Si è concluso ieri a Roma, all'Hotel Quirinale, l'8° congresso italiano del Partito radicale nonviolento transnazionale transpartito. Non si è trattato di un congresso ordinario di natura transnazionale, che comunque dovrà essere convocato entro la fine di marzo (e da quell'assise uscirà un nuovo statuto, sia pure basato sugli stessi principi) perché, come ha ricordato venerdì all'inizio Sergio D'Elia, è stato raggiunto l'obiettivo dei 3mila iscritti al Prntt con riguardo tanto al 2017 quanto al 2018; quello appena terminato era dunque un congresso italiano convocato soprattutto per affrontare il problema della sopravvivenza di Radio Radicale, anzi, della legge di bilancio con cui "è stata decretata la chiusura di Radio Radicale", per usare sempre le parole di D'Elia.
L'assise italiana è stata l'occasione anche per richiamare le emergenze costituzionali che sta affrontando l'Italia (dalla disumanità delle pene alla mancanza di pluralismo informativo), come ha fatto nella sua relazione iniziale il presidente emerito della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick), il sostanziale oscuramento dell'attività del Partito radicale da parte dei media (ne ha parlato a lungo Marco Beltrandi) e l'emergenza legata alla giustizia, ai suoi costi e alla lunghezza delle procedure giudiziarie (è stato l'oggetto della relazione di Deborah Cianfanelli). Gli interventi si sono concentrati però soprattutto sulla situazione di Radio Radicale, come hanno fatto all'inizio del congresso sia lo storico direttore dell'emittente Massimo Bordin, sia il penalista Tullio Padovani (dalla lunga militanza radicale, coinvolto anche di recente dal Prntt nella campagna per chiedere la riforma della giustizia).
L'assise italiana è stata l'occasione anche per richiamare le emergenze costituzionali che sta affrontando l'Italia (dalla disumanità delle pene alla mancanza di pluralismo informativo), come ha fatto nella sua relazione iniziale il presidente emerito della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick), il sostanziale oscuramento dell'attività del Partito radicale da parte dei media (ne ha parlato a lungo Marco Beltrandi) e l'emergenza legata alla giustizia, ai suoi costi e alla lunghezza delle procedure giudiziarie (è stato l'oggetto della relazione di Deborah Cianfanelli). Gli interventi si sono concentrati però soprattutto sulla situazione di Radio Radicale, come hanno fatto all'inizio del congresso sia lo storico direttore dell'emittente Massimo Bordin, sia il penalista Tullio Padovani (dalla lunga militanza radicale, coinvolto anche di recente dal Prntt nella campagna per chiedere la riforma della giustizia).
L'evoluzione del Partito radicale
Questi tre giorni di lavori all'Hotel Quirinale hanno segnato un punto significativo nella vita del Partito radicale nonviolento transnazionale transpartito, che nel suo passaggio "da Rebibbia al Quirinale" ha visto un profondo rinnovamento (e incremento) degli iscritti: "un grande risultato", come ha detto nella sua relazione il legale rappresentante del partito Maurizio Turco, "sulla via della rigenerazione del Partito radicale". Che l'asticella fissata a un livello alto (3mila iscritti annui) non fosse un obiettivo finalizzato alla chiusura del partito lo ha dimostrato la risposta di chi effettivamente ha aderito al partito (cosa che non avrebbe fatto più di qualcuno che, pur dicendo di volere la vita del Prntt, "ha pensato bene di non iscriversi - ha sottolineato Turco - nel momento in cui la vita del partito radicale era in gioco").
Al di là dei numeri del bilancio (col patrimonio netto passato da -780mila euro a -26mila euro), nei due anni e mezzo successivi al congresso straordinario del 2016 sono state molte le iniziative del Prntt (marce per l'amnistia, carovane per la giustizia, visite nelle carceri, raccolta delle firme per la proposta di legge sulla separazione delle carriere in magistratura con l'Unione delle camere penali, nonché per altre otto proposte di legge su vari temi - dalla riforma delle leggi antimafia alla riforma della Rai, dalla riforma delle leggi elettorali a quella dell'ergastolo ostativo, fino alla revisione del quorum per l'amnistia - per le quali la raccolta non è però riuscita): il tutto nel silenzio quasi totale dei media sull'attività e sull'esistenza del Partito radicale, a fronte dello spazio dato alle iniziative di Radicali italiani (Turco li ha bollati col marchio pannelliano di "radicali di rilievo, la cui immagine è sempre più un abuso rispetto all'identità vera del partito" e ha ironizzato sul congresso di +Europa: "Sono diventati grandi, nel loro statuto hanno i probiviri, ma anche il pullman").
