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mercoledì 18 marzo 2020

1989, il Piemont cercò da solo l'Europa (ma non finì sulle schede)

Il 1988, lo si è visto, era stato un anno importante per Roberto Gremmo. Solo un anno prima, nel 1987, era finito in seria difficoltà dopo che, sulle schede delle elezioni politiche, erano comparsi due simboli con in evidenza il nome "Piemont" (il suo e quello guidato da Gipo Farassino): l'insuccesso annunciato aveva rischiato seriamente di mandare in fumo oltre un decennio di lotte piemontesiste. Eppure, si diceva, nel 1988 Gremmo era riuscito nell'impresa - tanto audace e temeraria quanto riuscita - di essere eletto consigliere regionale in Valle d'Aosta con la lista Union Autonomiste - Pensionati: questo aveva permesso a lui e al suo progetto politico-territoriale di recuperare un po' di fiato.
Dal sito Trucioli.it
Qualche energia, per esempio, poteva essere spesa per allargare il campo d'azione al di là del Piemonte e della Valle d'Aosta (oltre che della Lombardia, in cui si muoveva da tempo Umberto Bossi). C'era in particolare l'idea di approdare nella vicina - ma nemmeno troppo - Liguria, essendo l'unica regione del Nord-Ovest non ancora coperta; iniziare un radicamento, tra l'altro, avrebbe potuto essere un buon viatico per le successive elezioni europee. Gremmo colse l'occasione del turno autunnale di elezioni amministrative del 1988, che si tenevano anche - in anticipo di qualche mese sulla scadenza naturale - ad Albenga, comune del savonese di oltre 20mila abitanti: si rivolse ad Aldo Coppola, già candidato alle europee del 1984 nella lista comune della Liga Veneta, e insieme concordarono la presentazione di una lista denominata Lega Ligure, con il profilo della regione e il disegno di un'ancora nel simbolo. Coppola, che aveva 54 anni ed era già pensionato, figurava anche come presidente proprio della Lega Ligure, il segretario era Pierluigi Beltrami; in lista c'erano varie persone piemontesi o genovesi (nessuno di Albenga, ma le forze disponibili erano quelle). 
Da La Stampa, 13 novembre 1988
Che quel voto potesse essere una vetrina, però, doveva essere venuto in mente a molti: le liste quella volta erano ben undici. Accanto a simboli nazionali (Dc, Pci, Psi, Dp, Msi, Pli, Pri, Psdi, Verdi) e alla lista propiziata da Gremmo, infatti, c'era anche la formazione Alleanza popolare - Pensionati, un nome che in sé dice poco. Nulla c'entrava il simbolo omonimo con cui si era presentato nel 1987 al Senato il valdostano Movimento autonomista dei democratici progressisti legato al senatore Cesare Amato Dujany (lo stesso che nel 1988 aveva esentato dalla raccolta firme alle amministrative il Piemont autonomista di Farassino). Qui i pensionati erano quelli del Partito nazionale pensionati (con l'albero stilizzato), mentre una non meglio precisata Alleanza popolare schierava nella propria pulce il torchio disegnato da Giuseppe Russo per la testata dell'Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini. Il riferimento, in realtà, non era tanto al "qualunquismo", quanto piuttosto all'oppressione fiscale. Se la capolista, Francesca Ricciardi, era la sola candidata di Albenga, in lista c'era anche il genovese Bruno Ravera, che in Liguria aveva animato il Movimento di liberazione fiscale.
Dalle urne uscirono 66 voti per la Lega Ligure (0,4%) e 34 voti per i Pensionati - Alleanza popolare: un risultato prevedibile vista la scarsità di candidati locali. Di fatto, però, poche settimane dopo venne fondata con tanto di atto notarile l'Uniun Ligure: a costituirla fu lo stesso Ravera, che in un volume del 1990 (La Lega Nord e le altre Leghe tricolori) avrebbe detto di essersi fatto forte di un accordo stretto con Franco Rocchetta, della Liga Veneta. Evidentemente l'appuntamento delle europee - che si sarebbero tenute dal 18 al 19 giugno 1989 - faceva gola a più di qualcuno e c'era chi si stava già preparando un disegno più ampio, che doveva necessariamente operare su larga scala: la partecipazione di Bossi a un evento organizzato a Genova proprio da Ravera alcune settimane dopo il voto di Albenga lo testimoniava (e Ravera, il 4 dicembre 1989, fu tra i fondatori della Lega Nord).
Le acque nel settore dell'autonomismo, peraltro, erano già agitate da tempo. Già alla fine di luglio del 1988, a un incontro milanese - decisamente tumultuoso, come racconta Gremmo nel suo libro Contro Roma - tra gruppi dirigenti di Lega Lombarda, Liga Veneta e Union Piemonteisa, Umberto Bossi aveva preteso che gli statuti della Liga ma soprattutto dell'Union fossero modificati e "resi compatibili" con quello della Lega Lombarda: questo avrebbe voluto dire, in particolare, che le redini delle decisioni non avrebbero dovuto più essere nelle sole mai di Gremmo e della moglie Anna Sartoris, in qualità di fondatori. Tornava, in qualche modo, la polemica sui documenti fondativi dell'Union Piemonteisa, già alla base dello scontro che aveva portato nel 1987 alla nascita di Piemont Autonomista. 
A quel punto Gremmo - che in quell'incontro a Milano si era sentito diffamato e attaccato sul piano personale - fu convinto che la "sua" Union avrebbe dovuto correre da sola, cercando di raccogliere le firme necessarie per correre nel Nord-Ovest e tentare l'avventura elettorale. Alternative non ce n'erano: non era certo praticabile la strada di una qualche alleanza con l'Union valdotaine, che non aveva ancora digerito la lista Union Autonomiste di Gremmo e i voti che era riuscita a distrarre su di sé. D'altra parte, i risultati degli anni precedenti avevano dimostrato che, grazie al lavoro fatto sino a quel momento, i voti sarebbero potuti arrivare e, aumentando gli sforzi, avrebbero potuto essere anche di più.
