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sabato 8 luglio 2017

Msi, la fiamma è di tutti?

Si è parlato ieri del progetto politico elettorale - Alleanza della destra nazionale - cui sta lavorando da alcune settimane il Movimento sociale italiano - Destra nazionale di Gaetano Saya e Maria Antonietta Cannizzaro: si è visto anche come l'uso della storica fiamma tricolore all'interno del contrassegno sarebbe garantito, secondo i dirigenti dello stesso (Nuovo) Msi, dalla sentenza della Corte d'appello di Firenze del 2016 che aveva negato ad An e alla Fondazione An il titolo a impedire al Msi l'uso dei segni distintivi missini. 
Meno fortunata è stata, ma solo in apparenza, un'altra decisione - questa volta un'ordinanza - emessa dal Tribunale di Roma un mese fa, il 7 giugno esattamente, a seguito di un ricorso ex art. 700 del codice di procedura civile presentato a febbraio dallo stesso Msi, per chiedere come provvedimento d'urgenza l'inibizione a Fratelli d'Italia dell'uso della fiamma tricolore (contenuta nel simbolo-"pulce" di An). Il partito di Saya e Cannizzaro l'aveva chiesto proprio in virtù di quella sentenza della Corte d'appello fiorentina che, avendo - a detta del Msi - accertato la dismissione del simbolo da parte di An, rendeva illegittimo l'uso dello stesso emblema da parte di Fdi (che dalla Fondazione An l'aveva ricevuto, prima provvisoriamente e ora in modo più stabile): un uso che, secondo Cannizzaro, oltre a confondere gli elettori, creava un danno economico al suo partito, intenzionato a vendere gadget con il marchio missino. La giudice Cecilia Pratesi ha rigettato la richiesta, anche se le ragioni sono da guardare con attenzione, perché le conseguenze potrebbero essere di non poco conto. 
Da una parte, infatti, la giudice ha negato la confondibilità dei due emblemi, sufficientemente distinti sul piano cromatico (l'azzurro dominante di Fdi e il bianco del Msi) e per la diversa proporzione della fiamma, per cui non vi sarebbe alcun effetto decettivo sul piano merceologico e, secondo chi ha emesso l'ordinanza, anche elettorale, essendo i due simboli "nettamente distinguibili"; dall'altra, nella decisione si è negata anche la lesione dell'identità personale del Msi, poiché - basandosi proprio sulla sentenza fiorentina citata prima - la fiamma sarebbe stata il simbolo di "un patrimonio ideologico ben radicato nella storia politica italiana" e, venuto meno il Msi "storico", "non può essere inibito ad altre entità politiche, figlie della medesima identità ed ispirazione, di richiamare - nel proporsi al pubblico - la simbologia storicamente propria della stessa unica matrice".
Nei giorni successivi sui media il contenuto dell'ordinanza è stato diffuso come riconoscimento della legittimità dell'uso della fiamma fatto da Fratelli d'Italia (ma nel testo dell'ordinanza, che si inserisce in un procedimento a cognizione sommaria, non si valuta la legittimità della ricezione della fiamma dalla Fondazione An) o, addirittura, come riconoscimento dell'esclusiva a beneficio di questo partito (cose che nella decisione proprio non c'è). Leggendo bene il provvedimento, in realtà, le due affermazioni della giudice hanno qualcosa di innovativo e di favorevole al partito di Cannizzaro.
Agli occhi dello studioso, in effetti, è strano che un giudice civile abbia detto che l'uso del simbolo composito di Fratelli d'Italia, rispetto a quello del Msi, non comporta "effetto decettivo" (cioè ingannevole) neanche sul piano elettorale, visto che l'ambito delle elezioni è considerato "speciale" ed è retto da regole specifiche rispetto a quello civile, più ampio, dei titoli di proprietà industriale; eppure, se il tribunale si è sentito di poter e dover dire questo, la sua decisione potrebbe spiegare effetti anche nel procedimento che precede le elezioni.  
