giovedì 2 gennaio 2020

1987, l'anno dei due Piemont sulle schede

Vita non semplice, quella degli autonomisti che negli anni '80 cercavano di avere spazio e visibilità politica per le loro battaglie: qualche risultato era arrivato, ma la strada rimaneva in salita e con fronti sempre nuovi. Dopo aver ottenuto il primo eletto nel 1985 alle elezioni provinciali di Torino, l'Union Piemontèisa guidata da Roberto Gremmo proseguì di fatto un'alleanza a tre, con la Lega Lombarda di Umberto Bossi e la Liga Veneta di Franco Rocchetta, il partito nella posizione di maggior forza grazie alla presenza nelle aule parlamentari: grazie a quella condizione, infatti, le altre forze politiche autonomiste avevano potuto presentarsi a livello locale senza raccogliere le firme, semplicemente inserendo nel loro contrassegno la "pulce" con il leone di San Marco
In questo modo Gremmo era riuscito a presentare le candidature che gli avevano permesso di diventare consigliere provinciale grazie al voto "di 35.500 piemontèis"; in quella stessa tornata elettorale, la Liga Veneta era entrata in consiglio regionale con due eletti (Rocchetta ed Ettore Beggiato), ottenendo varie presenze nelle amministrazioni provinciali e comunali. Quanto alla Lega Lombarda, riuscì a eleggere un consigliere a Varese (Giuseppe Leoni), uno a Gallarate (Pierangelo Brivio, cognato di Bossi) e un consigliere provinciale a Varese (Giacomo Bianchi); non uscì invece alcun consigliere regionale, anche perché il simbolo con Alberto da Giussano - graficamente prevalente, anche se formalmente le liste risultavano presentate come Liga Veneta - non era arrivato sulle schede delle province di Como e, soprattutto, di Milano
Nel suo libro Contro Roma del 1992, Gremmo attribuì quelle assenze pesanti della Lega Lombarda a un "incidente tecnico", dovuto innanzitutto ai ricorsi intentati da Achille Tramarin, uno dei due eletti alla Camera con la Liga Veneta e già segretario del partito, che non ci stava a essere stato esautorato e contestava a Rocchetta il titolo a rappresentare la Liga. "I nostri alleati - racconta Gremmo - avevano potuto solo con grande ritardo metterci a disposizione il simbolo che ci esentava dalla raccolta delle firme per la presentazione. Ma mentre noi eravamo comunque riusciti a presentare per tempo le liste, in Lombardia era successo un disastro. Brivio ricorda ancora oggi l'enorme confusione di quei giorni con un Bossi preso dal panico, sommerso dalle carte, le accettazioni, le deleghe. Il futuro grande organizzatore lumabrd non riuscì a presentare la lista per la Regione a Milano, spedendo il povero [Roberto] Ronchi a depositare le candidature proprio all'ultimo momento. E Ronchi giunse in ritardo".   
In ogni caso, quel 1985 era stato un banco di prova, una sperimentazione per future sortite. Così, mentre Gremmo fece scalpore con i suoi interventi in consiglio provinciale in idioma piemontese (duramente criticati dall'allora consigliere provinciale e deputato missino Lodovico Boetti Villanis Audifredi, che il 10 ottobre 1985 presentò alla Camera un'interrogazione a risposta orale - leggibile qui, a pagina 32162 - assieme al collega di partito Ugo Martinat, anch'egli piemontese), l'attività aumentava e anche l'interesse per quelle iniziative. Tra coloro che si interessarono alle battaglie dell'Union Piemontèisa, c'era anche un rappresentante di prodotti alimentari che sulla Gazzetta di Torino e provincia diede un po' di spazio al progetto di Gremmo: si tratta della prima apparizione di Renzo Rabellino, un nome che in questo sito non ha bisogno di presentazioni.
All'inizio di febbraio del 1987 si tennero le elezioni comunali anticipate a Santhià, nel vercellese: si presentò anche l'Union Piemontèisa - sempre con la "pulce" della Liga Veneta - pur non avendo alcun radicamento locale, volendo misurarsi sul territorio in vista delle probabili elezioni politiche altrettanto anticipate (che puntualmente sarebbero arrivate). L'attività svolta nell'ultimo anno e mezzo e la visibilità conquistata nella confinante provincia di Torino da Gremmo (il mandato da consigliere provinciale gli aveva permesso di essere assai più presente di un tempo in varie manifestazioni) consentì a una lista composta quasi interamente da torinesi di ottenere circa il 5% e un eletto, vale a dire lo stesso Gremmo (che poi si sarebbe dimesso in polemica con la richiesta di un altro consigliere eletto col Psi che rivendicava il diritto di parlare in calabrese; gli sarebbe subentrata la moglie Anna Sartoris, in effetti l'unica nata in provincia di Vercelli). 