Dopo una riunione nella sala consiliare di Rivoli convocata dallo stesso Gremmo con il gruppo di persone più vicino a lui, la scelta venne confermata; alcuni però - come i militanti storici Antonio Bodrero "Barba Toni" e Angelo Colli - non condivisero l'idea della corsa autonoma - romantica ma poco produttiva - e preferirono seguire Farassino (e il suo Piemont autonomista, che proprio in quell'occasione sfoggiò un simbolo rinnovato, con la "bistecca" piemontese ridisegnata, la comparsa di una stella alpina e il nome reso ancora più visibile), che invece continuava a portare avanti l'idea di un progetto politico-elettorale insieme alla Lega Lombarda e a Umberto Bossi.
Di cosa si trattava? Naufragata una prima idea di mettere insieme tutte le forze autonomiste d'Italia (un disegno impraticabile, visto il panorama molto disomogeneo), Bossi propose la creazione di una lista unitaria ma più limitata, denominata Alleanza Nord: al centro ci sarebbe stato sempre Alberto da Giussano (ancora con il piede destro posato sul sasso), ma stavolta il profilo intorno sarebbe stato quello dell'Italia settentrionale; la presenza del guerriero e del nome della Lega Lombarda avrebbero evitato con certezza alla lista di raccogliere le firme. Al di sotto dell'immagine, ci sarebbe stato spazio per le miniature dei simboli della Lega Lombarda, della Liga Veneta, di Piemont Autonomista, della neonata Uniun Ligure, ma anche per altre forze che fossero nate nel frattempo, giusto per dare l'idea che la mobilitazione riguardava tutto il Nord. Era il caso della Lega Emiliano-Romagnola (peraltro guidata da un cremonese, Giorgio Conca) e della Alleanza Toscana.
Racconta Gremmo in Contro Roma che, nelle settimane che precedettero il deposito dei contrassegni, Bossi propose ad Andrea Fogliato dell'Union Piemonteisa un ingresso di quello stesso partito nel cartello, aggiungendo anche la sua "pulce" alle altre. "Mi sembrava già una vittoria politica essere riusciti con la nostra intransigente fermezza a obbligare Bossi e i suoi ad aprire una trattativa. Roberto Vaglio, invece, non ebbe dubbi: 'Se dovessimo accettare di finire a essere un puntino in quel simbolo saremmo dei cadaveri politici'. Parve una frase nobile e giusta". Così l'offerta fu declinata e la raccolta firme autonoma proseguiva abbastanza bene, pur tra mille difficoltà. 
Intanto, però, c'era da depositare il contrassegno per le elezioni: lo si poteva presentare al Viminale tra le 8 del 30 aprile e le 16 del 1° maggio. Gremmo si era preparato per tempo, concependo con sua moglie un simbolo studiato nei dettagli. La parola più in vista, sotto al lambello e dentro la bandiera piemontese, era "Piemont" e non c'era da stupirsi, trattandosi di una creatura di Gremmo. Nella parte inferiore del cerchio, poi, c'era la parola "autonomista": poteva essere riferito alle battaglie di Gremmo, ma anche alla lista con cui era stato eletto in Valle d'Aosta (del resto era stata aggiunta, in piccolo, la parola "Union"). In alto, in più, c'era il riferimento alla Lombardia nella parte superiore: per come era congegnata la grafica, si sarebbe potuto leggere "Lombardia autonomista", facendo passare chiaramente il messaggio. Si trattava insomma di un simbolo votabile in tre regioni su quattro, tra le quali erano comprese le due più importanti: se si fosse presentata la lista, i voti sarebbero arrivati.
Gremmo arrivò a Roma - con un'auto a noleggio, perché i treni erano in sciopero - la sera del 29 maggio, trovando davanti al Viminale una ventina di attivisti della Lega, venuti a "scortare" Bossi, Farassino e il loro simbolo, già in fila per conquistare la prima posizione al mattino dopo.  CI fu persino il tempo - lo racconta sempre Gremmo in Contro Roma - di un invito a cena formulato a Bossi e consumato in un vicino ristorante cinese: non fu un pasto particolarmente cordiale e rese ancor più chiaro che non ci sarebbe stato alcun accordo tra i due. Andarono entrambi in albergo (i militanti leghisti invece erano rimasti davanti ai cancelli del ministero), per poi prepararsi al giorno dopo: Bossi tra i primissimi, Gremmo con più calma. 
Quando il simbolo dell'Union piemonteisa - era comunque questo il nome dato alla forza politica - finì nelle bacheche di legno del Viminale, Gremmo lo guardò soddisfatto, ma si avvicinarono anche Ettore Beggiato e Francesco Speroni. Il primo osservò con attenzione il contrassegno e se ne uscì - come ricorda Gremmo - con questa frase: "Piemont... Lombardia... autonomista... ma xe el nome del vostro giornale, Lombardia Autonomista!", quello di cui Gremmo era stato in due periodi diversi direttore responsabile. Speroni, sempre secondo Gremmo, sbiancò.
Il simbolo, dunque, aveva dimostrato sul campo di poter riscuotere attenzione: qualcuno lo avrebbe votato con convinzione, qualcun altro per suggestione, ma alla fine quei voti sarebbero stati impossibili da distinguere. Perché però poche o tante persone potessero mettere la croce su quell'emblema, era necessario raccogliere le firme. Ancora una volta, dunque, la strada di Gremmo (e, più in generale, quella degli autonomisti) si trovava davanti l'ostacolo delle sottoscrizioni da raccogliere: trattandosi di elezioni europee, il compito era particolarmente difficile. Già, perché la disciplina delle elezioni europee prevedeva, allora come oggi, che le liste non rappresentate al Parlamento italiano o europeo dovessero raccogliere 30mila firme in ogni circoscrizionein più c'era l'obbligo di coprire tutto il territorio della circoscrizione, facendo in modo che in ogni regione fossero raccolte almeno 3mila sottoscrizioni. Questo valeva anche per la Valle d'Aosta, da sempre piazza difficilissima, per chiunque. 

