sabato 13 aprile 2019

I simboli "bellissimi" nella Silicon Valley della propaganda, secondo Crozza

Da queste parti, come è noto e come sempre, si è presa maledettamente sul serio la presentazione dei simboli per le elezioni europee, come ogni altro rito elettorale, spargendo al più qua e là un po' di ironia, che in realtà è soprattutto autoironia, per chi appartiene all'eletta schiera (nomen omen) dei #drogatidipolitica. 
Altrove, invece, lo sberleffo è la sola regola praticata, se non altro perché è la chiave di lettura più semplice tra quelle possibili. La politica, quella fatta di scranni, poltrone, aule e riunioni, ha finito per meritarsi questo trattamento, rendendosi assai poco credibile e affidabile a causa delle sue azioni; di fatto, però, in un ipotetico trattamento generale del castigat ridendo mores, nei giorni che precedono le elezioni sono soprattutto le forze minori, dotate di nomi e simboli destinati a non passare inosservati, a essere "castigate", trattate come vittime sacrificali della scarsa credibilità della politica odierna (come se fossero davvero l'esempio delle degenerazioni della democrazia e non, soltanto, una delle tante manifestazioni della fantasia e del protagonismo umani). 
In questo filone - già toccato in passato, per esempio, da Giorgio Panariello nel suo ripetuto show natalizio - rientra perfettamente l'ultima esibizione televisiva di Maurizio Crozza, che ieri sera nel suo programma sulla Nove Fratelli di Crozza ha messo per bene alla berlina la politica di oggi, tra flat tax annunciata e poi sparita dal Def, la crescita che non c'è, le polemiche sul 25 aprile e il menù delle mense scolastiche finito in polemica politico-calcistica.    
In una situazione in cui è tutto fermo in economia, investimenti, sanità  salari, secondo Crozza "le uniche cose che ci vengono bene in questo paese sono le campagne elettorali, su quelle siamo la Silicon Valley della propaganda". Il che da un certo punto di vista è vero, considerata la frequenza degli eventi elettorali in Italia, tra votazioni di livello nazionale e locale; la fantasia certamente non manca, ma di certo è da intendere in un modo ben più ampio di quello in cui il comico genovese l'ha intesa.
Dopo aver decantato la produttività nostrana in materia di campagna elettorale, infatti, è da antologia l'espressione basita di Crozza per i "47 simboli elettorali depositati" in vista delle elezioni europee. Una reazione, la sua, che per un #drogatodipolitica non è affatto giustificabile, per almeno tre ragioni. Innanzitutto perché il divertimento dei veri #politicsaddicted è direttamente proporzionale al numero di simboli presentati; secondariamente, il numero è di molto inferiore rispetto a quelli registrati anni fa, quindi c'è poco da stupirsi (chissà come avrebbe reagito Crozza nel 1994 - anno in cui lui partecipava a Tunnel su Rai3 - nell'apprendere che, grazie al sistema elettorale a collegi uninominali, di contrassegni ne erano stati presentati 312...); in terzo luogo, a nessun conoscitore delle procedure elettorali verrebbe in mente di dire che "praticamente la scheda elettorale sarà grossa come l'elenco telefonico di Tokyo", visto che è ben noto come meno della metà dei simboli finiti nelle bacheche ministeriali riesca ad arrivare sulle schede (per mancanza di firme o anche solo per semplice desiderio di tutelare il simbolo o di mostrare la propria esistenza a funzionari, telecamere e fotografi).
Sta di fatto che, pur riconoscendo che qualche simbolo avrebbe rischiato la bocciatura da parte delle commissioni competenti, per Crozza al ministero sono stato presentati "simboli bellissimi": tra questi, il comico e la redazione del programma ne hanno scelti otto, tra quelli che meglio avrebbero potuto finire oggetto dell'ironia tagliente dell'interprete di Razzi e Bersani.
Così, ad aprire la galleria ha pensato il Movimento Poeti d'azione di Alessandro D'Agostini: "Praticamente quelli che vogliono fare gli Ungaretti del Parlamento europeo: Si sta come / d'autunno / su un albero / la Merkel" (chissà se D'Agostini ci ha pensato davvero, nel chiedere "meno Europa in Italia, più cultura italiana in Europa"); subito dopo è stato il turno dei Gilet Arancioni del generale dei Carabinieri Antonio Pappalardo: "Erano finiti i gilet gialli, - ha detto Crozza - si sono messi quelli dell'Anas", altro che il riferimento alle arance della Sicilia...
E' stato poi il turno del Partito internettiano di Francesco Miglino, che quest'anno è entrato al Viminale per primo: per il comico, i suoi seguaci sono "quelli che hanno il programma solo su cosa Applichi". Non poteva mancare, in questa carrellata, un riferimento al Sacro Romano Impero Cattolico di Mirella Cece: "Gente che guarda avanti - ha sottolineato con ironia Crozza - però loro almeno pensano in grande". 
Già, "perché poi ci sono quelli che hanno obiettivi un cicinin più di nicchia", come chi ha presentato il simbolo No riforma forense, No alla cassa forense (e resto mancia, per non riportare tutto il nome) dell'avvocato Pierluca Dal Canto (il cui indirizzo mail è stato tolto dal simbolo per l'occasione): "avvocati che vogliono andare in Europa perché ce l'hanno coi contributi previdenziali! Tu pensa che visione geopolitica globale che hanno!" Un giudizio tagliente, che però se non altro ha risparmiato il presentatore da una valutazione estetica ancora più impietosa sulla grafica del simbolo.
E' toccato poi al PPA di Antonio Piarulli, anche se il conduttore si è concentrato sulla dicitura Popolo Partite Iva, facendogli dire che si tratta di un partito "che raduna tutte le associazioni delle vittime delle fatture elettroniche". Osservazione quasi poetica per Ora rispetto per tutti gli animali di Giancarlo De Salvo, una formazione "che venera Licia Colò e si batte per l'abrogazione degli zampironi" (e, a questo punto, perché nessuno ha fondato mai un partito degli zampironi? In fondo se ne sentirebbe il bisogno...), mentre il giudizio è definitivo per La Catena di Franco Bruno: "tu la tiri e sparisce tutto". Un po' come in una delle ultime scene di Fantozzi subisce ancora, in cui il Ragioniere per antonomasia "occupa" la cabina per votare, si sforza, presumibilmente spinge e, alla fine, tira l'acqua, magari con la catena. Rigorosamente con la minuscola: nel 1983 - anno di uscita del film - Franco Bruno aveva solo tre anni e di certo non pensava di mettersi a fare politica o a portare il suo simbolo al Viminale...

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