Alle elezioni politiche del 1983, inutile negarlo, il vero caso era stato l'exploit della Liga Veneta: nata in concreto nel 1979 e dal notaio l'anno dopo, in quel 1980 aveva mosso i suoi primi passi alle regionali, ma con il suo 0,47% era stata l'unica lista a rimanere a bocca asciutta. Alla sua prima corsa verso il Parlamento, invece, era riuscita nell'impresa di eleggere subito un deputato e un senatore: lo 0,34% a livello nazionale (alla Camera) era diventato almeno il 4% sul territorio e si era tradotto in due seggi per il leone di San Marco finito in evidenza sulle schede. Di questo era ben consapevole, ma con molta amarezza, Roberto Gremmo, convinto autonomista piemontese, impegnato dall'inizio in quelle battaglie.
Il fatto era che in quell'occasione Gremmo e altri, a partire dal milanese Roberto Bernardelli (futuro cofondatore del Partito pensionati, poi deputato e consigliere regionale della Lega Nord e fondatore di nuovi soggetti politici come Lega Padana - Lombardia e Grande Nord), avevano accettato di candidarsi sotto le insegne della Lista per Trieste, che nel 1979 era riuscita a eleggere come deputata Aurelia Benco Gruber e quindi era esente dall'onere della raccolta firme; fino all'ultimo, però, avevano provato a ottenere dal partito - il cui nome completo era "Associazione per la zona franca integrale a Trieste e nella sua provincia" - la possibilità di modificare parzialmente il simbolo, lasciando ovviamente al centro il "melone con alabarda" triestino ma modificando almeno gli elementi testuali, per rendere l'emblema votabile anche al di fuori del Friuli - Venezia Giulia. Uno dei dirigenti della lista, certo, Gianfranco Gambassini, era però stato irremovibile: la Lista per Trieste in effetti voleva porsi come alternativa ai partiti su scala nazionale, ma - anche se aveva personalmente contattato Gremmo e Bernardelli per fare fronte comune - non voleva in alcun modo snaturare la sua immagine. "Non si poteva dare l'impressione all'elettorato triestino - scrisse Gremmo nel 1992, nel suo libro Contro Roma - i voler rinunciare ai tre punti programmatici che lo caratterizzavano; il riferimento giuliano sarebbe stato l'elemento essenziale per raccogliere i voti di oltre 350mila profughi che erano fuggiti dall'Istria nell'immediato dopoguerra; la contestazione ai partiti non doveva far dimenticare che i gruppi alleati erano degli aggregati mentre il protagonista restava il solo sodalizio triestino".
Morale della favola, a dispetto della presenza in tutta l'Italia - compresa la Sicilia di Ernesto Di Fresco, deputato Dc uscente non ricandidato da Ciriaco De Mita, i cui emissari, come ricorda tuttora bene Gremmo, si erano distinti per aver aperto bocca al momento di siglare l'alleanza coi triestini soltanto per dire "'u Mellone, dateci 'u Mellone!", prima di andarsene in fretta verso l'aeroporto - la Lista per Trieste si era fermata allo 0,25%, con 92.101 voti in tutto e per un migliaio di voti non aveva riconfermato il seggio alla Camera (anche se Gremmo aveva ottenuto un buon risultato in Piemonte, ma non lo aveva aiutato una campagna elettorale della lista del tutto incentrata su Trieste e sul Carso); la Liga Veneta aveva ricevuto di più, 125.311 voti, che a livello nazionale erano stati pari allo 0,29%, ma essendo arrivati quasi tutti in Veneto lì avevano pesato per oltre il 4% e avevano prodotto un eletto in ogni ramo del Parlamento. Gremmo entrò poi in contatto con uno degli animatori del partito, Franco Rocchetta, dandogli anche negli ultimi mesi del 1983 il richiesto sostegno nella battaglia tutta interna al partito con Achille Tramarin, fondatore e primo segretario, ma nel frattempo divenuto deputato e - in base allo statuto - incompatibile con l'incarico di vertice della Liga. Alla fine prevalse Rocchetta (segretaria della Liga divenne Marilena Marin, futura moglie di Rocchetta) e l'appoggio di Gremmo - che in quel periodo teorizzò il concetto di Nord assai prima di Bossi - fu in qualche modo ripagato l'anno successivo.