Gremmo aveva però pensato a tutto. In Liguria aver creato nel 1988 la Lega Ligure era stata un'utile intuizione, che in quel momento permetteva un buon dispiego di forze per trovare i sottoscrittori. Il Piemonte, ovviamente, non era un problema. In Lombardia la lista avrebbe potuto contare sull'ex leghista Augusto Arizzi e, un po' a sorpresa, anche su Pierangelo Brivio, cognato di Bossi e tra i fondatori della Lega Lombarda, ma che era stato espulso tempo prima dal Carroccio).
Già, ma la Valle d'Aosta? Ci voleva un'idea vincente e, a un certo punto, Gremmo sentì di averla. Come consigliere regionale, egli si fece promotore di una proposta di legge regionale popolare per rendere gratuita per i cittadini valdostani la fruizione delle autostrade sul territorio regionale; alla raccolta di firme per quel progetto di legge avrebbe legato quella per la lista. L'intuizione di Gremmo colse nel segno: le firme avevano iniziato ad arrivare, ci voleva solo pazienza e costanza per cercare di arrivare alle 3mila necessarie. Nel frattempo c'era molto lavoro da fare per ottenere i certificati di iscrizione alle liste elettorali in lungo e in largo dai comuni delle regioni coinvolte.
Alla fine i documenti furono preparati, messi in 19 scatoloni e custoditi a Carignano da Andrea Fogliato. Dopo vari conteggi, per Gremmo le firme in tutto erano 32238: occorreva solo mettersi in viaggio e portarle all'ufficio elettorale alla Corte d'appello di Milano. La consegna avvenne il 10 maggio 1989: l'obiettivo che per molti, Bossi compreso, era impossibile da raggiungere era lì a portata di mano. Era fatta. O meglio, sembrava fatta. Perché due giorni dopo la consegna Anna Sartoris, moglie di Gremmo, ricevette una telefonata dalla Corte d'appello che la avvisava che la lista era stata respinta, proprio perché mancava un pugno di firme della Valle d'Aosta rispetto alle 3mila richieste. Sembrava incredibile e, infatti, Gremmo e i suoi non volevano crederci. Sartoris, che figurava come presentatrice della lista, fece opposizione, rivolgendosi all'Ufficio elettorale centrale per il Parlamento europeo. 
La Stampa,18 maggio 1989
Fu necessaria una trasferta romana, per difendere quelle richieste in Corte di cassazione. Visto che il problema era di numeri, si dovette per forza ricontare e il presidente dell'ufficio dispose il riconteggio. "Risultò che le firme valdostane erano sì 3181 - racconta Gremmo nel suo libro - ma mancanti di 253 certificati." Nessuno sa che fine abbiano fatto quelle carte; giusto Anna Sartoris ricordò che i certificati relativi alla Valle d'Aosta "erano stati spostati a Carignano in uno scatolone differente".
Giusto per non farsi mancare nulla, si scatenarono due diversi focolai di polemiche. Uno ebbe risvolti di natura penale, visto che erano partite varie denunce che accusarono Gremmo di avere presentato firme false; l'altro fu solo di natura politica, ma non fu meno grave, visto che lo stesso Gremmo fu accusato di aver "venduto" la lista all'Alleanza Nord, in nome di imprecisati vantaggi personali.
Non potendo partecipare direttamente a quelle elezioni, Gremmo si limitò a invitare dalle colonne del suo periodico ad annullare la scheda a quelle europee. Alla fine le urne consegnarono 542.201 schede votate a favore dell'Alleanza Nord nella circoscrizione Nord-Ovest, sufficienti a eleggere i due europarlamentari conquistati in quell'occasione (il Nord-Est non contribuì in modo decisivo). In Piemonte, però, Alberto da Giussano sfiorò 55mila voti, quando nel 1987 la somma dei due "Piemont" aveva superato 133mila consensi: l'Alleanza Nord - che recava comunque nel simbolo in grande evidenza la dicitura "Lega Lombarda" - non riuscì a raccogliere gran parte del consenso che era stato dei piemontesisti. Ci fosse stata nel Nord-Ovest anche la lista di Gremmo, il risultato sarebbe stato diverso (anche se nessuno può dire in che misura): se l'Union Piemonteisa fosse riuscita a ottenere il tanto agognato europarlamentare, il seguito della carriera di Gremmo sarebbe stato ben altro. Invece, dopo la bocciatura della lista e l'affermazione, pur se a ranghi ridotti, di Alberto da Giussano, i progetti autonomisti di Gremmo accusarono un colpo durissimo, ancora doloroso da raccontare, che allontanò molte persone. Si sarebbe rialzato, un'altra volta, ma ci sarebbero voluto alcuni mesi e un altro progetto, destinato a far parlare molto di sé. Al punto che è il caso di dirne più avanti.

