sabato 28 maggio 2016

Il Msi querela Fratelli d'Italia: "Sequestrate tutti i simboli"

Si è già citata qui la massima del venerato maestro Vujadin Boškov, "partita finisce quando arbitro fischia". Ora, la partita per individuare i partecipanti alle elezioni comunali è già finita da tempo, anche se l'arbitro ha dovuto fischiare più volte: a Torino, per dire, i fischi sono stati tre (alla scadenza dei termini concessi dalla commissione elettorale, dopo le sentenze del Tar e dopo quelle del Consiglio di Stato), dovendo sorteggiare ogni volta la posizione di candidati e liste. Per qualcuno, però, serve un altro fischio: ne è certo Gaetano Saya, fondatore del "suo" Movimento sociale italiano, ora presieduto dalla moglie Maria Antonietta Cannizzaro. Ieri, infatti, è stata depositata alla Procura della Repubblica di Torino una sua denuncia-querela nei confronti di Giorgia Meloni e dei legali rappresentanti torinesi di Fratelli d'Italia, nonché di Franco Mugnai come presidente della Fondazione Alleanza nazionale: per Saya, questi soggetti sarebbero responsabili di varie violazioni penali delle norme sul diritto d'autore e di altri reati quali "appropriazione indebita, truffa, contraffazione, alterazione o uso" di segni distintivi.
La vicenda, manco a dirlo, nasce dal tormentato percorso verso le elezioni della lista del Msi presentata a Torino: prima bocciata (due volte) dalla commissione elettorale, poi riammessa dal Tar e infine riesclusa dal Consiglio di Stato (su ricorso di Fratelli d'Italia) per il ben noto problema dell'uso indebito della fiamma tricolore, già utilizzata da un partito presente in Parlamento. Già all'indomani della decisione dei giudici di Palazzo Spada, i vertiti del partito avevano annunciato sul sito www.destranazionale.org ben tre azioni, una contro quegli stessi giudici (per una serie di reati che avrebbero viziato la decisione con cui la lista è stata esclusa), una seconda volta ad accertare la situazione del patrimonio che fu del Msi "storico" e una terza, appunto, contro i rappresentanti di Fdi e della Fondazione An: al momento si ha notizia solo di quest'ultima.
Dopo l'esito sfavorevole del processo davanti ai giudici amministrativi, era lecito pensare che il Msi avrebbe tentato di rivolgersi ai giudici civili in via cautelare e d'urgenza, ex art. 700 del codice di procedura civile, per chiedere che a Fratelli d'Italia fosse inibito l'uso della fiamma tricolore proprio in vista delle elezioni. La via scelta dall'ufficio legale del movimento, invece, è quella della denuncia penale, relativa alle ipotesi di violazione del diritto d'autore: il 10 febbraio 2006, infatti, è stato accettato il deposito a nome dello stesso Saya dell'opera denominata "Parallelepipedo con fiamma tricolore" e che altro non è che il simbolo del Msi, comprendente anche la dicitura "Destra nazionale" all'interno di un cerchio; l'anno dopo il disegno è stato registrato come opera figurativa. Lo stesso segno, poi, nel 2011 è stato registrato come marchio per la classe 45 ( servizi giuridici, servizi sociali e personali)
Utilizzando il simbolo di An - con la fiammella tricolore - nel proprio emblema e contrassegno elettorale, secondo Saya Fratelli d'Italia violerebbe il suo diritto d'autore (poiché utilizzerebbe la fiamma senza il suo permesso, modificando tra l'altro l'emblema rispetto a quello depositato e senza indicarlo come autore) e commetterebbe anche una serie di altri reati, relativi allo stesso disegno visto anche come marchio; evidentemente le stesse accuse sono rivolte anche verso la Fondazione An, in quanto prima utilizzatrice del simbolo e come soggetto che ne ha concesso l'uso (indebitamente, per Saya) a Fdi. Oltre alle indagini sui reati denunciati, Saya ha chiesto anche che il simbolo di Fratelli d'Italia sia sequestrato e confiscato in modo "immediato e urgente" in tutta l'Italia, a partire da Torino, con tanto di pubblicazione della sentenza sui giornali, per dare alla decisione la massima pubblicità possibile. 
Ora, è chiaro l'intento del Msi di impedire in ogni maniera l'uso del simbolo a Fdi a ridosso delle elezioni, soprattutto dopo l'esclusione del candidato missino Salerno a Torino. E' lecito dubitare, tuttavia, che l'iniziativa presa possa avere qualche effetto pratico. Tanto per cominciare, avere scelto come strada la denuncia-querela, visti i tempi della giustizia penale, rende di per sé ben difficile che la magistratura possa intervenire in pochi giorni, prima che si vada a votare (non si può mai sapere, comunque...); confiscare il simbolo, peraltro, sarebbe poco utile, dal momento che ormai tutti i documenti sono stati presentati e il contrassegno di Fdi è già stato stampato (o è in via di stampa) su milioni di schede sparse per tutta l'Italia.
In più, come si è già detto, per la legge uso ordinario di un segno e uso elettorale dello stesso sono due fattispecie del tutto diverse, che rispondono a norme diverse: la normativa elettorale, in particolare, si pone come "legge speciale" rispetto a quella dei segni distintivi (e come cosa distinta rispetto al diritto d'autore). Da ultimo, non si può non osservare che, in base ai documenti in nostro possesso, Saya ha depositato come opera non il segno della fiamma tricolore - a dispetto del titolo, che peraltro parla di "parallelepipedo", quando c'è invece un trapezio - ma l'intero suo simbolo, indicando peraltro come data di "produzione o messa in commercio" il 1° dicembre 2003. E' vero dunque che lui ha depositato come opera figurativa quel segno e come tale andrebbe tutelato, ma in questo caso sembra difficile che la tutela possa riguardare anche la fiamma tricolore in sé e per sé: Fratelli d'Italia non usa l'emblema del Msi di Saya, ma il simbolo che fu di Alleanza nazionale, concepito da Massimo Arlechino all'inizio del 1994 - ben prima del 2003, dunque - e utilizzato fino al 2009 (anno della messa in liquidazione di An). 
E' poi appena il caso di ricordare che, ferma restando la registrazione dell'opera a firma di Saya, questa contiene un emblema che, in quella forma, esiste almeno dal 1958 (e, sia pure con un disegno leggermente diverso era già presente alle elezioni di Roma del 1947 e alle prime elezioni politiche del 1948). A maggior ragione, dunque, è difficile pensare che la denuncia di Saya possa portare a qualche incriminazione per l'uso da parte di terzi (Fratelli d'Italia e Fondazione An) di un emblema che esisteva, nel suo nucleo principale, ben prima rispetto alla data di "produzione"; il denunciante avrebbe avuto (anche in sede civile) più margini di ragione se Fdi avesse utilizzato nel contrassegno proprio il suo simbolo, con tanto di scritte e dettagli grafici identici (compresa la fattura della sigla M.S.I., con tutti i punti). Difficile dunque attendersi novità clamorose nei prossimi giorni, che però non si possono escludere completamente: la sentenza di corte d'appello di Firenze di pochi mesi fa e quella del Tar Torino di poche settimane fa, pur inattese in punto di diritto, sono arrivate comunque, dunque non resta che aspettare...

