giovedì 30 ottobre 2014

Emilia, ripescato Centro democratico (che corre con Dellai)

I centristi più inguaribili, sia pure con tendenza a sinistra, stiano tranquilli: il Centro democratico, alle regionali dell'Emilia, ci sarà. La sua presenza sulle schede aveva vacillato dopo che in tribunale a Reggio Emilia i documenti necessari per la presentazione della lista erano stati consegnati in ritardo, in particolare i certificati dei sottoscrittori: essendo Reggio la quinta provincia in cui la lista è presente (le altre erano Bologna, Forlì, Ferrara e Ravenna), sarebbero venute meno le condizioni richieste dalla nuova legge regionale per concorrere alle elezioni.
Il coordinatore nazionale del partito, Pino Bicchielli, ha però fatto sapere che l'ufficio elettorale centrale regionale (presso la Corte d'appello) ha accettato il ricorso presentato da Centro democratico: in effetti il commissario provinciale e presidente regionale Matteo Riva (già Idv e Pane pace lavoro) ha prodotto la ricevuta del comune con cui i certificati risultavano richiesti 11 minuti prima della scadenza del termine e, per l'ufficio regionale, era un tempo sufficiente per fornirli. 
L'esclusione sarebbe stata un vero peccato per il partito di Bruno Tabacci, che alle elezioni comunali di Reggio Calabria aveva raccolto addirittura il 7,5%, potendo uscire pubblicamente come "il partito alleato più forte del Pd nella città dello Stretto" (parole dello stesso Tabacci) e che a questo punto può sperare di mantenere la propria presenza in Assemblea legislativa in Emilia (attualmente è rappresentato proprio da Riva), non limitandosi solo a fare il "portatore di acqua" per Bonaccini. 
In Emilia, il partito rinuncia alla dicitura "Libertà e diritti" che era stata coniata da Massimo Donadi (come pure all'arancione che era legato a quel partito) e mette in massima evidenza l'espressione "Centro con Bonaccini". Il contrassegno rappresentato, infatti, è quello di un cartello condiviso con "Demo.S - Democrazia solidale", l'associazione politica che vede come principale esponente Lorenzo Dellai, dopo la sua uscita da Scelta civica e il passaggio breve tra i Popolari per l'Italia di Mario Mauro (ci sono anche Andrea Olivero, altro ex Sc-Pi, e persone legate a Sant'Egidio come Mario Marazziti). Un simbolo vero e proprio l'associazione non ce l'ha, tant'è che nel contrassegno il nome viene indicato con una font diversa rispetto a quella vista sul sito. Ma tant'è, ecco pronto a correre e a misurarsi con gli elettori un altro esperimento centrista, che potrebbe dare qualche frutto. O, forse, preludere a nuove polverizzazioni.

martedì 28 ottobre 2014

Lega, Salvini sul simbolo (anche al Sud)

Il deposito delle liste provincia per provincia in vista delle elezioni regionali in Emilia Romagna lo ha svelato: anche Matteo Salvini è finito nella "macchina simbolica" della politica. Nel contrassegno presentato dalla Lega Nord per le regionali che si svolgeranno in destra di Po, infatti, oltre ai riferimenti alle nazioni Emilia e Romagna, c'è anche il suo nome: caccia via la dicitura appena arrivata "Basta Euro" (che in effetti come provocazione e dichiarazione di intenti funzionava quando si votava per Strasburgo, mentre ora che si punta a viale Aldo Moro a Bologna potrebbe essere meno efficace) e si posiziona evidenziato in giallo, compresso nel segmento blu al di sotto di Alberto da Giussano.
Non c'è il nome del candidato alla presidenza della Regione, Alan Fabbri, sindaco di Bondeno (su cui converge l'appoggio di Forza Italia e Fratelli d'Italia), ma proprio quello del segretario federale. Il colore giallo è lo stesso di "Basta Euro", ma nessun leader leghista aveva mai osato tanto prima, almeno cromaticamente (tanto Bossi quanto Maroni avevano lasciato il loro nome in bianco, solo la parola "Libertà" era apparsa in quella tinta alle europee del 1999, facendo il paio con il leone di San Marco).
Lo stesso Salvini, peraltro, si appresta a fornire il proprio nome anche all'omologo partito che si sta formando da Roma in giù: ne sarebbe certo il sito Il Sud con Salvini, in vista soprattutto delle regionali in due regioni chiave come la Campania (in mano al centrodestra) e la Puglia (che vede chiudersi l'era Vendola). "L’operazione Sud - si legge nel sito - punterà molto su Salvini, il cui nome sarà anche nel logo di quella che si chiamerà 'Lega dei Popoli' (e forse 'delle identità'). Inizialmente si era ragionato su 'Identità e Popolo per Salvini', con il simbolo classico del Carroccio. Poi si è deciso di dare una connotazione grafica e simbolica diversa alla Lega 'gemella', senza Alberto da Giussano".
Una delle poche certezze, dunque, sarà l'assenza dell'emblema storico della Lega nel contrassegno del nascente partito: la figura del guerriero, lo "spadone" la cui proprietà in passato aveva fatto discutere (anche in modo piuttosto sterile, secondo chi conosce il diritto elettorale) questa volta resterà solo al Nord. 

