martedì 23 aprile 2019

Europee, simboli di Dc e Pensioni & Lavoro fuori anche al Consiglio di Stato

Si è da poco conclusa definitivamente la fase del procedimento preparatorio alle elezioni europee del 26 maggio 2019, relativa alla definizione dei contrassegni ammessi a presentare candidature. Il Consiglio di Stato, infatti, ha respinto da qualche ora i ricorsi della Democrazia cristiana e di Pensioni & Lavoro che, nel tentativo di ribaltare il verdetto del Tar Lazio dei giorni scorsi, puntavano a vedere riammessi i loro emblemi, esclusi dalla Direzione centrale dei servizi elettorali del Ministero dell'interno (decisione che l'Ufficio elettorale nazionale aveva confermato).

Il ricorso della Dc

Ricorrendo contro la decisione del Tar, la Democrazia cristiana aveva innanzitutto ribadito che non era affatto vero, come sostenuto dal Viminale (con l'adesione del primo giudice amministrativo), che la Dc dal 1993 aveva cessato la sua attività politica, nessun soggetto politico potendo dirsi in continuità giuridica con essa, e che era l'Udc a usare tradizionalmente lo scudo crociato anche nelle aule parlamentari. Per i ricorrenti, "la Dc usa il contrassegno oggetto della presente disputa dal 1943, mentre l'Udc dal 2002" e tanto basterebbe a dire chi potrebbe usarlo e chi no: l'identificazione giuridica della Dc ora guidata da Renato Grassi con quella "storica" sarebbe provata, a detta dei democristiani, dalla sequela di sentenze del Tribunale di Roma del 2006, della Corte d'appello di Roma del 2009 e della Corte di cassazione del 2010 (il cui contenuto è ricostruito in modo per lo meno singolare e davvero non condivisibile; lo stesso può dirsi della citazione del "precedente" del Consiglio di Stato che aveva riammesso il simbolo della Dc alle politiche del 2008, tralasciando che non era stata esclusa l'Udc e comunque la decisione di Palazzo Spada era stata superata da un decisum della Cassazione), dalla "regolare convocazione degli associati della Democrazia Cristiana" che sempre il tribunale romano ha disposto a dicembre del 2016 e dalle attività svolte in seguito.
Sarebbe stato invece da censurare il comportamento dell'Udc, che continua a usare un emblema molto simile a quello della Dc e lo ha presentato anche in occasione delle elezioni europee senza volerlo usare (vista la scelta di inserire candidati in altre liste), ma solo per danneggiare la Dc. L'interpretazione delle disposizioni elettorali a tutela dell'Udc (che tra l'altro non avrebbe eletto direttamente nessun parlamentare nel 2018), per i democristiani, sarebbe sbagliata e ingiusta, perché tutelare i partiti presenti in Parlamento per garantire all'elettore massime libertà e consapevolezza nel voto sarebbe una valutazione politica; anzi, "aver consentito in tutti questi anni ad altri partiti, come oggi all'Udc, di utilizzare simboli che appartenevano e che identificavano altro partito precedente, come quello della Democrazia cristiana, in violazione della legge elettorale", lederebbe "uno dei principi cardine del nostro diritto italiano, garantito dalla Costituzione". non ci sarebbe insomma alcuna possibilità per un partito di avere eletti in Parlamento (e la conseguente tutela rafforzata del simbolo) ove non gli si permettesse di candidarsi con il contrassegno che ritiene essere il proprio (e che, paradossalmente, lotterebbe da vent'anni per usarlo proprio perché nell'ultimo ventennio ha operato senza poter correre alle elezioni come voleva, "in violazione della legge" secondo i ricorrenti).