3 commenti:

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  2. Appunto, datosi che la Corte di Appello di Firenze ,sentenzia che: la Fondazione AN , nulla a da vedere con l'associazione A.N, quindi trattandosi di Res Nullius il simbolo è del MSI- Destra Nazionale, quindi non può essere usato da Fdi

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  3. Osserva il Tribunale che “la tutela dell'identità personale si può estendere anche a simboli e denominazioni non più usati da un partito, a meno che non siano stati ripudiati”, ma, se le parole del leader e le comunicazioni immesse nel sito internet del partito (come citate dalla difesa appellante e non contestate dalle altre parti) hanno un senso, nella specie ci troviamo davvero in presenza di una forma di ripudio ideologico, magari con qualche margine di ambiguità, ma pur sempre di rottura col passato. Ora, non si può cambiare identità e al contempo mantenere l'identità dismessa,La FAN non è infatti un partito politico, né un successore universale di AN, è soltanto l'acquirente a titolo particolare di un preteso diritto immateriale. L'intervenuta è stata costituita con atto pubblico del 14 dicembre 2011 e, dal punto di vista della personalità, non ha niente a che vedere con AN,Riepilogando: i fatti dedotti in giudizio non attestano propriamente una usurpazione del nome altrui rilevante ai sensi dell'art. 7 c.c., ma semmai una dismissione del nome proprio, poi raccolto da altri come fosse res nullius, sempre che si trattasse ab origine di un nome proprio esclusivo e non, piuttosto, del nome di un'idea politica a disposizione di chiunque volesse abbracciarla non tutelabile ad excludendum in capo a colui che la dismette; in ogni caso, l'intervenuta cessione a terzi rende evidente l'assenza dei presupposti per la tutela del nome presso il cedente e tanto meno presso il cessionario, dotato di un nome proprio e puro sfruttatore-conservatore per via negoziale di supposti diritti altrui

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