Al di là dell'elezione di un consigliere, che comunque consentiva visibilità, a Gremmo interessava la percentuale ottenuta: il 5% raccolto dall'Union Piemontèisa a Santhià senza radicamento territoriale e senza troppe attività svolte in quella zona sarebbe tornato utilissimo alle elezioni politiche, visto che in quella circoscrizione - Torino-Novara-Vercelli - nel 1983 era bastato ottenere poco più del 3% per far scattare con certezza l'elezione di un deputato; alla Lega Lombarda, per dire, era andata peggio alle elezioni anticipate contemporanee a Caronno Pertusella (Va), perché il 3% ottenuto era bastato a eleggere un consigliere, ma l'elezione di un parlamentare sarebbe stata assai più a rischio (per Gremmo in quella zona sarebbe stato necessario ottenere addirittura l'8% per avere la sicurezza dell'eletto).
Il voto politico del 2 e 3 giugno 1987, insomma, avrebbe potuto essere decisivo per l'autonomismo piemontese, facendolo entrare in Parlamento. Lo stesso Gremmo fu invitato un paio di volte in un programma televisivo locale, La Trattoria dei Ricordi, allora molto seguito anche perché a condurlo su Telecupole era Gipo Farassino, cantautore in lingua italiana e piemontese, arrivato in passato alla notorietà nazionale e in quel periodo seguito soprattutto nella sua regione. Farassino si mostro interessato alla causa degli autonomisti e, parlando con Gremmo dopo la seconda trasmissione, disse che si sarebbe voluto schierare pubblicamente a loro favore: Gremmo ne fu lieto, suggerendo soltanto di attendere le ormai prossime elezioni politiche per massimizzare il risultato per l'unica forza autonomista che in quel periodo esisteva nella regione, cioè l'Union Piemontèisa. Le cose, tuttavia, non andarono come il suo leader aveva immaginato. 
Nelle settimane successive, infatti, si consumò uno scontro politico tra Gremmo e Rabellino: tra i molti motivi della frizione, anche il fatto che l'Union Piemontèisa fosse stata ufficialmente costituita poche settimane prima con atto notarile dai soli Gremmo e Sartoris. In Contro Roma, Gremmo spiegò di aver agito così perché l'atto costitutivo, come segno di una struttura giuridica stabile, era stata la condizione posta dalla Liga Veneta perché questa concedesse un prestito consistente - 50 milioni - all'Union Piemontèisa e alla Lega Lombarda per poter affrontare le elezioni politiche; nel contempo, non furono coinvolte altre persone perché i firmatari dell'atto avrebbero dovuto impegnarsi personalmente a restituire quanto prestato. Quell'atto fu interpretato come segno di scarsa democrazia interna e provocò l'abbandono di Rabellino e alcune altre persone. 
Le Camere nel frattempo erano state sciolte e si era stabilito che si sarebbe votato il 14 e il 15 giugno 1987: in base alle norme allora vigenti, le liste non esenti dalla raccolta delle firme avrebbero dovuto completare il tutto e consegnare la documentazione agli uffici elettorali circoscrizionali entro le ore 20 del 13 maggio; ancor prima, però, i contrassegni per le elezioni avrebbero dovuto essere depositati presso il Ministero dell'interno tra il 1° e il 3 maggio. Si può immaginare la sorpresa di molti quando, venerdì 17 aprile, La Stampa diede notizia di una conferenza stampa che si era tenuta il giorno prima per annunciare la nascita di un nuovo movimento culturale, Piemont autonomista: il volto principale era quello di Farassino, ma c'era anche Massimo Scaglione, regista e saggista che in passato aveva militato nel Pci; tra i fondatori, peraltro, c'erano anche Renzo Rabellino e l'attore e conduttore radiofonico piemontese Piero Molino. Quel movimento culturale nato per recuperare i "valori della piemontesità" aveva dichiarate "implicazioni politiche, che non significa tuttavia partitiche"; la nascita a ridosso delle elezioni, tuttavia, faceva pensare che quel movimento avesse anche velleità immediate elettorali, anche se questo avrebbe voluto dire avere meno di un mese per raccogliere le firme.
