dell'addobbo della sala congressuale è l'azzurro Europa - si leggeva in un lancio dell'Agi - così come non c'è più il tradizionale simbolo tricolore del Pli. Sul palco una sola scritta, 'Liberali', sotto un grande aquilone tricolore, quasi a rappresentare l'aspirazione a 'volare alto'". Quello che appariva un aquilone, in realtà, era una sorta di fazzoletto tricolore, creato negli anni ’60 dallo stilista Emilio Pucci, liberale anch'egli (prima di passare alla Dc). La mancanza del simbolo storico fece pensare a più di qualcuno - specie tra i giornalisti che seguirono l'evento - che quell'aquilone sarebbe stato il simbolo del nuovo soggetto politico, la Federazione dei liberali. Già, perché sotto quella strana grafica si leggeva lo slogan dell'assise congressuale: "Liberali sempre, per una Federazione dei liberali". Per chi voleva continuare semplicemente l'attività politica, la seconda frase non era un problema; per chi voleva continuarla nel Pli, quelle parole avevano il rumore del sipario che si chiude e bisognava evitarlo a ogni costo. Occorreva solo che qualcuno facesse qualcosa. 
Appena Biondi finì di parlare per passare la parola a Costa, in sala si levò una voce, lontana dai microfoni ma netta: "Ho una mozione d'ordine!". Parlava Pierangelo Berlinguer, segretario Pli di Varese: qualcuno della presidenza mugugnò, ma Biondi garantì il diritto di parola e diedero il microfono al delegato. "Dietro questa nostra esposizione - disse - c'è scritto: 'Per una federazione dei liberali'. Mi permetto di chiedere alla presidenza l'oscuramento, [...] è una precostituzione di una decisione del congresso". Si accalorò ancora di più per la seconda parte della proposta: "Non ho visto in tutta la sala il simbolo del Pli, chiedo che venga messo, grazie!". 
Sul secondo punto, dal tavolo della presidenza, qualcuno gli dette ragione, ma Biondi rimase vago: "Io non mi occupo degli arredi, che del resto possono essere opportunamente integrati in seguito", rimandando alla sezione politica del congresso la discussione sul futuro del partito. Berlinguer, evidentemente non soddisfatto, provò a parlare di nuovo, ma Biondi lo zittì subito: "Ora faccia il piacere di tacere! Non siamo qui al concorso 'Voci nuove'!".
Costa fece la sua lunga relazione ("il Pli non muore, muore la forma-partito - disse tra l'altro - cambia solo d'abito, si rigenera, diventerà una federazione"), il dibattito iniziò e arrivò il tempo del pranzo. Assenti quasi tutti i delegati, qualcuno pensò che Berlinguer in fondo aveva ragione e dette l'ordine di rimediare: "All'ora di pranzo - annotò Alessandra Longo su Repubblica nel suo pezzo - un filippino che lavora all'Ergife [...] trasporta in fretta e furia il simbolo del Pli nella sala mezza vuota per l'intervallo. Furtivo, lo appoggia al tavolo della presidenza". Qualcuno lo affisse alla scenografia e, quando toccò a Pierangelo Berlinguer prendere la parola nel pomeriggio, lui esordì dicendo: "Finalmente il simbolo del partito è lì, grazie di cuore!", salvo poi lamentare palesi violazioni dello statuto, dubitare della situazione debitoria del partito ("si dice che con la vendita degli immobili si va in pareggio") e attaccare l'ipotesi liquidatoria del Pli che emergeva dalla proposta a firma di Raffaello Morelli.
Dopo altri due giorni ricchi di discussioni - nei quali non mancarono insulti notturni e qualche schiaffo - e di discussioni sugli aventi diritto al voto (Biondi propose e ottenne di far votare anche chi non aveva pagato la tessera) si arrivò comunque ad abrogare il vecchio statuto: si trattò di una sostanziale liquidazione del Pli, con la creazione di una Federazione dei liberali con quasi gli stessi delegati del "defunto" Pli (non c'era invece Stefano De Luca, che ancora oggi lamenta come lo statuto del Pli non sia stato rispettato, visto che non si raggiunse il 60% dei voti congressuali per intervenire sullo statuto). 
La Fdl si iscrisse di nuovo all'Internazionale liberale e all'Eldr, ma la battaglia per mantenere il Pli in vita così com'era fu persa. Eppure, a distanza di oltre vent'anni, Pierangelo Berlinguer riceve ancora plausi per la sua azione di quei giorni del 1994 e per quella "mozione d'ordine" che, per lo meno, riportò nella sala il simbolo di "un Partito che non voleva morire!", come dice oggi con convinzione lo stesso Berlinguer, che non a caso nel 1997 fu tra i fondatori del Partito liberale, di cui fu presidente Egidio Sterpa e segretario De Luca. L'ex segretario varesino non aveva visto quell'aquilone-fazzoletto come un nuovo possibile simbolo: si trattava di una grafica "generica, asettica e comunque non impegnativa" che, a suo dire, era "una furbizia per preparare il cambio di simbolo". 
In effetti, la successiva Federazione dei liberali non adottò il fazzoletto del Pucci, ma nel determinare il suo nuovo contrassegno - mostrato in anteprima alla fine dei lavori congressuali - si ispirò in qualche modo al simbolo del Pli (c'era pur sempre una bandiera statica, stavolta con l’asta gialla e appuntita), dandogli una connotazione europea (il cerchio di fondo cerchio era azzurro, con dodici stelle). In diversi, tuttavia, per qualche giorno credettero davvero che il "nuovo" aquilone avrebbe iniziato a volare nello stesso cielo in cui la bandiera liberale era appena stata ammainata; sulle schede elettorali, tuttavia, l'aquilone non lo si vide mai passare e anche gli altri emblemi storici dei liberali, a dire la verità, sarebbero apparsi ben poco. Un tricolore, in realtà, c'era e ben saldo, ma ormai era quello di Forza Italia...

Un ringraziamento sentito al dottor Pierangelo Berlinguer per l'attenzione prestata e per aver fornito la foto che ha permesso di svelare il "mistero" dell'aquilone. Le citazioni virgolettate degli interventi congressuali sono tratte dalla registrazione di Radio Radicale.

lunedì 28 marzo 2016

Giffoni, il Pd produce due candidati sindaci (senza simbolo)

