martedì 29 marzo 2016

Quando un aquilone rischiò di essere il nuovo simbolo liberale

Tanti pensavano fosse
il nuovo simbolo dei liberali...
Qual è stato nel decennio del '90, l'annus horribilis per i partiti italiani? Molti risponderebbero il 1992, anno di Tangentopoli, dell'impasse assurda sul Quirinale, delle morti di Falcone e Borsellino e così via. In realtà, però, la risposta più giusta sarebbe il 1994: quell'anno, infatti, non solo vide accantonare il nome Democrazia cristiana (che non si sciolse, come sanno bene i frequentatori di questo sito) e la sostanziale fine politica del Psdi e del Pri (ai numeri di prima non sarebbero più tornati), ma registrò la fine giuridica di due partiti storici della Repubblica italiana
Chiusero i battenti a Roma, un po' per debiti, un po' per lasciarsi alle spalle una storia per alcuni ingombrante, ma per altri del tutto irrinunciabile. Il 12 novembre 1994 al Palacongressi dell'Eur si aprì la liquidazione del Partito socialista italiano, ma il 4 febbraio nel "congressificio" (così lo chiamano molti notisti politici di lungo corso) dell'hotel Ergife era iniziata la ventiduesima assise nazionale del Partito liberale italiano; due giorni dopo, si seppe con certezza che era stata l'ultima. Qualcuno voleva questo, altri avevano fatto di tutto per evitarlo. 
I dirigenti del partito avevano negato fino all'ultimo che l'idea fosse di chiudere il partito: lo fece anche Alfredo Biondi, in apertura del congresso da lui presieduto. "Qualcuno ha scritto, ha pensato [...] che ci fossero in qualcuno di noi [...] come formazione politica intenti o istinti liquidatori - disse -. Il Partito liberale si muove per rinnovarsi e per continuare la sua battaglia, nella quale fino a ora è stato spesso troppo solitario e ora si apre perché in compagnia di altri si possa fare, da liberali che sopraggiungono con i liberali che restano tali, una battaglia comune, più aperta". "Rinnovarsi" era un verbo ambiguo, potendo riguardare tanto la forma del partito quanto la sua compagine interna, ma presupponeva un minimo di continuità: rinnovamento, in fondo, è meno di rivoluzione.
Il primo cambiamento visibile, in realtà, emergeva dalla sede del congresso, ben più spoglia rispetto al passato. Lo aveva riconosciuto Raffaele Costa, segretario dopo le dimissioni di Renato Altissimo (e contemporaneamente a capo del progetto politico parallelo dell'Unione di centro): lui si era riconosciuto l'unico compito di "contribuire a tirare fuori il partito dalle secche in cui alcune iniziative giudiziarie [...] l'avevano precipitato", come avrebbe poi detto nella relazione di apertura, seguita alle parole di Biondi; questo doveva avvenire nel bel mezzo di "una situazione finanziaria difficilissima, per molti versi paralizzante". Si trattò dunque di un "congresso organizzato in francescana semplicità" e Costa chiese scusa agli ospiti e perfino ai giornalisti: "si troveranno privi di molti di quegli strumenti e anche di quegli orpelli consueti in qualsiasi congresso", lasciando intendere che loro non avrebbero ricevuto neanche una penna, un portachiavi o un gadgettino qualunque.
Che però qualche altro cambiamento fosse all'orizzonte dovevano averlo pensato in molti, anche solo guardando alla scenografia - pur spartana - del congresso. "Il colore di fondo dell'addobbo della sala congressuale è l'azzurro Europa - si leggeva in un lancio dell'Agi - così come non c'è più il tradizionale simbolo tricolore del Pli. Sul palco una sola scritta, 'Liberali', sotto un grande aquilone tricolore, quasi a rappresentare l'aspirazione a 'volare alto'". Quello che appariva un aquilone, in realtà, era una sorta di fazzoletto tricolore, creato negli anni ’60 dallo stilista Emilio Pucci, liberale anch'egli (prima di passare alla Dc). La mancanza del simbolo storico fece pensare a più di qualcuno - specie tra i giornalisti che seguirono l'evento - che quell'aquilone sarebbe stato il simbolo del nuovo soggetto politico, la Federazione dei liberali. Già, perché sotto quella strana grafica si leggeva lo slogan dell'assise congressuale: "Liberali sempre, per una Federazione dei liberali". Per chi voleva continuare semplicemente l'attività politica, la seconda frase non era un problema; per chi voleva continuarla nel Pli, quelle parole avevano il rumore del sipario che si chiude e bisognava evitarlo a ogni costo. Occorreva solo che qualcuno facesse qualcosa. 