Certo, tali conclusioni hanno un peso relativo, essendo contenute in un'ordinanza ex art. 700 c.p.c.; se però fossero confermate nel giudizio di merito conterebbero di più. Il valore aumenterebbe se diventasse definitiva la sentenza della Corte d'appello di Firenze del 2016, su cui la decisione del tribunale di Roma si basa nel riconoscere il diritto di chiunque si ritenga "erede politico" di un partito a reinterpretare il simbolo originale di questo, purché non si confonda con gli altri eredi. Il punto debole dell'ordinanza è l'accettazione acritica della tesi alla base della sentenza fiorentina, in contrasto con quanto deciso fino ad allora sulle scissioni seguite a una virata ideologica in un partito (prima sulla lite tra la futura Rifondazione comunista e il Pds e poi proprio sul Msi di Rauti, non ancora Fiamma tricolore, contro An): solo chi resta nel partito - anche se ha cambiato idee, nome e simbolo - mantiene i diritti sui segni del passato, a differenza di scissionisti e altri emuli. Detto questo, è vero che dagli eventi di Fiuggi del 1995 - e dal presunto abbandono del vecchio simbolo, anche se per chi scrive reale abbandono non fu - sono passati oltre vent'anni: sebbene Fratelli d'Italia abbia ricevuto in uso il simbolo di An dalla fondazione, sembra difficile continuare a privare un gruppo che voglia seguire gli ideali missini della possibilità di avere un simbolo molto vicino a quello storico (tanto più che An, specie alla fine della sua storia, fu cosa molto diversa rispetto al Msi). 
"Quelli di Fratelli d'Italia - precisa Candida Pittoritto, portavoce del Msi - si sono incastrati con le loro mani. Giusto poche settimane prima, quando avevamo fatto ricorso contro l'esclusione delle nostre liste alle elezioni comunali di Verona e Lecce, loro avevano sostenuto la tesi della confondibilità del simbolo; davanti al tribunale di Roma, invece, hanno negato che gli emblemi di Msi e Fdi fossero confondibili, puntando tra l'altro sulla protezione che darebbe loro la rappresentanza parlamentare e sul loro disinteresse per la vendita di gadget con quel marchio che noi abbiamo registrato. A questo punto, la decisione del giudice ci mette in condizione di utilizzare senza problemi in ambito elettorale il simbolo, proprio perché è stato ritenuto non confondibile; io stessa, del resto, mi sono candidata a sindaco a Cerveteri col simbolo del Msi, in una delle coalizioni c'era anche Fratelli d'Italia e i due simboli hanno convissuto sulla scheda".
Lo scontro, c'è da giurarci, è ben lontano dall'essere risolto. Anche perché, al di là dell'aspetto elettorale, c'è quello dell'uso del marchio e nemmeno su questo il Msi intende demordere: "Visto che poi non è stato messo in discussione il nostro diritto sul marchio - continua Pittoritto - dai vertici del Msi partirà presto una denuncia-diffida a Fratelli d'Italia, perché loro non possono utilizzare la fiamma per farne gadget, nemmeno le bandiere, dunque saranno chiesti i danni. In sede di elezioni politiche, poi, non solo ci presenteremo al Viminale con il nostro simbolo, a questo punto legittimato, ma attraverso quest'ordinanza ci opporremo all'uso delle bandiere di Fdi in campagna elettorale". Se il ministero accetterà questo punto di vista, ora non è dato sapere; per conoscere il finale della storia, comunque, basterà aspettare qualche mese. Il tempo di finire la legislatura, sciogliere le Camere, mettersi in fila e depositare i simboli. 