giovedì 2 gennaio 2020

1987, l'anno dei due Piemont sulle schede

Vita non semplice, quella degli autonomisti che negli anni '80 cercavano di avere spazio e visibilità politica per le loro battaglie: qualche risultato era arrivato, ma la strada rimaneva in salita e con fronti sempre nuovi. Dopo aver ottenuto il primo eletto nel 1985 alle elezioni provinciali di Torino, l'Union Piemontèisa guidata da Roberto Gremmo proseguì di fatto un'alleanza a tre, con la Lega Lombarda di Umberto Bossi e la Liga Veneta di Franco Rocchetta, il partito nella posizione di maggior forza grazie alla presenza nelle aule parlamentari: grazie a quella condizione, infatti, le altre forze politiche autonomiste avevano potuto presentarsi a livello locale senza raccogliere le firme, semplicemente inserendo nel loro contrassegno la "pulce" con il leone di San Marco
In questo modo Gremmo era riuscito a presentare le candidature che gli avevano permesso di diventare consigliere provinciale grazie al voto "di 35.500 piemontèis"; in quella stessa tornata elettorale, la Liga Veneta era entrata in consiglio regionale con due eletti (Rocchetta ed Ettore Beggiato), ottenendo varie presenze nelle amministrazioni provinciali e comunali. Quanto alla Lega Lombarda, riuscì a eleggere un consigliere a Varese (Giuseppe Leoni), uno a Gallarate (Pierangelo Brivio, cognato di Bossi) e un consigliere provinciale a Varese (Giacomo Bianchi); non uscì invece alcun consigliere regionale, anche perché il simbolo con Alberto da Giussano - graficamente prevalente, anche se formalmente le liste risultavano presentate come Liga Veneta - non era arrivato sulle schede delle province di Como e, soprattutto, di Milano
Nel suo libro Contro Roma del 1992, Gremmo attribuì quelle assenze pesanti della Lega Lombarda a un "incidente tecnico", dovuto innanzitutto ai ricorsi intentati da Achille Tramarin, uno dei due eletti alla Camera con la Liga Veneta e già segretario del partito, che non ci stava a essere stato esautorato e contestava a Rocchetta il titolo a rappresentare la Liga. "I nostri alleati - racconta Gremmo - avevano potuto solo con grande ritardo metterci a disposizione il simbolo che ci esentava dalla raccolta delle firme per la presentazione. Ma mentre noi eravamo comunque riusciti a presentare per tempo le liste, in Lombardia era successo un disastro. Brivio ricorda ancora oggi l'enorme confusione di quei giorni con un Bossi preso dal panico, sommerso dalle carte, le accettazioni, le deleghe. Il futuro grande organizzatore lumabrd non riuscì a presentare la lista per la Regione a Milano, spedendo il povero [Roberto] Ronchi a depositare le candidature proprio all'ultimo momento. E Ronchi giunse in ritardo".   
In ogni caso, quel 1985 era stato un banco di prova, una sperimentazione per future sortite. Così, mentre Gremmo fece scalpore con i suoi interventi in consiglio provinciale in idioma piemontese (duramente criticati dall'allora consigliere provinciale e deputato missino Lodovico Boetti Villanis Audifredi, che il 10 ottobre 1985 presentò alla Camera un'interrogazione a risposta orale - leggibile qui, a pagina 32162 - assieme al collega di partito Ugo Martinat, anch'egli piemontese), l'attività aumentava e anche l'interesse per quelle iniziative. Tra coloro che si interessarono alle battaglie dell'Union Piemontèisa, c'era anche un rappresentante di prodotti alimentari che sulla Gazzetta di Torino e provincia diede un po' di spazio al progetto di Gremmo: si tratta della prima apparizione di Renzo Rabellino, un nome che in questo sito non ha bisogno di presentazioni.
All'inizio di febbraio del 1987 si tennero le elezioni comunali anticipate a Santhià, nel vercellese: si presentò anche l'Union Piemontèisa - sempre con la "pulce" della Liga Veneta - pur non avendo alcun radicamento locale, volendo misurarsi sul territorio in vista delle probabili elezioni politiche altrettanto anticipate (che puntualmente sarebbero arrivate). L'attività svolta nell'ultimo anno e mezzo e la visibilità conquistata nella confinante provincia di Torino da Gremmo (il mandato da consigliere provinciale gli aveva permesso di essere assai più presente di un tempo in varie manifestazioni) consentì a una lista composta quasi interamente da torinesi di ottenere circa il 5% e un eletto, vale a dire lo stesso Gremmo (che poi si sarebbe dimesso in polemica con la richiesta di un altro consigliere eletto col Psi che rivendicava il diritto di parlare in calabrese; gli sarebbe subentrata la moglie Anna Sartoris, in effetti l'unica nata in provincia di Vercelli). 
Al di là dell'elezione di un consigliere, che comunque consentiva visibilità, a Gremmo interessava la percentuale ottenuta: il 5% raccolto dall'Union Piemontèisa a Santhià senza radicamento territoriale e senza troppe attività svolte in quella zona sarebbe tornato utilissimo alle elezioni politiche, visto che in quella circoscrizione - Torino-Novara-Vercelli - nel 1983 era bastato ottenere poco più del 3% per far scattare con certezza l'elezione di un deputato; alla Lega Lombarda, per dire, era andata peggio alle elezioni anticipate contemporanee a Caronno Pertusella (Va), perché il 3% ottenuto era bastato a eleggere un consigliere, ma l'elezione di un parlamentare sarebbe stata assai più a rischio (per Gremmo in quella zona sarebbe stato necessario ottenere addirittura l'8% per avere la sicurezza dell'eletto).
Il voto politico del 2 e 3 giugno 1987, insomma, avrebbe potuto essere decisivo per l'autonomismo piemontese, facendolo entrare in Parlamento. Lo stesso Gremmo fu invitato un paio di volte in un programma televisivo locale, La Trattoria dei Ricordi, allora molto seguito anche perché a condurlo su Telecupole era Gipo Farassino, cantautore in lingua italiana e piemontese, arrivato in passato alla notorietà nazionale e in quel periodo seguito soprattutto nella sua regione. Farassino si mostro interessato alla causa degli autonomisti e, parlando con Gremmo dopo la seconda trasmissione, disse che si sarebbe voluto schierare pubblicamente a loro favore: Gremmo ne fu lieto, suggerendo soltanto di attendere le ormai prossime elezioni politiche per massimizzare il risultato per l'unica forza autonomista che in quel periodo esisteva nella regione, cioè l'Union Piemontèisa. Le cose, tuttavia, non andarono come il suo leader aveva immaginato. 
Nelle settimane successive, infatti, si consumò uno scontro politico tra Gremmo e Rabellino: tra i molti motivi della frizione, anche il fatto che l'Union Piemontèisa fosse stata ufficialmente costituita poche settimane prima con atto notarile dai soli Gremmo e Sartoris. In Contro Roma, Gremmo spiegò di aver agito così perché l'atto costitutivo, come segno di una struttura giuridica stabile, era stata la condizione posta dalla Liga Veneta perché questa concedesse un prestito consistente - 50 milioni - all'Union Piemontèisa e alla Lega Lombarda per poter affrontare le elezioni politiche; nel contempo, non furono coinvolte altre persone perché i firmatari dell'atto avrebbero dovuto impegnarsi personalmente a restituire quanto prestato. Quell'atto fu interpretato come segno di scarsa democrazia interna e provocò l'abbandono di Rabellino e alcune altre persone. 