martedì 21 ottobre 2014

"Emilia Romagna civica", la sfida del centrosinistra che non vota Pd

Giusto perché sia chiaro a tutti: in Emilia, come in tutta l'Italia, nel centrosinistra non c'è solo il Pd. Il cammino per raccogliere le firme non è ancora terminato, mancano pochissimi giorni, ma Emilia Romagna Civica ci crede. Ha scelto di chiamarsi così il raggruppamento politico che sosterrà Stefano Bonaccini come candidato alla presidenza della regione, ma si propone di raccogliere consenso soprattutto tra chi non si riconosce (o non vuole riconoscersi, anche solo in parte) nel partito del Nazareno.
Il cammino della lista è partito da Forlì e non a caso il varo ha visto la presenza di una figura importante per il centrosinistra, Roberto Balzani: l'ex sindaco della città romagnola, sconfitto alle primarie per la scelta del candidato presidente (ma provvisto di un seguito tangibile), ha comunque scelto di dare sostegno e visibilità alla lista che ritiene "più rappresentativa della necessità di rinnovamento del centrosinistra nella nostra regione".
Il simbolo, a guardarlo bene, è una dichiarazione di intenti (un po' affollata graficamente, bisogna ammetterlo, ma con il pregio della chiarezza). Emerge bene – e non può essere diversamente – la sagoma nera su fondo bianco di una bicicletta: "questo – spiegano dalla lista – è un simbolo pulito, che unisce e che rappresenta al meglio il nostro spirito. Per guidare la bicicletta occorrono buona testa e buone gambe: buone idee, quindi, ma contemporaneamente solide tradizioni e legami con il territorio".
Le idee di cui parlano i promotori sembrano identificarsi con le “parole chiave” che il contrassegno porta in alto a sinistra (chissà se è un caso): Ambiente, Cultura, Diritti e Lavoro. Esse "non solo rappresentano il naturale terreno d’incontro per tutti i soggetti che hanno contribuito a dar vita a questo progetto – precisano dalla lista – ma costituiscono il nucleo essenziale di una serie di proposte che mirano ad arricchire il programma del candidato Presidente della Regione Emilia Romagna per il centrosinistra".
Si tratta chiaramente di idee per cui, iniziata la sfida, occorre pedalare, magari su una delle tante ciclabili spuntate negli anni in regione. La bicicletta, peraltro, nel lessico elettorale ha sempre indicato l'accostamento grafico di due simboli tondi, come fossero due ruote; qui le ruote non ci sono, ma i simboli sì. Impossibile, infatti, non vedere i riferimenti al Psi (la rosa del socialismo europeo) e alla Federazione dei Verdi (l'intramontabile sole che ride), di fatto nel ruolo di principali promotori della lista. Accanto a loro, peraltro – pur non lasciando traccia grafica nel segno – c'è anche LibDem, associazione che fa capo a Franco Grillini, che l'ha fondata nel 2013 dopo il suo addio all'Italia dei Valori.
Nelle intenzioni di chi ha promosso l'operazione politica, dunque, Emilia Romagna Civica può rappresentare chi ha sostenuto Balzani alle primarie, come pure chi ha sensibilità ecologiste, chi proviene dal mondo socialista o si attesta su posizioni liberaldemocratiche. Perché il gioco funzioni su tutta la regione, tuttavia, mancano ancora firme in varie province: le ore sfruttabili sono ancora poche e i chilometri da macinare sono molti, ma in bicicletta non è impossibile.