venerdì 7 luglio 2017

Alleanza per la destra nazionale, un progetto targato Msi

No, non chiedete a loro se "la Fiamma è spenta o è accesa", come faceva dire a Lucio Battisti il venerato maestro Mogol. Non chiedeteglielo perché la risposta la sapete già: la Fiamma, con la maiuscola, è accesissima per loro. Per "loro" s'intendono i militanti del Movimento sociale italiano - Destra nazionale, noti anche come Nuovo Msi, anche se quell'aggettivo forse non piace proprio a tutti: loro sentono, in fondo, di essere quel Msi, in diretta discendenza politica (anche se formalmente e giuridicamente l'hanno dovuto rifondare poco più di dieci anni fa, l'8 dicembre 2005).
E come il Msi del passato volle poter incarnare la destra più di ogni altro soggetto politico, quello di oggi - fondato da Gaetano Saya e oggi guidato da Maria Antonietta Cannizzaro - vorrebbe essere il motore di una nuova aggregazione politica, aperta a tutti i soggetti che si riconoscono nell'ideologia e nel programma della destra missina "repubblicana, democratica, conservatrice". 

Un simbolo inequivocabile

Il nome e il simbolo con cui il progetto politico vorrebbe distinguersi circolano da alcuni giorni in Rete, soprattutto su Facebook, e non possono passare inosservati: la denominazione scelta sarebbe Alleanza per la Destra Nazionale - Partito unico della Destra; la seconda parte del nome è quasi invisibile sull'emblema, mentre la prima è composta in modo tale che della scritta - gialla su fondo blu - si legga essenzialmente "Alleanza nazionale"; il tutto è sormontato, manco a dirlo, dal simbolo del Nuovo Msi, dunque dalla fiamma tricolore con base trapezoidale nera (e l'effigie bianca "Nuovo Msi" sopra) e la dicitura "Destra nazionale" intorno.
"Questo simbolo - spiega la portavoce nazionale del Msi Candida Pittoritto - è stato registrato nel 2005 e lo stiamo per aggregare persone e partiti intorno a un'idea. Ogni partito, naturalmente, rimane con il proprio statuto, la propria organizzazione, i propri bilanci: l'emblema si pone di fatto come un contenitore di partiti che vorremmo presentare alle prossime elezioni. Qualcuno ha già aderito a questa proposta, altri potranno unirsi successivamente: ci sarà tempo per comunicare chi ha scelto di far parte del progetto".
In effetti nella banca dati dei marchi non risulta la richiesta di registrazione di quel segno distintivo - mentre si trova, invece, il simbolo del Nuovo Msi (senza l'aggettivo però), registrato come marchio il 14 dicembre 2011 a nome del partito - per cui è probabile che il deposito di cui parla la portavoce sia come opera dell'ingegno, dunque sul fronte del diritto d'autore. Posto che colpisce il fatto che sul simbolo domini la scritta "Alleanza nazionale" (visto che rimanda a una scelta, a una svolta politica per la quale i rifondatori del Msi hanno avuto parole tutt'altro che positive), una cosa è certa: se sarà davvero utilizzato in sede elettorale, quell'emblema avrà vita tutt'altro che facile

Problemi all'orizzonte

Difficilmente le commissioni elettorali e - soprattutto - i funzionari del Viminale accetteranno la presenza di un emblema con la scritta "Alleanza nazionale" in evidenza e la presenza della fiamma: la Fondazione An si opporrebbe di certo e probabilmente lo farebbe anche Fratelli d'Italia, che con quegli elementi testuali e grafici opera anche in Parlamento dal 2014 (ammesso, naturalmente, che voglia mantenere al suo interno l'emblema che fu del partito di Fini).
Questo, tuttavia, non ferma per niente il Msi, che anzi si fa forte della sentenza della Corte d'appello di Firenze che, a febbraio del 2016, aveva sostenuto che An non avrebbe potuto impedire al Nuovo Msi l'uso di nome e fiamma perché nel frattempo erano stati dismessi (e addirittura il simbolo che conteneva la fiamma è stato poi ceduto alla Fondazione An, quando per i giudici il diritto al nome era indisponibile) e comunque chi si richiamava allo stesso filone ideologico doveva poter usare i segni distintivi a esso collegati. Quando mi sono occupato di quella sentenza sul mio sito, avevo espresso molti dubbi sulla correttezza della decisione e qui non posso che ribadirli, rimandando all'articolo; resta il fatto, però, che quella sentenza c'è e non è possibile far finta che non ci sia, non tenendone conto.
Ovviamente, però, la decisione non è ancora definitiva e il verdetto potrebbe cambiare segno. Era improbabile che Alleanza nazionale, sia come associazione in liquidazione sia come fondazione, accettasse l'esito di quel grado di giudizio e infatti ha presentato ricorso in Cassazione ("Ma lo hanno fatto in ritardo - sostiene Pittoritto - per cui il loro ricorso verrà rigettato, anche se non è ancora stata fissata l'udienza"). Quella vicenda in ogni caso non ferma il progetto verso l'Alleanza per la destra nazionale e la fiamma del vecchio (e nuovo) Msi potrebbe restare ben piantata sul simbolo, anche per altri sviluppi giudiziari che si sono avuti nel frattempo. Ma di questo è bene parlare a parte.

