martedì 24 maggio 2016

D'Andrea, l'uomo che diede corpo ai Quattro Gatti di Cossiga

Stemma dei Quattro Gatti 
Di verde ai quattro gatti passanti e guardanti d’oro,
armati, allumati e linguati di rosso, disposti in palo. 
Sotto lo scudo, sopra una lista svolazzante d’oro, 
il motto in lettere minuscole gotiche di verde "miaoo"



Anno di grazia 1998, 25 febbraio: l'Unione democratica per la Repubblica, voluta da Francesco Cossiga, era nata da una settimana. Quel giorno, a chi minimizzava la nascita del nuovo partito bollandola come un'impresa di "quattro gatti", lo stesso Cossiga rispose da par suo: "Quattro gatti, quando si infilano fra le gambe di molte persone, ne fanno andare tante a gambe all'aria". Quella non fu solo una risposta in stile "cossighiano": fu un seme lanciato, l'anticipazione di una mossa futura. 
Due anni dopo - il 13 aprile 2000 - il senatore a vita ed ex capo dello Stato diede l'annuncio al paese attraverso l'Unione Sarda: "Fondo il movimento dei Quattro Gatti". A novembre svelò ai giornalisti che gli stemmi erano pronti: già, gli stemmi, perché nel frattempo era stato preparato anche quello, tutto personale, del Gatto Mammone, modellato a immagine e somiglianza dell'uomo-medicina - come intuito e ricordato di frequente da Filippo Ceccarelli - più sorprendente della politica italiana e destinato a rappresentarlo meglio di un ritratto personalizzato.
Non sono mai finiti su una scheda elettorale quei due emblemi, anche perché non erano nati con quello scopo: in pochi, dunque, hanno avuto la possibilità di vederli, sebbene se ne sia parlato a più riprese su questo o quel giornale. Una copia delle immagini (cartacea e in Cd-Rom), tuttavia, era debitamente conservata in un faldone del Ministero dell'interno, con tanto di descrizione araldica e di lettera accompagnatoria di Angelo Sanza, giust'appunto uno dei Quattro Gatti. 
Il piccolo tesoro grafico-politico aspettava solo di essere scoperto da un curioso ricercatore, planato lì con la speranza di trovare tutt'altro ma del tutto incapace di trattenere un grido di vittoria, di fronte a un'inattesa carpetta giallina dal contenuto felino. Nel foglio che conteneva la descrizione araldica, tra l'altro (e per fortuna), c'era anche il nome di chi aveva dovuto tradurre in pratica l'idea del presidente emerito: l'araldista Michele D'Andrea, conosciuto da Francesco Cossiga durante il suo mandato presidenziale e da lui apprezzato a tal punto da essere scelto per dare forme e colori agli stemmi di quell'ordine cavalleresco così particolare e - senza ombra di dubbio - esclusivo.
Era troppo ghiotta l'occasione per non farsi raccontare per filo e per segno la genesi di quegli emblemi direttamente dal creatore: l'intervista che segue è frutto di una chiacchierata sorridente (anche per il piacere di ridare luce a una storia che qualcuno credeva dimenticata), ricca di ricordi e venata di malinconia, a quasi sei anni dalla scomparsa di Cossiga. Un uomo fuori del comune - tanto per chi ne ha avvertito il fascino, quanto per chi lo ha detestato - che per dire quello che pensava era disposto a tutto. Anche a dire il contrario o a indossare una maschera, compresa quella del Gatto Mammone.