Quanto all'uso del nome e del simbolo del Partito popolare europeo (contestato dal Viminale e oggetto di lamentele da parte dello stesso Ppe), i ricorrenti lamentavano di nuovo l'adesione totale del Tar alle argomentazioni dell'Ufficio elettorale nazionale che richiedevano la prova dell'uso legittimo di quei segni distintivi: dette richieste sarebbero state contenute in fonti europee non vincolanti, non esisterebbero norme che obbligherebbero realmente a dimostrare l'adesione a un partito europeo (i ricorrenti ribadivano la concezione etimologica dell'affiliazione come "mera dichiarazione di volontà, atto unilaterale") e non si potrebbe dare valore di precedente alle decisioni passate dello stesso ufficio di magistrati di cassazione.
Per i giudici amministrativi di secondo grado, invece, l'intero appello della Democrazia cristiana dev'essere respinto. Lo sostengono innanzitutto ricordando, di nuovo, che in questa sede si deve solo accertare se siano state correttamente applicate le norme volte "a garantire una corretta e consapevole scelta dell’elettore, immune da sviamenti e confusioni, verso una determinata forza politica, con tutela, quindi, dell’affidamento identitario che l’elettore può ragionevolmente effettuare attraverso un riscontro, appunto, dei simboli nell'immagine socialmente nota di un partito": in questo senso, è indiscutibile l'esigenza di tutelare l'immagine di chi opera in Parlamento da tempo con continuità (come l'Udc). Contemporaneamente, viene attaccata la tesi della continuità giuridica tra Dc "storica" e Dc ricorrente, ritenendo che essa non sia stata provata da questa in alcun modo (anzi, dimostrerebbero il contrario anche le sentenze "prodotte dagli stessi appellanti"). Ritenuta la confondibilità "evidente" dei due emblemi, la sentenza del Tar appare dotata di "motivazione sufficiente e completa" per i giudici di Palazzo Spada. 
Quanto alle doglianze relative all'uso del simbolo del Ppe, si ribadisce la previsione - mediante la decisione (Ue, Euratom) 2018/994 del Consiglio del 13 luglio 2018 - della possibilità di inserire sulla scheda elettorale i riferimenti al partito europeo di affiliazione; i magistrati notano che qui mancherebbe un atto di assenso o di "affiliazione" da parte del Ppe (cui aderiscono solo Forza Italia, Svp, Popolari per l’Italia, Alternativa Popolare, Patt e Udc, essendo negato il simbolo a ogni altra forza politica) e che la pretesa di usare un simbolo a seguito di un'affiliazione solo unilaterale, "oltre ad essere contraria al quadro del diritto europeo, sopra ricordato, trascura di considerare la doverosa tutela del corpo elettorale, suscettibile di essere tratto in inganno o fuorviato da utilizzazioni non solo non autorizzate, ma [...] addirittura espressamente vietate dal Ppe, con rischio di compromettere la genuinità della competizione elettorale". Disco rosso dunque per la Dc di Grassi, che però se non altro non dovrà accollarsi le spese legati dell'Udc in questo grado di giudizio; non è escluso che, nei prossimi mesi, il partito scelga di ricorrere in sede europea.