sabato 28 maggio 2016

Il Msi querela Fratelli d'Italia: "Sequestrate tutti i simboli"

Si è già citata qui la massima del venerato maestro Vujadin Boškov, "partita finisce quando arbitro fischia". Ora, la partita per individuare i partecipanti alle elezioni comunali è già finita da tempo, anche se l'arbitro ha dovuto fischiare più volte: a Torino, per dire, i fischi sono stati tre (alla scadenza dei termini concessi dalla commissione elettorale, dopo le sentenze del Tar e dopo quelle del Consiglio di Stato), dovendo sorteggiare ogni volta la posizione di candidati e liste. Per qualcuno, però, serve un altro fischio: ne è certo Gaetano Saya, fondatore del "suo" Movimento sociale italiano, ora presieduto dalla moglie Maria Antonietta Cannizzaro. Ieri, infatti, è stata depositata alla Procura della Repubblica di Torino una sua denuncia-querela nei confronti di Giorgia Meloni e dei legali rappresentanti torinesi di Fratelli d'Italia, nonché di Franco Mugnai come presidente della Fondazione Alleanza nazionale: per Saya, questi soggetti sarebbero responsabili di varie violazioni penali delle norme sul diritto d'autore e di altri reati quali "appropriazione indebita, truffa, contraffazione, alterazione o uso" di segni distintivi.
La vicenda, manco a dirlo, nasce dal tormentato percorso verso le elezioni della lista del Msi presentata a Torino: prima bocciata (due volte) dalla commissione elettorale, poi riammessa dal Tar e infine riesclusa dal Consiglio di Stato (su ricorso di Fratelli d'Italia) per il ben noto problema dell'uso indebito della fiamma tricolore, già utilizzata da un partito presente in Parlamento. Già all'indomani della decisione dei giudici di Palazzo Spada, i vertiti del partito avevano annunciato sul sito www.destranazionale.org ben tre azioni, una contro quegli stessi giudici (per una serie di reati che avrebbero viziato la decisione con cui la lista è stata esclusa), una seconda volta ad accertare la situazione del patrimonio che fu del Msi "storico" e una terza, appunto, contro i rappresentanti di Fdi e della Fondazione An: al momento si ha notizia solo di quest'ultima.
Dopo l'esito sfavorevole del processo davanti ai giudici amministrativi, era lecito pensare che il Msi avrebbe tentato di rivolgersi ai giudici civili in via cautelare e d'urgenza, ex art. 700 del codice di procedura civile, per chiedere che a Fratelli d'Italia fosse inibito l'uso della fiamma tricolore proprio in vista delle elezioni. La via scelta dall'ufficio legale del movimento, invece, è quella della denuncia penale, relativa alle ipotesi di violazione del diritto d'autore: il 10 febbraio 2006, infatti, è stato accettato il deposito a nome dello stesso Saya dell'opera denominata "Parallelepipedo con fiamma tricolore" e che altro non è che il simbolo del Msi, comprendente anche la dicitura "Destra nazionale" all'interno di un cerchio; l'anno dopo il disegno è stato registrato come opera figurativa. Lo stesso segno, poi, nel 2011 è stato registrato come marchio per la classe 45 ( servizi giuridici, servizi sociali e personali)
