Che giorno sarà il 12 ottobre 2019? Lasciate da parte, per una volta, ricorrenze storiche da esploratori in cerca di nuovi mondi; c’è chi vorrebbe recuperarne uno antico, scomparso dalla vita politica italiana ma – a quanto pare – non dai cuori di varie persone. Di nuovo, al più, ci sarebbe solo l’inizio che si vorrebbe legare a quella data, anche se fin qui ci si è provato più volte a far ripartire la storia della Democrazia cristiana. Già, perché il 12 ottobre risulta autoconvocata – sì, proprio così – l’assemblea degli iscritti alla Dc del 1993: questi hanno deciso di trovarsi alle 9 e 30 a Roma (sala di Via Quattro Cantoni 53, non lontano dalla stazione Termini) in una “assemblea costituente” allo scopo, tra l’altro, di nominare un segretario politico e un segretario amministrativo che restino in carica fino alla celebrazione del prossimo congresso.
L’autoconvocazione, apparsa sulla Gazzetta Ufficiale il 5 settembre tra gli "annunzi commerciali", potrebbe lasciare perplesso anche chi avesse cercato di seguire con pazienza le ultime vicende legate allo scudo crociato: la Dc, dopo essersi rimessa in moto in seguito all'iniziativa di circa 200 soci che avevano ottenuto dal tribunale di Roma di poter svolgere un’assemblea all’Ergife di Roma il 26 febbraio 2017, non aveva già celebrato il 14 ottobre 2018 un suo congresso – il XIX, per la cronaca alla sua terza edizione, dopo quelle del 2003 e del 2012, senza contare il “numero zero” voluto da Gianfranco Rotondi nel 1997 – e in quell'occasione non aveva eletto alla segreteria Renato Grassi, dopo la presidenza transitoria di Gianni Fontana? In effetti sì, ma per qualcuno i passi fatti sin qui sono illegittimi e occorre seguire un’altra strada, senza indugio.
Alla base di tutto, ancora una volta, c’è la sentenza n. 25999/2010 delle sezioni unite civili della Corte di cassazione, che aveva confermato – dichiarando inammissibili o infondati tutti i ricorsi presentati – la precedente decisione n. 1305/2009 della Corte d’appello di Roma: questa era intervenuta nel filone più noto delle dispute sulla titolarità e sull’uso dello scudo crociato, in una causa che vedeva come parti il Cdu, l’Udc e la Dc (pur se in due fazioni in lite tra loro, quella che riconosceva come segretario Giuseppe Pizza e quella che rivendicava lo stesso ruolo per Angelo Sandri). In quella sentenza, molto lunga e complessa, si disse tra l’altro che all'inizio del 1994, quando la Democrazia cristiana scelse di cambiare il proprio nome in Partito popolare italiano, non si celebrò alcun congresso, né per sciogliere il partito né per deliberare il mutamento di nome: quell'atto, adottato da organi del tutto incompetenti, per i giudici di secondo grado era dunque addirittura inesistente.
Cosa comporta questo, per chi è stato iscritto alla Dc fino al 1993 (anno dell’ultimo tesseramento effettuato)? "Di fatto la Democrazia cristiana esiste ancora, sia pure in un lungo stato di quiescenza – spiega Francesco Maria Fioretti, ex magistrato, che ha prestato la propria consulenza all'associazione – e, pur non essendovi più gli organi di vertice, esiste comunque l’assemblea dei soci del 1993: in mancanza di ogni altro organo, è l’assemblea stessa a rappresentare la Dc, in virtù del principio di immedesimazione organica". In qualità di unico organo esistente, l’assemblea avrebbe pure titolo ad autoconvocarsi, non potendo provvedere altri organi allo stesso compito.