Una priorità assoluta di questi mesi, tuttavia, resta la questione di Radio Radicale, ossia "la vicenda del Governo che ha deciso di non fornire più il servizio pubblico di trasmissione dei lavori parlamentari senza interruzioni", non rinnovando la convenzione con l'emittente (o meglio, rinnovandola solo per sei mesi, fino al 20 maggio 2019) stipulata a seguito della gara svolta nel 1994 per affidare il servizio di trasmissione delle sedute parlamentari senza pubblicità ("Partecipammo solo noi perché quella gara non era conveniente, c'era solo da perderci", ha ricordato Turco). Con i soldi ricevuti sulla base della convenzione, peraltro, Radio Radicale ha sempre dato conto ogni giorno dell'attività delle istituzioni, un numero imprecisato di eventi politici, di processi. Si tratta, come notato da Maurizio Turco, dell'archivio "della vita politica e sociale di questo Paese che nessun'altra istituzione pubblica possiede, nemmeno le istituzioni delle quali ci occupiamo": un archivio, peraltro, fruibile gratuitamente da chiunque si colleghi al sito www.radioradicale.it.
Per il legale rappresentante del Prntt, in effetti, la situazione di grave difficoltà che ha colpito l'emittente non è frutto di un nuovo regime, ma la continuazione e la recrudescenza del vecchio regime, che avrebbe finito per infettare l'Europa (dall'eccesso di ricorsi italiani alla Corte Edu che avrebbero ristretto le possibilità di rivolgersi all'organo per tutelare i propri diritti, fino al declino dell'Unione europea e al tradimento dei propositi dei suoi padri fondatori, a partire da Alcide De Gasperi) e per mettere a rischio l'intera architettura istituzionale e pubblica italiana. In questo contesto si colloca la lotta non violenta che Marco Pannella aveva identificato come "proposta di una transizione verso lo Stato di diritto democratico, federalista, laico e il diritto alla conoscenza", a partire dai paesi a democrazia reale (nei quali la democrazia è ormai sono un alibi): "questa - ha detto Turco alla fine del suo intervento - è una lotta che o la facciamo noi, o non la fa nessuno".
La vicenda di Radio Radicale e lo Stato di diritto
Il bilancio delle cose fatte sembra dire che il partito è vivo, così come lo sono il suo metodo e la sua agenda politica: "tutti noi insieme siamo riusciti a creare le premesse per una rigenerazione del partito che - ha precisato ancora Turco - dovremo realizzare nei prossimi mesi, per poi metterla alla prova del 41° congresso ordinario".Una priorità assoluta di questi mesi, tuttavia, resta la questione di Radio Radicale, ossia "la vicenda del Governo che ha deciso di non fornire più il servizio pubblico di trasmissione dei lavori parlamentari senza interruzioni", non rinnovando la convenzione con l'emittente (o meglio, rinnovandola solo per sei mesi, fino al 20 maggio 2019) stipulata a seguito della gara svolta nel 1994 per affidare il servizio di trasmissione delle sedute parlamentari senza pubblicità ("Partecipammo solo noi perché quella gara non era conveniente, c'era solo da perderci", ha ricordato Turco). Con i soldi ricevuti sulla base della convenzione, peraltro, Radio Radicale ha sempre dato conto ogni giorno dell'attività delle istituzioni, un numero imprecisato di eventi politici, di processi. Si tratta, come notato da Maurizio Turco, dell'archivio "della vita politica e sociale di questo Paese che nessun'altra istituzione pubblica possiede, nemmeno le istituzioni delle quali ci occupiamo": un archivio, peraltro, fruibile gratuitamente da chiunque si colleghi al sito www.radioradicale.it.