Inutile dire che la notizia non rallegrò affatto Roberto Gremmo, che qualche tempo prima aveva parlato proprio con Rabellino dell'interesse di Farassino per l'autonomia piemontese, naturalmente prima che il gruppo dell'Union Piemontèisa si spaccasse. Nel giro di alcune settimane, il cantautore piemontese aveva abbandonato i panni del potenziale valore aggiunto dell'Union per rivestire quelli dell'aspirante leader: qualcuno dei suoi compagni di avventura evidentemente lo aveva convinto di avere il carisma necessario per guidare la battaglia piemontesista (anche se su quello stesso terreno altre persone avevano iniziato a lavorare da una decina di anni) e il contatto con il pubblico doveva aver rafforzato quella convinzione. A nulla erano valse le proposte di Gremmo per candidature sotto lo stesso simbolo dell'Union, dando rilievo tanto a Farassino quanto al fondatore dell'Union.
Non era questo, tra l'altro, l'unico problema di Gremmo. Come si è ricordato, tra il 1985 e il 1987, l'Union Piemontèisa e la Lega Lombarda avevano potuto correre senza firme grazie alla "pulce" della Liga Veneta, ma alle politiche certamente il partito di Franco Rocchetta e Marilena Marin avrebbe voluto utilizzare per sé l'esenzione. Rocchetta convocò Gremmo e Bossi per illustrare loro il suo progetto: presentare liste unitarie cui avrebbero partecipato Union, Lega e Liga sotto le sole insegne del Leone, nonché varie formazioni di pensionati, la cui visibilità sarebbe stata garantita dalla dicitura "Pensionati uniti". La soluzione non poteva stare bene a Gremmo e Bossi: ora che i loro gruppi si erano fatti conoscere e avevano simboli ben identificabili, candidarsi sotto un altro emblema senza un minimo di visibilità sarebbe stato deleterio sul piano dei risultati (il ricordo della batosta alle politiche precedenti, del 1983, era ancora nitido). A quel punto, il dialogo con la Liga Veneta si interruppe e i leader del Piemonte e della Lombardia dovettero pensare a soluzioni autonome, che comunque avrebbero previsto la raccolta firme (almeno 350 in ogni circoscrizione).
Gremmo e Bossi, dunque, si misero a caccia di sottoscrittori e altrettanto facevano Farassino e i suoi compagni di avventura, ormai con la certezza che il movimento culturale avrebbe voluto partecipare alle elezioni politiche: "Raccoglievamo le firme per le liste agli spettacoli della compagnia di Farassino", racconta Rabellino, che aveva seguito i vari aspetti organizzativi nel cammino verso il voto. Era stato divulgato il nome del gruppo, ma non il simbolo, mantenuto segreto fino all'ultimo per evitare scopiazzature: c'era il riferimento alla bandiera piemontese in alto e il nome al di sotto, con la parola "Piemont" in grande evidenza. La stessa parola, per giunta, che si poteva leggere nel simbolo di Gremmo, anche se il nome ufficiale del partito era Union Piemontèisa.
A dispetto della segretezza, però, Gremmo era riuscito a sapere quale simbolo il gruppo di Farassino avrebbe voluto depositare al Viminale un paio di giorni prima del deposito: a quel punto, decise di mettere in atto un piano per tutelare la propria storia politica e, contemporaneamente, non darla vinta facilmente a un'iniziativa elettorale nata in contrapposizione al suo progetto ma in grado di sfruttare un terreno già coltivato per un decennio. Gremmo, insieme alla moglie Anna Sartoris, studiò un emblema quasi identico a quello di Farassino, con il drapò e "Piemont" scritto grande, mettendo al di sotto l'espressione "Autonomia regionale" giusto per non fare un plagio rotondo. L'immagine fu poi passata a un grafico milanese, lo stesso che aveva disegnato il simbolo per la Lega Lombarda: far fare il disegno all'esterno era un modo per evitare che si sapesse che cosa bolliva in pentola in casa Gremmo.
La sera del 30 aprile Roberto Gremmo e Anna Sartoris partirono da Biella in automobile, per poi congiungersi a un'altra vettura su cui viaggiava Umberto Bossi con altre persone. L'idea era di arrivare all'alba in piazza del Viminale, in modo da essere i primi ai cancelli e battere sul tempo potenziali concorrenti: Gremmo voleva arrivare prima di Farassino, Bossi temeva tiri mancini di potenziali disturbatori, così si accordarono e arrivarono alle 5 del mattino in una piazza ancora deserta. Bossi chiese e ottenne di mettersi in fila per primo; Gremmo si mise subito dietro di lui, seguito dalla moglie.