mercoledì 15 ottobre 2014

La sfida di Tanari, candidato della Dc alla guida dell'Emilia Romagna

Se tutto andrà secondo le aspettative, l'autunno sarà la stagione (elettorale) della Democrazia cristiana. Per lo meno, per quella che si riconosce nella leadership di Angelo Sandri e che in queste settimane si sta concretamente impegnando per essere presente ai principali appuntamenti elettorali che si svolgeranno nelle prossime settimane. 
Se si è già parlato della lista ormai sicura alle ormai vicine elezioni comunali di Reggio Calabria, i traguardi successivi sono molto più ambiziosi: si punta infatti a partecipare alla tornata del 23 novembre che vedrà il rinnovo delle amministrazioni regionali in Calabria e in Emilia Romagna. In quest'ultima regione, la Dc-Sandri conta di partecipare non solo con un proprio simbolo (che riunisce anche gli emblemi dei Pensionati consumatori e della Lega per l'Italia, formazioni legate a Michele De Riggi e Luigi Pergamo con cui è stato stretto un patto di collaborazione politica), ma anche con un proprio candidato alla presidenza, Tiziano Tanari
Attivo tra Bologna (in cui è cresciuto) e Ancona (territorio in cui opera con la sua azienda), Tanari ha accettato di intraprendere questa sfida politica. Non si tratta di una semplice testimonianza fine a se stessa: cosa lo abbia spinto a rendersi disponibile, me lo racconta lui stesso. "Come imprenditore, lavorando su tutta l’Italia, ho visto un continuo impoverimento e abbrutimento dell’economia negli ultimi anni, un trend sempre peggiore. Ho provato l’esigenza di fare chiarezza a partire dalla stretta di credito delle banche: per me è stato ed è un crimine contro il popolo italiano". 
Da lì Tanari ha iniziato a documentarsi, affidandosi essenzialmente a libri e alla rete (e non ai media classici): "La svolta è arrivata con la partecipazione a un convegno organizzato da Paolo Barnard, per me il miglior giornalista italiano, anzi, ritengo sia un patriota: era febbraio del 2012 e, per sentire cinque economisti di fama internazionale che parlavano di sovranità monetaria e altre questioni molto delicate, erano arrivate 2180 persone paganti... ma naturalmente i media non hanno scritto una sola riga. In quell'occasione comunque ho capito che era necessario capire e conoscere meglio la macroeconomia, per capire in quale direzione doveva andare l'impegno: con Reimpresa, nuova associazione di imprenditori di cui faccio parte, si è organizzato un primo convegno a Roma con tutti i movimenti e gruppi sovranisti, che condividono l'idea di tornare alla lira perché l’Europa, togliendoci la sovranità monetaria, ci aveva rubato la democrazia". 
Dall'interesse per la macroeconomia alla politica attiva, il passo è stato più breve del previsto. "Il dialogo tra quei vari movimenti, che portasse a creare massa critica per fare un nuovo partito, era molto difficile - spiega Tanari - eppure era un passo necessario: mi creda, i partiti di oggi, almeno per le posizioni di vertice, sono del tutto irrecuperabili perché sono responsabili dello stato in cui ci troviamo oggi. Al limite si potrebbe parlare con il MoVimento 5 stelle, se solo ci fossero interlocutori diversi con cui rapportarsi".
E' qui che il percorso di Tanari e quello della Democrazia cristiana si incontrano: "Alla Dc mi sono avvicinato a Roma durante un’assemblea, cui mi aveva invitato un amico - ricorda il candidato alla guida dell'Emilia Romagna -. Lo spirito con cui aderisco è creare qualcosa di completamente nuovo, un movimento popolare che agisca sulle basi e sui valori ineguagliabili (ma pienamente laici e sociali) della Dc originale. Sono convinto che la democrazia abbia senso solo se 'si capisce qualcosa', altrimenti è inutile andare a votare". 
Con il suo impegno, ora Tiziano Tanari ha la carica di vicesegretario nazionale della Democrazia cristiana, anche se non aveva mai militato effettivamente in un partito ("sono stato solo per qualche mese in un Club Forza Italia nel 1995, giusto il tempo per capire che non faceva per me; in compenso, però, ho votato la Dc per vent'anni"). L'idea chiara sul percorso da compiere ora ce l'ha: "Occorre coinvolgere la gente, il popolo, per stimolarlo ad aggregarsi, creare dialogo, facendo emergere i soggetti più preparati e mandare avanti loro: così diamo peso e valore alla gente e alle sue istanze, cosa che non sanno e non possono fare i partiti di oggi con impianto verticistico. Qui c'è bisogno di liberare l’italia, con lo stesso spirito delle origini, mentre il Pd è complice del massacro, del saccheggio dell’italia che da anni avviene".  
Certamente lo stesso modello, valido soprattutto per il livello nazionale ed europeo, dovrebbe avere ricadute anche a livello regionale: "Finché in Europa avremo queste norme e questa situazione monetaria, comuni e regioni rischieranno molto: ci saranno sempre meno soldi da poter utilizzare per le politiche locali. In generale, poi, abbiamo bisogno di una politica regionale diversa da quella delle lobby che abbiamo visto finora: è necessario ascoltare i cittadini, sono le loro esigenze a dover spingere le politiche e non quelle dei gruppi". 
Per questo, dunque, la Dc di Angelo Sandri farà di tutto per riuscire a candidare Tiziano Tanari alla presidenza. Le liste provinciali sono pronte, anche se la sfida è dura: anche se il voto anticipato ha dimezzato le firme necessarie per presentare le candidature, il numero di sottoscrizioni da raccogliere è sempre molto alto e gli obiettivi da raggiungere sono ardui per chiunque. Tanari non si nasconde le difficoltà, ma conferma l'impegno: "Il nostro è un modo di scendere in campo, di acquisire visibilità con questo simbolo e dimostrare al territorio che ci siamo e siamo attivi, potendo essere una risorsa che può essere condivisa da altre persone. Chiediamo alla gente di aiutarci sostenendo le nostre liste con una firma: i partiti attivi oggi ci hanno bruciato, mentre c’è bisogno di qualcosa di nuovo, con un patrimonio di valori ben solidi".