Nel 1984, infatti, si celebrarono le seconde elezioni europee. Memore dell'esperienza del 1979, Gremmo aveva proposto all'Union Valdôtaine di ripetere l'alleanza di tutti i gruppi autonomisti di cinque anni prima, quando il simbolo dell'Uv era stato leggermente modificato per essere votato anche al di fuori della Valle d'Aosta; l'Union in teoria aveva accettato, ma - in ossequio alla nuova linea meno "inclusiva" successiva alla morte di Bruno Salvadori - non si era detta disposta a unire i gruppi che non avessero rappresentato minoranze linguistiche: il che equivaleva a sbarrare la strada all'alleanza con autonomisti piemontesi, lombardi e veneti, mentre si era aperto da tempo un canale con il Partito sardo d'azione. Risultata impraticabile per Gremmo la via valdostana, restava quella veneta: anche la Liga, grazie alla rappresentanza parlamentare, avrebbe permesso di correre senza doversi sottoporre di nuovo alla raccolta firme (vero incubo per le formazioni minori di quel periodo) e i rapporti stretti in precedenza potevano consentire un progetto simile.
In vista di quelle elezioni europee unirono le forze la Liga Veneta, l'Union Piemontèisa di Gremmo, ma anche la Lega Lombarda di Umberto Bossi, il Partito federalista europeo e il Partito del popolo trentino tirolese. Anche in quel caso, tuttavia, era necessario trovare un simbolo comune adeguato, che senza snaturare la trazione della Liga Veneta (bisognava pure che si vedesse l'emblema che attribuiva il vantaggio dell'esenzione dalla raccolta firme) inducesse a votarlo anche al di fuori del Veneto (e non solo i molti emigrati veneti che pure in Piemonte e Lombardia c'erano), tenendo anche conto della concorrenza dell'Uv. Pensa che ti ripensa, si escogitò questa soluzione: in primo piano sarebbe rimasto il leone marciano, con il libro aperto e l'invito alla pace; il nome della Liga Veneta sarebbe finito in basso, più piccolo, ma la vera novità sarebbe stata nel nome della lista-confederazione, Unione per l'Europa federalista, con la prima parola in evidenza.
Nel suo libro Contro Roma, Gremmo ricorda che il primo ad andare su tutte le furie per il simbolo fu Achille Tramarin, che si oppose all'uso del simbolo della Liga da parte di Rocchetta e degli altri, ingaggiando una battaglia legale (persa, come racconta Gremmo); arrivò anche a tentare di depositare per primo il simbolo della Liga Veneta al Ministero dell'interno, presidiando la piazza del Viminale per giorni e ingaggiando una vera e propria scazzottata con Rocchetta e i suoi l'ultima notte prima che i cancelli ministeriali si aprissero. "Al mattino, malconci, Tramarin ed i suoi andarono a farsi medicare ed a presentare denuncia, ma la Liga poté presentare il suo simbolo". Non fece nessun rilievo l'Union Valdôtaine, ma questa fu la principale vittima del nome scelto: il tandem con i sardisti in Valle d'Aosta ottenne 16.676 voti, ma il leone venetista ne ottenne 2.128, pari a un rispettabilissimo 3,16%, probabilmente facilitato dal fatto che il nome della lista conteneva la parola "Unione" e più di qualcuno era forse convinto di votare per il leone dell'Uv. Morale: con i suoi 164.115 voti, l'Unione per l'Europa federalista arrivò a un soffio dall'eleggere un europarlamentare (fu l'unica lista a rimanere senza), obiettivo invece centrato dalla lista Uv-Psd'az che di voti ne aveva presi 193.430; l'eletto, in compenso, era uscito in Sardegna e non si dimise mai per lasciare il posto al primo valdostano della lista.