Le Camere nel frattempo erano state sciolte e si era stabilito che si sarebbe votato il 14 e il 15 giugno 1987: in base alle norme allora vigenti, le liste non esenti dalla raccolta delle firme avrebbero dovuto completare il tutto e consegnare la documentazione agli uffici elettorali circoscrizionali entro le ore 20 del 13 maggio; ancor prima, però, i contrassegni per le elezioni avrebbero dovuto essere depositati presso il Ministero dell'interno tra il 1° e il 3 maggio. Si può immaginare la sorpresa di molti quando, venerdì 17 aprile, La Stampa diede notizia di una conferenza stampa che si era tenuta il giorno prima per annunciare la nascita di un nuovo movimento culturale, Piemont autonomista: il volto principale era quello di Farassino, ma c'era anche Massimo Scaglione, regista e saggista che in passato aveva militato nel Pci; tra i fondatori, peraltro, c'erano anche Renzo Rabellino e l'attore e conduttore radiofonico piemontese Piero Molino. Quel movimento culturale nato per recuperare i "valori della piemontesità" aveva dichiarate "implicazioni politiche, che non significa tuttavia partitiche"; la nascita a ridosso delle elezioni, tuttavia, faceva pensare che quel movimento avesse anche velleità immediate elettorali, anche se questo avrebbe voluto dire avere meno di un mese per raccogliere le firme.
Inutile dire che la notizia non rallegrò affatto Roberto Gremmo, che qualche tempo prima aveva parlato proprio con Rabellino dell'interesse di Farassino per l'autonomia piemontese, naturalmente prima che il gruppo dell'Union Piemontèisa si spaccasse. Nel giro di alcune settimane, il cantautore piemontese aveva abbandonato i panni del potenziale valore aggiunto dell'Union per rivestire quelli dell'aspirante leader: qualcuno dei suoi compagni di avventura evidentemente lo aveva convinto di avere il carisma necessario per guidare la battaglia piemontesista (anche se su quello stesso terreno altre persone avevano iniziato a lavorare da una decina di anni) e il contatto con il pubblico doveva aver rafforzato quella convinzione. A nulla erano valse le proposte di Gremmo per candidature sotto lo stesso simbolo dell'Union, dando rilievo tanto a Farassino quanto al fondatore dell'Union.
Non era questo, tra l'altro, l'unico problema di Gremmo. Come si è ricordato, tra il 1985 e il 1987, l'Union Piemontèisa e la Lega Lombarda avevano potuto correre senza firme grazie alla "pulce" della Liga Veneta, ma alle politiche certamente il partito di Franco Rocchetta e Marilena Marin avrebbe voluto utilizzare per sé l'esenzione. Rocchetta convocò Gremmo e Bossi per illustrare loro il suo progetto: presentare liste unitarie cui avrebbero partecipato Union, Lega e Liga sotto le sole insegne del Leone, nonché varie formazioni di pensionati, la cui visibilità sarebbe stata garantita dalla dicitura "Pensionati uniti". La soluzione non poteva stare bene a Gremmo e Bossi: ora che i loro gruppi si erano fatti conoscere e avevano simboli ben identificabili, candidarsi sotto un altro emblema senza un minimo di visibilità sarebbe stato deleterio sul piano dei risultati (il ricordo della batosta alle politiche precedenti, del 1983, era ancora nitido). A quel punto, il dialogo con la Liga Veneta si interruppe e i leader del Piemonte e della Lombardia dovettero pensare a soluzioni autonome, che comunque avrebbero previsto la raccolta firme (almeno 350 in ogni circoscrizione).
Gremmo e Bossi, dunque, si misero a caccia di sottoscrittori e altrettanto facevano Farassino e i suoi compagni di avventura, ormai con la certezza che il movimento culturale avrebbe voluto partecipare alle elezioni politiche: "Raccoglievamo le firme per le liste agli spettacoli della compagnia di Farassino", racconta Rabellino, che aveva seguito i vari aspetti organizzativi nel cammino verso il voto. Era stato divulgato il nome del gruppo, ma non il simbolo, mantenuto segreto fino all'ultimo per evitare scopiazzature: c'era il riferimento alla bandiera piemontese in alto e il nome al di sotto, con la parola "Piemont" in grande evidenza. La stessa parola, per giunta, che si poteva leggere nel simbolo di Gremmo, anche se il nome ufficiale del partito era Union Piemontèisa.
A dispetto della segretezza, però, Gremmo era riuscito a sapere quale simbolo il gruppo di Farassino avrebbe voluto depositare al Viminale un paio di giorni prima del deposito: a quel punto, decise di mettere in atto un piano per tutelare la propria storia politica e, contemporaneamente, non darla vinta facilmente a un'iniziativa elettorale nata in contrapposizione al suo progetto ma in grado di sfruttare un terreno già coltivato per un decennio. Gremmo, insieme alla moglie Anna Sartoris, studiò un emblema quasi identico a quello di Farassino, con il drapò e "Piemont" scritto grande, mettendo al di sotto l'espressione "Autonomia regionale" giusto per non fare un plagio rotondo. L'immagine fu poi passata a un grafico milanese, lo stesso che aveva disegnato il simbolo per la Lega Lombarda: far fare il disegno all'esterno era un modo per evitare che si sapesse che cosa bolliva in pentola in casa Gremmo.
La sera del 30 aprile Roberto Gremmo e Anna Sartoris partirono da Biella in automobile, per poi congiungersi a un'altra vettura su cui viaggiava Umberto Bossi con altre persone. L'idea era di arrivare all'alba in piazza del Viminale, in modo da essere i primi ai cancelli e battere sul tempo potenziali concorrenti: Gremmo voleva arrivare prima di Farassino, Bossi temeva tiri mancini di potenziali disturbatori, così si accordarono e arrivarono alle 5 del mattino in una piazza ancora deserta. Bossi chiese e ottenne di mettersi in fila per primo; Gremmo si mise subito dietro di lui, seguito dalla moglie.