Per il legale rappresentante del Prntt, in effetti, la situazione di grave difficoltà che ha colpito l'emittente non è frutto di un nuovo regime, ma la continuazione e la recrudescenza del vecchio regime, che avrebbe finito per infettare l'Europa (dall'eccesso di ricorsi italiani alla Corte Edu che avrebbero ristretto le possibilità di rivolgersi all'organo per tutelare i propri diritti, fino al declino dell'Unione europea e al tradimento dei propositi dei suoi padri fondatori, a partire da Alcide De Gasperi) e per mettere a rischio l'intera architettura istituzionale e pubblica italiana. In questo contesto si colloca la lotta non violenta che Marco Pannella aveva identificato come "proposta di una transizione verso lo Stato di diritto democratico, federalista, laico e il diritto alla conoscenza", a partire dai paesi a democrazia reale (nei quali la democrazia è ormai sono un alibi): "questa - ha detto Turco alla fine del suo intervento - è una lotta che o la facciamo noi, o non la fa nessuno".
Per farla, però, Radio Radicale serve eccome. I radicali a congresso, dunque, hanno chiesto e chiedono innanzitutto che il servizio pubblico che oggi fornisce Radio Radicale sia comunque fornito, che l'archivio sia comunque alimentato e che ciò sia fatto con risorse pubbliche, altrimenti non sarà possibile continuare le attività e nessun altro potrà (o vorrà) farle; nel frattempo, Turco ha rivolto un monito "a chi ci ascolta e ha la possibilità di darci una mano: si manifesti per consentire a Radio Radicale di arrivare almeno alla fine dell'anno, per consentire che ci sia il tempo tecnico per salvare quarantacinque anni di storia italiana". Diversamente, si rischia di sottrarre, come ha detto nel suo intervento di ieri la giovane iscritta al Prntt Vanessa Filosofi (partendo peraltro da un intervento dello stesso Giuseppe Conte, che a fine anno aveva invitato Radio Radicale a stare sul mercato, cosa che la stessa convenzione le impedisce) "un diritto fondamentale", quello all'accesso a "una fonte inesauribile, imperitura di conoscenza universalistica", quale è Radio Radicale e il suo archivio, "patrimonio di storia inestimabile". Se "conoscere per deliberare", motto di Luigi Einaudi fatto proprio da Pannella e da Radio Radicale, ha un senso, la possibilità di conoscere sarebbe gravemente menomata dalla scomparsa della voce (passata, presente e futura) di Radio Radicale. Emittente di tutti, soprattutto dei #drogatidipolitica che bazzicano da queste parti.
Non è mancato chi, invece, ha rivolto un pensiero al simbolo attuale del Prntt, quello disegnato da Paolo Budassi nel 1988 e che raffigura Gandhi attraverso la ripetizione della parola "Partito radicale" in molte lingue. Si tratta certamente di un emblema particolare, che non ha eguali, ma non per questo tutti lo ritengono bello ed efficace: Giuseppe Basini, liberale (con un passato in An e con un trascorso da fondatore della Destra liberale italiana) eletto deputato con la Lega, in un intervento ha esposto la sua tesi: Per lui, il simbolo gandhiano è "inadatto, troppo complicato: non si capisce, non si vede la tradizione". Nulla per Basini rappresenta di più l'idea radicale del berretto frigio indossato dalla Marianna: secondo lui, questo "era il simbolo radicale delle origini e, nella confusione di oggi, un richiamo forte a una tradizione forte, come indubbiamente quella della rivoluzione francese dell'Illuminismo".
Anche sulla questione simbolica, peraltro, ha influito la vicenda di Radio Radicale. In questo senso, si è distinta la proposta (o, se si preferisce, la provocazione) lanciata da Giuseppe Rossodivita, segretario del Comitato Radicale per la Giustizia "P. Calamandrei": far conoscere a tutti la situazione della radio e lavorare per farla vivere presentando alle elezioni europee liste con il simbolo "Salviamo Radio Radicale": ci sarebbe ovviamente lo scoglio della raccolta firme (almeno 30mila in ciascuna delle cinque circoscrizioni), ma per Rossodivita "se ci mettiamo tutti pancia a terra questo obiettivo si può raggiungere" e lui è convinto che, con la presenza di un simbolo del genere - che qui a lato si è cercato di raffigurare - "evidentemente questo governo dovrebbe fare anche i conti con questa situazione".