Nell'attesa che si aprissero i cancelli, peraltro, a Gremmo sorse un dubbio sul simbolo da presentare per primo, sapendo che quello sarebbe stato destinato a finire sulle schede elettorali. Sarebbe stato più logico optare per il simbolo dell'Union Piemonteisa già collaudato negli ultimi cinque anni, ma quello era pur sempre il primo deposito presso il ministero, quindi non c'era alcun obbligo di conformarsi alle grafiche impiegate a livello locale. Il fatto era che il simbolo elaborato all'ultimo minuto per proteggersi da Farassino agli occhi di Gremmo era sembrato più efficace del precedente: anche durante il viaggio verso Roma la questione era emersa nei discorsi con la moglie e lei era dello stesso avviso. "A quel punto, già che eravamo lì, poco prima di entrare chiesi un parere a Bossi - racconta Gremmo - e lui mi disse che non avrei dovuto cambiare emblema perché la gente ormai si era abituata al simbolo che avevamo usato negli ultimi anni su manifesti e schede, quindi sostituirlo sarebbe stato un errore. Mi parve un ragionamento sensato e così feci".
Dopo l'apertura dei cancelli alle ore 8 del 1° maggio, entrò per primo Bossi, che fece finire Alberto da Giussano - all'epoca ancora con il piede destro poggiato su un masso - per la prima volta nelle bacheche del Viminale; subito dopo di lui entrò Gremmo per depositare l'emblema della sua Union Piemontèisa, mentre al numero 3 si presentò Sartoris depositando il simbolo con la dicitura "Piemont Autonomia regionale", anche se formalmente la forza politica cui si riferiva - con regolare atto costitutivo distinto da quello dell'Union, anche qui per evitare che il simbolo fosse escluso dal principio come "deposito multiplo" - era denominata "Movimento Piemont". Espletate tutte le formalità di rito, Bossi, Gremmo e la moglie ripresero le auto e tornarono verso casa; a metà mattina, quando arrivarono per il deposito i rappresentanti di Piemont autonomista non poterono che essere sorpresi nel vedere che in bacheca c'era già un simbolo quasi identico al loro.
Tra il 4 e il 5 maggio a Bossi e Gremmo fu notificata l'ammissione del contrassegno, mentre il ministero invitò tanto Anna Sartoris quanto il rappresentante di Piemont autonomista a sostituire il loro emblema, perché ritenuto confondibile con quelli - parimenti nuovi, almeno per il Viminale - presentati in precedenza. In effetti non era automatico che anche il Movimento Piemont di Sartoris fosse considerato troppo simile a quello "collaudato" dell'Union Piemontèisa: la parola "Piemont" non poteva essere di uso esclusivo di alcuno e la grafica in fondo non era così simile. In ogni caso, Gremmo si riteneva soddisfatto: facendo presentare alla moglie un simbolo quasi uguale a quello di Farassino e degli altri, aveva ottenuto che questi non potessero usare un emblema che riteneva - quello sì - confondibile con il proprio.
Gremmo non tornò a Roma per seguire la situazione e Anna Sartoris non pensò di sostituire il proprio simbolo che le era stato bocciato. Ci pensò eccome, invece, il gruppo di Farassino, che doveva trovare in fretta una soluzione per non disperdere gli sforzi fatti per raccogliere le firme e i candidati: qualcuno propose di rimuovere l'unica somiglianza grafica, sostituendo il lambello con la sagoma della regione Piemonte - che per qualcuno somigliava piuttosto a una bistecca o, nella dimensione ridotta sulle schede, a una pera - e lasciando invece la parola "Piemont" enorme al centro, mentre il nome ufficiale della lista era stato trasformato in "Piemonte autonomista" (ma si lasciò credere ai giornali che il nome della lista fosse "Piemont"); già che ci si era, si tentò il colpo, inserendo nel simbolo la dicitura "autonomia regionale", identica a quella presente nel simbolo bocciato di Anna Sartoris, che però non era venuta a sostituirlo. 
Morale della favola: il gruppo di Farassino aveva dovuto rinunciare al suo simbolo originale, quello sostitutivo non era effettivamente simile a quello di Gremmo, ma la parola "Piemont" si leggeva molto meglio - e, anzi, sembrava ancora più evidente rispetto al contrassegno bocciato - e in più il messaggio dell'autonomia regionale era scodellato in modo nitido agli elettori. "In effetti - ricorda ora Gremmo - il loro simbolo spiccava più del nostro, lo aveva notato anche mia moglie, ma cercavo di non pensarci. Non ci aiutò nemmeno la posizione sulla scheda, che allora era determinata dall'ordine di presentazione delle liste: noi finimmo al terzo posto, ma il simbolo di Farassino riuscì a finire in alto nella seconda colonna della scheda, assai più evidente rispetto alla collocazione ottenuta dall'Union Piemontèisa".
