sabato 28 settembre 2019

E se il 12 ottobre si tenessero due assemblee della Democrazia cristiana?

Il 12 ottobre, lo si è già detto, dovrebbe essere il giorno in cui i soci della Democrazia cristiana del 1993 cercheranno per l'ennesima volta di risvegliare il partito con un'assemblea costituente, autoconvocata dal presidente dell'associazione che raccoglie gli iscritti di allora (Raffaele Cerenza) in nome e per conto dell'intera platea dei soci, poiché - secondo chi ha studiato questa soluzione - l'assemblea degli iscritti sarebbe l'unico organo rimasto della Dc, dopo il lungo sonno iniziato con il passaggio di nome a Partito popolare italiano nel 1994, fatto senza la convocazione di un congresso.
Vi raccontiamo ancora questa storia sempre uguale e sempre diversa - verrebbe da dire ricalcando e parafrasando l'incipit del film Il compagno Don Camillo - perché sempre diversi ma sempre uguali, almeno nello scopo (e, non di rado, nelle persone coinvolte), sono i tentativi di far tornare sulla scena politica la Democrazia cristiana, tentando di seguire una strada che appaia la più legittima possibile. Ed è proprio in questa ricerca che si finisce per avere puntualmente idee diverse e spesso anche per scontrarsi, armati di scudo crociato, con una foga e una tenacia che a quella di Don Camillo non ha nulla da invidiare. In tutto questo, può persino capitare che la Dc riunisca due assemblee diverse, potenzialmente simili negli scopi e nella composizione, nello stesso giorno e addirittura quasi alla stessa ora, ma ovviamente in luoghi diversi.
Già, perché il 12 ottobre, a quanto si apprende, oltre alla riunione degli iscritti del 1993 (auto)convocata da Cerenza per le 9 e 30 presso la sala di Via Quattro Cantoni 53, è in via di convocazione (o è già stata convocata, non è ancora chiaro) per le 10 dello stesso giorno in via XX settembre 68/B, presso la sala dell'Istituto Volpicelli, l'assemblea degli associati alla Dc che figuravano nell'elenco degli iscritti depositato a suo tempo presso il tribunale di Roma (e sulla base del quale alla fine del 2016 era stata disposta dal giudice Guido Romano l'assemblea della Dc del 26 febbraio 2017), dunque l'assemblea della Dc che si riteneva essere stata riattivata per mezzo del tribunale di Roma. Due assemblee della Dc, dunque, a mezz'ora e a due, tre chilometri di distanza (a seconda che ci si sposti a piedi o in auto): se della prima si è già abbondantemente parlato, è il caso di dire qualcosa di più sulla seconda (visto che inizia più tardi).
Quest'assemblea è stata materialmente convocata da Nino Luciani, già ordinario di scienza delle finanze a Bologna e a Roma, ma soprattutto primo firmatario - a maggio del 2016 - della richiesta al tribunale di Roma di disporre la convocazione dell'assemblea dei soci Dc su richiesta di circa 200 iscritti. Proprio Luciani era stato incaricato dal giudice Romano di convocare materialmente l'assemblea e di presiederla (inizialmente, finché non fu sostituito da Renato Grassi): dalla citata riunione del 26 febbraio 2017 Gianni Fontana uscì eletto come presidente dell'associazione, rimasto alla guida fino al XIX congresso (riprendendo la vecchia numerazione) svoltosi il 14 ottobre 2018, con l'elezione alla segreteria di Renato Grassi.
Il fatto è che nelle settimane successive da più parti l'esito di quel congresso è stato contestato da un paio di fronti: da una parte Raffaele Cerenza (assieme al suo vice Franco De Simoni) aveva contestato la legittimità della convocazione e dello svolgimento del congresso, avendo già impugnato gli atti del 2017 che lo precedevano e avendo riscontrato nuove anomalie nei passaggi preparatori all'assise; altre irregolarità sarebbero state lamentate da altri aderenti alla Dc - in particolare alcuni membri dell'ufficio di presidenza del congresso, Raffaele Lisi ed Emilio Cugliari - tanto gravi da rendere potenzialmente nullo il congresso stesso (perché sarebbe mancata la consegna del verbale della commissione di verifica dei poteri dell'assise, che avrebbe dovuto verificare la legittimità della platea congressuale); a ciò è comunque seguito un contenzioso interno, con la sospensione di Lisi e Cugliari dal partito.
In questa situazione decisamente intricata, Fontana aveva maturato la decisione di dimettersi dalla carica di presidente del consiglio nazionale Dc, ottenuta dopo il XIX congresso del 14 ottobre 2018; dal 22 giugno risulta suo successore il trentino Renzo Gubert. Il fatto è che in seguito, precisamente il 15 luglio 2019, lo stesso Fontana ha delegato a Nino Luciani la convocazione dell'assemblea dei soci "come già fosti incaricato dal giudice Guido Romano in data 13 dicembre 2016", ritenendo che fosse una soluzione più sicura e inclusiva rispetto alla riconvocazione della platea congressuale del 2018. Luciani dunque (che precisa di essere stato "incaricato ad attuare la convocazione di Fontana, non a convocare" l'organo) ha predisposto la lettera di convocazione per l'invito personale ai soci - seguendo le prescrizioni emerse in precedenti pronunce dei giudici - indicando come ordine del giorno per la (sua) assemblea del 12 ottobre 2019: 1) comunicazioni del presidente; 2) determinazioni in ordine alle elezioni degli organi statutari, in particolare in ordine al congresso nazionale; 3) deleghe operative.
Ora, sembra chiaro che Fontana abbia delegato Luciani a convocare l'assemblea della Dc riattivata nel 2017 in base al codice civile sul presupposto che non riconosce alcuna validità agli atti congressuali del 2018. Egli quindi avrebbe agito non nella qualità di presidente del consiglio nazionale Dc (carica che non rivestiva più da alcuni giorni e comunque successiva al congresso contestato), ma di presidente dell'associazione Dc eletto nel 2017 e tuttora in carica: questo, ovviamente, se si prende per buona la nullità o inesistenza del congresso del 2018, anche se - è il caso di ricordarlo - nessun giudice si è ancora pronunciato sul punto.
Naturalmente la situazione non poteva essere tranquilla, per cui appena Luciani ha avuto notizia dell'iniziativa di Cerenza e De Simoni, ha sostenuto l'illegittimità di un'autoconvocazione dell'assemblea costituente, ritenendo che lo statuto obbligasse prima a chiedere la convocazione a un organo superiore (circostanza contestata da Cerenza e dagli altri, convinti che non vi sia alcun organo cui rivolgersi) e che peraltro l'assemblea si sarebbe dovuta convocare con avviso personale a ciascun componente, non mediante annuncio pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Per non disperdere le forze, ha suggerito un'assemblea unica (si suppone che intenda far convergere tutti i soci sulla convocazione inviata da lui). Il tutto, peraltro, mentre il dirigente organizzativo della Dc guidata da Grassi, Antonio Fago, sconfessa l'iniziativa di Luciani, ritenendo che dopo aver deliberato la convocazione del congresso del 2018, la stessa assemblea dei soci avrebbe esaurito il suo mandato e notando che i partecipanti alla riunione del 12 ottobre convocata da Luciani (e all'altra?) decadranno da soci della Dc di Grassi, per il loro contrasto alle decisioni degli organi "regolarmente eletti". Si prevedono nuove scaramucce da ogni parte, tanto per cambiare...

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