Il fenomeno è noto: i partiti, quasi sempre, nei comuni "inferiori" (quelli al di sotto dei 15mila abitanti, nei quali la legge non consente di formare coalizioni) i partiti spesso non fanno arrivare il loro simbolo sulla scheda. Usano altre insegne per mostrare un legame più stretto con il civismo e il territorio, senza "raffreddare" tutto con un emblema nazionale noto, ma poco caratteristico (per quanto personalizzabile con scritte e accorgimenti simili); questo, ovviamente, non significa che quegli stessi partiti non esistano in quei luoghi o non esprimano anche figure di rilievo. Si prenda ad esempio Giffoni Valle Piana, comune salernitano di poco più di 12mila abitanti, in tutta l'Italia noto per il Giffoni Film Festival, la rassegna cinematografica per ragazzi: lì, per contendersi l'amministrazione della città con il MoVimento 5 Stelle (che ancora non avrebbe scelto il candidato alla guida della città) e l'ex sindaco e assessore Sabatino D'Alessio (che dovrebbe schierarsi con una lista civica di cui non si sa altro al momento), già da mesi si confrontano due liste. Liste che guardano entrambe a sinistra e, anzi, con i due candidati sindaci entrambi iscritti al Pd. 
E' il caso, innanzitutto, di Giffoni Democratica, lista a sostegno di Ugo Carpinelli, che del comune è già stato sindaco, oltre ad avere ricoperto il ruolo di consigliere regionale (per i Democratici di sinistra). L'unico elemento che può rimandare al Pd è l'aggettivo "democratica", ma il resto non c'entra nulla; al contrario, parla essenzialmente del territorio il disegno ben visibile nel cerchio, davanti a una sorta di sole giallo. Si tratta infatti della fontana che troneggia al centro di piazza Umberto I, con i pesci sul bordo della vasca: chiunque sia di Giffoni è in grado di riconoscere il monumento. Un segno municipale, se si vuole, ma anche di un territorio più ampio: per dire, Vincenzo De Luca, ora presidente della Regione Campania, ha tra i suoi soprannomi anche "Vicienz'a funtana", per il gran numero di fontane installate o sistemate negli anni in cui è stato sindaco a Salerno. 
C'è chiaramente il sole, invece, nel simbolo di Giffoni bene comune, lista che schiera come candidato sindaco Antonio Giuliano e che come nome indica già una collocazione di sinistra. Nell'emblema si riconoscono i profili di alcuni degli edifici caratteristici di Giffoni, a partire dal convento di San Francesco che sta nel mezzo. 
Una particolarità: nessuna delle liste in via di presentazione dovrebbe rifarsi ufficialmente al centrodestra (che pure in passato ha governato il comune); i ben informati, tuttavia, notano come esponenti di quell'area politica siano candidati per lo meno in Giffoni bene comune (accanto a consiglieri uscenti del Prc e di Sel, che attendono il varo definitivo del progetto di Sinistra italiana). Per qualcuno è un'anomalia, per qualcun altro è quasi normale in una realtà non molto grande come Giffoni Valle Piana. Il tempo per completare il quadro elettorale, in ogni caso, non è ancora scaduto: il centrodestra, se vorrà, potrà ancora presentare proprie liste, con o senza simboli nazionali in vista.

sabato 26 marzo 2016

Amministrative, Ncd salta "simbolicamente" un giro?

Alle prossime elezioni comunali, lo si è ormai capito, si prepara a correre un numero consistente di simboli. Ma - viene da dire - se si rivoltasse la questione e ci si domandasse, ad esempio, quali simboli non si vedranno proprio a queste elezioni, si troverebbe facilmente una risposta? Un quadro completo probabilmente no, ma qualche idea già è possibile farsela. Salvo sorprese dei prossimi giorni, ad esempio, è quasi certo che alle elezioni non ci sarà traccia del simbolo di Ala, quell'Alleanza liberalpopolare - Autonomie che al momento esiste solo come gruppo parlamentare al Senato e che, sulla sua pagina Facebook ha come avatar un'anonima scritta tricolore su fondo blu.
Un'altro simbolo che però presumibilmente alle amministrative si vedrà poco, essendo assente dalle piazze elettorali principali, in realtà c'è: quello del Nuovo centrodestra. Beninteso, candidati di quel partito ce ne saranno di sicuro, ma saranno inseriti in liste con altri emblemi. La via è stata aperta dalla presentazione alla stampa del simbolo di Milano popolare, variazione di quello di Area popolare "varato" pochi giorni fa. 
Nella Capitale la strategia sarà la stessa, visto che già il 18 marzo la ministra Beatrice Lorenzin aveva dichiarato: "Noi di Ncd faremo la lista civica Roma Popolare in appoggio ad Alfio Marchini - ha battuto ad esempio l'Ansa - e quindi non ci sarà il simbolo di Ncd alle elezioni. Nella lista civica facciamo una chiamata ai migliori, perché questa città ha bisogno che tutti quelli che hanno una professione e delle competenze". La struttura del simbolo è esattamente identica a quella vista appunto a Milano; la formula pure, con le liste aperte agli esponenti di Ncd e alla società civile. Non si parla di Udc, che pure potrebbe essere parte del gioco (avendo contribuito alla nascita di Area popolare), ma emerge soprattutto la scelta di lasciare da parte il marchio del Nuovo centrodestra.
Simbolo ricostruito da manifesto
A Torino, poi, la situazione sembra essere ancora più singolare. Per inquadrarla, in particolare, si può guardare il simbolo che - a giudicare da qualche manifesto apparso nei giorni scorsi - dovrebbe presentare l'Udc per concorrere alle prossime elezioni comunali. L'emblema è quello noto da anni, con lo scudo crociato in assoluto primo piano e, sullo sfondo, le due vele di Ccd e Democrazia europea; l'attenzione può essere attirata dalla dicitura "Rosso sindaco" - ovvio riferimento al sostegno alla candidatura di Roberto Rosso - ma è in basso che bisogna guardare. Al posto di "Unione di centro", infatti, il contrassegno reca la scritta "Area popolare", lasciando intendere che non ne sarà presentato un altro con lo stesso nome. E, se sarà così, difficilmente spunterà da qualche parte il logo di Ncd.
Ad avvalorare questa ipotesi, tra l'altro, ci sarebbe un articolo pubblicato sullo Spiffero giusto mercoledì: stando a questo, il quartier generale del Nuovo centrodestra a Roma sarebbe orientato a non concedere l'uso dell'emblema, per un cumulo di possibili ragioni diverse tra loro (l'inopportunità del sostegno a un candidato avversario del Pd, con cui Ncd è alleato a Roma; varie discussioni interne all'Udc locale che hanno avuto un peso nei rapporti con il partito di Alfano; desideri di alcuni di rendere più ardua la strada di Rosso, prima e dopo le elezioni, proprio grazie al diniego del simbolo). Al di là dei rumors, comunque, appare molto concreta l'ipotesi che Ncd, senza nemmeno "mascherarsi" dietro un simbolo diverso, non lasci alcuna traccia "simbolica" di sé sotto la Mole.