Pur non essendo arrivati eletti (cosa che non piacque a Rocchetta), il rapporto tra l'Union Piemontèisa e la Liga Veneta proseguì e Gremmo poté inserire la "pulce" (secondo il meccanismo che lui aveva collaudato anni prima) della Liga nel contrassegno della sua Union per partecipare senza firme alle elezioni amministrative e alle regionali del 1985. I risultati furono buoni, anche se l'eletto - lo stesso Gremmo - arrivò solo alle provinciali di Torino. Era ancora pochino, in effetti, ma si trattava pur sempre di uscire dall'anonimato e da qualche parte si doveva iniziare. Sarebbero arrivate altre imprese, momenti molto difficili e rinascite inattese, sempre basate su nuovi simboli, ma meritano di essere ricordate a parte.
Il fatto era che in quell'occasione Gremmo e altri, a partire dal milanese Roberto Bernardelli (futuro cofondatore del Partito pensionati, poi deputato e consigliere regionale della Lega Nord e fondatore di nuovi soggetti politici come Lega Padana - Lombardia e Grande Nord), avevano accettato di candidarsi sotto le insegne della Lista per Trieste, che nel 1979 era riuscita a eleggere come deputata Aurelia Benco Gruber e quindi era esente dall'onere della raccolta firme; fino all'ultimo, però, avevano provato a ottenere dal partito - il cui nome completo era "Associazione per la zona franca integrale a Trieste e nella sua provincia" - la possibilità di modificare parzialmente il simbolo, lasciando ovviamente al centro il "melone con alabarda" triestino ma modificando almeno gli elementi testuali, per rendere l'emblema votabile anche al di fuori del Friuli - Venezia Giulia. Uno dei dirigenti della lista, certo, Gianfranco Gambassini, era però stato irremovibile: la Lista per Trieste in effetti voleva porsi come alternativa ai partiti su scala nazionale, ma - anche se aveva personalmente contattato Gremmo e Bernardelli per fare fronte comune - non voleva in alcun modo snaturare la sua immagine. "Non si poteva dare l'impressione all'elettorato triestino - scrisse Gremmo nel 1992, nel suo libro Contro Roma - i voler rinunciare ai tre punti programmatici che lo caratterizzavano; il riferimento giuliano sarebbe stato l'elemento essenziale per raccogliere i voti di oltre 350mila profughi che erano fuggiti dall'Istria nell'immediato dopoguerra; la contestazione ai partiti non doveva far dimenticare che i gruppi alleati erano degli aggregati mentre il protagonista restava il solo sodalizio triestino".
Morale della favola, a dispetto della presenza in tutta l'Italia - compresa la Sicilia di Ernesto Di Fresco, deputato Dc uscente non ricandidato da Ciriaco De Mita, i cui emissari, come ricorda tuttora bene Gremmo, si erano distinti per aver aperto bocca al momento di siglare l'alleanza coi triestini soltanto per dire "'u Mellone, dateci 'u Mellone!", prima di andarsene in fretta verso l'aeroporto - la Lista per Trieste si era fermata allo 0,25%, con 92.101 voti in tutto e per un migliaio di voti non aveva riconfermato il seggio alla Camera (anche se Gremmo aveva ottenuto un buon risultato in Piemonte, ma non lo aveva aiutato una campagna elettorale della lista del tutto incentrata su Trieste e sul Carso); la Liga Veneta aveva ricevuto di più, 125.311 voti, che a livello nazionale erano stati pari allo 0,29%, ma essendo arrivati quasi tutti in Veneto lì avevano pesato per oltre il 4% e avevano prodotto un eletto in ogni ramo del Parlamento. Gremmo entrò poi in contatto con uno degli animatori del partito, Franco Rocchetta, dandogli anche negli ultimi mesi del 1983 il richiesto sostegno nella battaglia tutta interna al partito con Achille Tramarin, fondatore e primo segretario, ma nel frattempo divenuto deputato e - in base allo statuto - incompatibile con l'incarico di vertice della Liga. Alla fine prevalse Rocchetta (segretaria della Liga divenne Marilena Marin, futura moglie di Rocchetta) e l'appoggio di Gremmo - che in quel periodo teorizzò il concetto di Nord assai prima di Bossi - fu in qualche modo ripagato l'anno successivo.