lunedì 6 ottobre 2014

Il sorriso dell'Altra Destra: una (buccia di) banana?

Il Nuovo Centrodestra, a quanto pare, ha perso il primo tassello e i media si sono affrettati a farlo sapere: nel fine settimana è debitamente circolata la notizia del varo di Altra Destra, partito di respiro nazionale (almeno nelle intenzioni) fondato da Sveva Belviso, già vice di Gianni Alemanno tra il 2011 e il 2013 in Campidoglio e fino all'altroieri capogruppo sempre in comune a Roma per il partito guidato da Angelino Alfano.
La Belviso ne fa innanzitutto una questione politica, ritenendo necessario far nascere un partito che dia voce "a milioni di cittadini traditi dalla destra tradizionale, una destra che crede di esistere e già non esiste più", soprattutto per colpa dei capi che, a livello nazionale, "avrebbero dovuto portarci al successo e si sono soffermati in litigi personali, lotte, con l'unico obiettivo del mantenimento del potere". Uno dei fendenti più duri è riservato proprio al ministro dell'interno: "Ha avuto paura della parola destra. La crisi, lo sfaldamento di FI avrebbe potuto dare un impulso, costruire un successo del partito di Alfano, che invece ha compiuto un suicidio politico, ha trasformato Ncd in un partitino centrista alleandosi con Casini e i resti di Sc".
Ognuno può condividere o meno la critica fatta dalla Belviso, a seconda della propria sensibilità; il fatto è che quella punzecchiatura ha una sua immediata traduzione grafica, nel simbolo scelto per il nuovo partito: "Ha la parola 'destra' spostata visibilmente sulla destra, Alfano ha avuto paura, adesso ci pensiamo noi". Così, per un attimo, tornano in mente gli interrogativi suscitati dal primo marchio alfaniano (quando il quadrato non era stato ancora sacrificato in nome della ragion di scheda), in cui certamente la "D" stava a destra, ma il fatto che fosse fuori dal quadrato dava la netta impressione che il vero perno del partito sarebbe stato chiaramente il centro (e, viste in gran parte le persone che erano della partita, era quasi scontato che fosse così).
Nel contrassegno presentato dalla Belviso, invece, la parola "Destra" è perfettamente inclusa ed è molto evidente, anche grazie all'inedito rosso di cui è tinta: è lei stessa però a spiegare che "il rosso è il colore della passione". Non è meno evidente, poi, una striscia bianca curva, che attraversa il segmento inferiore blu e la fascia rossa soprastante: "è l'inizio di un sorriso, che noi vogliamo completare e donare agli italiani".
In effetti l'idea del sorriso non è del tutto nuova: gli aderenti della prim'ora al MoVimento 5 Stelle (e prima ancora alle Liste CiViche) sanno che la dicitura "Beppegrillo.it" era stata adagiata nella parte bassa della circonferenza rossa proprio per ricordare un sorriso. Gli effetti collaterali, però, sono sempre dietro l'angolo: quando nel 2008 la Federazione dei liberali depositò in quattro e quattr'otto un simbolo con l'espressione "Partito della libertà", che Berlusconi e altri colleghi di partito usavano con troppa disinvoltura con l'acronimo Pdl, fu introdotta una specie di "sorriso tricolore", ma l'effetto sembrava piuttosto di uno sbaffetto di dentifricio, di quelli a bande colorate che ai bambini piacciono tanto (anche se di solito sono blu, bianchi e rossi).
Con l'Altra Destra non si rischia nessun "effetto dentifricio", ma che la mezzaluna bianca (spostata ovviamente a destra) rimandi a un sorriso non è venuto in mente proprio a tutti. Qualcuno, piuttosto, in quell'elemento grafico ha visto un rischiosissimo rimando a una banana e c'è chi non ha perso tempo, facendo girare una taroccatura del simbolo a tempo di record, con il frutto giallo che copre l'archetto bianco e sembra quasi fare da base alla scritta del contrassegno, in modo fin troppo naturale. Certamente la Belviso non aveva in mente nemmeno per sbaglio questa lettura grafica, ma su questi presupposti il sorriso potrebbe non durare: gli echi - involontari - della Repubblica delle Banane potrebbero essere indigesti, anche con le migliori intenzioni.  