Utilizzando il simbolo di An - con la fiammella tricolore - nel proprio emblema e contrassegno elettorale, secondo Saya Fratelli d'Italia violerebbe il suo diritto d'autore (poiché utilizzerebbe la fiamma senza il suo permesso, modificando tra l'altro l'emblema rispetto a quello depositato e senza indicarlo come autore) e commetterebbe anche una serie di altri reati, relativi allo stesso disegno visto anche come marchio; evidentemente le stesse accuse sono rivolte anche verso la Fondazione An, in quanto prima utilizzatrice del simbolo e come soggetto che ne ha concesso l'uso (indebitamente, per Saya) a Fdi. Oltre alle indagini sui reati denunciati, Saya ha chiesto anche che il simbolo di Fratelli d'Italia sia sequestrato e confiscato in modo "immediato e urgente" in tutta l'Italia, a partire da Torino, con tanto di pubblicazione della sentenza sui giornali, per dare alla decisione la massima pubblicità possibile. 
Ora, è chiaro l'intento del Msi di impedire in ogni maniera l'uso del simbolo a Fdi a ridosso delle elezioni, soprattutto dopo l'esclusione del candidato missino Salerno a Torino. E' lecito dubitare, tuttavia, che l'iniziativa presa possa avere qualche effetto pratico. Tanto per cominciare, avere scelto come strada la denuncia-querela, visti i tempi della giustizia penale, rende di per sé ben difficile che la magistratura possa intervenire in pochi giorni, prima che si vada a votare (non si può mai sapere, comunque...); confiscare il simbolo, peraltro, sarebbe poco utile, dal momento che ormai tutti i documenti sono stati presentati e il contrassegno di Fdi è già stato stampato (o è in via di stampa) su milioni di schede sparse per tutta l'Italia.
In più, come si è già detto, per la legge uso ordinario di un segno e uso elettorale dello stesso sono due fattispecie del tutto diverse, che rispondono a norme diverse: la normativa elettorale, in particolare, si pone come "legge speciale" rispetto a quella dei segni distintivi (e come cosa distinta rispetto al diritto d'autore). Da ultimo, non si può non osservare che, in base ai documenti in nostro possesso, Saya ha depositato come opera non il segno della fiamma tricolore - a dispetto del titolo, che peraltro parla di "parallelepipedo", quando c'è invece un trapezio - ma l'intero suo simbolo, indicando peraltro come data di "produzione o messa in commercio" il 1° dicembre 2003. E' vero dunque che lui ha depositato come opera figurativa quel segno e come tale andrebbe tutelato, ma in questo caso sembra difficile che la tutela possa riguardare anche la fiamma tricolore in sé e per sé: Fratelli d'Italia non usa l'emblema del Msi di Saya, ma il simbolo che fu di Alleanza nazionale, concepito da Massimo Arlechino all'inizio del 1994 - ben prima del 2003, dunque - e utilizzato fino al 2009 (anno della messa in liquidazione di An). 
E' poi appena il caso di ricordare che, ferma restando la registrazione dell'opera a firma di Saya, questa contiene un emblema che, in quella forma, esiste almeno dal 1958 (e, sia pure con un disegno leggermente diverso era già presente alle elezioni di Roma del 1947 e alle prime elezioni politiche del 1948). A maggior ragione, dunque, è difficile pensare che la denuncia di Saya possa portare a qualche incriminazione per l'uso da parte di terzi (Fratelli d'Italia e Fondazione An) di un emblema che esisteva, nel suo nucleo principale, ben prima rispetto alla data di "produzione"; il denunciante avrebbe avuto (anche in sede civile) più margini di ragione se Fdi avesse utilizzato nel contrassegno proprio il suo simbolo, con tanto di scritte e dettagli grafici identici (compresa la fattura della sigla M.S.I., con tutti i punti). Difficile dunque attendersi novità clamorose nei prossimi giorni, che però non si possono escludere completamente: la sentenza di corte d'appello di Firenze di pochi mesi fa e quella del Tar Torino di poche settimane fa, pur inattese in punto di diritto, sono arrivate comunque, dunque non resta che aspettare...