venerdì 25 marzo 2016

La rivoluzione di Sgarbi? Si fa con una capra

Ci sono casi in cui gli occhi o le orecchie captano una certa notizia (oppure qualche anima buona si premura di fartela arrivare) e, dentro di te, i pensieri si succedono rapidamente da un attonito "Cos'è, uno scherzo?", a un penoso tentativo di convincersi che "Non può essere vero", fino alla resa finale: "L'ha fatto sul serio...". 
Difficile, obiettivamente, reagire in un altro modo, una volta scoperto che Vittorio Sgarbi presenterà una lista a Cosenza, con tanto di capra sul simbolo. La notizia è apparsa sul Quotidiano di Calabria e a farla conoscere ai più è stato il sito di Repubblica: niente candidatura a sindaco stavolta, ma la novità non passa comunque inosservata.
Il nome è lo stesso delle ultime partecipazioni elettorali, dunque il Partito della rivoluzione; niente scritte rosse e bianche su sfondo nero, però. Il giallo scuro, quasi ocra del fondo è più o meno lo stesso della lista "Sgarbi sindaco" per Milano; la dicitura "Laboratorio della bellezza" ricorda molto l'espressione "Partito della bellezza" usata nel 2004 per la lista presentata con i repubblicani alle elezioni europee. Inutile negare, tuttavia, che il centro visivo e focale del simbolo sia lì, sul gradino più alto di quello che - scrive Rosita Gangi per Repubblica.it - "potrebbe sembrare quasi un podio" o, essendo in tema artistico, un "crepidoma", quel basamento a gradoni su cui di solito sorge un tempio.
La scelta della capra si spiega anche troppo facilmente: l'invettiva "Capra! Capra! Capra!" pronunciata "a nastro" contro Aldo Busi per la prima volta nel 2002 e poi ripetuta in altre occasioni è diventata una sorta di tormentone legato allo storico dell'arte, una sorta di metonimia dello stesso personaggio. La lista con l'ovino - con Sgarbi capolista - farà parte della coalizione a sostegno di Mario Occhiuto, sindaco per il centrodestra fino a pochi mesi fa e "caduto" per le dimissioni in massa dei consiglieri: "Sarà una novità assoluta per il suo 'Partito della Rivoluzione', che parte da Cosenza come esperimento nazionale con una autonoma lista 'Sgarbi, laboratorio della bellezza' guidata da lui stesso come capolista. - ha detto lo stesso Occhiuto, sempre ripreso dal Quotidiano di Calabria - D'altra parte Vittorio già dagli anni '80 ha promosso e stimolato con dichiarazioni, presenze a manifestazioni e riconoscimenti a varie attività, una presa di coscienza del valore europeo del nostro centro storico".
Non che manchino le curiosità grafico-politiche sulla futura scheda elettorale cosentina, nella coalizione di Occhiuto come negli altri schieramenti (se ne parlerà in seguito), ma quella di Sgarbi le batte tutte. Specialmente se quello che si sperimenta in Calabria dovesse essere il "pilota" di un progetto politico-elettorale da far arrivare in tutta l'Italia. Toccherà a legioni di capre, marchiate Sgarbi, difendere la bellezza del territorio italiano?

giovedì 24 marzo 2016

Se invertire i colori fa bene alla Sinistra (italiana)

Alle volte, inutile negarlo, alle idee si arriva procedendo per gradi e tentativi. In sé non c'è niente di male, anche se quando questo accade in politica di solito genera malumori tra la gente, che non accantona mai la speranza che le cose si facciano tutte in una volta e, possibilmente subito. Anche nel'ambito della comunicazione e del marketing, in effetti, andare per tentativi è piuttosto rischioso: se l'esordio di un marchio o di un messaggio è perfettibile ma decoroso, si può anche intervenire in un secondo momento per la messa a punto; se però la prima prova è deludente e un segno non ha impatto, può non esserci spazio per una "prova d'appello" che corregga il tiro.
Tutto questo per dire che, quando alcuni giorni fa in rete è apparsa una versione riveduta e corretta del logo di Sinistra italiana, per qualcuno era lecito avere dubbi sull'efficacia dell'aggiustamento grafico: quando il simbolo era stato presentato a Cosmopolitica, erano stati più i dubbi e le perplessità suscitate rispetto ai pareri positivi (tra i presenti e coloro che hanno commentato in rete), per cui si poteva anche pensare che il danno fosse ormai stato fatto, senza possibilità di porre rimedio.
Frenando l'istinto e mettendo in funzione il cervello, invece, sembra opportuno fare marcia indietro. E' vero, la modifica in fondo non è stata enorme, o forse sì: tutto dipende da come si interpreta l'inversione dei colori, per cui la sigla e la scritta rosse su fondo bianco sono diventate bianche su fondo rosso. Una sorta di "negativo", se si vuole, che peraltro - come direbbero i giuristi - equat quadrata rotundis, cioè "cerchia il quadro", dando uno sviluppo circolare a un segno che in origine appariva quadrato o rettangolare.
Inutile dire come una mossa simile sia particolarmente utile in chiave elettorale, anche pensando all'eventuale candidatura di Stefano Fassina a Roma (certo, sarebbe bastato inserire il logo precedente in un cerchio, magari bianco a bordo rosso, ma non sarebbe stata la stessa cosa); al di là di questo, però, è tutto il simbolo a guadagnarne in efficacia, resa grafica e - se si vuole - ideologica. Il colore rosso, decisamente dominante, porta in dote a Sinistra italiana un elemento importante di riconoscibilità, un po' come era avvenuto per la lista Tsipras alle europee del 2014 (anche se, di certo, si punta ad altre percentuali); potrebbe dare qualche noia in fase di stampa, per la corretta resa delle righe bianche affogate nel rosso, ma difficilmente qualcuno potrebbe confondere l'emblema. 
Sarà questo il segno definitivo di Sinistra italiana o dovremo attenderci altri aggiustamenti? Non è dato saperlo al momento, ma se questa era la prova d'appello, l'impressione è che sia stata superata.