Nell'attesa che si aprissero i cancelli, peraltro, a Gremmo sorse un dubbio sul simbolo da presentare per primo, sapendo che quello sarebbe stato destinato a finire sulle schede elettorali. Sarebbe stato più logico optare per il simbolo dell'Union Piemonteisa già collaudato negli ultimi cinque anni, ma quello era pur sempre il primo deposito presso il ministero, quindi non c'era alcun obbligo di conformarsi alle grafiche impiegate a livello locale. Il fatto era che il simbolo elaborato all'ultimo minuto per proteggersi da Farassino agli occhi di Gremmo era sembrato più efficace del precedente: anche durante il viaggio verso Roma la questione era emersa nei discorsi con la moglie e lei era dello stesso avviso. "A quel punto, già che eravamo lì, poco prima di entrare chiesi un parere a Bossi - racconta Gremmo - e lui mi disse che non avrei dovuto cambiare emblema perché la gente ormai si era abituata al simbolo che avevamo usato negli ultimi anni su manifesti e schede, quindi sostituirlo sarebbe stato un errore. Mi parve un ragionamento sensato e così feci".
Dopo l'apertura dei cancelli alle ore 8 del 1° maggio, entrò per primo Bossi, che fece finire Alberto da Giussano - all'epoca ancora con il piede destro poggiato su un masso - per la prima volta nelle bacheche del Viminale; subito dopo di lui entrò Gremmo per depositare l'emblema della sua Union Piemontèisa, mentre al numero 3 si presentò Sartoris depositando il simbolo con la dicitura "Piemont Autonomia regionale", anche se formalmente la forza politica cui si riferiva - con regolare atto costitutivo distinto da quello dell'Union, anche qui per evitare che il simbolo fosse escluso dal principio come "deposito multiplo" - era denominata "Movimento Piemont". Espletate tutte le formalità di rito, Bossi, Gremmo e la moglie ripresero le auto e tornarono verso casa; a metà mattina, quando arrivarono per il deposito i rappresentanti di Piemont autonomista non poterono che essere sorpresi nel vedere che in bacheca c'era già un simbolo quasi identico al loro.
Tra il 4 e il 5 maggio a Bossi e Gremmo fu notificata l'ammissione del contrassegno, mentre il ministero invitò tanto Anna Sartoris quanto il rappresentante di Piemont autonomista a sostituire il loro emblema, perché ritenuto confondibile con quelli - parimenti nuovi, almeno per il Viminale - presentati in precedenza. In effetti non era automatico che anche il Movimento Piemont di Sartoris fosse considerato troppo simile a quello "collaudato" dell'Union Piemontèisa: la parola "Piemont" non poteva essere di uso esclusivo di alcuno e la grafica in fondo non era così simile. In ogni caso, Gremmo si riteneva soddisfatto: facendo presentare alla moglie un simbolo quasi uguale a quello di Farassino e degli altri, aveva ottenuto che questi non potessero usare un emblema che riteneva - quello sì - confondibile con il proprio.
Gremmo non tornò a Roma per seguire la situazione e Anna Sartoris non pensò di sostituire il proprio simbolo che le era stato bocciato. Ci pensò eccome, invece, il gruppo di Farassino, che doveva trovare in fretta una soluzione per non disperdere gli sforzi fatti per raccogliere le firme e i candidati: qualcuno propose di rimuovere l'unica somiglianza grafica, sostituendo il lambello con la sagoma della regione Piemonte - che per qualcuno somigliava piuttosto a una bistecca o, nella dimensione ridotta sulle schede, a una pera - e lasciando invece la parola "Piemont" enorme al centro, mentre il nome ufficiale della lista era stato trasformato in "Piemonte autonomista" (ma si lasciò credere ai giornali che il nome della lista fosse "Piemont"); già che ci si era, si tentò il colpo, inserendo nel simbolo la dicitura "autonomia regionale", identica a quella presente nel simbolo bocciato di Anna Sartoris, che però non era venuta a sostituirlo. 
Morale della favola: il gruppo di Farassino aveva dovuto rinunciare al suo simbolo originale, quello sostitutivo non era effettivamente simile a quello di Gremmo, ma la parola "Piemont" si leggeva molto meglio - e, anzi, sembrava ancora più evidente rispetto al contrassegno bocciato - e in più il messaggio dell'autonomia regionale era scodellato in modo nitido agli elettori. "In effetti - ricorda ora Gremmo - il loro simbolo spiccava più del nostro, lo aveva notato anche mia moglie, ma cercavo di non pensarci. Non ci aiutò nemmeno la posizione sulla scheda, che allora era determinata dall'ordine di presentazione delle liste: noi finimmo al terzo posto, ma il simbolo di Farassino riuscì a finire in alto nella seconda colonna della scheda, assai più evidente rispetto alla collocazione ottenuta dall'Union Piemontèisa".
Si arrivò ai giorni del voto e allo scrutinio e i numeri furono impietosi: nella circoscrizione Torino-Novara-Vercelli il Piemont(e) autonomista di Farassino e Rabellino ottenne 54.624 voti, l'Union Piemontèisa di Gremmo si fermò a 52.146; nella circoscrizione Cuneo-Alessandria-Asti il gruppo di Farassino raccolse 17.440 voti, mentre l'Union coi suoi 9.555 consensi fu superata di poco persino dal cartello Liga Veneta - Pensionati uniti. In quest'ultimo collegio probabilmente non sarebbe arrivato alcun eletto, ma nell'altro - quello di cui faceva parte Santhià, in cui si era raccolto il 5% pochi mesi prima - una lista autonomista con il 4,8% avrebbe potuto ottenere tranquillamente due deputati, quanti ne ebbe il Partito radicale: in quel modo, invece, nessuno conquistò eletti
A nulla valse il successo personale di Gremmo, con le 13.190 preferenze ottenute in quella circoscrizione (Farassino si era fermato a 6.856, mentre il ministro del Pli Valerio Zanone ne aveva raccolte 14.005; questo senza considerare i non pochi voti di preferenza dati a Gremmo ma considerati nulli perché espressi accanto al simbolo del Piemont autonomista). Il fondatore dell'Union Piemontèisa è tuttora convinto che la spaccatura all'interno del suo gruppo sia stata in qualche modo fomentata o assecondata dai partiti tradizionali che, dopo la performance di Santhià pochi mesi prima delle elezioni politiche anticipate, si erano spaventati del fatto che una formazione come quella di Gremmo potesse approdare in Parlamento e, da lì, avere ancora più visibilità.
