venerdì 13 maggio 2016

Choc simbolici a Torino: Grillo parlante fuori, Msi ripescato


Se l'attenzione dei media si è concentrata sulla vicenda elettorale delle liste di Stefano Fassina, per le quali il Tar Lazio ha confermato l'esclusione dalla competizione elettorale di Roma, merita di essere osservato il caso di Torino, comune per il quale i giudici amministrativi hanno pronunciato due sentenze fondamentali in materia di simboli. Le decisioni, che hanno ribaltato l'opinione della locale Commissione elettorale circondariale, riguardano due emblemi di cui ci si è occupati a più riprese in queste pagine, la Lista del Grillo parlante e il Movimento sociale italiano - Destra nazionale: se diventassero definitive (in mancanza di ricorsi al Consiglio di Stato o con un pronunciamento identico da parte di Palazzo Spada) costituirebbero un precedente significativo e, per certi versi, sorprendente.
Colpisce innanzitutto il ribaltamento della decisione sulla Lista del Grillo parlante, regolarmente ammesso a Roma e, in prima battuta, anche all'ombra della Mole. Il MoVimento 5 Stelle, tuttavia, aveva fatto ricorso, ritenendo che l'emblema in questione - al di là dei problemi di firme di defunti emersi in questi giorni anche per un'altra lista - potesse confondersi con il proprio marchio politico. La cosa più interessante è che il Ministero dell'interno, intervenuto nel giudizio, aveva negato la confondibilità (ritenuta sussistente, invece, dal 2008 al 2014, motivo per cui era stata accettata la dicitura "Grilli paranti"), probabilmente in seguito alla scomparsa della dicitura Beppegrillo.it dall'emblema. Questo è invece il parere del Tar:
Il simbolo presentato dalla lista contestata si caratterizza per l’assoluta evidenza, al suo interno, del termine “Grillo” accompagnato dall’indicazione “no euro”. E’ pacifico ed indiscusso che Grillo è anche il cognome del leader, fondatore storico e personaggio simbolo del Movimento cinque stelle; la circostanza che quest’ultimo, proprio per questa tornata elettorale, abbia scelto di non riproporre nel simbolo il nome del proprio leader storico non esclude l’evidente legame tra detto nome e il Movimento cinque stelle stesso; paradossalmente il simbolo contestato finirebbe così per essere l’unico ad evocare chiaramente il leader del Movimento cinque stelle, oltre tutto abbinandolo ad un aspetto (no euro) che ha rappresentato una ricorrente contestazione di detto leader. Accedendo quindi ad una lettura non solo grafica ma complessivamente simbolica, alla luce dell’intero contenuto espressivo del simbolo, pare al collegio che la natura evocativa e confondente sia esplicita e seria, tale da poter indurre in confusione anche un elettore medio. Il ricorso deve quindi trovare accoglimento. [...] P.Q.M.Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) [...] accoglie il ricorso e per l’effetto dispone l’esclusione della lista denominata “Movimento no euro – lista del Grillo” [...]
La decisione lascia perplessi. Innanzitutto, il gruppo di Renzo Rabellino ha coniato la dicitura Lista del Grillo parlante dal 2008, prima ancora che Beppe Grillo facesse nascere anche solo la Lista civica a 5 Stelle; è vero che a volte il nome è stato virato al plurale ("Lista dei Grilli parlanti") per evitare la bocciatura delle liste, ma in più casi l'espressione al singolare è stata utilizzata alle elezioni comunali, anche quando il M5S era già in essere. Secondariamente, ritenere confusorio il legame tra "Grillo" e "No Euro" non ha senso, visto che No Euro è il movimento di Rabellino non da ieri, ma dal 2003. 
E' già certo che la formazione che candida a sindaco Gianluca Noccetti ricorrerà al Consiglio di Stato. Se la decisione appena emessa dovesse essere confermata. resterebbe comunque il dubbio sulla bocciatura della Lista del Grillo parlante: non è chiaro cioè se essa risulterebbe definitiva (come sembrerebbe di leggere nella sentenza, che parla solo di "esclusione"), oppure se la lista possa sostituire in tempi stretti l'emblema, come avrebbe potuto fare se la commissione elettorale le avesse chiesto di modificarlo, così da salvaguardare l'interesse legittimo dei candidati a partecipare alle elezioni (come ritenevano di poter fare in base all'iter previsto dalla legge). Non consentire alla lista, in caso di bocciatura, di modificare l'emblema (magari ripristinando la dicitura "Grilli parlanti") sembrerebbe davvero un eccesso da evitare 