domenica 5 ottobre 2014

Forza Italia in soffitta, anzi no. E Fitto?

Negarlo forse non è inutile, ma per lo meno è difficile: Forza Italia ha conosciuto periodi migliori, quanto a tranquillità ed armonia al suo interno. Prima lo scambio di battute al vetriolo tra Silvio Berlusconi e Raffaele Fitto durante l'ultimo ufficio di presidenza del partito, poi le voci diffuse da Libero (poi smentite dall'ex presidente del Consiglio) sulla possibilità che il soggetto politico nato nel 1994 e "riattivato" meno di un anno fa sia abbandonato in favore di un nuovo contenitore, tutto da sperimentare ma senza debiti da gestire: smentite, aggiustamenti e correzioni vanno tenute in conto e rispettate, ma è lecito non prenderle per oro colato.
Comunque stiano le cose, non può non colpire come il ritorno a Forza Italia - voluto perché il "marchio" del Popolo della libertà "non scaldava il cuore" e veniva trattato come una sigla qualsiasi (il Pdl o perfino la Pdl, cosa che aveva scandalizzato profondamente il suo ideatore) - abbia avuto effetti ben più tiepidi rispetto alle aspettative. Era stato relativamente facile rispolverare la bandierina coniata da Cesare Priori nel 1994, visto che il soggetto giuridico varato allora era stato semplicemente "messo in naftalina" nel 2008, alla nascita del Popolo della libertà: una sospensione dell'attività (necessaria, tra l'altro, a riscuotere i rimborsi elettorali ancora dovuti) che non aveva però cancellato dalle menti di molti il ricordo di quel tricolore che aveva subito diviso gli italiani tra chi lo amava alla follia e chi lo odiava profondamente (nel tempo, peraltro, qualcuno ha cambiato idea).
Se però a novembre del 2013 era tornato il marchio (vestito anche da chi non lo aveva mai portato prima, come Maurizio Gasparri e Gianfranco Rotondi), nessuno poteva immaginare che non sarebbe tornato lo spirito delle origini. Dare la colpa al logo è certamente sbagliato, ma a qualcuno l'idea di cambiare tutti i segni distintivi potrebbe essere venuta davvero: della serie, niente minestre riscaldate, ma qualcosa di davvero nuovo. 
Più che cambiare il nome e il simbolo, peraltro, poteva avere senso - prima della smentita, ovviamente - fondare direttamente un partito nuovo, sciogliendo quello attuale. Un soggetto nuovo che, appunto, non fosse gravato dai debiti di cui, stando a Libero e ad altri quotidiani, Forza Italia sarebbe piena "perché i parlamentari non contribuiscono economicamente". Di partiti chiusi per debiti, a spulciare nella storia della politica italiana, se ne contano essenzialmente due: il Partito socialista italiano e (prima ancora) il Partito liberale italiano: un congresso - drammatico sia per il Psi sia per il Pli - aveva deciso lo scioglimento della vecchia associazione politica, mentre una costituente subito dopo aveva varato i nuovi soggetti politici della rispettiva area (Socialisti italiani e Federazione dei liberali ).