In ogni caso, da quel momento in poi (anche se non proprio subito), Farassino e Rabellino si posero come gli autonomisti piemontesi con cui rapportarsi, visto che alle elezioni erano andati meglio della consolidata Union Piemontèisa nonostante il gruppo fosse nato poche settimane prima del voto e avesse avuto meno mezzi; per giunta, all'opinione pubblica erano apparsi come più moderati rispetto al gruppo di Gremmo, spesso al centro di discussioni per le proprie iniziative e da alcuni tacciato di razzismo. Non a caso, Farassino sarebbe stato nel 1989 tra i fondatori prima dell'Alleanza Nord (cartello elettorale voluto da Umberto Bossi in vista delle elezioni europee) e poi della Lega Nord, sempre in rappresentanza del Piemont autonomista.
In entrambe queste formazioni, il ruolo trainante sarebbe stato della Lega Lombarda, forte dell'essere riuscita nel 1987 a eleggere un deputato (Giuseppe Leoni) e un Senatùr (Umberto Bossi). Quel risultato, dopo quelle elezioni politiche, consentì al Carroccio di potersi presentare senza dover più raccogliere le firme e di decidere se esentare altri soggetti da quell'onere: la stessa condizione privilegiata in cui si era trovata la Liga Veneta dopo il voto del 1983, ma che non si era ripetuta all'appuntamento successivo. Nel 1987, infatti, a dispetto dei voti apportati dai Pensionati grazie all'alleanza concertata da Stefano Menicacci, la Liga Veneta dovette affrontare la concorrenza della lista del Movimento Veneto regione autonoma, contraddistinta da un altro leone marciano - quasi in posizione frontale - abbinato al profilo del veneto e a un'enorme "V", presentata da Flaminio De Poli e Giampaolo Stimamiglio (già membro di Ordine Nuovo) nella sola circoscrizione Verona-Padova-Vicenza-Rovigo alla Camera: lì racimolò un 1% che, sommato ai voti della Liga, avrebbe permesso a quest'ultima di ottenere almeno un deputato. 
Con i "se", con i "ma" e con i condizionali non si fa la storia, men che meno quella politica ed elettorale, ma è davvero probabile che le vicende politiche del Piemonte sarebbero state diverse - anche se non si può prevedere in quale modo - se nel 1987 ci fosse stata una sola lista autonomista. In quel caso, probabilmente, lo stesso Roberto Gremmo avrebbe avuto un destino diverso e meno complesso: di questo, però, converrà parlare più in là.

sabato 13 febbraio 2016

La "pulce" contro le firme? Un'idea di Gremmo e degli autonomisti

Quando si avvicinano le elezioni politiche, magari a data non ancora fissata, l'impegno maggiore per i partiti presenti in Parlamento è profuso per evitare la raccolta delle firme, operazione sempre più difficile in tempi di disaffezione e antipolitica. Anche in passato però non era una passeggiata, soprattutto per le forze politiche meno strutturate. Come avrebbero potuto sottoporre le loro idee al voto dei cittadini, pur non avendo la forza e le energie per raccogliere le firme? 
Un modo doveva esserci e, in effetti, fu elaborato tra il 1979 e il 1980: inserire nell'emblema da stampare sulla scheda il simbolo di un partito che, per legge, sia già esentato dalla raccolta firme. Lo stratagemma viene usato tuttora: di solito basta riprodurre l'elemento caratterizzante del segno, se c'è, oppure lo si inserisce tutto intero ma in miniatura, per questo si parla di "pulce". Il sistema, semplice ma ingegnoso, fu trovato nell'ambito dell'autonomismo e il vero artefice dell'operazione ha un nome e un cognome: Roberto Gremmo
La soluzione non fu immediata, ma richiese alcuni passaggi. Tutto iniziò in vista delle prime elezioni dirette del Parlamento europeo, datate 1979. Allora, probabilmente, il partito autonomista più noto era l'Union Valdôtaine: a guidare la presentazione della lista fu Bruno Salvadori, già consigliere regionale. Nei mesi precedenti - lo racconta Gremmo in Contro Roma, libro pubblicato nel 1992 contenente "storie, idee e programmi delle Leghe autonomiste del Nord" - Salvadori aveva tentato di far assegnare alla Valle d'Aosta un seggio europeo dedicato, come avviene tuttora per Camera e Senato; non riuscendoci, tentò una strada diversa. "Impossibilitata a conquistare il seggio a Strasburgo in virtù di una concessione concordata, l'Union pensò di concorrervi presentando una sua lista elettorale in tutta Italia, chiamando a raccolta tutti coloro che, già allora, in qualche modo si richiamavano all'autonomia, al federalismo, alle minoranze". 
Fu questo, per Gremmo - che fu chiamato a essere parte della coalizione a nome del gruppo Rinascita piemontese - l'episodio alla base della nascita delle Leghe, che negli anni successivi avrebbero mosso i primi passi. Grande assente in quell'operazione fu la Südtiroler Volkspartei, che - in quanto espressione di minoranza linguistica - sfruttò la possibilità di collegarsi a un partito presente in tutte le circoscrizioni (la Dc, in quel caso), cosa che avrebbe assicurato un seggio al proprio candidato più votato, purché avesse avuto almeno 50mila preferenze. 