mercoledì 23 marzo 2016

Bolzano, centrodestra spaccato e con simboli retrò

Il fenomeno sembra noto fin dagli anni '60 (in area socialista, ma non solo): in certe condizioni, l'uso delle parole "unità" e "uniti" si applica puntualmente a un contesto di divisione o frammentazione. Sembrava di poterlo dire alcuni giorni fa per la "Sinistra unita" a Trieste; ora c'è la forte tentazione di dirlo per il centrodestra a Bolzano. Comune che ritorna al voto dopo appena un anno dall'ultima tornata elettorale: a settembre erano arrivate le dimissioni del sindaco di centrosinistra Luigi Spagnolli, che pochi mesi prima aveva iniziato il terzo mandato (era in carica dal 2005) ma non era riuscito a trovare in consiglio comunale una maggioranza coesa. 
Il capoluogo altoatesino, dunque, andrà alle urne al turno di fine primavera e il centrodestra, secondo alcuni, avrebbe avuto più di una possibilità di vincere, a patto naturalmente che si presentasse unito. E questa è l'impressione che si potrebbe avere guardando il simbolo della lista che dovrebbe sostenere alle elezioni l'odontoiatra (già candidato al Senato per il Pdl) Mario Tagnin: leggendo "Il Centrodestra - Uniti per Bolzano", con "Uniti" scritto a caratteri cubitali, si potrebbe davvero pensare che tutto è fatto, tutto è pronto per una corsa unitaria verso il municipio.
Mentre si riflette, tra l'altro, si potrebbe notare con curiosità che l'emblema ricalca in tutto e per tutto quello del Popolo della libertà, o per lo meno il suo primo disegno, quello che non prevedeva l'indicazione "Berlusconi presidente". "Non è la grafica del PdL - precisa Alessandro Urzì, guida del gruppo L'Alto Adige nel cuore (già candidato sindaco alle scorse comunali) che sostiene Tagnin - è una nostra ideazione che, se richiama l'idea di una casa comune, in ogni caso può avere anche un senso". L'arcobalenino, è vero, è leggermente diverso e le scritte pure, ma è difficile dire che l'impressione grafica che si ricava dall'emblema coniato per Tagnin, anche grazie ai colori e alla font usata, sia diversa da quella trasmessa dal marchio dell'antico Pdl.
Se però ci si guarda intorno, si scopre che l'unità di cui parla l'emblema non è proprio così ampia (al più va interpretata nel senso che di liste a sostegno di Tagnin ce ne sarà una sola). Alla conferenza stampa di presentazione della candidatura di Tagnin, infatti si vedevano gli emblemi dell'Alto Adige nel cuore, di Forza Italia, della Lega Nord e di UnItalia, una formazione di destra radicata in quel territorio. L'accordo sul candidato è stato siglato il 17 marzo, ma con uno strascico notevole di polemiche, legate soprattutto alla partecipazione di Forza Italia. Se infatti a spingere per Tagnin era stata la componente "ufficiale", che fa capo a Elisabetta Gardini, commissaria del partito in quell'area, di diverso orientamento era il gruppo legato invece a Michaela Biancofiore, che nei giorni precedenti aveva invece spinto sul nome "fuori dai partiti" dell'avvocato Igor Janes. 
Quella candidatura non è stata accettata (con grande ) e, a quel punto, è tornato in gioco Giorgio Holzmann, che l'Ansa definisce "storico esponente della destra con radici nel Msi"  Già più di un mese fa era stato presentato l'emblema di Alleanza per Bolzano, che certamente richiamava nel nome e nella struttura (scritta su semicerchio superiore azzurro, semicerchio inferiore bianco) l'emblema di An; in questi ultimi giorni, quando la candidatura ha ripreso corpo, nella parte inferiore si sono aggiunte le "pulci" delle varie forze che hanno reso esplicito il sostegno allo stesso Holzmann. Anche in questo caso si è scelta la via della lista unica, un po' per semplificare il quadro politico e un po' per evitare di farsi male con la legge elettorale (che richiederebbe a eventuali liste coalizzate di raggiungere una soglia minima che, a tutta evidenza, alcuni simboli rischierebbero di non superare). 
Sono così apparsi i "bottoni" di Fratelli d'Italia, del Nuovo Psi, dei Conservatori e riformisti, dell'ex sindaco Giovanni Benussi e - da una manciata di giorni - anche dell'adinolfiano Popolo della Famiglia. Nessun riferimento alla Biancofiore, che però a Pietro De Leo del Tempo ha dichiarato di valutare seriamente il sostegno a Holzmann, anche con una propria lista. Insomma, da una parte si parla di unità, dall'altra di alleanza, ma la spaccatura nel centrodestra sembra difficile da sanare e il tempo per ricucirla è sempre meno.

martedì 22 marzo 2016

Il Cantiere dei Moderati, un matrimonio multilivello

I veri politics addicted lo sanno, ne erano a conoscenza da giorni: sabato pomeriggio a Roma si è celebrato un matrimonio in piena regola. Anzi, per l'esattezza, si è svolta la prima parte della cerimonia che ha avuto come sposi i Moderati, formazione essenzialmente piemontese al seguito di Giacomo Portas, e i Cittadini per l'Italia, evoluzione di ciò che resta dell'esperienza di Scelta civica, guidata dal suo congresso in avanti da Enrico Zanetti, sottosegretario del governo Renzi.
Hanno parlato di matrimonio tanto i protagonisti, quanto alcuni commentatori e così, in effetti, sembra di poter dire: l'idea sarebbe la combinazione di un progetto nazionale e di uno diffuso sul territorio, anche se per realizzarla occorrerà del tempo e - infatti - il secondo tempo del matrimonio, con i due soggetti che "saranno una carne sola", è previsto a ottobre, con un congresso costituente per il soggetto politico che verrà. 
Sulla pagina Facebook dei Cittadini per l'Italia, lo stesso segretario Zanetti aveva qualificato l'evento di sabato come momento di avvio della campagna elettorale della rete delle liste civiche dei Cittadini per l'Italia e, contemporaneamente, del Cantiere dei Moderati. Era stato chiamato così, con l'idea che si iniziasse un lavoro che però avrebbe richiesto tempo ed energie per essere completato. E, naturalmente, senza risparmiarsi le difficoltà: come scritto sull'Huffington Post da Gabriella Cerami, l'idea di lasciarsi definitivamente alle spalle l'esperienza montiana di Scelta civica non convince tutta la pattuglia - già piuttosto assottigliata, rispetto alle origini - di parlamentari, a partire da Alberto Bombassei che non avrebbe gradito "l'operazione dei Moderati per Renzi". In effetti la condivisione di un percorso sempre più solido con i Moderati di Portas, nati nel 2005 e da sempre collocati nel centrosinistra, significa inevitabilmente prendere una posizione netta a livello nazionale, che in questo momento è di sostegno al Presidente del Consiglio e al suo partito, e riportare la stessa idea nelle alleanze sul territorio, senza voler perseguire una "politica dei due forni".
Deve aver voluto evitare qualcosa di simile lo stesso Portas, stroncando con il proprio veto l'idea che dell'operazione potesse essere parte anche Denis Verdini e il gruppo di Ala, come si vociferava nelle settimane precedenti: ad Antonio Pitoni del Fatto Quotidiano, infatti, ha dichiarato seccamente che "[q]uando ci si sposa, di solito, al matrimonio si invitano i parenti e gli amici, non gli sconosciuti" come Verdini, che "c’entra davvero poco con noi". Qualcosa che somiglia un partito, peraltro, Verdini potrebbe averlo già, ossia il gruppo parlamentare, ma "né a Milano né a Torino vedo il simbolo di Ala in corsa. - insiste Portas - Negli anni ho visto tanti partiti ‘televisivi’ che poi alle elezioni sono finiti male. Perché un conto è il consenso dei mille parlamentari dentro il palazzo e un conto è quello dei veri azionisti dei partiti, cioè gli elettori". Quelli che, pur pochi a livello nazionale, hanno permesso ai Moderati di avere percentuali importanti in Piemonte e di avere rappresentanza in Parlamento.
Quale sarà quindi la formula del matrimonio nei prossimi mesi? Almeno per un certo periodo conviveranno i simboli dei Cittadini per l'Italia e dei Moderati. Il primo si vedrà solo alle elezioni amministrative (con candidati propri o in alleanza col Pd), con la formula "Cittadini per..." e il nome della città: sarà l'emblema della "rete sul territorio - ha spiegato Zanetti prima dell'evento del 19 - della società civile che vuole impegnarsi per il buon governo delle proprie città, [...] senza logiche di appartenenza partitica precostituita, ma con la voglia e l'entusiasmo di inserire il proprio impegno civico in una logica politica costituente". Su Facebook, ad esempio, circola il simbolo dei Cittadini per Milano, anche se è probabile che nelle città maggiori si tenti già di usare il contrassegno dei Moderati.
Contemporaneamente, infatti, si dovrà iniziare a lavorare anche per il Cantiere aperto sabato, perché proprio quello dei Moderati sarà il simbolo per il progetto politico nazionale con cui "dare una casa, nuova negli interpreti e solida nel radicamento sul territorio, a tutti quegli italiani che credono che il rinnovamento non si faccia contro il sistema ma avendo il coraggio di riformarlo da dentro giorno per giorno", avendo come riferimento - sono sempre parole di Zanetti - "l'Italia laica a trazione liberale e repubblicana, e quella cattolica lontana anni luce da ciò che è diventato il Ppe", dunque con i piedi ben piantati nell'Alde a livello europeo.
Di nuovo il segretario di Scelta civica - Cittadini precisa che quel progetto non poteva nascere "con fusioni a freddo di gruppi parlamentari e imbarazzanti alleanze a geometria variabile" (ogni riferimento ad Area popolare e soprattutto a Ncd è puramente casuale?) e neanche "inventando una lista civica nazionale a poche settimane dal voto, chiamando all'impegno civico in Parlamento chi non è passato attraverso l'impegno civico nei quartieri e nei comuni". Niente di raffazzonato o improvvisato insomma, ma il desiderio di costruire il percorso realmente dal basso: una strada interessante, che accetta anche il rischio di essere interpretata da alcuni come il progetto dei Moderati che si estende a livello nazionale, fagocitando quanto resta di Scelta civica, la cui ultima evoluzione (Cittadini) sopravvive solo come marchio a livello locale. L'idea però non è di farsi inglobare, ma di costruire un gruppo di "estremisti del buon senso" (così ne parlano tra i Cittadini) che possa funzionare su ogni scala territoriale.
Il simbolo che sarà usato a livello nazionale, in ogni caso, è saldamente nelle mani di Portas e dei suoi fedelissimi: è stato infatti registrato come marchio nel 2006 (e lo statuto del partito è già stato validato dall'apposita commissione nazionale). Non sono andati a buon fine due tentativi fatti negli ultimi anni - Emanuela Rocchi nel 2012 e Raffaele Sala nel 2014 - di registrare un emblema simile, con la dicitura "Federazione nazionale Moderati", la dea della Giustizia al posto delle stelle d'Europa e il fondo dorato invece che blu: in entrambi i casi la domanda è stata respinta (ed è improbabile, salvo errore, che si tratti di soggetti vicini a Portas: entrambi i depositanti figurano come candidati in una lista Pensionati presentata a Pavia nel 2006). Se tanti cercano di intestarsi l'area dei Moderati - ricordate Samorì - il presidio di Portas difficilmente sarà squassato.