Pensioni & Lavoro

Se il ricorso della Dc era stato depositato già venerdì scorso, solo oggi è comparso anche il ricorso di Pensioni & Lavoro, originato come si è già detto dalla mancata ammissione del contrassegno che, secondo il Viminale, conteneva un indebito riferimento grafico al Partito laburista britannico. Il ricorso, scritto nell'interesse del Gran Cancelliere Ugo Sarao, demiurgo del partito, merita di essere letto, se non altro, per omaggio al filone letterario che questo rappresenta e per la ricostruzione - sincera in modo disarmante - della reason why alla base della conformazione del simbolo. 
Si legge, in particolare, che Pensioni & Lavoro, intenzionato ad avvalersi dell'esenzione dalla raccolta firme grazie all'affiliazione a un partito europeo, aveva inviato "oltre 500 mail (documentabili) a parlamentari ed esponenti politici di area socialdemocratica" e intanto aveva progettato il contrassegno della "bicicletta" (come quello del 2014) "inserendovi una piccola 'rosa' stilizzata in modo tale da lasciare aperta la possibilità di affiliazione con uno dei 18 partiti europei che hanno nel loro simbolo politico e/o elettorale la rosa, più rose oppure petali di rosa" (e qui il ricorrente ha sentito il bisogno di precisare che "la parola labour" non è riferibile al solo Labour Party "ma è la translitterazione del latino labor", così come la rosa non è "proprietà di un partito piuttosto che di un altro"). Nel frattempo però alle mail mandate sono arrivate solo risposte automatiche ("e da qui si capisce che fatta l'Europa bisognerebbe fare gli europei"), tranne quella del Labour Party britannico "a cui [prudentemente] avevamo versato [solo] 5 sterline come gesto di adesione... ma - purtroppo - anche il Labour lnternational, incassate le sterline si eclissava".
La richiesta di legittimazione all'uso della rosa laburista, avanzata dal Viminale, per Sarao non è prevista dalla legge ("la legge del 1979 non poteva prevedere che nel 2019 si potesse evitare la raccolta delle 150mila sottoscrizioni affiliandosi ad un partito europeo") e comunque "andrebbe chiesta ai 18 partiti che utilizzano nel loro simbolo una rosa o parte di essa: la stessa ripetitività accade, senza alcun limite, per i simboli dei partiti ambientalisti che hanno come leitmotiv il sole che ride". In sostanza, quella utilizzata dal Gran Cancelliere non sarebbe la rosa del Labour Party, ma una generica rosa laburista-socialdemocratica: anzi, a detta di Sarao Pensioni & Lavoro sarebbe "in attesa di un attestato di 'affiliazione' da parte del Partito socialdemocratico della Repubblica di San Marino che, se perverrà in tempo utile, farà cessare il motivo del contendere (e, se riammesso, il contrassegno ci consentirà di presentare le liste negli Uffici Circoscrizionali)" (imperdibile, in questo senso, la concessione finale contenuta nelle richieste al Consiglio di Stato: in caso di riammissione del contrassegno e di possibilità di presentare le liste, "si accetta fin da ora - se già effettuati i sorteggi - l'ultima posizione sulle schede e sui manifesti elettorali").
A queste osservazioni se ne aggiunge una politica (la segnalazione della "presenza alle Elezioni Europee di liste discutibili sul piano politico e democratico tra le quali alcune notoriamente ostili all'Unione Europea", per cui escludere un movimento chiaramente europeista come Pensioni & Lavoro "fin da quando era partecipe dei lavori e delle iniziative dell'Unione Europea dei Cancellieri di Giustizia" sarebbe "un dispiacere che nemmeno la Corte Europea potrebbe lenire") e, per buon'aggiunta, una segnalazione di incostituzionalità circa la partecipazione alle europee delle minoranze linguistiche (che senso avrebbe prevedere una disciplina di favore nello sbarramento per le minoranze, se anche le loro liste - non esenti dalla raccolta firme - devono raccogliere 30mila firme per circoscrizione, delle quali almeno 3000 in ciascuna regione?), che si traduce in una questione da rimettere alla Corte costituzionale.
Anche questo appello, tuttavia, per il Consiglio di stato è infondato. Non sarebbe possibile limitare il divieto di confondibilità ai soli partiti italiani e, sulla base di questo, per "un partito nazionale presentare il simbolo di un partito estero senza alcuna dichiarazione di collegamento con esso", non potendosi consentire "ad un partito politico nazionale di accreditarsi, presso l’elettorato, come 'affiliato' ad un certo movimento partito o movimento politico, senza l’assenso di questo". Se l'affiliazione, già per il Tar, era "un preciso istituto giuridico, subordinato all'accordo tra due formazioni politiche ed alla relativa prova" (e qui valgono le osservazioni già fatte per il simbolo del Ppe nel contrassegno della Dc), ciò vale tanto nei confronti dei partiti politici europei, ma anche "tra i partiti dei singoli Stati europei, ad evitare condotte che suscitano dubbi o confusione nei cittadini europei e alterino il formarsi del consenso elettorale": i principi di affiliazione valgono dunque "anche per il collegamento orizzontale tra partiti nazionali e non solo per quello verticale tra partito nazionale e partito presente nel Parlamento europeo", per evitare che "il partito nazionale si accrediti, anche sul piano simbolico, come portatore di una ideologia o di un programma politico non condiviso tra partito nazionale e partito estero [...], nonostante l’apparenza simbolica, ma unilateralmente assunto"; la rosa usata, poi, "identifica chiaramente il partito laburista inglese, agli occhi dell’elettorato, e non già un generico patrimonio politico e culturale dei partiti di ispirazione socialdemocratica e socialista". 
Quanto alla questione di legittimità costituzionale, per il Consiglio di Stato si tratta di una questione "del tutto nuova, in quanto afferente a censura mai proposta nel ricorso di prime cure", quindi è stato ritenuto inammissibile (e il risultato comunque era ovvio, visto che si sarebbe dovuto sospendere il processo). Ci sarà almeno un briciolo di legislatore pronto a dare ascolto al problema sollevato dal Gran Cancelliere Ugo de Ughis, anche se non correrà alle elezioni?

