Generalmente è importante la storia, quella che si fa con i fatti avvenuti e documentati. Ma gli stessi documenti possono dare conto di evoluzioni che erano state immaginate e progettate - dunque in qualche modo avevano prodotto fatti - ma poi non si sono sviluppate perché le vicende hanno preso pieghe diverse: il futuro mai nato o, se si preferisce, concepito ma mai cresciuto. Così può capitare che, mettendo ordine tra le carte accumulatesi nel tempo, a qualcuno spunti un simbolo con un gabbiano dai colori dell'arcobaleno e una rosa bianca: sulle schede non ci è mai finito, ma avendolo davanti agli occhi la macchina dei ricordi si mette inevitabilmente in moto.
Non ci sono date su quell'emblema, ma evidentemente dev'essere stato creato tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio del 2008. Il 24 gennaio il Senato aveva negato la fiducia al governo Prodi-bis e c'era stata subito aria di elezioni: il 30 gennaio il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva voluto comunque verificare la possibilità di cambiare almeno la legge elettorale prima del voto (visto che in tanti si erano lamentati delle incertezze che avevano segnato la prima applicazione), affidando un mandato esplorativo al presidente del Senato Franco Marini, ma davvero in pochi credevano che il ritorno alle urne sarebbe stato spostato più in là. Meglio prepararsi per tempo, come aveva fatto Walter Veltroni con la costituente del Pd il 27 ottobre 2007, seguito un mesetto dopo dal "discorso del predellino" di Silvio Berlusconi, anticipatore della nascita del Popolo della libertà come confluenza di Forza Italia e Alleanza nazionale. Caduto il governo Prodi e destinato al fallimento il tentativo di Marini, già a fine gennaio bisognava concretizzare qualcosa, almeno per l'ipotesi di tornare al voto con il Porcellum.
In quei giorni l'inquietudine era molta. Proprio il 30 gennaio, in coincidenza con il mandato a Marini, avevano abbandonato l'Udc Mario Baccini e Bruno Tabacci, ritenendo sbagliata la scelta di non partecipare a un eventuale governo riformatore ove non avessero partecipato anche i partiti del centrodestra: per alcuni era la prosecuzione della polemica che andava avanti da qualche settimana, legata alla scelta del leader di fatto dell'Udc di non allontanarsi troppo da Berlusconi, benché il partito avesse già scelto al congresso dell'aprile 2007 l'indipendenza dalla Casa delle libertà. Ci voleva una nuova sigla, che fosse chiaramente cristiana ma non guardasse troppo a destra nel nome: si pensò a "la Rosa Bianca", che faceva un po' "bianco fiore, simbol d'amore", un po' il ricordo di varie esperienze cristiane straniere e italiane; il nome, in ogni caso, era già stato impiegato da Tabacci a livello locale.
Da soli, però, Tabacci e Baccini - ai quali nel frattempo si era aggiunto Savino Pezzotta, dopo il suo mandato di segretario della Cisl - non sarebbero andati lontani: per il Porcellum, infatti, una lista da sola alla Camera (dove era più facile eleggere qualcuno) doveva ottenere il 4% su scala nazionale; in coalizione con altre forze la soglia si abbassava al 2% e c'era spazio anche per la lista "miglior perdente" sotto il 2% (ma la coalizione doveva arrivare comunque almeno al 10%, altrimenti l'asticella si rialzava al 4% per ogni lista). Una fatica improba in ogni caso. Il caso volle che in quei giorni per questioni di legge elettorale fossero molto inquieti anche dalle parti dell'Italia dei valori. Veltroni, infatti, aveva appena ribadito che il Pd alle elezioni si sarebbe presentato da solo, senza apparentamenti: un po' per fare il contrario dell'Unione del 2006 che aveva vinto sul filo di lana unendo una dozzina di sigle ma si era sbriciolata, un po' perché comunque il partito che aveva in mente Veltroni era quello "a vocazione maggioritaria" e quindi avrebbe dovuto proporre da solo il programma di governo. Antonio Di Pietro e l'Idv, dunque, avrebbero dovuto prepararsi a una corsa solitaria: il 2,3% ottenuto alle elezioni del 2006 non faceva sperare molto bene nell'esito di una candidatura fuori dai poli.