lunedì 21 marzo 2016

Milano, prime mosse simboliche

Forse qualcuno lo immaginava, forse qualcun altro no, ma alla fine tra le grandi città chiamate al voto la piazza più tranquilla sembra sicuramente Milano: con fibrillazioni ridotte al minimo tanto nel centrodestra quanto nel centrosinistra, senza proliferazioni di candidati sindaci o primarie contornate da ricorsi, sotto la Madonnina ci si prepara con meno patemi d'animo alle elezioni amministrative, che in ogni caso non saranno una passeggiata. In questi giorni è entrata nel vivo l'attività dei partiti maggiori, che hanno iniziato a scoprire le loro carte e, in qualche caso, anche i simboli con cui si presenteranno alle elezioni.
Giusto oggi, per esempio, il Nuovo centrodestra ha presentato il contrassegno con cui intende partecipare alle elezioni: la grafica è stretta parente di quella appena adottata dai gruppi parlamentari di Area popolare. Nella parte alta del cerchio, dunque, si riprende il tema del cuore giallo popolar-europeo con le quattro stelle su fondo blu e la scritta "Milano popolare" (giusto per declinare in quel modo il nome scelto a livello nazionale); poco meno della metà del contrassegno è invece dedicata al sostegno a Stefano Parisi, con l'indicazione "Parisi sindaco" in blu, su segmento giallo. Alla lista, oltre che esponenti di Ncd, dovrebbero partecipare persone provenienti dalla società civile (e, volendo, dalla stessa Udc, visto che condivide il progetto di Ap con il partito di Alfano, anche se la lista è stata presentata più come espressione di Ncd). 
Il nome di Parisi è altrettanto evidente nel simbolo di Forza Italia, che non contiene più il nome di Silvio Berlusconi (negli anni scorsi la formula "Berlusconi per ..." era un elemento quasi costante alle amministrative, a sostegno di ogni singolo candidato): il cognome di Parisi è reso in Helvetica, un po' schiacciato in altezza sotto alla bandierina che in parte deborda, sparendo al di sotto della circonferenza esterna (un po' com'era avvenuto, per esempio, con il simbolo di Fi presentato alle elezioni politiche del 2006). I candidati in lista, dunque, dovranno accontentarsi del "traino" del simbolo, senza quello del nome del fondatore e leader; in compenso, pochi giorni fa la Repubblica sosteneva che l'assenza del nome di Berlusconi dal contrassegno forzista fosse la contropartita per ottenere che Parisi presentasse sì una "lista del sindaco", ma senza il suo nome sopra
Sulla scheda ci sarà invece, e sarà ben visibile, il nome di Corrado Passera, nella lista che lo sosterrà. Contenuto del contrassegno? Solo "Corrado Passera sindaco", senza fronzoli, nome bianco su fondo azzurro e "sindaco" azzurro su segmento bianco, con un logo che circola più o meno da gennaio. Nient'altro, nessun apporto simbolico. Perché - salvo sorprese degli ultimi giorni - a quanto pare non è prevista la presentazione anche di una lista di Italia unica, il partito che lo stesso Passera ha fondato con tutti i crisi alla fine di gennaio dello scorso anno. Niente logo-algoritmo tangram, niente "Milano unica" o cose simili: Passera schiera se stesso e il suo progetto, puntando tutto sulla propria figura di "liberale per Milano" in alternativa ai profili di Parisi e Beppe Sala, entrambi "in mano ai partiti". Basterà a convincere i milanesi?