sabato 5 marzo 2016

Fiamma tricolore, per i giudici è del Nuovo Msi?

Marchio registrato dal Nuovo Msi 
La notizia l'ha sparata ieri Il Tempo, non in prima pagina ma dedicando ad essa gran parte della pagina 7: il Nuovo Msi si riprende la Fiamma Tricolore. Verrebbe la tentazione di togliere le maiuscole, visto che non ci si riferisce al partito che nel 1995 fu costituito da Pino Rauti (e attualmente è guidato, dopo varie vicissitudini, da Attilio Carelli), ma proprio al simbolo della fiamma tricolore, che dal 1946 è stato l'elemento grafico caratteristico del Movimento sociale italiano fondato da Giorgio Almirante e, dopo il congresso di Fiuggi del gennaio 1995, è stato inglobato nel contrassegno di Alleanza nazionale, nuova denominazione del Msi. 
Il Nuovo Msi di cui parla l'articolo scritto da Antonio Angeli per Il Tempo, invece, è quello fondato negli anni 2000 da Gaetano Saya e oggi guidato da Maria Antonietta Cannizzaro, che almeno dal 2006 cerca di presentare candidature con il simbolo storico (giusto con minime varianti grafiche, ad esempio nel colore della base trapezoidale): qualche volta l'operazione è riuscita alle elezioni comunali e, in passato, provinciali; è sempre andata male, invece, alle elezioni politiche, perché il Ministero dell'interno e l'Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Corte di cassazione hanno ritenuto che l'emblema fosse confondibile con quello contenuto nel contrassegno di Alleanza nazionale, anche quando quel partito ormai non era presente in Parlamento (l'ultima decisione era del 2013).
Alla base della pagina del Tempo c'è una sentenza della Corte d'appello di Firenze, depositata il 25 febbraio: si tratta di una decisione di secondo grado relativa a una causa iniziata nel 2006 da Alleanza nazionale - allora pienamente operante - contro il Nuovo Msi - Destra nazionale di Saya, davanti al tribunale di Firenze (la sede era in quella città). Il partito di Fini aveva chiesto di inibire l'uso del nome, della sigla e della fiammella al Nuovo Msi e ai suoi dirigenti, rivendicando la titolarità esclusiva di quei segni identificativi; il tribunale, prima in sede cautelare (in due ordinanze successive) nel 2006, poi con la sentenza di primo grado nel 2008, aveva accolto le richieste di An, riconoscendo a quella formazione politica il diritto esclusivo su denominazione, sigla e simbolo.
Ovviamente il Nuovo Msi ha impugnato quella sentenza, a sé quasi interamente sfavorevole (salvo che nella parte che non la condannava ad alcun risarcimento); nel frattempo, però, Alleanza nazionale aveva celebrato il suo ultimo congresso, sancendo nel 2009 la propria confluenza nel Popolo della libertà, e si era trasformata in semplice associazione politica, poi posta in liquidazione. Alla fine del 2011, poi, era nata con atto notarile la Fondazione Alleanza nazionale, alla quale il partito aveva devoluto la titolarità di tutti i propri beni, compreso il simbolo: per questo, nel giudizio di secondo grado si era costituita l'associazione An in liquidazione (ancora esistente), ma era intervenuta pure la fondazione, sostenendo le stesse ragioni dell'ex partito. I giudici, questa volta, hanno dato torto ad Alleanza nazionale e alla Fondazione An, condannandole al pagamento di tutte le (cospicue) spese processuali. Come mai e cosa significa questo?

venerdì 11 gennaio 2013

Primi tarocchi in vetrina

Ce ne fosse stato bisogno, ora si capisce il motivo di varie scazzottate o diverbi all'entrata del Ministero dell'interno: nella bacheca che contiene i simboli già depositati (il portone si è aperto alle 8 di stamattina) sono già apparse almeno due copie, piuttosto smaccate. Stando alle prime foto che lo staff di Beppe Grillo ha messo in rete, il posto numero 2 se l'è aggiudicato un "Movimento 5 Stelle - M5S", il cui contrassegno è pressoché una copia carbone del vero Movimento 5 Stelle: a distinguerli, soltanto le diverse proporzioni della parola "Movimento" (anche rispetto alla V rossa) e l'assenza, nel simbolo "clone", della dicitura "Beppegrillo.it" alla base del cerchio.
Subito dopo, c'è un simbolo che sembra quello di Rivoluzione civile. Già, perché manca il nome di Ingroia, presente invece nell'emblema presentato alla stampa. Dopo ancora c'è il "Partito pirata", o meglio, quello di cui è portavoce Marco Marsili (gli altri pirati, quelli originali, di Athos Gualazzi & co., non saranno contenti), poi c'è il Msi-Dn (quasi certamente è quello di Gaetano Saya); i veri "grillini" sono solo sesti.
Il Viminale, ora è chiarissimo, avrà di che lavorare. Molto. E penso che mai come questa volta si farà uso dell'articolo 14, comma 5 (o 3-ter) del decreto legislativo n. 361/1957 (Testo unico per l'elezione della Camera dei deputati), che vieta la presentazione di un contrassegno "con il solo scopo di precluderne surrettiziamente l'uso ad altri soggetti politici interessati a farvi ricorso". Vale certamente per il "tarocco" 5 Stelle, se non altro perché il simbolo originale è già stato presentato in altre consultazioni elettorali e quindi è più facile da proteggere. Un po' meno semplice è la strada per la "vera" Rivoluzione civile, che però potrebbe appellarsi al precedente significativo del "caso Dini", di cui ho già parlato in questo blog. 
Ancora più delicata la "partita pirata", considerando che il Partito pirata "ufficiale" ha avuto due pronunce giudiziarie a suo favore, ma i pirati di Marsili hanno partecipato con un contrassegno molto simile ad alcune elezioni amministrative l'anno scorso: è probabile che il contrassegno non salti del tutto, ma la censura sia limitata alla denominazione e all'uso della bandiera nera. Quanto a Saya, tutto dipenderà da altre fiamme che saranno eventualmente presenti in seguito: lui potrebbe farsi forza del "chi prima arriva, meglio alloggia", ma come andrà a finire, lo si vedrà solo dopo.