Si erano aperti, in quel modo, percorsi in cui sigle giovani - ma molto meno consistenti - erano destinate a convivere con i vecchi partiti messi in liquidazione per un periodo più o meno lungo (la partita della liquidazione del Psi, per dire, non è ancora chiusa). In questi giorni qualcuno doveva avere pensato che il tutto sarebbe accaduto di nuovo, con un "Forza Silvio" visibile e attivo, a fronte di una Forza Italia in liquidazione e destinata allo scioglimento definitivo. Naturalmente le parole dello stesso Berlusconi, secondo il quale "dovrebbe essere noto a tutti che i costi di venti anni di battaglie azzurre per la libertà sono stati garantiti da mie fideiussioni, delle quali risponderei dunque personalmente", sembrano mettere la parola "fine" sulle voci di un nuovo soggetto politico a guida berlusconiana. 
Diverso, invece, è il discorso relativo a Raffaele Fitto. Sarebbe stato lo stesso Toti, in base a quanto fanno sapere i quotidiani, ad assicurare che "Fitto non farà scissioni, perché con lui non c'è nessuno". Forse Berlusconi non ha detto all'ex presidente della Puglia "se vuoi puoi andartene da Forza Italia", ma magari lui non ha nemmeno bisogno di fondare un nuovo partito. Nel senso che potrebbe averne già uno. 
Non è dato sapere, infatti, quale sia stato il destino giuridico dei Cristiani democratici per le libertà, il partito che proprio Fitto aveva fondato a maggio del 1998 assieme - tra l'altro - a Roberto Formigoni, non riuscendo a mandare giù l'idea che il Cdu di Buttiglione partecipasse al disegno cossighiano dell'Unione democratici per la Repubblica, diventando di fatto la stampella al nascente governo D'Alema. Il gruppo nel 1998 aveva corso con il Ccd in alcune competizioni locali, mentre l'anno successivo aveva partecipato addirittura alle elezioni suppletive per la Camera (e proprio in Puglia, terra di Fitto); nel 2001 era entrato in Forza Italia e la sua sigla, Cdl, era tornata subito buona per dare un acronimo alla neonata Casa delle libertà.
Naturalmente, da allora ad oggi, anche i Cristiani democratici per le libertà potrebbero essere stati posti in liquidazione e magari sono stati sciolti del tutto (del resto, avevano avuto una vita assai più breve, incappando in meno problemi di burocrazia); se però esistessero ancora sul piano giuridico, non ci sarebbe da stupirsi. Anche in quel caso, tuttavia, il vecchio marchio avrebbe poche chance di tornare in uso. Innanzitutto verrebbe quasi certamente tolto lo scudo crociato che, sia pure di scorcio, vi campeggiava (potrebbe non andar bene a tutti e ci sarebbero troppe grane da affrontare con l'Udc e le varie Democrazie cristiane che si proclamano eredi della vecchia Dc). 
Soprattutto, però, se Raffaele Fitto e altri lasciassero Forza Italia, rischierebbe seriamente di farlo a mani vuote: in base alle regole che da decenni i giudici applicano ai partiti, gli scissionisti non hanno alcun diritto sul patrimonio comune del soggetto che abbandonano; in altre parole, a chi alza le tende (sbattendo o meno la porta) e se ne va non spetta nemmeno un ghello o una sede, a meno che ci si accordi diversamente. Avere già un partito, ma non poter portare in dote niente dalla vecchia esperienza sarebbe solo il primo mattone di un'impresa difficilissima. Per ora, dunque, Forza Italia resta e Fitto pure. Più avanti, si vedrà.