A prescindere dalla questione Svp, restava un problema legato al simbolo. Quello dell'Uv, grazie ai parlamentari eletti, avrebbe consentito di evitare la raccolta firme e permise comunque una corsa autonoma da ogni altro partito (lo stesso Gremmo, al primo congresso "nazionale" dell'Union, non aveva forse detto "meglio un voto al leone valdostano che cento voti da pecora ai partiti di Roma"?); nonostante questo, il leone rampante su fondo bicolore era inutilizzabile oltre Carema, il comune del torinese che confina con la Valle d'Aosta. Sarebbero state necessarie delle modifiche, ma quali? E, soprattutto, in un periodo in cui mettere mano ai simboli era un'operazione vista con sospetto, sarebbe stato legittimo?
Per saperlo, l'Union interpellò il Ministero dell'interno tramite il proprio senatore Pietro Fosson, ponendo un quesito preciso: era possibile aggiungere al simbolo di un partito già definito altre scritte, senza che questo facesse perdere il beneficio dell'esenzione dalla raccolta firme? La risposta del Viminale fu positiva: era sufficiente che il contrassegno contenesse il simbolo del partito esente che si voleva presentare, non importavano nemmeno le sue dimensioni. Visto che si era pensato di agire sugli elementi testuali, in quell'occasione ci si accontentò di ritoccare appena un po' l'emblema, aggiungendo nel cerchio attorno allo scudo le parole "Europa", "Federalismo" e "autonomie". I riferimenti valdostani erano ancora forti, ma il "marchio" parve più spendibile e le liste furono presentate in tutte le circoscrizioni; con il suo 0,47%, tuttavia, l'Union Valdôtaine "allargata" non riuscì a eleggere alcun parlamentare europeo.
L'obiettivo, dunque, non fu raggiunto, ma l'indicazione simbolica data dal Ministero era molto interessante e la si sarebbe potuta sfruttare in altre occasioni. Nel 1980, in particolare, si votava per rinnovare molte amministrazioni locali e i consigli regionali, compreso quello del Piemonte. Roberto Gremmo era stato uno dei tre candidati piemontesi dell'Uv alle europee dell'anno prima (l'unico biellese, per l'esattezza), aveva ottenuto un certo numero di preferenze e aveva ricevuto il plauso dei vertici del partito autonomista, che gli chiedevano di restare in collegamento con loro: i margini per presentare una lista autonomista anche in Piemonte c'erano. L'impresa non era certo facile: già nel 1968 la Südtiroler Volkspartei aveva tentato di presentare una lista autonomista su tutto il territorio nazionale - lo stesso Gremmo raccontò il tentativo in un suo articolo nel periodico Storia ribelle, n. 25, dal titolo Il 'Sessantotto' autonomista - ma le firme necessarie furono raccolte, fuori dall'Alto Adige, solo a Trieste e a Bergamo, affrontando l'atteggiamento apertamente ostile da parte del Msi (a Bergamo addirittura Mirko Tremaglia sporse denuncia per firme false); anche in Piemonte andò male. 
Ora, il decreto-legge n. 161/1976 (convertito dalla legge n. 240/1976) stabiliva che, per le elezioni regionali, provinciali e comunali, non dovevano raccogliere le firme le liste che fruivano di "contrassegni tradizionalmente usati da partiti o gruppi politici che abbiano avuto eletto un proprio rappresentante in Parlamento o siano costituiti in gruppo parlamentare nella legislatura in corso alla data di indizione dei relativi comizi". Anche qui, dunque, sarebbe bastato utilizzare un emblema rappresentato in Parlamento dall'inizio (o da un gruppo parlamentare sorto in corso d'opera) per riuscire a presentare le liste. 
Si sarebbe potuta fare la stessa operazione del 1979, ma Roberto Gremmo avrebbe voluto dare più risalto a nuovi simboli, creati appositamente per quell'appuntamento elettorale. Si rivolse a un funzionario della prefettura di Genova, chiedendo se l'esenzione dalla raccolta firme sarebbe stata mantenuta anche anche rimpicciolendo le dimensioni del simbolo esente, così come aveva detto il Viminale l'anno prima: il funzionario confermò e Gremmo si mise in moto. Si rivolse nuovamente a Bruno Salvadori per ottenere il simbolo dell'Union da utilizzare alle comunali di Torino: la "pulce" dell'Uv si strinse molto, trovando posto sulla sagoma bianca della Mole. 
Alle regionali invece l'appoggio arrivò dalla lista Per Trieste, nota anche come "lista del melone" (per il melone con alabarda, simbolo della città di Trieste), che nel 1979 aveva ottenuto una deputata: l'apparentamento tecnico arrivò grazie alla "garanzia" di Pietro Bucalossi, già ministro e sindaco di Milano, con cui Gremmo era entrato in contatto e aveva delineato l'idea dell'alleanza con la lista autonomista. "L'adesione di Bucalossi - scriveva sempre Gremmo in Contro Roma - fu giudicata dai triestini garanzia sufficiente per un accordo e così anche la mia lista torinese potè presentarsi sotto l'egida del famoso 'melone' antipartiti". Su consiglio di Gremmo, tutte le liste parte dell'accordo utilizzarono il sistema della "pulce": ovviamente ogni simbolo conosceva varianti (il Duomo milanese stilizzato per la Lombardia, il profilo di Dante per l'Emilia Romagna e il quadrato crociato con lambello per il Piemonte), ma in tutti i casi il nome della lista era Associazione per Trieste. 
Anche in quel caso non arrivarono eletti e, tra l'altro, con la morte tragica di Salvadori in un incidente di auto proprio nei giorni delle elezioni, si chiuse il tentativo di "esportare" l'autonomismo da parte dell'Union Valdôtaine. Gli autonomisti del Piemonte e delle altre regioni avrebbero dovuto trovare altre strade, ma questa è una storia più lunga, da raccontare a parte; intanto lo strumento della "pulce salvafirme" era stato inventato e sarebbe durato a lungo...