Appena Biondi finì di parlare per passare la parola a Costa, in sala si levò una voce, lontana dai microfoni ma netta: "Ho una mozione d'ordine!". Parlava Pierangelo Berlinguer, segretario Pli di Varese: qualcuno della presidenza mugugnò, ma Biondi garantì il diritto di parola e diedero il microfono al delegato. "Dietro questa nostra esposizione - disse - c'è scritto: 'Per una federazione dei liberali'. Mi permetto di chiedere alla presidenza l'oscuramento, [...] è una precostituzione di una decisione del congresso". Si accalorò ancora di più per la seconda parte della proposta: "Non ho visto in tutta la sala il simbolo del Pli, chiedo che venga messo, grazie!". 
Sul secondo punto, dal tavolo della presidenza, qualcuno gli dette ragione, ma Biondi rimase vago: "Io non mi occupo degli arredi, che del resto possono essere opportunamente integrati in seguito", rimandando alla sezione politica del congresso la discussione sul futuro del partito. Berlinguer, evidentemente non soddisfatto, provò a parlare di nuovo, ma Biondi lo zittì subito: "Ora faccia il piacere di tacere! Non siamo qui al concorso 'Voci nuove'!".
Costa fece la sua lunga relazione ("il Pli non muore, muore la forma-partito - disse tra l'altro - cambia solo d'abito, si rigenera, diventerà una federazione"), il dibattito iniziò e arrivò il tempo del pranzo. Assenti quasi tutti i delegati, qualcuno pensò che Berlinguer in fondo aveva ragione e dette l'ordine di rimediare: "All'ora di pranzo - annotò Alessandra Longo su Repubblica nel suo pezzo - un filippino che lavora all'Ergife [...] trasporta in fretta e furia il simbolo del Pli nella sala mezza vuota per l'intervallo. Furtivo, lo appoggia al tavolo della presidenza". Qualcuno lo affisse alla scenografia e, quando toccò a Pierangelo Berlinguer prendere la parola nel pomeriggio, lui esordì dicendo: "Finalmente il simbolo del partito è lì, grazie di cuore!", salvo poi lamentare palesi violazioni dello statuto, dubitare della situazione debitoria del partito ("si dice che con la vendita degli immobili si va in pareggio") e attaccare l'ipotesi liquidatoria del Pli che emergeva dalla proposta a firma di Raffaello Morelli.
Dopo altri due giorni ricchi di discussioni - nei quali non mancarono insulti notturni e qualche schiaffo - e di discussioni sugli aventi diritto al voto (Biondi propose e ottenne di far votare anche chi non aveva pagato la tessera) si arrivò comunque ad abrogare il vecchio statuto: si trattò di una sostanziale liquidazione del Pli, con la creazione di una Federazione dei liberali con quasi gli stessi delegati del "defunto" Pli (non c'era invece Stefano De Luca, che ancora oggi lamenta come lo statuto del Pli non sia stato rispettato, visto che non si raggiunse il 60% dei voti congressuali per intervenire sullo statuto). 
La Fdl si iscrisse di nuovo all'Internazionale liberale e all'Eldr, ma la battaglia per mantenere il Pli in vita così com'era fu persa. Eppure, a distanza di oltre vent'anni, Pierangelo Berlinguer riceve ancora plausi per la sua azione di quei giorni del 1994 e per quella "mozione d'ordine" che, per lo meno, riportò nella sala il simbolo di "un Partito che non voleva morire!", come dice oggi con convinzione lo stesso Berlinguer, che non a caso nel 1997 fu tra i fondatori del Partito liberale, di cui fu presidente Egidio Sterpa e segretario De Luca. L'ex segretario varesino non aveva visto quell'aquilone-fazzoletto come un nuovo possibile simbolo: si trattava di una grafica "generica, asettica e comunque non impegnativa" che, a suo dire, era "una furbizia per preparare il cambio di simbolo". 
In effetti, la successiva Federazione dei liberali non adottò il fazzoletto del Pucci, ma nel determinare il suo nuovo contrassegno - mostrato in anteprima alla fine dei lavori congressuali - si ispirò in qualche modo al simbolo del Pli (c'era pur sempre una bandiera statica, stavolta con l’asta gialla e appuntita), dandogli una connotazione europea (il cerchio di fondo cerchio era azzurro, con dodici stelle). In diversi, tuttavia, per qualche giorno credettero davvero che il "nuovo" aquilone avrebbe iniziato a volare nello stesso cielo in cui la bandiera liberale era appena stata ammainata; sulle schede elettorali, tuttavia, l'aquilone non lo si vide mai passare e anche gli altri emblemi storici dei liberali, a dire la verità, sarebbero apparsi ben poco. Un tricolore, in realtà, c'era e ben saldo, ma ormai era quello di Forza Italia...

Un ringraziamento sentito al dottor Pierangelo Berlinguer per l'attenzione prestata e per aver fornito la foto che ha permesso di svelare il "mistero" dell'aquilone. Le citazioni virgolettate degli interventi congressuali sono tratte dalla registrazione di Radio Radicale.

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