* * *

D'Andrea, è toccato a lei dare forma ai Quattro Gatti immaginati da Cossiga: come lo ha incrociato sulla sua strada?
Michele D'Andrea
Ho lavorato nella carriera direttiva del Quirinale fino a dicembre 2012, ora sono in pensione e continuo a coltivare i miei interessi di araldica e di storia, pubblico, vado in giro, faccio conferenze. Ho conosciuto Francesco Cossiga proprio durante la mia permanenza al Quirinale, diventando a un certo punto il suo "braccio araldico": di fatto sono stato un suo stretto collaboratore, più o meno per il settennato, in tutte quelle cose che si potevano dire, anche in senso lato, araldiche, vessillologiche, uniformologiche. Lui aveva la passione per tutto questo e in me ha trovato la "sponda", che a partire dalle sue idee pensava, studiava e realizzava: avendo io una discreta mano anche i bozzetti venivano bene, diciamo così. E, in tutto questo, ho avuto contestualmente la fortuna di essere, per alcune materie, un interlocutore privilegiato di Cossiga: tutto ciò, le confesso, era estremamente arricchente…
Negli anni abbiamo conosciuto vari volti di Cossiga, non tutti facili da tenere insieme. Il Cossiga che ha conosciuto lei com'era, come persona?
Mi viene da ricordare soprattutto una cosa: era di un'ironia e un'autoironia sfrenata, lo ha dimostrato in tante occasioni; eppoi era una delle poche persone che, in quello scorcio del secolo passato, si poteva definire erudita, proteiforme. In più, dalla sua, aveva soprattutto una memoria dei fatti e delle persone prodigiosa: poteva incrociare una persona all'uscita dalla chiesa e ricordarla perfettamente dopo mesi. Senza dubbio, infine, amava molto giocare con il suo ruolo, tante cose, compresi i Quattro Gatti e il Gatto Mammone, erano parte del suo atteggiamento davvero molto ludico...
Lo stesso Cossiga parlò della sua doppia natura, dell'omino bianco e dell'omino nero che si alternavano e si dibattevano in lui. Per qualcuno, questo era segno di una natura bipolare...
No, guardi, non era affatto bipolare: era casomai ciclotimico, tutto qui. Alternava momenti di grande esaltazioni a momenti di grande depressione, nient'altro.
Se l'omino nero, come disse Cossiga a Claudio Sabelli Fioretti, "si diletta di studiare filosofia, teologia, sta nascosto", quello bianco doveva essere appassionato di araldica, giusto?
Lui aveva una profonda conoscenza della materia e, soprattutto, aveva molto chiara la funzione, l'importanza del "simbolo", dei segnali.
È stato un semiologo a tutti gli effetti?
Beh, sì: pensi che ha voluto che i corazzieri portassero sulla manica sinistra, verso il polso,  il loro stemma ricamato, ed è ancora là dove l'ha voluto lui. Poi sui "gusti", lo ammetto, avevamo idee diverse: lui era molto "barocco", stemmi o creazioni araldiche immaginate da lui erano molto ricche, piene; io invece sono stato addestrato secondo la regola araldica del "chi più ha meno ha", per me la bellezza e l'individuazione di uno stemma passano attraverso la semplicità e pochi segnali ben precisi. 
A proposito dell'importanza dei simboli, nel 1992, fu proprio Cossiga a rinviare alle Camere la legge che, tra l'altro, introduceva il colore nella stampa delle schede elettorali: disse di temere inconvenienti nella stampa delle schede, ma soprattutto mise in guardia tutti contro possibile aumento di confusione con le nuove elezioni in technicolor. Come si inserisce questo, secondo lei, nel suo personaggio?
Secondo me, il personaggio Cossiga ragionava, dal punto di vista simbolico, nell'incisione e nel tratteggio araldico del bianco e nero, come la maggior parte di noi del resto. Io stesso non sono nato nell'epoca del colore, nemmeno la tv era a colori; è facile dire che talvolta il colore "peggiora" un simbolo, ma non solo quello. Anche per noi araldisti uno stemma reso a colori dà una sensazione strana: te lo cambia, non è la stessa cosa, abbiamo imparato a giocare tutto sul bianco e nero. Certe schede elettorali a colori, di quelle che si vedono oggi, sembrano davvero delle réclame, mentre prima c'era l'idea di accostarsi a qualcosa di ufficiale, c'era il segno che si stava facendo qualcosa di istituzionale.
Arriviamo al punto. Nel 2000 Cossiga era ormai lontano dal Quirinale da 8 anni: due anni prima aveva fondato l'Udr, salvo poi lasciarla nel 1999 per costituire coi suoi fedelissimi l'Upr, un simbolo che in giro si è visto assai poco. Comunque nel 2000, dicevo, Cossiga tirò fuori, in un'intervista con Mario Sechi, l'idea dei Quattro Gatti e del Gatto Mammone: secondo lei cos'è nato prima, i Gatti o il Gatto Mammone?
Guardi, io ricordo questo. Lui mi contattò e mi disse: "D'Andrea, studiami uno stemma dei Quattro Gatti e poi quello del Gatto Mammone". Ricordo nitidamente che i Quattro Gatti precedevano nella realizzazione, il che è quasi ovvio: trattandosi dello stemma di un corpo, prevale quello e solo in un secondo momento si realizza la bandiera del singolo.
Stemma reale d'Inghilterra
Insomma, un bel giorno arrivò la commissione via telefono...
Esatto, avvenne sicuramente per telefono, perché non ho alcuna testimonianza cartacea su questo. In ogni caso, dopo la sua richiesta, mi recai allo Studio Random, che conoscevo e che aveva già fatto piccoli lavoretti per il Quirinale ai tempi di Ciampi. Lì abbiamo iniziato a riflettere su come realizzare lo stemma. I colori me li aveva dati lui, in particolare il fondo verde, così abbiamo iniziato a lavorare sui gatti, partendo dai leopardi britannici: la vettorializzazione è partita da quel disegno, con qualche modifica. I Quattro Gatti avevano tutti gli elementi araldici: avevano la lingua fuori, erano unghiati di rosso, come ha voluto lui, e avevano il pene eretto...
Prego? Sul serio?
Sì, in senso tutto araldico però, non c'è un discorso di virilità o potenza: in araldica gli animali a quattro zampe hanno il pene eretto, sarebbe stata un'anomalia se non ci fosse stato. I Quattro gatti, dunque, erano, linguati, allumati e armati di rosso. Come base, dicevo, guardai all'araldica britannica, che a Cossiga piaceva molto; per questo pensai ai leopardi dello stemma inglese, anche perché credo non ci fossero molte altre soluzioni. Comunque partimmo da lì, anche con il gioco della coda, poi io rimasi a strettissimo contatto coi grafici e la vettorializzazione venne realizzata: Cossiga ricevette i dischetti e approvò tutto subito. 
Stemma del Gran Maestro dei quattro gatti,
o sia del "gatto mammone"