In quelle condizioni, dei contatti tra Tabacci e Di Pietro ci furono, verosimilmente nei primissimi giorni di febbraio, anche se probabilmente i due si erano visti anche prima. Infatti, nella conferenza stampa di presentazione della Rosa Bianca (che si può ascoltare grazie all'archivio di Radio Radicale), Tabacci fece riferimento a "un'operazione vista nei mesi scorsi", di cui aveva parlato con i vari interlocutori in campo, compreso Di Pietro, con il quale c'erano state "intese, talvolta anche qualche dibattito televisivo simpatico". Tabacci sottolineò di aver pensato non a una confluenza nell'Idv, ma a "una cosa nuova che si collocava al centro, in piena autonomia e in forte contrasto con lo schema attuale" e che poteva avere la possibilità di superare il 4% alla Camera per tentare di scardinare il bipolarismo. Un minimo di consistenza quei contatti dovevano averla avuta, visto che si era arrivati a concepire un simbolo composito, basato su quello dell'Idv del 2006: al posto del nome evidentissimo di Di Pietro - che spariva per la prima volta dal 1998 - c'era un bocciolo di rosa bianca, con il peduncolo che si confondeva con la seconda "I" di "Italia". Lo scartabellio tra i vecchi documenti ha consegnato addirittura due versioni del contrassegno: una con la rosa piccola e un'altra con il fiore più grande (ma con la corolla trasparente, che lasciava intravedere sotto la sagoma colorata del gabbiano).
Come sarebbero andare le cose è ormai ben noto. Benché Veltroni avesse invitato Silvio Berlusconi e il nascente Popolo della libertà a fare come il Pd e a correre da solo, il fondatore di Forza Italia non pensò mai di non apparentarsi alla Lega Nord o di chiedere a Bossi di rinunciare al simbolo di Alberto da Giussano e di entrare nel cartello del Pdl: i leghisti non avrebbero mai accettato e sarebbe stato folle rischiare di perdere i loro consensi (o di non intercettarli tutti, nell'inverosimile ipotesi di rinuncia al simbolo). A quel punto, visto il centrodestra correva "a due punte", Veltroni non volle essere da meno e pensò di scegliersi un solo partner per il Pd.
L'interlocutore ideale era proprio l'Italia dei valori, che in quel periodo sembrava la forza più consistente dell'area (con grande scorno dei Radicali italiani, che chiesero invano un accordo simile, salvo poi accontentarsi di una delegazione radicale candidata nelle liste del Pd). In una prima fase si ipotizzò addirittura di inserire il riferimento del sostegno a Veltroni, spostando o rimpicciolendo un po' il gabbiano per farcelo stare, posto che il nome più evidente nel simbolo sarebbe stato quello di Di Pietro. Alla fine, invece, l'Idv mantenne semplicemente il simbolo del 2006, senza aggiunte o modifiche (del resto, anche nel centrodestra il nome di Berlusconi campeggiò solo nel simbolo del Pdl, mentre in quello della Lega c'era il riferimento a Bossi); in compenso, anche senza il cognome di Veltroni sul simbolo nelle liste dell'Idv finì Jean Leonard Touadi, già assessore di Veltroni al comune di Roma.
E la Rosa bianca? Dopo la presentazione del simbolo ufficiale il 12 febbraio (stavolta col fiore stilizzato su fondo blu) e dopo le pronunce del tribunale di Roma che obbligarono a usare un nome diverso per il sito (visto che esisteva da anni un'associazione denominata La Rosa Bianca in ambito cattolico e giornalistico), proseguì il cammino come "Movimento civico federativo popolare", noto come "Rosa per l'Italia" e alla fine di febbraio stipulò un accordo con l'Udc - sì, proprio il partito da cui Pezzotta e Tabacci si erano allontanati, motivo per cui il progetto perse i sostenitori di Italia popolare (Gerardo Bianco e Alberto Monticone) che nel frattempo avevano mostrato interesse - per una lista comune. Lista che alla Camera ottenne il 5,62%, unica forza fuori dai poli a entrare a Montecitorio (con l'elezione di Tabacci, Baccini e Pezzotta). L'Idv, per parte sua, arrivò al 4,37%, che in coalizione col Pd era più che sufficiente per eleggere deputati; ma chissà come sarebbe andata, con il gabbiano in volo sulla rosa...
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