venerdì 4 marzo 2016

Adinolfi e il tocco naïf del Popolo della Famiglia

Non ci era sfuggito, tranquilli. Era difficile non accorgersi, in rete, della nascita di un nuovo partito, Il Popolo della Famiglia, voluto da Mario Adinolfi perché - come detto nell'appello uscito ieri sulla Croce a firma sua e di Gianfranco Amato, presidente dei Giuristi per la Vita - "l'Italia ha bisogno dei cattolici". Forse non di quei "sedicenti cattolici, alcuni presenti anche al Circo Massimo a sostegno del Family Day" che hanno votato l'approvazione del "ddl Cirinnà" (ottenuta grazie a una "violenta e a-democratica mozione di fiducia sul maxi-emendamento", dimenticando che non di mozione ma di questione di fiducia si tratta) e hanno consentito che si parlasse di una nuova legge sulle adozioni (anche per le coppie omosessuali), di "divorzio lampo", eutanasia e "droga libera"; il tutto mentre si è parlato continuamente di maternità surrogata e stepchild adoption di conio giudiziario. 
Per Adinolfi c'è, netto, un problema di rappresentanza: non avrebbe rappresentanti in Parlamento "il popolo che si è radunato il 30 gennaio al Circo Massimo", un popolo "assai più vasto persino rispetto a quello visibilmente presente al Family Day" e "composto interamente da figli, figli che non dimenticano il diritto primigenio di ogni figlio, quello di avere una mamma e un papà": solo da qui nascerebbe "un popolo dai valori forti, saldi, per i quali non c’è predisposizione ad alcun compromesso", come quelli che potrebbero estirpare Natale e Pasqua dalle scuole, al pari del Crocifisso, introducendo invece "un corso gender per bambini di cinque anni da turbare nell'aspetto dell’identità sessuale". E, last but not least, un popolo di donne che sono innanzitutto madri, perché "un Paese che non fa più figli, che nel 2015 ha un saldo tra morti e nuovi nati pesantemente a favore dei primi, è un Paese che non ha futuro. E invece il Popolo della Famiglia è un popolo tutto rivolto al futuro".
Per questo Adinolfi e Amato avrebbero scelto di dare voce a quel popolo attraverso "la richiesta di consenso agli italiani", iniziando a lavorare alla "costruzione di liste del Popolo della Famiglia in vista delle amministrative di primavera, presenteremo nostri candidati sindaci in centinaia di città e comuni". Il tutto "con l’aiuto di Dio, con lo sguardo benevolo di Maria Vergine e con il vostro operativo consenso e sostegno", ove il "vostro" è riferito ai potenziali componenti di quel Popolo: per Adinolfi, come per i candidati alle primarie americane, non c'è da vergognarsi a invocare l'aiuto di Dio ("Noi vogliamo indicare una ispirazione ben chiara ed una radice culturale evidente - spiega, intervistato da Zenit - e anche noi non ci vergogniamo di chiedere l’aiuto di Dio. Spero che questo non scandalizzi. Peraltro lo chiedo io, che sono l’ultimo dei peccatori e ne ho più bisogno degli altri").
 Adinolfi non crede che quella del Popolo della Famiglia "sia destinata a diventare l’ennesima 'lista di scopo', che dura il tempo di un’elezione e poi sparisce", così com'era accaduto - ad esempio - con la lista Aborto? No, grazie di Giuliano Ferrara (il nome esatto era Associazione per la difesa della vita), presentata alle elezioni politiche del 2008 e: "Il Popolo della Famiglia - ha spiegato - coglierà l’occasione delle amministrative per una prima strutturazione, per lanciare la rete sul territorio. Poi, cambierà la storia d’Italia". Lo vorrebbe fare, a quanto pare, con un'operazione "capillare", per dare "speranza e futuro a un popolo che non ha nessuna voglia di rassegnarsi ad un’Italia lanciata verso il nulla".
Il simbolo scelto per quest'avventura (nel senso di tentativo ardito) elettorale non è schematico ed essenziale come quello depositato nel 2008 da Ferrara, né sfrutta un'opera d'arte nota come il Tondo Doni di Michelangelo, come fece il gruppo Difesa della Famiglia nello stesso anno, depositando un emblema al Viminale - che lo ammise, nonostante una vistosa croce bianca nella parte bassa - anche se poi le liste non furono presentate. Quello del Popolo della Famiglia (uno dei pochi casi in cui la parola "popolo" è stata utilizzata nel simbolo, al di là del Pdl e del Popolo della Vita, peraltro sempre in area ultracattolica) è invece uno dei simboli più naïf visti negli ultimi anni, con il disegno infantile a pastelli di una famigliola con padre, madre e due bambini (maschietti ovviamente in blu e pantaloni, femminucce in rosa e in gonna/vestito) che si staglia sul fondo blu-viola: in qualche modo emerge, come si leggono bene il nome della lista e il motto "No gender nelle scuole", colorato di una vezzosa tinta rosa.
Volendo risalire a uno degli ultimi esempi di emblemi davvero "fatti a mano", bisognerebbe probabilmente recuperare il contrassegno depositato giusto vent'anni fa dal gruppo politico Crociati d'Italia, con tanto di fondo blu tutto campito a matita colorata, lettere impresse coi Letraset (i "trasferelli") e, al centro, un disegno improbabile e drammaticamente infantile che voleva ricordare Goffredo di Buglione. In questo senso, anche se probabilmente l'elettorato di riferimento poteva essere lo stesso, il simbolo di Adinolfi e compagnia è certamente più curato dal punto di vista grafico (a partire dallo sfondo); certamente la tecnologia disponibile nel 1996, peraltro solo per pochi, è diversa da quella di cui oggi quasi chiunque può disporre. Chi usa pastelli e matite colorate ora, insomma, lo fa per scelta, non più per necessità.

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