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Anche più sorprendente, se si vuole, è l'esito della sentenza pronunciata su ricorso del Movimento sociale italiano - Destra nazionale di Maria Antonietta Cannizzaro, in un primo tempo escluso dalla commissione elettorale per la presenza della fiamma tricolore, trattandosi di elemento che è parte anche dell'emblema di Fratelli d'Italia, partito rappresentato in Parlamento.
Questo ha deciso il Tar, con una decisione che riammette l'emblema, senza peraltro toccare la presenza di Fdi (per cui sulla scheda le fiamme tricolori, sia pure con dimensione e dettagli diversi, saranno addirittura due... cosa che non accadeva in contesti importanti dalle elezioni regionali del 2000):
La descrizione dei due contrassegni è già per sé sufficiente ad escluderne la somiglianza, poiché la fiamma tricolore assume, al loro interno, una posizione ed una funzione diversa. Nel contrassegno dei ricorrenti essa ha una funzione fortemente evocativa del simbolo tradizionalmente adottato dal Movimento Sociale Italiano, cioè dal Partito fondato nel 1946 e sciolto nel 1995; ed il fatto che la fiamma tricolore, su base trapezoidale nera con la scritta “M.S.I.” in bianco, costituisca l’unico elemento rappresentato all’interno del cerchio unitamente alla scritta “Destra Nazionale” verrà percepito da un elettore di normale diligenza e cultura quale il segno che il movimento intende ispirarsi al Partito del Movimento Sociale Italiano.Il contrassegno che, secondo l’avviso della Commissione Elettorale, sarebbe stato adottato dal Partito “Fratelli d’Italia”, si presenta ben più articolato sul piano grafico. La sua suddivisione in tre cerchi concentrici di diverse dimensioni verosimilmente intende rappresentare le origini del Partito, anzitutto come derivazione dal Partito “Alleanza Nazionale”, che viene comunque evocato con un più piccolo contrassegno; la rappresentazione della fiamma tricolore in ridottissime dimensioni all’interno di un ulteriore e più ridotto contrassegno, priva della base trapezoidale e della scritta “M.S.I.”, rivela che la derivazione dal Partito storico viene rappresentata come più sfumata, quasi a significare una profonda rielaborazione della ideologia di cui quel Partito si faceva portatore.Ad avviso del Collegio, pertanto, i due contrassegni non sono idonei a creare, in un elettore di normale diligenza e cultura, confusione tra i due Partiti.Quanto, poi, alla questione della presenza della fiamma tricolore nel simbolo che rappresenta il Gruppo Parlamentare di “Fratelli d’Italia”, va rilevato che agli atti del giudizio non è stato prodotto tale simbolo.In ogni caso, dovrebbe comunque osservarsi che:- la fiamma è presente nel simbolo quale elemento fra i tanti, sicché ai sensi dell’art. 14 della legge n. 361 del 1957 e dell’art. 33 del d.P.R. n. 570 del 1960 essa sarebbe idonea a cagionare l’esclusione del simbolo e della lista dei ricorrenti solo ove si potesse configurare quale elemento utilizzato tradizionalmente dal Partito “Fratelli d’Italia” in Parlamento; ciò tuttavia non può essere affermato con certezza, dal momento che “Fratelli d’Italia” è un Partito di recente costituzione e, come tale, non può vantare l’utilizzo della fiamma tricolore ripetuto e costante per un tempo abbastanza lungo da costituire, nella percezione dell’elettore di normale diligenza e cultura, un segno distintivo;- ai sensi dell’art. 2 del d.P.R. n. 132 del 1993, è vietato l’uso non di singoli elementi di simboli utilizzati da altri partiti o gruppi politici, che abbiano avuto dei rappresentanti eletti al Parlamento italiano od europeo, bensì dell’intero contrassegno; che la parola “simbolo” debba essere intesa nella accezione di contrassegno in tutte le sue componenti risulta evidente anche dall’art. 33 del d.P.R. n. 570 del 1960, in cui il legislatore vieta l’utilizzazione di “simboli o elementi caratterizzanti di simboli che, per essere usati tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento, possono trarre in inganno l’elettore”; orbene, la descrizione dei due contrassegni dimostra che essi sono differenti e che, nel caso di specie, non vi è luogo per l’applicazione delle cause di esclusione previste dall’art. 2 del d.P.R. n. 132 del 1993.In conclusione, il ricorso va accolto.
Il contenuto della decisione, francamente, ha dell'incredibile per varie ragioni: innanzitutto, per gli errori che contiene. Per prima cosa, nessuno nel 1995 ha sciolto il Msi, essendo stato acclarato da varie ordinanze e sentenze che il partito cambiò semplicemente nome in Alleanza nazionale, che dunque non era un soggetto giuridico nuovo ma semplicemente quello già esistente, con un nuovo nome. Secondariamente, non è affatto vero che la fiamma tricolore presente nel simbolo di An e, di conseguenza, in quello di Fratelli d'Italia è priva di base trapezoidale: effettivamente è rossa, ma c'è ed è facile da riscontrare.
Nessun dubbio sulla non confondibilità grafica dei due emblemi (nessuno l'ha contestata, nemmeno la commissione elettorale), ma è la parte dedicata alla presenza della fiamma a lasciare dubbi. Su un punto, a dire il vero, si può anche convenire: essendo Fdi "un Partito di recente costituzione", che non può vantare "l’utilizzo della fiamma tricolore ripetuto e costante per un tempo abbastanza lungo da costituire, nella percezione dell’elettore di normale diligenza e cultura, un segno distintivo", sembra fuori luogo parlare a tutti gli effetti di "uso tradizionale". 
Detto questo, però, l'art. 33 del d.P.R. n. 570/1960 (testo unico per le elezioni comunali) continua a richiedere la ricusazione dei contrassegni "riproducenti simboli o elementi caratterizzanti di simboli [...] usati tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento". Questa previsione può obiettivamente attagliarsi al caso del Msi e di Fdi: il simbolo di An, infatti, è allegato allo statuto che è stato ritenuto conforme alla legge ed è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, dunque l'uso può essere considerato "tradizionale" almeno a questi effetti. Per sostenere che la legge vieta solo l'uso del simbolo intero (contrassegno) del partito rappresentato in Parlamento, non anche di suoi elementi, il Tar cita incomprensibilmente l'art. 2 del d.P.R. n. 132/1993 - emanato dopo alla legge che introdusse l'elezione diretta del sindaco - che non parla affatto di "cause di esclusione", ma solo dell'uso che una lista può fare di un simbolo con rappresentanza parlamentare. 

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