domenica 20 marzo 2016

A Trieste la sinistra "unita" si fa in tre

C'è vita a sinistra a Trieste. Anche troppa, secondo alcuni. Nel senso che alle prossime elezioni comunali le liste che fanno capo a quell'area, a quanto se ne sa, saranno almeno tre. 
Uno dei tre simboli in corsa è stato deciso ieri, direttamente da un centinaio di partecipanti a una consultazione: la lista in questione si chiama Sinistra unita - Združena levica (con la stessa espressione ripetuta in italiano e sloveno) e, come candidato sindaco, ha espresso Iztok Furlanič (Prc), presidente uscente del consiglio comunale. Chi ha partecipato all'evento poteva scegliere tra tre alternative, tutte inequivocabilmente "di sinistra" nella grafica, in cui il colore prevalente era il rosso. Alla fine il simbolo più votato rimanda a quello coniato nel 2009 per la Lista anticapitalista Prc-Pdci e poi mantenuto dalla Federazione della sinistra - che non a caso è il soggetto maggiormente impegnato in questa lista - con le bandiere a romboide sovrapposte, contornate da una corona rossa in cui è scritto il nome nelle due lingue. 
Una delle due alternative al simbolo scelto puntava un po' di più sul territorio: sul fondo rosso - sempre delimitato dalla scritta bilingue vista prima - sotto a un'enorme falce con martello si poteva chiaramente vedere un'alabarda bianca-argentea, simbolo di Trieste. La terza possibilità era decisamente più anonima: cerchio rosso, scritte non più ad arco ma disposte in orizzontale, bordate di nero e tinte di giallo, com'era gialla la stella posta in centro.
Il nome "Sinistra unita", in effetti, farebbe pensare che non ci siano altre formazioni legate a quello schieramento; eppure, come si è detto, non è esattamente così. Perché giusto pochi giorni prima, il 15 marzo, è stata presentata alla stampa la lista Sì - Sinistra per Trieste, che candida a sindaco il capogruppo triestino di Sel Marino Sossi e ha come altro promotore Aris Prodani, deputato eletto con il MoVimento 5 Stelle, passato poi al gruppo misto, aderente per alcuni mesi alla componente di Alternativa libera, salvo lasciarla in concomitanza con l'approdo nella stessa di Pippo Civati (Prodani stesso ora precisa "Voglio occuparmi della mia città da parlamentare libero"). Il Piccolo non ha usato mezzi termini bollando l'operazione come "la più stravagante lista civica per le prossime amministrative". il "Sì" presente sul simbolo, secondo lo stesso Sossi vorrebbe richiamare l'esperienza di Sinistra italiana, anche se la soluzione grafica è tutta diversa (a partire dall'elemento blu, che - lo conferma lo stesso Prodani - richiama il mare di Trieste); tra i soggetti interessati a quella formazione, per un appoggio ancora da qualificare, ci sarebbe anche il Psi. La terza lista sarebbe quella legata alla parte di Sel che ha deciso di mantenere l'alleanza con il Pd e, dunque, sosterrà il sindaco uscente Roberto Cosolini.
Il simbolo non correrà alle elezioni
E pensare che, nei mesi precedenti, si era tentato davvero di percorrere l'unità a sinistra. Il disegno avrebbe dovuto coinvolgere Prc e Pcd'i (come Federazione della sinistra), buona parte di Sel e anche Possibile di Civati, assieme ad altre associazioni e movimenti, per arrivare a un'iniziativa politica comune e partecipata che andasse oltre il "bacino" dei soggetti tradizionali di quell'area politica. Era stato deciso un nome, Trieste in comune - Sinistra unita, si era fatto un certo lavoro sul programma e qualcuno aveva abbozzato anche qualche idea per il simbolo finale: era circolato un bozzetto con il consueto fondo rosso e tre figure umane stilizzate disposte a cerchio, con una piccola alabarda al centro (ma si era parlato anche di una vela stilizzata, gonfia a sinistra). All'inizio di marzo, tuttavia, i giornali hanno raccontato di qualche nodo programmatico e vari disaccordi sulle candidature che hanno fatto saltare tutto, con accuse di personalismi da varie parti: alla fine Possibile non parteciperà alle elezioni, il progetto di Trieste in comune è rimasto congelato (dunque il simbolo sulla scheda non ci finirà) e la sinistra - salvo sorprese dell'ultimo momento - avrà questo schieramento a tre punte. La via dell'unità a sinistra, a quanto pare, si mostra davvero impervia.

sabato 19 marzo 2016

Area popolare, con il cuore così all'improvviso

Poi un giorno scopri che un certo gruppo politico, che aveva adottato un simbolo senza troppo clamore e senza essere (ancora) ufficialmente un partito, l'ha improvvisamente cambiato, senza preavvertire nessuno, semplicemente schiaffandolo sui pannelli scenografici di un evento e replicandolo decine di volte, un po' per rafforzare il messaggio e un po' per assicurarsi che non ci sia troppo bianco a contorno di chi parla. In questo caso la trasformazione interessa Area popolare, che al momento - appunto - è essenzialmente una federazione di partiti (Nuovo centrodestra e Udc) che ha gruppi parlamentari alla Camera e al Senato, ma non ha ancora fatto i passi necessari per trasformarsi essa stessa in partito, anche se dal 2014 più volte i due federati si sono presentati nelle stesse liste (ma sempre con simboli diversi).
Due giorni fa, in ogni caso, alle spalle di Angelino Alfano e delle altre persone impegnate nell'iniziativa di presentazione del disegno di legge sull'utero in affitto come reato universale è apparso un nuovo emblema, che nessuno aveva mai visto prima - non a caso, qualcuno sulla pagina Facebook di Ap, stupito, chiede lumi sul cambio di simbolo - e che di fatto, come confermano dallo staff, è stato adottato come logo dai gruppi di Area popolare alle Camere; a dire il vero, anche il contrassegno precedente - quello a fondo blu scuso sfumato con archetto tricolore - era stato adottato in un silenzio comunicativo pressoché totale a giugno dell'anno scorso. La "riforma grafica" di due giorni fa cambia quasi tutto, tranne due cose: la font del testo (sempre stile Nexa, lo stesso già usato da Ncd) e l'assenza di ogni riferimento davvero palpabile ai partiti che hanno fatto nascere la federazione. Segno, forse, che si sta davvero lavorando per far nascere qualcosa di nuovo, comune e stabile.
Un segno, in realtà, nel simbolo c'è: sullo sfondo blu chiaro, molto simile a quello dell'ultima Democrazia cristiana (quella in technicolor, secondo il restyling dell'agenzia Brandani e Guastalla del 1992) emerge bene il profilo di un cuore giallo, sfumato quasi come se fosse dorato e scintillante. Il riferimento, nemmeno troppo velato, è al Partito popolare europeo, di cui fanno parte tanto Ncd, quanto l'Udc: il disegno non è identico, ma il concetto è esattamente lo stesso e anche le stelline - inevitabile richiamo all'Europa - sono state semplicemente ricollocate nella parte alta-destra del cuore (che nel caso dei popolari europei è occupata dalla prima lettera dell'acronimo), mentre è stato ricostruito il resto del contorno, là dove in Europa stanno le stelle. Lo stesso blu di fondo, del resto, richiama in buona sostanza l'altro colore del Ppe, marcando in pieno il riferimento alla famiglia europea: alle prossime elezioni per il parlamento di Strasburgo, dunque, potrebbe essere sufficiente inserire la sigla del Ppe dentro o vicino al cuore, per rendere chiaro da che parte stia la lista di Area popolare. Sempre che, ovviamente, il simbolo regga così fino ad allora...