giovedì 10 gennaio 2013

In fila per la democrazia

Non potendo raccontare in diretta la fila che in queste ore, anche sotto la pioggia, si sta dipanando davanti al Ministero dell'Interno, mi sembra giusto almeno ricordare le file degli anni precedenti. Il tutto soprattutto grazie a un testimone di eccezione, Mirella Cece.

Centinaia di ore, una dopo l’altra. Anche di notte. A turno, se si riesce, altrimenti quelle ore vanno macinate da soli, finché si regge. Uno sforzo massacrante, alla fine dei conti, ma per la democrazia – e per non farsi fregare – c’è chi fa questo e altro. Sembra semplice, mettersi in fila davanti all’ingresso del Ministero dell’interno per depositare il proprio simbolo con cui si vuole partecipare alle elezioni; anche per rinnovare le amministrazioni di comuni e regioni si fa la coda, davanti ai municipi o agli uffici giudiziari, ma non è nulla in confronto alle scene che si vedono per la presentazione degli emblemi per le elezioni politiche ed europee.
Dice la legge elettorale che i contrassegni si depositano «non prima delle ore 8 del 44° e non oltre le ore 16 del 42° giorno antecedente quello della votazione», ma i veri presentatori pattugliano il Viminale da giorni. Una volta lo facevano per assicurarsi il primo posto sulla scheda – non a caso, la falce e martello del Pci era quasi sempre «in alto a sinistra», almeno prima delle puntuali scazzottate con i radicali dalla metà degli anni ’70 – ma dal 1991 in poi l’ordine dei simboli sulle schede è determinato con sorteggio. Per il primo posto, però, si continua a litigare. Chi ha paura di farsi copiare è disposto a fare la fila di giorno e di notte pur di essere tra i primi a entrare; chi ha intenzioni provocatorie e vuole depositare qualche simbolo “furbetto”, anche.
In quei giorni, pochi o tanti che siano, fare la fila davanti al Ministero, tra le transenne che vengono predisposte per dare un minimo di ordine agli aspiranti depositari, è quasi un lavoro. A volte perfino pagato (in nero ovviamente): c’è chi se li ricorda ancora, i 10 euro pagati ad alcuni rom per ogni ora che nel 2008 avevano passato davanti al Viminale – lo riportava Repubblica – per dieci, forse dodici giorni, un conto piuttosto salato, alla fine. Salato ma necessario, se si vuole ottenere il risultato: se non si trova qualcuno che faccia la fila al proprio posto, è praticamente impossibile muoversi: giusto venti minuti, mezz’oretta al massimo ogni tanto, per mangiare qualcosa e trovare un bagno. Di entrare nel corridoio del Ministero, prima che scatti l’orario di apertura del deposito, non se ne parla; di notte, anche nei due-tre giorni dedicati alla presentazione, nemmeno. Uno dei pochi bar in zona Viminale chiude a mezzanotte e non riapre prima delle sei: hai voglia a cercare un gabinetto, a quell’ora.