Nel 1984, infatti, si celebrarono le seconde elezioni europee. Memore dell'esperienza del 1979, Gremmo aveva proposto all'Union Valdôtaine di ripetere l'alleanza di tutti i gruppi autonomisti di cinque anni prima, quando il simbolo dell'Uv era stato leggermente modificato per essere votato anche al di fuori della Valle d'Aosta; l'Union in teoria aveva accettato, ma - in ossequio alla nuova linea meno "inclusiva" successiva alla morte di Bruno Salvadori - non si era detta disposta a unire i gruppi che non avessero rappresentato minoranze linguistiche: il che equivaleva a sbarrare la strada all'alleanza con autonomisti piemontesi, lombardi e veneti, mentre si era aperto da tempo un canale con il Partito sardo d'azione. Risultata impraticabile per Gremmo la via valdostana, restava quella veneta: anche la Liga, grazie alla rappresentanza parlamentare, avrebbe permesso di correre senza doversi sottoporre di nuovo alla raccolta firme (vero incubo per le formazioni minori di quel periodo) e i rapporti stretti in precedenza potevano consentire un progetto simile.
Union Piemontèisa |
Nel suo libro Contro Roma, Gremmo ricorda che il primo ad andare su tutte le furie per il simbolo fu Achille Tramarin, che si oppose all'uso del simbolo della Liga da parte di Rocchetta e degli altri, ingaggiando una battaglia legale (persa, come racconta Gremmo); arrivò anche a tentare di depositare per primo il simbolo della Liga Veneta al Ministero dell'interno, presidiando la piazza del Viminale per giorni e ingaggiando una vera e propria scazzottata con Rocchetta e i suoi l'ultima notte prima che i cancelli ministeriali si aprissero. "Al mattino, malconci, Tramarin ed i suoi andarono a farsi medicare ed a presentare denuncia, ma la Liga poté presentare il suo simbolo". Non fece nessun rilievo l'Union Valdôtaine, ma questa fu la principale vittima del nome scelto: il tandem con i sardisti in Valle d'Aosta ottenne 16.676 voti, ma il leone venetista ne ottenne 2.128, pari a un rispettabilissimo 3,16%, probabilmente facilitato dal fatto che il nome della lista conteneva la parola "Unione" e più di qualcuno era forse convinto di votare per il leone dell'Uv. Morale: con i suoi 164.115 voti, l'Unione per l'Europa federalista arrivò a un soffio dall'eleggere un europarlamentare (fu l'unica lista a rimanere senza), obiettivo invece centrato dalla lista Uv-Psd'az che di voti ne aveva presi 193.430; l'eletto, in compenso, era uscito in Sardegna e non si dimise mai per lasciare il posto al primo valdostano della lista.
Pur non essendo arrivati eletti (cosa che non piacque a Rocchetta), il rapporto tra l'Union Piemontèisa e la Liga Veneta proseguì e Gremmo poté inserire la "pulce" (secondo il meccanismo che lui aveva collaudato anni prima) della Liga nel contrassegno della sua Union per partecipare senza firme alle elezioni amministrative e alle regionali del 1985. I risultati furono buoni, anche se l'eletto - lo stesso Gremmo - arrivò solo alle provinciali di Torino. Era ancora pochino, in effetti, ma si trattava pur sempre di uscire dall'anonimato e da qualche parte si doveva iniziare. Sarebbero arrivate altre imprese, momenti molto difficili e rinascite inattese, sempre basate su nuovi simboli, ma meritano di essere ricordate a parte.
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