venerdì 18 marzo 2016

Simboli fantastici (14): Gattini marò per la Rete, quello di cui avevate bisogno

Nessuno si azzardi mai a dichiarare fuorilegge la fantasia: in politica, a non averne, si finisce a gambe all'aria o, più semplicemente, ci si annoia da morire. Così, di fronte alla notizia di due soggetti politici nascenti per mano di Mario Adinolfi (Il Popolo della Famiglia) e di Francesco Facchinetti (ma lui non vuole sentir chiamare "politica" la sua iniziativa, perché "la politica al giorno d'oggi non risolve le cose ma le peggiora"), si può reagire con perplessità, sconforto o - molto meglio - con uno scatto orgoglioso di creatività. 
Se ne è fatto carico Benito Karimov, nome di battaglia di uno che non ha peli sulla lingua (e se li ha... lasciamolo dire a lui) e che ha un angolo tutto suo sul sito (Non) si sevizia un paperino, "blog d’opinione pensato per turbare gli imbecilli, e soprattutto per dire la nostra sui tristi abusi dell’ignoranza popolare, sulle squallide espressioni di demagogia in JPG, sui fascismi religiosi e sulle le balle medicali e fintoscientifiche che affollano la rete". Una volta compreso che "la moda è lanciare partiti e movimenti a caso partendo da un’idea fumosa ma accattivante e, soprattutto, comprensibile al popolo della rete", il Karimov ci si è buttato a capofitto e, il 3 marzo, ha provveduto lui stesso a lanciare l'idea per un nuovo partito, Gattini Marò per la Rete
Il programma è adeguatamente fumoso e "svariegato" [omaggio dell'autore di questo pezzo a Palmiro Cangini, notabile assessore di Roncofritto che avrebbe avuto cittadinanza assicurata in questo spazio], in bilico tra lo sberleffo e la boutade serissima, ma il simbolo c'è eccome: titolo sufficiente, questo, per un passaggio meritato nella rubrica "Simboli fantastici". Passaggio che consiste in una "intervista deficiente" (colpa dell'intervistatore, mica dell'intervistato) in cui si analizza il contrassegno e quel poco di programma che già c'è: per le interviste serie e i passaggi in televisione, è solo questione di tempo.  


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Karimov, prima domanda d'obbligo: un altro partito? Ce n'era davvero bisogno?
Certo. Perché il nostro è un movimento diverso. Il nostro elettorato è il Popolo dei Probiviri Tuttologi, composto da gente onestissima che ne sa pochissimo ma un po' di tutto, che sono quelli che manderemo in parlamento; il Popolo è aiutato da un team di esperti (ognuno con la sua carica: Esperto di Dire le Cose su Facebook, Esperto di Immigrati Clandestini, Esperto di Liberare i Marò, etc) che sono quelli che diventeranno Ministri una volta che avremo vinto le elezioni.

giovedì 17 marzo 2016

Lettieri a Napoli, una mano per tre simboli

Chi ha a che fare con dei marchi d'impresa e cerca di analizzarli dal punto di vista comunicativo deve familiarizzare presto con il concetto di immagine coordinata: essa si può definire come "uniformità semiotico-visuale", applicabile a ogni ambito della brand identity, che a sua volta è "l'insieme dei codici visuali, testuali, verbali, sonori, olfattivi e tattili che, coerentemente con gli obiettivi strategici, hanno il compito di rendere riconoscibile l'emittente [di un messaggio] e di costruire una memorizzazione differenziale" (le definizioni sono tratte dal libro di Gaetano Grizzanti, Brand Identikit, logo Fausto Lupetti editore, 2014; il volume ha anche un sito, sempre aggiornato, da consultare con interesse). 
Se si pensa di applicare questo concetto di base alla competizione elettorale, diventa abbastanza facile immaginare che i simboli delle liste che fanno parte di una coalizione a sostegno di un candidato, specialmente quando devono essere creati ad hoc e non esistevano già da prima, possano - o debbano - avere un minimo di coerenza grafica, di "uniformità" appunto nei colori, nelle font utilizzate e nella struttura, così da trasmettere un messaggio univoco agli elettori. Probabilmente è quello che aveva in testa anche lo staff di Gianni Lettieri, già presidente provinciale partenopeo dell’Unione degli Industriali e oggi candidato sindaco a Napoli "al di là dei partiti" (per sua stessa dichiarazione, forse per marcare la distanza rispetto alla prima candidatura per il Pdl di cinque anni fa): fin dallo scorso luglio erano chiari i nomi delle formazioni - da lui create negli anni - che avrebbero sostenuto con certezza la sua corsa a sindaco, restava solo da capire quali grafiche sarebbero finire sulle schede.
Ora, i tre simboli - posto che altri potrebbero aggiungere, proprio nei giorni in cui si parla di oltre dieci liste a sostegno della ricandidatura di Luigi De Magistris - sono via via emersi. L'uniformità dei segni risulta sostanzialmente assicurata, ma sembra di poter dire di più: per l'osservatore più o meno esperto, appare quasi certo che la mano che ha disegnato i tre emblemi sia la stessa. Non che questo sia un male, per carità (anzi, probabilmente sarebbe irragionevole prevedere il contrario), il fatto è che per qualcuno la minicarrellata dei simboli di Lettieri sembra suggerire una scarsa dose di originalità, pur riconoscendo un uso corretto e ben dosato dei colori e del "peso visivo" dei vari elementi.
Così, i tre contrassegni sono tutti giocati sul magenta inchiostro (che fa sempre da sfondo alla dicitura "Lettieri sindaco"), sul blu scuro ed, eventualmente, sull'azzurrino sfumato (radiale o lineare) per gli sfondi. A volte il magenta e la marca del candidato prevalgono nettamente, come nel caso di quella che più di altre sembra avere il ruolo di "lista del sindaco", ossia Prima Napoli, con il nome della lista confinato nella parte inferiore, che riprende il profilo del Vesuvio (mentre in alto appare la freccia a linea spezzata utilizzata nel corso della propria campagna personale). Altre volte il colore ha meno spazio, come in Fare città - nome della prima associazione fondata da Lettieri per "attuare iniziative finalizzate al miglioramento della qualità della vita a Napoli" - in cui la tinta si espande per coprire una skyline (che sembra richiamare lo stesso centro di Napoli, ma non è detto) che fa da contorno-base al nome gigantesco. In Giovani in corsa, invece, il magenta ha un ruolo decisamente ancillare (ricorda un po' la lunetta "con Vendola" che si vedeva nel simbolo di Sel) e lascia spazio al nome e a una figura umana molto stilizzata ... forse fin troppo, non essendone immediata la lettura (Emanuele Colazzo, peraltro, rilegge il disegno come il Vesuvio con la luna o il sole e, sotto, il golfo di Napoli, ndb).
Basterà questo schieramento "a tre punte" per convincere gli elettori che quella di Lettieri, omogenea graficamente, sia la proposta politicamente migliore? Quanti napoletani preferiranno invece i simboli non più storici, ma almeno già sperimentati, dei partiti? C'è ancora tempo per scoprirlo: in queste settimane, del resto, la coalizione di Lettieri potrebbe riservare altre sorprese.

