venerdì 18 aprile 2014

Come nasce un simbolo: Prodi e l'asinello

Mentre la carica (anzi, carichina, viste le ridotte dimensioni di quest'anno) dei simboli in vista delle elezioni europee sta per spostarsi dalle bacheche del Viminale alle plance elettorali e ai muri - spesso abusivi - di tutta l'Italia, una domanda rischia di finire sopraffatta dalla bagarre che precede l'apertura dei seggi: "Ma come nasce fisicamente un simbolo?
Una domanda curiosa e quasi sussurrata, ma pienamente legittima, in un'epoca in cui tutto sembra facile da realizzare, a portata di clic (e di Photoshop o Illustrator, per i vettorialisti incalliti), anche quando la creazione sa più di plastica e di finzione che di aromi genuini. Pare quasi che nessuno si ricordi più di quando erano le mani a dare forma e colore alle idee, che vengono pur sempre da una o più menti, dotate di un tasso variabile di insanità. 
E allora, perché non andare a recuperare un simbolo di qualche anno fa, non troppo longevo in confronto ad altri ma con l'indubbio pregio di poterlo seguire passo a passo, compresi i finali mancati, ossia le varianti scartate o aggiustate poco a poco? Catapultatevi allora nell'anno di incerta grazia 1999, esattamente a febbraio, ancora una volta in cammino verso le europee. E giusto una manciata di mesi dopo la caduta di Romano Prodi a Montecitorio, una ferita che brucia eccome. Per tamponarla e togliersi qualche sassolino scomodo, il Professore decide di fondare un partito e con lui c'è il sociologo della politica Arturo Parisi.
Parisi è sardo - anche se ha lavorato per anni sotto le Due Torri - e forse è proprio sua l'idea di mettere in campo un asinello, per il nuovo soggetto che dovrà chiamarsi i Democratici o qualcosa di simile. Non che l'idea sia nuova: negli Usa, anche se gli emblemi grafici dei partiti non sono affatto istituzionalizzati e non vanno nemmeno sulle schede, il binomio Donkey-Democrats nasce addirittura nel 1874 ("colpa" dell'artista satirico Thomas Nast e delle sue vignette micidiali) e regge tuttora, al pari della coppia elefante-repubblicani. Perché non esportare anche questo elemento, per il partito nuovo da creare?
Punto primo: bisogna stabilire a chi toccherà dare forma alla bestiola (anche se Prodi, in realtà, non è molto convinto dell'idea grafica): da una gara esce vincitrice ADVcreativi, un gruppo di professionisti della comunicazione formatosi ad Ancona nel 1995, una realtà piuttosto dinamica e "giovane". A curare lo sviluppo del marchio visivo è Francesco Cardinali, che nel suo lavoro procede per gradi. Innanzitutto occorre capire come dovrà essere l'asino. Compito non facile, visto che sui tavoli e sugli schermi dell'ADV si accumulano centinaia di varianti: sagome vuote o piene, semplici o complesse, dettagli del muso o figure intere. "L'asino stilizzato era brutto - ricorda ora Cardinali - ammetto che faceva molto don Chisciotte. Alla fine optammo per una resa cartoon, più simpatica e ammiccante". 
Il risultato è talmente centrato che qualcuno vuole vedere a ogni costo nella variante scelta un richiamo a Pinocchio o a Lucignolo trasformati in ciuchi nel Paese dei Balocchi. Si sparge pure la voce che la Disney sia irritata e pensi ad azioni legali per tutelare i suoi personaggi; l'autore del disegno però giura che quella notizia, pure riportata dai giornali, è una panzana cosmica. 
Arriveranno inevitabili il sarcasmo nemico di Berlusconi ("Se volevano scegliere nel mondo di Disney - noterà, riprendendo le parole di qualche dubbioso sinistro - forse il simbolo migliore sarebbe stato quello della Banda Bassotti") e quello "amico" di Massimo Cacciari ("Il voto degli elettori sotto i dieci anni è assicurato!"), ma la decisione è presa: nel simbolo l'asino ci sarà, avrà i tratti del cartone animato, sarà scalciante e naturalmente guarderà a sinistra.