Si arrivò ai giorni del voto e allo scrutinio e i numeri furono impietosi: nella circoscrizione Torino-Novara-Vercelli il Piemont(e) autonomista di Farassino e Rabellino ottenne 54.624 voti, l'Union Piemontèisa di Gremmo si fermò a 52.146; nella circoscrizione Cuneo-Alessandria-Asti il gruppo di Farassino raccolse 17.440 voti, mentre l'Union coi suoi 9.555 consensi fu superata di poco persino dal cartello Liga Veneta - Pensionati uniti. In quest'ultimo collegio probabilmente non sarebbe arrivato alcun eletto, ma nell'altro - quello di cui faceva parte Santhià, in cui si era raccolto il 5% pochi mesi prima - una lista autonomista con il 4,8% avrebbe potuto ottenere tranquillamente due deputati, quanti ne ebbe il Partito radicale: in quel modo, invece, nessuno conquistò eletti
A nulla valse il successo personale di Gremmo, con le 13.190 preferenze ottenute in quella circoscrizione (Farassino si era fermato a 6.856, mentre il ministro del Pli Valerio Zanone ne aveva raccolte 14.005; questo senza considerare i non pochi voti di preferenza dati a Gremmo ma considerati nulli perché espressi accanto al simbolo del Piemont autonomista). Il fondatore dell'Union Piemontèisa è tuttora convinto che la spaccatura all'interno del suo gruppo sia stata in qualche modo fomentata o assecondata dai partiti tradizionali che, dopo la performance di Santhià pochi mesi prima delle elezioni politiche anticipate, si erano spaventati del fatto che una formazione come quella di Gremmo potesse approdare in Parlamento e, da lì, avere ancora più visibilità.
In ogni caso, da quel momento in poi (anche se non proprio subito), Farassino e Rabellino si posero come gli autonomisti piemontesi con cui rapportarsi, visto che alle elezioni erano andati meglio della consolidata Union Piemontèisa nonostante il gruppo fosse nato poche settimane prima del voto e avesse avuto meno mezzi; per giunta, all'opinione pubblica erano apparsi come più moderati rispetto al gruppo di Gremmo, spesso al centro di discussioni per le proprie iniziative e da alcuni tacciato di razzismo. Non a caso, Farassino sarebbe stato nel 1989 tra i fondatori prima dell'Alleanza Nord (cartello elettorale voluto da Umberto Bossi in vista delle elezioni europee) e poi della Lega Nord, sempre in rappresentanza del Piemont autonomista.
In entrambe queste formazioni, il ruolo trainante sarebbe stato della Lega Lombarda, forte dell'essere riuscita nel 1987 a eleggere un deputato (Giuseppe Leoni) e un Senatùr (Umberto Bossi). Quel risultato, dopo quelle elezioni politiche, consentì al Carroccio di potersi presentare senza dover più raccogliere le firme e di decidere se esentare altri soggetti da quell'onere: la stessa condizione privilegiata in cui si era trovata la Liga Veneta dopo il voto del 1983, ma che non si era ripetuta all'appuntamento successivo. Nel 1987, infatti, a dispetto dei voti apportati dai Pensionati grazie all'alleanza concertata da Stefano Menicacci, la Liga Veneta dovette affrontare la concorrenza della lista del Movimento Veneto regione autonoma, contraddistinta da un altro leone marciano - quasi in posizione frontale - abbinato al profilo del veneto e a un'enorme "V", presentata da Flaminio De Poli e Giampaolo Stimamiglio (già membro di Ordine Nuovo) nella sola circoscrizione Verona-Padova-Vicenza-Rovigo alla Camera: lì racimolò un 1% che, sommato ai voti della Liga, avrebbe permesso a quest'ultima di ottenere almeno un deputato. 
Con i "se", con i "ma" e con i condizionali non si fa la storia, men che meno quella politica ed elettorale, ma è davvero probabile che le vicende politiche del Piemonte sarebbero state diverse - anche se non si può prevedere in quale modo - se nel 1987 ci fosse stata una sola lista autonomista. In quel caso, probabilmente, lo stesso Roberto Gremmo avrebbe avuto un destino diverso e meno complesso: di questo, però, converrà parlare più in là.

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