domenica 6 gennaio 2013

Quando la lite si inFiamma - Il 2006

Sembra un anno calmo, il 2006, per i due maggiori contendenti della fiammella tricolore di Almirante: alle elezioni poliriche di quell'anno, infatti, non fanno registrare particolari schermaglie, se non quelle strettamente politiche. Alleanza nazionale continua a usare il suo simbolo ormai consolidato, anche se sceglie di indicare nel contrassegno pure il nome di Gianfranco Fini (per come è scritto, lo vedrebbe anche un ipovedente): è entrata in vigore la nuova legge elettorale, il Porcellum, e il leader della Casa delle libertà è Berlusconi, ma Fini e Casini sperano di prenderne il posto, dovessero ottenere dagli elettori più voti di Forza Italia. 
Il Movimento sociale Fiamma tricolore di Romagnoli, invece, decide di presentarsi da solo, dopo alcune esperienze precedenti nel cartello elettorale di Alessandra Mussolini "Alternativa sociale", insieme a Forza Nuova, al Fronte sociale nazionale  e alla lista della stessa Mussolini, Libertà di Azione). Questa volta, il partito non prova nemmeno a utilizzare la fiamma tradizionale o, comunque, il simbolo del 1999: si accontenta di depositare la fiammella battezzata tra il 2002 e il 2004, la goccia-fiamma con le parti colorate dai bordi seghettati. Il Ministero dell'interno, naturalmente, non ha problemi ad accettare l'emblema e l'ammissione fila liscia, come auspicato.
Le due versioni del simbolo del Mis ricusate
Tutto tranquillo dunque? Nemmeno per sogno. Innanzitutto prova a ripresentarsi Pino Rauti, con il suo Movimento Idea Sociale: abbandonato il simbolo che alle europee del 2004 gli era toccato spennarellare perché fosse accettato, tenta di presentare addirittura due versioni dell'emblema, con due soggetti diversi. In uno c'è scritto "Lista Rauti" e nell'altro no, ma in sostanza si tratta sempre di una fiamma stilizzata, con una sagometta dell'Italia nel mezzo; nella parte superiore del cerchio c'è la denominazione maiuscola del partito (e il termine "Idea" è scritto più piccolo, in un caso molto più piccolo, chissà perché), alla base della simil-fiamma c'è ancora il trapezio con la scritta "M.I.S", oro su fondo nero o nero su fondo bianco
I due simboli del Mis ammessi
Il Viminale li fa saltare entrambi: troppo confondibili con altre fiamme, non vanno bene. Rauti almeno un po' si rassegna: un simbolo pone la denominazione su una corona blu, riporta "Idea" a grandezza naturale, toglie le seghettature all'elemento tricolore e cancella con una toppa blu la scritta nel trapezio; l'altro emblema è completamente diverso e, i pochi che in Puglia possono vederlo sulle schede, trovano semplicemente la scritta gialla "Lista Rauti" su fondo blu e, su un tricolore piuttosto incerto e statico, la dicitura "per l'Italia".
I simboli del Nuovo Msi di Saya (ricusato e ammesso)
Chi non è rassegnato per niente, anche perché è alla prima partecipazione elettorale importante, è Gaetano Saya, che nel 2001 aveva già presentato alle elezioni politiche l'emblema del suo partito Destra nazionale (fondato un anno prima), ma che questa volta tenta un colpo più grosso. Tra il 2003 e il 2005, infatti, Saya sostiene di aver "rifondato" (la formula giuridica non è chiarissima) il Msi e alle prime elezioni politiche ne deposita il simbolo, con la vecchia fiamma, la base trapezoidale rossa con scritta bianca (uniche differenze, la parola "Nuovo" prima della sigla e il punto inserito anche dopo l'ultima "I") e persino la ® accanto alla dicitura "Destra nazionale" (in effetti il marchio, in bianco e nero, è depositato all'Ufficio italiano brevetti e marchi dal 2003, ma la registrazione non risulta mai avvenuta). Registrato o no, i funzionari del Ministero bocciano comunque il simbolo: Saya ripiega sull'emblema di cinque anni prima, ma non sembra aver deposto le proprie intenzioni. Tornerà, alla prima occasione utile.