mercoledì 16 marzo 2016

Torino, civici anonimi (e accuse di copia) per Fassino

Torino procede a grandi passi verso le elezioni e iniziano a delinearsi più chiaramente le coalizioni a sostegno dei maggiori candidati. L'attenzione, questa volta, è per Piero Fassino, in cerca della riconferma dopo la vittoria del 2011 a capo della coalizione di centrosinistra. In quell'occasione, a ben ricordare, non erano state formate liste civiche propriamente dette, al di là dei Consumatori (che però proprio civici non sembravano), né c'erano "liste del sindaco", come in varie altre città si sono viste da tempo e si preparano anche per il 2016. Stavolta, invece, almeno una lista c'è e si sta già lavorando per formarla, a quanto è dato sapere non senza fatica. 
Segni particolari del progetto, guidato dal consigliere regionale Mario Giaccone e dall'ex Scelta civica (e ora Democrazia solidale) Maurizio Baradello? Guizzi nominali zero, guizzi grafici ancora meno. E non ci si riferisce, ovviamente, a quella del Pd, che schiera nel contrassegno il simbolo del Pd, con la sola indicazione ulteriore "Fassino sindaco" (stesso disegno del 2011, in effetti). Ma proprio alla "lista del sindaco", il cui nome è Lista civica per Fassino. Nient'altro, nessuna caratterizzazione, nessuna invenzione, niente di niente. E anche il piatto grafico piange, decisamente: solo colore piano e testo, niente disegni o costruzioni, niente sfumature o variazioni, assolutamente nulla di ciò. Ne aveva dato testimonianza già un mese fa il sito Lo Spiffero, con il suo consueto linguaggio diretto: 
Neanche il logo ideato (si fa per dire) dai responsabili della comunicazione fa impazzire: pare una scopiazzatura della chiampariniana lista Monviso, con gli stessi colori (rosso mattone) ma senza il Monviso. La scritta “lista civica” su sfondo bianco nella parte superiore “per Fassino” su sfondo rosso in quella inferiore (roba da far esplodere le meningi a chi ci si è dedicato).
Chissà se è tutto ancora così, dopo una manciata di settimane; nel frattempo, lo staff di Fassino si è trovato a dover fronteggiare una piccola grana, non simbolica ma quasi. Perché la scelta dell'hashtag #NoiSiamoTorino, per la sua campagna pre-elettorale, non è andata giù a SiAmo Torino, "un’area politica d’ispirazione liberale nata nel marzo 2015" - scrive sempre Lo Spiffero - per iniziativa di Guglielmo Del Pero, Andrea D’Alessandro, Claudio Bertolotti, Andrea Peinetti, Simone Pia e Fabrizio Labate. Sul suo sito il gruppo ha scritto a chiare lettere il proprio disappunto e ha annunciato una diffida al sindaco:
Era il 5 Marzo 2015.Come nella canzone, "eravamo quattro amici al bar". In realtà sei persone con la voglia di provare. Con la voglia di rischiare, di metterci la faccia.Dopo mesi di riunioni e di discussioni, avevamo chiaro in mente alcuni punti: la nostra città è bella, è abitata da tante belle persone, si merita molto.Purtroppo, da troppi anni, è male amministrata. E' gestita da un manipolo di persone che la soffocano.Molti lo sanno, lo vedono, lo vivono sulla propria pelle.Pochi provano a ribellarsi.Per paura. Per mancanza di tempo. Per timidezza. Per ritrosia tipicamente piemontese.Noi no. Noi abbiamo pubblicato il nostro manifesto, urlando tutta la nostra voglia di cambiare.E da lì siamo cresciuti. Abbiamo scritto comunicati stampa.Abbiamo diffuso le nostre idee sui social.Abbiamo fatto manifestazioni.Abbiamo denunciato il malcostume di chi da troppi anni è sicuro del proprio potere.E qualcuno ha cominciato a seguirci.Ci sono stati momenti emozionanti. Come  quando, in occasione di una manifestazione in piazza Castello, in più di una occasione i passanti sono tornati indietro dopo aver dato un'occhiata di sfuggita solo per dire che avevamo un bel logo.O quando, parlando a persone raggruppate tramite il passa parola, abbiamo ascoltato il loro apprezzamento nel trovare finalmente risposte e visioni diverse rispetto al solito.La prima volta in televisione, chiamati per esprimere le nostre idee, è stato un punto di orgoglio intensamente vissuto.Quando poi si sono avvicinate le elezioni amministrative il lavoro di un anno è stato ulteriormente confermato nella sua bontà dall'essere contattati da quasi tutte le forze politiche per provare a trovare accordi.Certo non avevamo pensato alla sinistra. Neanche alla tristezza. E neanche alla furbizia (!!??) con destrezza, anzi con sinis-tristezza.Eppure avremmo dovuto saperlo. Non si riesce ad imperare per trentacinque anni senza saper utilizzare al meglio ogni briciola di potere.Non si guida una città per trentacinque anni senza avere la capacità di prendere (copiare?) il meglio di ciò che la città propone.Che sia un logo, uno slogan, che siano delle proposte o delle capacità.Se poi sei alla frutta, perché ormai sei ben oltre l'età della pensione;Se sei in difficoltà, perché non sei più in grado di distribuire favori e prebende come prima, visto che il denaro è ormai finito;Se sei sotto pressione, perché ti rendi conto che ... l'alternativa è un'altra e rischi di non essere rieletto, facendo crollare tutto il sistema ultradecennale;forse a quel punto sei disposto a carpire ogni minima potenzialità, e anche un gruppo che si è distinto, come si dice, sul territorio, può essere usato.Certo, dispiace che, con la tipica arroganza del potere incapace, il SiAmoTorino, che esprime con dolcezza una positività, un sentimento di amore verso una città e una comunità, diventi un prepotente NoiSiamoTorino, l'espressione ottusa di un partito che ormai ha perso qualunque aggancio con la realtà.Siamo orgogliosi di quanto fatto fino ad oggi e per questo inviamo oggi stesso una diffida ufficiale al nostro non amato Sindaco e al suo poco fantasioso staff.Ma siamo anche convinti che siano gli ultimi sussulti di un regime morente, che raccoglie a destra e a manca (letteralmente) chiunque sia in grado di dare l'illusione di trascinare la fine un poco più in là.Ma non servirà. Perchè loro NonSonoTorino, mentre noi SiAmoTorino.
La somiglianza, è vero, c'è, almeno verbalmente; è vero che il segno dell'associazione è stato registrato come marchio nel 2015 (depositato a febbraio e accolto a dicembre). E' altrettanto vero, tuttavia, che il concetto identificativo e inclusivo di "noi siamo", magari abbinato all'indicazione di un luogo, è piuttosto generico ed è stato visto in varie altre località (lo stesso "gioco affettivo" del "SiAmo" è apparso in vari simboli, dunque non c'è nulla di troppo proteggibile). In più, la registrazione come marchio tutela giustamente dalle imitazioni di segni distintivi, mentre è più difficile che lo stesso possa valere anche per uno slogan passeggero, specie se di portata generica come si è visto (diverso sarebbe stato il discorso se Fassino o altri avessero creato una lista denominata "Noi siamo Torino"). Di certo, al sindaco uscente dovrebbe costare poco sforzo cambiare l'hashtag (oggettivamente poco originale), piuttosto che rischiare di finire in qualche grana giudiziaria.