Si tratta, come lo stesso autore l'ha definita, di una provocazione, ma non troppo campata per aria. In fondo, anche il giornalista Arturo Diaconale ha riconosciuto in un suo intervento che Radio Radicale, pur nascendo "come strumento di battaglie politiche radicali", è diventata ben di più: "il rispetto del pluralismo che si manifesta all'interno della radio dando voce a tutti quanti, a tutti i soggetti della politica italiana fa di Radio Radicale il simbolo stesso della politica della politica e della discussione politica e del pluralismo che ci deve essere nella politica all'interno di una democrazia liberale". Se dunque quell'emittente è diventata simbolo politico, l'idea di schierarla direttamente sulla scheda, come battaglia di scopo che potenzialmente chiunque può condividere, è assai meno provocatoria e ben più fondata di quel che si potrebbe pensare.
Risvolti simbolici del congresso
I tre giorni del congresso italiano del Prntt hanno avuto momenti in cui, in un modo o nell'altro, il discorso ha tirato in ballo i simboli del partito, passati, presenti o futuribili. Già il primo giorno, per esempio, è intervenuto Raffaele De Dominicis, già magistrato contabile e per una manciata di ore assessore al bilancio del comune di Roma nella giunta Raggi (ma anche amico di vecchia data di Pannella): nel suo intervento ha auspicato che il Prntt torni a essere "il partito di Marco Pannella, che deve alzare il pugno con la rosa, che era un segno di libertà, di garanzia dei diritti civili e politici: deve proporsi come soggetto politico, questo senza rinunciare a essere un partito, un movimento transpartitico e transnazionale". Un soggetto, dunque, che deve porsi come "centro di incontri, un centro di convergenza anche di idealità contrapposte", che rappresenti "una speranza, un'alternativa autentica in questa palude in cui è finita l'Italia". Quel pugno con la rosa, nelle intenzioni dei radicali, dovrebbe tornare sulla scheda delle elezioni europee del 26 maggio con la lista Stati Uniti d'Europa, concepita dalla Lista Marco Pannella assieme al segretario del Psi Nencini (anche se nelle ultime settimane non se n'è più parlato): in effetti nessun partecipante al congresso ha toccato l'argomento della partecipazione alle europee con quel progetto politico (al di là di un breve accenno fatto da Maurizio Turco alla fine), ma l'idea di presentarsi con quel nome e quel simbolo aveva entusiasmato parecchie persone in area radicale.Non è mancato chi, invece, ha rivolto un pensiero al simbolo attuale del Prntt, quello disegnato da Paolo Budassi nel 1988 e che raffigura Gandhi attraverso la ripetizione della parola "Partito radicale" in molte lingue. Si tratta certamente di un emblema particolare, che non ha eguali, ma non per questo tutti lo ritengono bello ed efficace: Giuseppe Basini, liberale (con un passato in An e con un trascorso da fondatore della Destra liberale italiana) eletto deputato con la Lega, in un intervento ha esposto la sua tesi: Per lui, il simbolo gandhiano è "inadatto, troppo complicato: non si capisce, non si vede la tradizione". Nulla per Basini rappresenta di più l'idea radicale del berretto frigio indossato dalla Marianna: secondo lui, questo "era il simbolo radicale delle origini e, nella confusione di oggi, un richiamo forte a una tradizione forte, come indubbiamente quella della rivoluzione francese dell'Illuminismo".
Come simbolo non sarebbe male... |
Si tratta, come lo stesso autore l'ha definita, di una provocazione, ma non troppo campata per aria. In fondo, anche il giornalista Arturo Diaconale ha riconosciuto in un suo intervento che Radio Radicale, pur nascendo "come strumento di battaglie politiche radicali", è diventata ben di più: "il rispetto del pluralismo che si manifesta all'interno della radio dando voce a tutti quanti, a tutti i soggetti della politica italiana fa di Radio Radicale il simbolo stesso della politica della politica e della discussione politica e del pluralismo che ci deve essere nella politica all'interno di una democrazia liberale". Se dunque quell'emittente è diventata simbolo politico, l'idea di schierarla direttamente sulla scheda, come battaglia di scopo che potenzialmente chiunque può condividere, è assai meno provocatoria e ben più fondata di quel che si potrebbe pensare.
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