Inquartato: nel I e nel IV d’argento al gatto mammone
sedente e guardante di nero, armato, allumato e
linguato di rosso, con la punta della coda eretta
in palo di bianco; esso gatto afferrante con la zampa
anteriore destra l’asta d’oro munita della cornetta
di verde bordata d’oro rivolta a sinistra, caricata
dai quattro gatti passanti e guardanti d’oro, armati,
allumati e linguati di rosso, disposti a due a due
in palo; nel II e nel III di verde ai quattro gatti passanti
e guardanti d’oro, armati, allumati e linguati di rosso,
disposti in palo. Sotto lo scudo, sopra una lista svolazzante
d’oro, il motto in lettere minuscole gotiche di verde "miaooo".



Per quanto riguarda invece il Gatto Mammone?
Quel lavoro è stato leggermente più complesso: si trattava di uno scudo inquartato, che porta "nel primo e nel quarto" il Gatto Mammone, figura prevalente e stavolta con la coda dritta. C'erano due ragioni: innanzitutto per una questione di "euritmia", seguendo la partizione in quarti, poi anche per dare un segno di “chiarezza” sulla parte “preferita”; va segnalata anche quella puntina di bianco che, se non ricordo male, volle proprio lui.
In effetti il 22 novembre 2000, prima di registrare una puntata di Porta a Porta, disse che la coda doveva essere bianca, "altrimenti porta male".
Ecco, così si spiega, noi non ci saremmo arrivati... Quel gatto, in ogni caso, tiene una cornetta di cavalleria che ripete i Quattro Gatti: in pratica è il racconto di tutto, nel senso che è lui, il Gatto Mammone, che muove tutto. 
Se i Quattro Gatti discendevano dai leopardi inglesi, il Gatto Mammone aveva un modello? E quali caratteristiche avrebbe dovuto avere?
Un gatto impossibile da trovare in natura, certo... era un gatto che doveva avere, se si può dire così, il "buddismo" dell'esperienza, era una sorta di Mater Matuta, di dea dell'aurora e del parto, di Pater Matutinus se lo vuole mettere al maschile. L'animale è seduto, è opìmo, ha i peli: a differenza di quello dei Quattro Gatti, più stilizzati, è una creatura che non sappiamo com'è fatta e che abbiamo pensato proprio come qualcosa di più "seduto". Trattandosi di un disegno “nero su nero” abbiamo poi dato risalto alla linea delle gambe e si sono dovute considerare due pose diverse del Gatto Mammone, vista la forma britannica e non certo italiana dello scudo.
In effetti il gatto "nel quarto" sembra quasi recumbente, pronto a sdraiarsi...
E' vero, la figura è un po' deformata, ma questo in araldica è normale. 
Anche il cartiglio con il "miaoo" (due "o" per i Quattro Gatti, tre per il Gatto Mammone) l'ha chiesto Cossiga?
Assolutamente sì, era la sua nota, con un carattere gotico che ha voluto lui; lo stesso vale per la "o" in più per sé, per ribadire la primazia. Del resto lui, ben conscio della sua statura intellettuale, un po' narcisista lo era...
Curiosità: quando le chiese di disegnare questo stemma, le spiegò a cosa gli sarebbe servito?
Guardi, credo gli servisse essenzialmente per i gadget che intendeva produrre. In tutta franchezza, non credo che volesse utilizzarlo come simbolo di un partito politico. Lo stemma non si sostanziava in un apparato, in un organismo che si muovesse; a un certo punto è stato un po' la sua bandiera, il suo "testamento politico", in chiave ovviamente scherzosa.
Decisamente in anticipo, rispetto alla sua dipartita…
Sì, ma credo che lui si fosse reso conto pienamente che nessuno aveva davvero compreso il suo messaggio alle Camere del 1991 sulla Costituzione e sulle sue riforme. Per me la Prima Repubblica finisce con quel documento, anche se nessuno l’aveva capito. Credo sapesse che era destinato a soccombere, motivo per cui a volte conobbe derive anche troppo polemiche, ma lui aveva capito.
Stemma cossighiano
dell'Ordine dei Serafini
I Quattro Gatti, più che polemici, erano scherzosi.