4 commenti:

  1. Illustrissimo Dott. Maestri, ella ha riassunto così bene la vicenda che leggendo mi ha rafforzato l'idea di aver ragione; così voglio aggiornarla sugli ultimissimi sviluppi. Ieri ho inviato alla Corte di Strasburgo il ricorso avverso le decisioni della quadruplice italiana, con il quale chiedo, in via cautelare, il congelamento dei risultati elettorali italiani ed il rinvio della proclamazione degli eletti fino alla decisione del suddetto ricorso. Nel frattempo ci è pervenuto uno scritto di benvenuto dell'International Labour Italy Branch ed un attestato di solidarietà da parte del Partito dei Lavoratori della Lettonia, di cui tesso le lodi per l'alto senso di fratellanza europea che ci hanno voluto dimostrare (ed il cui simbolo è proprio la contestata rosa vermiglia) due testimonianze che potrebbero volgere a nostro favore. Dopo la causa Severino/Berlusconi, non decisa, la vertenza PENSIONI & LAVORO/LABOUR potrebbe diventare un caso tra i più interessanti affrontati dall'Alta Corte Europea. Se ne ha piacere continuerò a tenerla informata. Cordiali Saluti! Ugo De Ughis, Gran Cancelliere Emerito

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  2. Illustrissimo Dott. Maestri, ella ha riassunto così bene la vicenda che leggendo mi ha rafforzato l'idea di aver ragione; così voglio aggiornarla sugli ultimissimi sviluppi. Ieri ho inviato alla Corte di Strasburgo il ricorso avverso le decisioni della quadruplice italiana, con il quale chiedo, in via cautelare, il congelamento dei risultati elettorali italiani ed il rinvio della proclamazione degli eletti fino alla decisione del suddetto ricorso. Nel frattempo ci è pervenuto uno scritto di benvenuto dell'International Labour Italy Branch ed un attestato di solidarietà da parte del Partito dei Lavoratori della Lettonia, di cui tesso le lodi per l'alto senso di fratellanza europea che ci hanno voluto dimostrare (ed il cui simbolo è proprio la contestata rosa vermiglia) due testimonianze che potrebbero volgere a nostro favore. Dopo la causa Severino/Berlusconi, non decisa, la vertenza PENSIONI & LAVORO/LABOUR potrebbe diventare un caso tra i più interessanti affrontati dall'Alta Corte Europea. Se ne ha piacere continuerò a tenerla informata. Cordiali Saluti! Ugo De Ughis, Gran Cancelliere Emerito

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  3. Dott. MAESTRI, il caso ha voluto che un consigliere 5 Stelle sollevasse pubblicamente il caso della ineleggibilità del Ministro Matteo Salvini e di altri 37 incompatibili tra parlamentari ed altre figure politico-professionali. Pertanto incuriosito mi sono posto il problema e ho fatto una ricerca sia per quanto riguarda la normativa interna che quella comunitaria... ed è emerso che grazie al combinato disposto aristotelico del sillogismo, in effetti, il ministro Salvini risulta ineleggibile quindi incandidabile; per le altre 37 posizioni la situazione è più incerta. So che sono state presentate alle 5 Corti d'Appello le opposizioni alla proclamazione, che potrebbero sfociare in altrettanti ricorsi ai TAR competenti per territorio dove vi fossero candidature irregolari ed in ultima istanza al Parlamento Europeo. Se avrò ulteriori notizie gliele farò pervenire. Cordiali Saluti. De Ughis

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  4. DOTT. MAESTRI, ritorno sull'argomento che precede perché mi sono accorto di aver commesso un errore relativamente alla competenza dei TAR... che è territoriale nel caso di ricorsi avverso esclusione di liste, candidati e contrassegni, mentre è esclusiva del TAR LAZIO ROMA nei casi di impugnazione di risultati e/o operazioni elettorali e/o opposizione agli atti di proclamazione degli eletti. Mi corregga se sbaglio. Grazie! De Ughis

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