Il lavoro, sia chiaro, non è neanche a metà. Bisogna completare il disegno dell'asinello, decidendo ogni dettaglio della figura. La forma degli occhi, l'espressione generale del muso, i colori del manto: ogni piccolo particolare è importante per arrivare alla soluzione definitiva da adottare, che tutti dovranno vedere sui media e sulle schede, magari convincendosi a metterci una croce sopra. 
Varianti anche microscopiche così si affastellano una sull'altra, producendo un campionario asinino davvero notevole, che ripercorso a quindici anni di distanza non manca di stupire gli spettatori (e, in fondo, anche il narratore) di questa storia.
Le scadenze, nel frattempo, incombono: Parisi, assieme a Willer Bordon e Paolo Gentiloni, si trovano dal notaio per far nascere ufficialmente i Democratici e qualche simbolo, anche solo provvisorio, dev'essere allegato all'atto costitutivo. Alcune delle prove di logo vengono effettivamente presentate all'interno dell'atto, anche se spesso sono piuttosto lontane dalla soluzione poi adottata. Soprattutto, non manca mai il riferimento all'Ulivo, che il gruppo di Prodi vorrebbe rilanciare proprio con la nuova formazione. Il nome è sempre ben chiaro ed evidente, a volte il rametto emerge bene, altre volte è più defilato a favore dell'asinello; in un caso, addirittura, due foglie del ramo richiamano contemporaneamente anche le orecchie d'asino.
E' lo stesso Prodi, tuttavia, a porre il veto sul nome e sul simbolo della coalizione che aveva vinto le elezioni del 1996: "L'Ulivo - spiega - deve rappresentare l'unità che intendiamo ricostruire". A questo punto, via il rametto e via anche la scritta a caratteri cubitali nel simbolo. Sparisce tutto dunque? Beh, non proprio: "Era piuttosto chiaro - riconosce oggi Cardinali - che il lettering del simbolo doveva restare lo stesso dell'Ulivo", per cui occorreva individuare una soluzione di continuità con il passato, pur facendo a meno del vecchio nome.
Passi per la parte testuale, che poteva restare in blu scuro; nel nome scelto, tuttavia, non c'era nemmeno un apostrofo, per cui non era possibile ripetere lo stesso stratagemma grafico usato per l'Ulivo. Se manca l'apostrofo, però, c'è abbondanza di "i", che nella versione minuscola hanno il puntino: la prima lettera, quella che precede la parola "Democratici", è nella posizione ideale per essere convertita al minuscolo e ospitare su di sé un puntino rosso trapezoidale, parente stretto dell'apostrofo che aveva caratterizzato l'Ulivo.
A quel punto la parte maggiore del lavoro è già compiuta, anche se non sembra. Occorre "solo" fare qualche decina di prove per vedere quale combinazione è più convincente: se la testa di asinello o la figura intera scalciante, con il nome a semicerchio o più ristretto, centrato o ruotato a sinistra, con un occhio anche alla sfumatura del fondo e al suo colore (azzurrino o verdino), per essere certi di "segnare" adeguatamente gli spazi.
Alla fine, come è giusto, il disegno si compie e viene sottoposto a Romano Prodi, che supera anche i dubbi dell'inizio: "L’idea dell’asinello - dichiara ai giornali - mi aveva lasciato un po’ perplesso. Ma poi l’ho visto realizzato con quel tratto e non ho avuto dubbi, sia per il valore simbolico, sia per l’ironia che c’è in questa nostra scelta". Ci si butta quasi a capofitto Prodi, per spiegare la reason why del ciuchino: "L’asinello non è un animale da salotto, ma da lavoro, capace di portare i pesi di tutti; è parco e resistente, è concreto, umile, sereno, capace di testarda determinazione"; "dalla capanna di Betlemme alle fiabe delle nostre nonne, l’asinello è capace di generosità", "è animale che non aggredisce mai ma che resiste" e altre amenità simili. Arriverà a raccogliere quasi 8 punti percentuali, segno che la testardaggine (e, forse, l'impegno dei creativi) avrebbe portato a qualcosa di concreto.

Un ringraziamento speciale a Francesco Cardinali di ADVcreativi che ha messo a disposizione (e, prima ancora, ha cercato con pazienza) il materiale a colori confluito nelle tavole che illustrano questo post. 

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