In questo caso, dunque, si è valutato che l’autoconvocazione, firmata per i convocanti dal presidente dell’associazione iscritti alla Dc 1993 Raffaele Cerenza, fosse l’unica strada che si poteva percorrere. Come si è ricordato prima, nel 2016 si era seguito un percorso diverso, presentando al presidente del Tribunale civile di Roma una richiesta di convocazione dell’assemblea firmata da circa 200 firme, sostenendo che provenivano da almeno un decimo degli associati, come richiesto dall’art. 20 del codice civile. "Il fatto è che tanto lo statuto della Dc, quanto il codice civile sembrano presupporre una situazione di completezza di organi, che qui evidentemente non c’è – spiega il presidente Cerenza, che assieme al suo vice Franco De Simoni sta curando questo percorso di riattivazione –. Noi abbiamo contestato le scelte fatte fin qui, impugnando prima gli atti dell’assemblea degli iscritti del 26 febbraio 2017, poi gli atti del congresso del 2018; è previsto che le due cause vadano in decisione rispettivamente a settembre del 2020 e a gennaio 2020, ma nel frattempo non intendiamo attendere senza fare nulla e senza percorrere l’unica strada che al momento ci pare convincente".
Che la strada seguita a partire dalla richiesta di convocazione rivolta al Tribunale di Roma non sia stata corretta lo dimostrerebbe, secondo gli autoconvocanti, più di un elemento. "Da una parte – precisa Fioretti – quando alla fine del 2017 Cerenza e De Simoni quali iscritti alla Dc nel 1993 avevano presentato un ricorso ex art. 700 del codice di procedura civile, volto a ottenere che all'Udc fosse inibito da allora in avanti l’uso dello scudo crociato, il giudice ha respinto il ricorso rilevando che i ricorrenti non avevano dimostrato di agire per conto della Dc e di rappresentarla in base alle regole del codice civile e dello statuto. Questo affida la rappresentanza del partito al segretario amministrativo, che però non esisteva, perché le norme dello statuto erano di fatto inapplicabili in una situazione di associazione 'dormiente'. Dall'altra, l'art. 20 del codice civile dispone che la richiesta di convocazione dell’assemblea sia sottoposta da almeno un decimo degli associati innanzitutto agli amministratori dell’associazione e, in caso di loro inerzia, solo in seconda battuta al presidente del tribunale: qui però non c'era nessun amministratore da interpellare, i firmatari della richiesta hanno detto che proprio la loro assenza imponeva di rivolgersi direttamente al giudice, ma questo in realtà dimostra che nemmeno il codice qui si riesce ad applicare, visto che pretende che entrino in gioco cariche previste dallo statuto che, come detto, in queste condizioni non è applicabile".
In effetti, anche la via individuata dagli autoconvocanti, pur essendo indubbiamente interessante per il ricorso all'immedesimazione organica non è esente da rischi: se non è scontato che la qualità di soci della Dc sia ancora valida per chi era iscritto nel 1993 (il tempo, in fondo, è passato anche per loro e non solo per gli organi di vertice), l’insidia più grave sta nella possibilità che l’autoconvocazione sia contestata da chi si qualifica come soggetto continuatore della Democrazia cristiana (il Partito popolare italiano), da chi da anni utilizza lo scudo crociato sulla scena politica italiana (l'Udc) o, più probabile, da chi ritiene già di rappresentare la Dc in base a procedimenti già avviati in passato (a partire dal gruppo di Renato Grassi).
È però possibile che nessuno di questi soggetti si faccia avanti per ostacolare questo nuovo percorso: è questa la speranza degli iscritti del 1993 che hanno convocato l'assemblea, la quale avrà il compito, oltre che di nominare il segretario politico e quello amministrativo che rimarrebbero in carica fino al nuovo congresso, di individuare "20 coordinatori regionali con il compito di provvedere in ogni regione al tesseramento dei nuovi soci, sempre al fine dell’indizione e svolgimento di un apposito congresso in base all'ultimo statuto della Democrazia cristiana", il cui testo risale all'aprile del 1992.
All'assemblea del 12 ottobre potrà partecipare chi era iscritto alla Dc nell'ultimo tesseramento valido (quello del 1993), purché comprovi l'iscrizione alla Commissione verifica dei poteri; contestualmente, l'autoconvocazione invita tutti gli iscritti Dc "a farsi parte diligente per la ricerca e la ricognizione di iscritti del 1993 che non avessero avuto notizia di questa Assemblea". Per chi si è di nuovo messo in moto è questa la strada più corretta sul piano giuridico per raggiungere lo scopo da tempo perseguito, cioè vedere di nuovo la Dc vivente e operante. Ci riusciranno, senza che la vicenda debba finire anche questa volta in tribunale?
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