Sì, ma soprattutto erano qualcosa di profondamente "suo". Cossiga, tra l'altro, aveva già uno stemma personale: quello dell'Ordine dei Serafini di Svezia, un ordine altissimo. In una chiesa all'interno del Palazzo Reale di Stoccolma ci sono tutte le bandiere e gli stemmi di chi è stato insignito di quell'ordine, anche se poi lui ha restituito le insegne. 
Tornando allo stemma "felino", Cossiga il 22 maggio 2001, in una lettera pubblicata il giorno dopo dai giornali, ordinò il "rompete le righe" ai colleghi dell’Upr, annunciando l’invio a ognuno di "un crest dei 'Quattro Gatti', perché rimanga per voi ricordo del nostro esaurito sodalizio politico ma anche spero pegno della nostra personale amicizia". Le torna?
L'idea è che Il partito o il movimento non ci fossero più, l'avventura politica fosse finita, ma rimanesse l'eredità, il ricordo di chi ha partecipato e, pur non vincendo, ci ha almeno provato. 
Ma secondo lei quell'idea grafica, nata chiaramente in contesto araldico, poteva essere riportata sul terreno della politica? In fondo, solo nel 1999, l’anno prima della creazione degli stemmi, nelle bacheche del Viminale prima delle elezioni europee era apparso un bestiario di asinelli, elefantini, leoni, colombe, delfini, cavalli alati: i Gatti non sarebbero stati fuori posto! 
Mi creda, non l’avrebbero capito: in tanti l’avrebbero vista, alla Modugno, come «tre somari e tre briganti». Avesse voluto fare qualcosa di dichiaratamente politico, credo proprio che mi avrebbe chiamato, anche solo per tradurre una sua idea in qualcosa di concreto: lui, del resto, era molto fedele ai suoi collaboratori.
Paolo Naccarato
con la cravatta dei Quattro Gatti
Lo stemma dunque non fu stampato sulle schede elettorali, in compenso finì impresso su varie spille da giacca e i Quattro Gatti furono il soggetto di alcune memorabili cravatte firmate Eddy Monetti e del crest di legno e porcellana citato prima.
Certo, ma si tratta di una cosa diversa da un progetto politico: qui siamo di fronte alla promozione e alla divulgazione del segno, che può assumere anche forme diverse, senza necessariamente replicare esattamente lo stemma. Tra l’altro, non dimentichi che parliamo di numeri piccoli: Cossiga fece confezionare, ovviamente a sue spese, un numero limitato di questi gadget, destinati al côté di persone che lui frequentava e cui li avrebbe regalati.
Che significato aveva, secondo lei, una pratica come questa?
Guardi, non penso si possa dare una ricostruzione totalmente razionale. Credo sia fuorviante, quando si ricostruiscono vicende come queste, non tenere conto a priori del “moto dell’animo” e, a volte, pure delle “uscite di senno”, del “famo ’na cazzata”. Nel presidente Cossiga quest’anima c’era, lui era anche questo. Di certo gli piaceva molto l’idea di essere “gran maestro”, più che un capo politico: non è un caso che abbia chiesto di creare uno stemma araldico piuttosto che grafico, così come non è un caso che abbia scelto di conferire quest’ordine cavalleresco ideale ad alcuni dei “suoi”, scelti anche a volte sul capriccio del momento. Il tutto senza perdere mai quel mezzo sorriso, tipico di chi gioca e si diverte.
C’è qualcosa che a livello grafico avrebbe voluto creare con Cossiga?
Penso agli ordini cavallereschi che lui aveva in testa e mi fece effettivamente progettare, l’Ordine del Carroccio – ovviamente prima che la Lega Nord diventasse un fenomeno politico – e l’Ordine del Tricolore. Era tutto pronto, la relazione, i disegni, ma poi ci si è fermati…
Da ultimo, cosa le manca di Cossiga?
La sua telefonata che arrivava sul mio cellulare, scandita all’inizio sempre da «D’Andre’», come diceva lui; magari proseguiva con «tu non mi vuoi più bene, non mi chiami mai» e, poco dopo, si traduceva nella richiesta più disparata.

Si ringrazia di cuore Michele D'Andrea per la grande disponibilità mostrata e per avere fornito l'immagine dello stemma dell'Ordine dei Serafini; le descrizioni araldiche dei due stemmi cossighiani sono quelle "ufficiali" dello stesso D'Andrea.

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