Giorgia Meloni e gli alti Fratelli d'Italia possono dormire sonni tranquilli, per lo meno fino a settembre. Fino ad allora, infatti, non si dovrebbe riparlare della querelle con alcuni aderenti alla Fondazione Alleanza nazionale che avevano impugnato la delibera con cui, il 14 dicembre scorso, l'assemblea della fondazione stessa aveva concesso per il 2014 a Fdi l'uso del vecchio simbolo di An all'interno del proprio contrassegno.
Il giudice chiamato a esprimersi in via cautelare sulla richiesta di sospendere l'efficacia di quella decisione ha rigettato il ricorso che Roberto Ruocco, avvocato di Cerignola nonché consigliere regionale in Puglia (gruppo Pdl - Forza Italia), aveva presentato insieme ad altri aderenti e partecipanti pugliesi alla stessa Fondazione An. Il gruppo di Meloni, La Russa e Crosetto, dunque, parteciperà alle elezioni europee e amministrative con il simbolo "matrioska" (come lo ha causticamente chiamato Francesco Storace), senza particolari scossoni.
Già il percorso verso la Fondazione An non era stato rapido e lineare, con alcune puntate movimentate tra giudici civili e amministrativi scatenate da chi non aveva condiviso la destinazione del patrimonio al nuovo ente, con il sospetto di irregolarità nel percorso. Il voto favorevole sulla mozione presentata da Meloni, La Russa, Alemanno e altri per scongelare il simbolo di An a favore di Fratelli d'Italia, tuttavia, aveva fatto traboccare il vaso, tanto per gli ex compagni di fiamma che solo poche settimane prima avevano cercato di far partire il Movimento per An con Storace, Adriana Poli Bortone e altri, quanto per gli ex An poi passati a Forza Italia come Maurizio Gasparri, cui la scelta dell'assemblea non era andata giù.
Nel ricorso di Ruocco si legfevano critiche precise. Se lo statuto della Fondazione An indica all'art. 2 come finalità "la conservazione, tutela e promozione del patrimonio politico e di cultura storica e sociale" della destra italiana e in particolare di An, per i ricorrenti la delibera che ha concesso temporaneamente il simbolo (e non il nome, sottolinea il ricorso, anche se era un ingrediente chiave del logo) viola quegli scopi: se un altro soggetto politico che si richiama ad An volesse usare l'emblema in futuro, non avrebbe più lo stesso valore, perché ormai rimanderebbe a Fdi. Fratelli d'Italia, in più, sarebbe individuato come una sorta di "unico erede legittimo" del partito "nato" a Fiuggi, cosa che la fondazione non potrebbe fare (e, di più, il partito della Meloni non potrebbe qualificarsi erede, essendo sorto dall'apporto di soggetti che stavano in partiti diversi e avendo raccolto assai meno voti di An).
Di più, nel ricorso erano uscite le censure già rese note dall'inizio, cioè il mancato inserimento esplicito della mozione nell'ordine del giorno e la presenza di soli 292 votanti a fronte di 1206 aventi diritto; la stessa delibera del cda della fondazione sarebbe viziata, perché la fase istruttoria per verificare l'effettiva innovatività del progetto Fratelli d'Italia - Officina per l'Italia sarebbe stata del tutto insufficiente (21 ex dirigenti di An ascoltati, a fronte di decine di migliaia di iscritti del partito all'atto della confluenza nel Pdl) e svolta da un organo non competente.
Il giudice cautelare, invece che sospendere la delibera (in vista dell'annullamento), ha rigettato il ricorso, cui avevano aderito Antonio Buonfiglio ed Enzo Raisi, già promotori di azioni precedenti. Per il giudicante, il problema è innanzitutto formale: essendo quella in discussione una fondazione, gli attori non sarebbero legittimati a impugnarne le deliberazioni (il controllo spetterebbe all'autorità governativa). Anche accantonando questo problema, non sarebbe vietato presentare mozioni durante l'assemblea. Soprattutto, verrebbe meno l'argomento numerico, perché - da statuto - il numero legale dei partecipanti non dev'essere calcolato su tutti gli aderenti (i 1206 citati prima), ma solo su coloro che abbiano assolto gli obblighi di contribuzione previsti, abbassando il numero a 693: dalla documentazione prodotta, i presenti risultano 306, ben più del terzo degli aventi diritto richiesto dall'art. 12 dello statuto.
Quanto alla coerenza degli scopi perseguiti dalla mozione con quelli previsti dallo statuto della fondazione, il giudice ritiene solo di poter valutare che la scelta di concedere il simbolo effettivamente rientra nelle finalità di conservazione del patrimonio storico-politico di An, non potendo invece esprimersi sull'idoneità di Fdi a essere l'erede politico del partito di Fiuggi (non si tratta di una novità, del resto proprio nelle ordinanze seguite alla svolta del 1995 il tribunale aveva sostenuto la stessa cosa, come già aveva fatto quattro anni prima, nello storico caso della futura Rifondazione comunista contro il Pds). Da ultimo, la delibera del cda non sarebbe impugnabile da parte di chi non è componente dell'organo o non ne sia direttamente leso (e non lederebbe lo statuto l'aver affidato la fase istruttoria all'ufficio di presidenza e non al consiglio di amministrazione, istruttoria che non può essere censurata dal tribunale).
Il primo round, dunque, gli ex An non legati a Fratelli d'Italia l'hanno perso, ma non hanno certo intenzione di gettare la spugna. Non è affatto scontato che il giudizio di merito possa essere diverso rispetto a quello reso in sede cautelare, ma Ruocco e gli altri non cambiano idea. A cinque anni dal suo momentaneo accantonamento, il simbolo di Alleanza nazionale si prepara a una nuova contesa a colpi di fiamma. O di ciò che ne resta.
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